domenica 26 febbraio 2012

Bruce Springsteen > Wrecking Ball (Sony)


Quando ho sentito la prima volta il singolo We Take Care of Our Own sono rimasto perplesso: suono boombastic da mainstream rock lucidato a nuovo e nel testo tutta quella speranza  posta e poi inaridita. Il cambio di produttore, da Brendan O'Brien a Ron Aniello non portava novità e freschezza, l'idea che in fatto di produttori (e di titoli visto che Wrecking Ball è già stato usato da Emmylou Harris per un suo disco)  Springsteen non capisca un granché  è quasi una certezza ed il giorno in cui si affiderà ad un produttore mirato per un  sound schietto e rock n'roll sarà festa nazionale. Invece poi l'album è un'altra cosa, decisamente  migliore dei due che lo hanno preceduto. Wrecking Ball  è un disco tosto, un disco di rock popolare nel senso nobile del termine con canzoni che suonano rabbiose e testi che hanno come temi la crisi economica, le ingiustizie sociali, i dubbi e la paura delle persone meno fortunate e meno abbienti. Qui sta il senso del disco, una specie di concept lega diverse canzoni dove il punto di vista è quello del popolo, della classe operaia, dei giovani senza futuro, dell'America che non ce la fa, della gente comune a cui hanno tolto ogni speranza, del lavoratore che diventa sempre più magro grazie al  banchiere che diventa sempre più grasso.  Wrecking Ball è un disco che parla semplice e diretto e spesso usa i suoni propri della comunità di origine irlandese della East Coast come l'irish folk ed il celtic rock per risultare più incisivo e realista. C'è parecchio folk irlandese nelle canzoni, ci sono violini, fisarmoniche, il banjo, c'è un esplicito riferimento all'esperienza e al sound delle Seeger Sessions  qui filtrato dal muscoloso rock di Bruce, dalle chitarre che urlano, dai colpi di batteria, dal basso che pulsa, dalle tastiere che riempiono gli spazi e qualche volta eccedono pure. Il suono è potente e diretto,  comunicativo, un rock innaffiato di birra scura e di orgoglio popolare, un canto di resistenza che usa riferimenti biblici e metafore religiose come è solito fare Springsteen ma anche il linguaggio comune di strada  per farsi ascoltare ed invitare, nonostante tutto, a non mollare. Nella splendida Jack of All Trades, una delle canzoni meglio riuscite dell'album, Bruce canta i'm a Jack of all trades, there's a new world coming e non si sa se lo dica più per darsi forza o perché ci crede veramente visto che la voce, il piano e una ballata lenta ed introversa  non inducono all'ottimismo ed una tromba che fa tanto Nini Rosso fende l'aria come in una onorificenza funebre  di qualche cimitero americano coperto di neve. Anche qui, in Jack of All Trades, un pezzo il cui testo  sembra preso dal Ry Cooder di Pull Up Some Dust & Sit Down ci sono tante voci femminili, mai cosi abbondanti come questa volta. Il gospel del Victorious  Choir  incontra gli arrangiamenti orchestrali del New York String Section mentre il rock della E-Street Band o solo di quelli qui presenti si salda con l' irish flavour dei tanti musicisti migrati dalle Seeger Sessions.   Wrecking Ball è un'opera che strumentalmente presenta diverse facce, c'è la semplicità di una batteria sfilacciata ed il roots-rock caro a  John Mellencamp con lo sfondo dei violini, degli archi, dei cori e di un ritornello tanto secco quanto eloquente, su nella collina dei banchieri la festa è finita, cosa ci fa  un povero ragazzo in questo mondo sbagliato (Shackled and Drawn) e c'è la cupezza di This Depression dove dopo un inizio lento accompagnato dalla orchestra si fa strada la chitarra "spaziale" di Tom Morello, c'è l'elettronica biblica e da sermone di Rocky Ground, il brano meno digeribile dell'album con quelle voci rappate e c'è una canzone il cui titolo fa venire in mente la Ricky Lee Jones del basco rosso. Prendo l’impermeabile, porta fuori il cane, mettiti il tuo vestito rosso, andiamo in città in cerca di denaro facile, è il verso trainante di Easy Money ma qui i soldi facili non servono per una notte sotto le stelle della California in compagnia del Jack Daniel's, qui c'è una Smith&Wesson calibro 38 infilata sotto la giacca per  cercare di sopravvivere.  L'atmosfera è realisticamente celtica, ci sono i volini, i suoni delle Seeger Sessions, la fierezza delle radici ed una coralità che vi trascina in una danza festosa, anche se i tempi non sono quelli della festa. Ma qui sta la potenza di Springsteen e del suo rock , comunicare,  coinvolgere, scuotere anche quando le parole sono quelle della crisi, della povertà, dell'ingiustizia. Lo stesso titolo Death To My Hometown non prelude a niente di buono ma il celtic rock che pulsa nelle note suona come se accompagnasse la marcia del San Patrick's Day e la visione ricorda l'indimenticabile scena di Mystic River. Ritmo che scalpita, rabbia positiva, speranza,  straight to hell come cantavano i Clash ma qui siamo nei sobborghi della East Coast, nel quartiere  Quincy di Boston dove gli eroi locali si chiamano Dropkick Murphys.
You've Got It inizia dolente con la chitarra acustica, sembra una Darlington County rallentata ma c'è un latente stato di attesa, ad un certo punto il battimani ed una slide cambiano lo scenario, il rock si mischia con la potenza rallentata del blues e tutto fila per il verso giusto, This Depression è marziale e cupa, Bruce cerca calore nell’amore di una donna, ho bisogno del tuo cuore perché non sono mai stato cosi debole,  We Are Alive chiude l'album, quello della versione senza bonus tracks,  con il gracchiare del vinile ed una chitarra acustica folk.  Si parla di morti, lutti e cimiteri, come fosse una piccola Antologia di Spoon River, un lascito della Guerra Civile   ed una riga, our souls will rise che è un po' il sentimento generale dello Springsteen di Wrecking Ball.
 Tanto smarrimento ma pure un esplicito invito a resistere  con il devastante rock della palla demolitrice che sfrutta il baseball, il gioco americano più popolare, come metafora per raccontare l'orgoglio, le sconfitte e le speranze in una sorta di moderno no surrender. Gli ultimi versi della canzone sono una scossa al suono di un rock mai così vibrante.
Non ci sono solo gli E-Streeters Charlie Giordano, Patty Scialfa, Soozie Tyrrell, Steve Van Zandt, Max Weinberg,  in Wrecking Ball, ci sono anche i compagni di ventura delle Seeger Sessions ( Art Baron, Clark Gayton, Lisa Lowell, Ed Manion, Cindy Mizelle, Curt Ramm) oltre all'ex batterista dei Pearl Jam Matt Chamberlain, al polistrumentista Greg Leisz, alla chitarra di Tom Morello, al sax di Stan Harrison e alla tromba di Darrell Leonard oltre ai cori gospel e la sezione archi. In diversi momenti si avverte la mancanza del sax, in altri compare quando la malinconia ha già stropicciato il cuore,  Clarence lo si sente in Wrecking Ball e nell'arrangiamento di Land of Hope and Dreams dove sono stati aggiunti voci gospel, tante tastiere ed una drum machine.
Wrecking Ball è un disco che ancora una volta dividerà, qualcuno continuerà a cercare lo Springsteen dei glory days ignorando il tempo e la storia, qualcun'altro maledirà di nuovo il produttore, altri ancora diranno che Springsteen ha preso le distanze da Obama, altri diranno che non è più lui, infine ci sarà chi lo osannerà come si fa coi propri idoli.  Non è facile per nessuno, oggi,  con l'aria che tira fare un disco che sia realistico nelle osservazioni,  sensibile e credibile nell'immedesimarsi nei problemi della gente comune e possedere contemporaneamente l'esoterico potere del rock n'roll di far gioire e pensare, Springsteen ci è riuscito. Wrecking Ball è rock popolare nel senso migliore del termine.

