sabato 21 febbraio 2015

L' INVASIONE SVEDESE

 
La storia è presto detta, in Svezia si è venuta a creare una scena musicale rock che recentemente ha portato alla ribalta dischi e autori decisamente interessanti, paragonabili a quelli che offre il mercato americano. La Svezia è un paese molto avanzato in termini di sostentamento alla cultura, le difficoltà che incontrano i nostri musicisti e i gestori dei locali  là non esistono, ci sono finanziamenti e aiuti ed è naturale che fare il musicista da quelle parti non sia roba da carbonari come da noi. In più si è messa una etichetta, la Rootsy Nu., a lavorare alacremente nel settore, producendo sia artisti americani in esilio come Bob Woodruff (in questo blog a suo tempo venne segnalato l'ottimoThe Year We Tried To Kill The Pain), sia importando dischi dagli Stati Uniti come l'ultimo di Mary Gauthier, Willie Nile, Steve Earle, Drew Holcombe, sia dando fiato alla ricca scena locale diffusa su tutto il territorio nazionale, da Stoccolma a Malmoe e Goteborg. In particolare sono i songwriters a fare la parte del leone, e l'ottima padronanza dell'inglese, a tutti gli effetti seconda lingua in Svezia, è un notevole aiuto per chi voglia addentrarsi in un rock d'autore di derivazione americana, sebbene non manchi una florida tradizione di band vere e proprie, spesso sconfinanti nell'heavy metal. L'idea di una etichetta indipendente come la Rootsy Nu. è venuta  ad Akhan Olsson, ex manager di una major, che ha deciso di lavorare in un'area più di nicchia ma qualitativamente più oculata. I risultati gli hanno dato ragione, oggi la Rootsy Nu. è una delle etichette indipendenti più intraprendenti d'Europa. Il caso di Richard Lindgren è noto agli appassionati del settore, visto che è ormai di casa in Italia, ma i nomi che segnalo qui sono quelli di Doug Seegers, Basko Believes e Seasick Steve, quest'ultimo aggiunto perché residente in Scandinavia, non in Svezia ma in Norvegia e avente diverse analogia con gli altri due.

 
Il caso di Doug Seegers è la dimostrazione che nella musica i miracoli esistono ancora. Nato a New York nel 1952 e padre di due figli, ad un certo punto emigra a Nashville dove diventa un musicista di strada, regolare presenza al That Little Pantry That Could, un centro assistenziale che si occupa di sfamare e dare aiuto ai poveri di West Nashville. Doug Seegers è un homeless che racimola i pochi dollari della propria esistenza nelle strade della città. Capita che Jill Johnson presentatrice dello show televisivo svedese Jills Veranda con un team di artisti ed operatori incontrino in un parco di Nashville proprio Doug Seegers durante la realizzazione di un documentario sulla musica della città.  Johnson e Carlson lo sentono cantare Going Down The River e ne rimangono fulminati, ritornano  qualche tempo poco e con l'interessamento di Akhan Olsson gli propongono di registrare la canzone nel vecchio studio di Johnny Cash a Nashville. L'episodio passa nello show TV di Jill Johnson, il facebook di Doug Seegers viene preso d'assalto e Going Down The River diventa numero uno nelle classifiche svedesi di iTunes per dodici giorni consecutivi. Come conseguenza l'americana Lionheart Records offre un contratto discografico al musicista e gli pubblica l'album Going Down The River  prodotto da Will Kimbrough con la presenza in un brano di Emmylou Harris e in un altro, di un vecchio amico di Seegers nei giorni di Austin, Buddy Miller. L'album pubblicato la fine di maggio del 2014 sale le classifiche di vendita svedesi e l'autore viene ingaggiato per un tour estivo di 70 date. Se il miracolo c'è stato e la fortuna ci ha messo lo zampino, bisogna però dare atto a Doug Seegers di avere un talento innato, come cantante, chitarrista e songwriter, qualcosa che è parte Hank Williams, parte Hank Snow e parte Gram Parsons ma con una voce ammaliante e soul che proprio nei brani più bluastri e swing emana un sentimento ed un calore incredibile. Già se ne era accorto Buddy Miller negli anni settanta ad Austin quando la sua band incrociò questo homeless uscito da uno scuro rifugio di ubriaconi, che raccattava soldi per la bottiglia in cambio di canzoni country cantati con una voce che era un riflesso dell'anima, facendosi chiamare Duke the Drifter. Adesso Miller canta con Seegers in There'll Be No Teardrops Tonight una composizione di Hank Williams che Duke the Drifter rende molto fedele all'originale ovvero umori da Grand Ole Opry, violini e una massiccia dose di lap e pedal steel. E' una delle canzoni più orientate verso il country che compongono Going Down The River, assieme a Pour Me,  un po' di Johnny Cash ma col naso al posto dell'ugola, alla malinconica e semi autobiografica Lonely Drifter's Cry, al country-rock scavezzacollo di Hard Working Man sintonizzato sullo stile del primo brillante Todd Snider e al brioso western swing di Gotta Catch That Train. Doug Seegers canta con la facilità del veterano country singer, le sue canzoni sono frutto di una penna intinta nelle miserie e nelle illusioni della vita di strada, uniche cover sono il brano di Hank Williams e She di Gram Parsons dove il nostro, con la collaborazione di Emmylou Harris, ne dà una interpretazione da brivido, intensa e romantica. Ma dove Doug Seegers mostra classe innata, e se tutto l'album fosse stato così sarebbe stato un capolavoro, è nei pezzi più bluastri, notturni e soul. Qui si erge un cantante che muove le corde dell'emozione con una scioltezza ed uno swing davvero incredibili, in Burning A Hole In My Pocket  veste i panni di un crooner che shakera jazz, country e blues con l'abilità di un barman professionista, in Baby Lost Her Way Home Again complice il sax, il pianoforte ed un backing vocale al femminile, si cala nei club dell'ora tardi regalando malizia e savoir faire, e nelle due tracce con cui si apre il disco ovvero Angie's Song  e Going Down The River  sfoggia un country-soul magistrale con venature gospel ed una chitarra alla Ry Cooder  che potrebbe essere uscito dalle migliori incisioni della Fame e della Kent. Un homeless strappato alla strada ed un artista ritrovato, grazie agli svedesi.
 

Diverso il caso di Johan Orjansson  cantautore che ha debuttato nel 2012 con l'interessantissimo Melancholic Melodies for Broken Times  un titolo che suggerisce delle rarefazioni che attraversano un cantato malinconico e nordico, espressivo e visionario. Ora Orjansson ha cambiato nome, ha scelto di chiamarsi Basko Believes e se ne è andato in Texas a registrare il nuovo disco, precisamente a Denton dove con l'aiuto dei Midlake e in minor misura di Israel Nash Gripka ha realizzato l'ottimo Idiot's Hill  uno dei migliori dischi in ambito singer/songwriters che mi sia capitato di ascoltare recentemente. Aperto da un tintinnio strumentale e dei vocalizzi che paiono giungere dalle sconfinate foreste scandinave, In A Glade, il disco si sviluppa attraverso dieci tracce che svelano di un mondo poetico dove la potente e vibrante voce di Basko si fa carico di emozioni e visioni che sfuggono alle ovvietà del genere e trasportano in un mondo incantato dove i dettagli sonori sono importanti quanto l'espressività con cui l'autore racconta le sue storie. Personalità da vendere, splendida voce che in più di un episodio fa venire in mente il Ryan Adams più melodico, Basko Believes lambisce i territori esplorati da Damien Rice ma è meno triste e cerebrale e grazie ad un pugno di musicisti che sanno il fatto loro, costruisce una canzone d'autore dove l'eco del grande Nord si mischia a graffi elettrici, orchestrazioni, archi, chitarre acustiche e quel paesaggio melodrammatico tra folk e prog di cui sono capaci i Midlake. Crescendo di grande bellezza come Wolves si alternano a momenti solenni come Lift Me Up, calde canzoni sottolineate dal violino e da un tenue controcanto femminile come in Going Home  si accompagnano a  tracce come Entertainers dove veramente sembra di essere davanti al Ryan Adams più ispirato con una corale finale di spettrale bellezza. E poi il cantato lamentoso di The Waiting che si intreccia col soul di Rain Song, nella quale la voce chiaroscura di Basko metterebbe ko anche i cuori più gelidi, e quell'ardito attorcigliarsi in un folk da camera di Archipelago Winds trovare risposta nella magnifica Leap of Faith dove Joe McClellan fa capire quanta misura e luminosità c'è nella sua chitarra, chiusura o quasi (c'è posto per la strumentale Out Of A Glade) di un disco  che consegna uno degli autori e cantanti più promettenti nel campo di un folk/rock che ormai non ha confini. 
 