MAURO ZAMBELLINI        FEBBRAIO   2012

martedì 21 febbraio 2012

The Barr Brothers


Li ho scoperti per caso seguendo una puntata del David Letterman Show dove alla fine hanno presentato Beggar in The Morning, una ballata d'atmosfera che coi suoi suoni acustici sospesi in un folk avvolgente e senza tempo mi ha letteralmente stregato e ha lasciato di stucco lo stesso scafato presentatore. Mi sono subito procurato il loro cd, intitolato semplicemente The Barr Brothers, edito dalla sconosciuta Secret City Records e ho scoperto uno di quei gioiellini ignorati dai media ma preziosi come un  album. I Barr Brothers sono costituiti dai due fratelli, Brad, chitarre, organo, basso, wurlitzer e Andrew, batteria e percussioni e da Sarah Pagè, arpa e dulcimer, arrivano dal freddo Canada (Montreal) e si erano fatti conoscere una decina di anni fa col nome di The Slits, una sorta di jam band. I Barr Brothers sono però molto diversi da quella band, ai tre si uniscono alcuni amici che suonano basso, contrabbasso e vibrafono, intrecciano con delicatezza e una buona dose di eclettismo folk acustico, ballate pastorali, echi di  Pentangle, ritmi africani (Alì Farka Tourè e Tinariwen), un pò di blues del Delta e qualche scampolo cantautorale canadese come il Bruce Cockburn dei boschi ed il David Essig del profondo e silenzioso nord.
Il melange che ottengono è strambo, poco catalogabile ma estremamente fresco e accattivante, un mix sonoro che in qualche frangente ricorda gli americani Low Anthem per l'atmosfera dilatata e i suoni talvolta rarefatti che riescono a costruire. Ma i Barr Brothers non sono come molti gruppi odierni di nu-folk tutta suggestione e niente sostanza perchè sanno scrivere canzoni valide e varie che a volte traducono una inattesa capacità visionaria (un esempio è Cloud for Lahsa)  e vi trasportano in un mondo fiabesco e a volte sono saldamente ancorate al presente e alla terra evocando il blues elettrico (bella la versione di Lord, I Just Can't Keep From Crying di Blind Willie Johnson) e la grande Madre Africa (un'ipnosi la loro Give The Devil Back His Heart, splendida Deacon' s Son).  Il folk intimista, soffuso e tinto di leggera colorazione psichedelica si mischia ad un terreo blues e a ritmi sghembi e ancestrali, il risultato è affascinante e singolare. Le ballate, a cominciare dalla superba Beggar in The Morning, sono carezze di una dolcezza esemplare, i suoni trasmettono la suggestiva, tranquilla e deliziosa atmosfera di un paesaggio canadese. Un disco fuori dai canoni, bello e originale, reso possibile col supporto del governo del Canada.

MAURO ZAMBELLINI  FEBBRAIO  2012