Seasick Steve, all'anagrafe Steven Gene Wold, vanta anche lui come Doug Seegers una vita burrascosa ora incanalata in un'esistenza tranquilla grazie ad un dolce esilio scandinavo. E' nato a Oakland nel 1941 e ha trascorso una infanzia segnata dagli abbandoni. I genitori si separarono quando Steve aveva quattro anni ma il bambino già a otto aveva in mano la chitarra grazie agli insegnamenti di K.C Douglas, l'autore di Mercury Blues che lavorava nel garage di suo nonno. A tredici anni Steven se ne va di casa, stanco dei maltrattamenti del patrigno, e bighellona  tra Tennessee e Mississippi fino al 1973, saltando sui treni e lavorando come contadino stagionale e cowboy. Così descrive quel periodo della sua vita: "gli hobo sono persone che viaggiano per cercare lavoro, i vagabondi sono persone che viaggiano ma non cercano lavoro, i perditempo sono persone che non viaggiano e non lavorano. Io sono tutte e tre insieme".  A Como, in Mississippi compra in un Goodwill store per 75 dollari una scalcagnata chitarra giapponese con tre corde che sarà la fortuna della sua vita. Durante gli anni sessanta comincia a esibirsi con musicisti di blues suoi amici e diventa sessionman, si impratichisce inoltre nelle tecniche di registrazione. Quando si sposta a vivere a Olympia, vicino Seattle, lavora con diversi musicisti di area indie e finalmente nel 1996 incide il suo primo album, ironicamente intitolato, This Is A Long Drive for Someone with Nothing To Think About. Emigra a Parigi dove fa il busker nel metrò, poi passa in Norvegia (ha cambiato 59 volte il posto dove vivere) e nel 2004 pubblica Cheap, il titolo fa  riferimento alle sue chitarre.  Due anni dopo la Bronzerat Records gli pubblica  Dog House Music, che gli permette di accedere allo show della BBC Hootenanny condotto da Jools Holland. Nel 2007 vince il Mojo Award per il Best Breakthrough Act e partecipa a festival importanti quali Reading, Leeds e Glastonbury. Gira il mondo, compare in Giappone, Danimarca, Australia, firma con la Warner, riempie la Royal Albert Hall, l'Hammesmith e la Grand Opera House di Belfast e viene invitato al David Letterman Show. Quello che era un hobo prima e un busker dopo è diventato una specie di star, tanto che la BBC realizza un video su di lui, Seasick Steve Bringing It All Back Home ambientato nel sud degli Stati Uniti. Wold a questo punto ammette di avere abbastanza soldi per comprarsi un trattore John Deere modello anni 60, coronamento di un sogno. Oggi Seasick Steve vive tra la Norvegia e l'Inghilterra con la sua seconda moglie, il suo nuovo disco Sonic  Soul  Surfer segue di due anni Hubcap Music  frutto della collaborazione con Luther Dickinson, John Paul Jones e Jack White. Il leader dei North Mississippi Allstars è ancora presente con la slide in due brani di Sonic Soul Surfer mentre Ben Miller aggiunge l'armonica in Summertime Boy, brano che celebra le delizie del vivere al sole della California. Il fedele Dan Magnusson si occupa di batteria e percussioni e Georgina Leach del violino. Dodici brani nella versione in CD e sedici nel LP, Sonic Soul Surfer è un disco dal suono scarno e minimale che sintetizza l'avventura musicale (ed esistenziale) di Seasick Steve, un settantenne che suona il blues con l'energia e la spregiudicatezza di un venticinquenne. Costruisce un suono basato sullo "stridio" delle sue chitarre da supermercato, tre o quattro corde pizzicate con vibrante veemenza in modo da ottenere un sound asciutto e ritmico, che ha maestri nel gesto di Mississippi Fred Mc Dowell e  R.L Burnside, passa con indifferenza da una tre corde alla Danelectro, ad un metallico cigar box a 4 corde costruito appositamente per lui da Super Chickan Johnson, usa una primitiva drum machine per creare il ritmo ed un vecchio basso Fender. E' un one man band che trae dalla musica il suo sentimento più puro, primitivo ed incontaminato, dispiega un southern sound che la modernità non ha scalfito, anzi, il suo gesto e il suo sound sono tremendamente moderni perché c'è un attitudine da band garagista di oggi, nonché il feeeling dei sopravvissuti del down-home blues come è Seasick Steve. Un blues tagliato nei boschi, un misto di suoni elettrici e acustici con una economia strumentale  da dosaggio farmaceutico,  dove è possibile riconoscere l'eco dei North Mississippi Allstars, dei 16 Horsepower, dell' hillbilly stomp della Ben Miller Band e dei primi vagiti degli ZZ Top in versione rurale.  Un disco di un surfista dell'anima che a più di settanta anni riesce ancora a sorprendere.

 

MAURO  ZAMBELLINI     FEBBRAIO 2015