tag:blogger.com,1999:blog-70096807790132603132024-03-19T04:11:58.196+01:00Zambo's PlaceZambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.comBlogger337125tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-13855556549810644882024-03-04T18:00:00.003+01:002024-03-04T18:00:46.951+01:00THE BLACK CROWES HAPPINESS BASTARDS<p class="MsoNormal"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWRW7G7cagWkq35MbxXBSaWF2C2TZyxjcD9Jd9gj1GdREv8yQ76pgKrXIZ35Y4_2ouo3yr-_XrRJkdwHESlGJ8jj0Bi0PmPDQoXHIDnTSiViZoU4J4DcISRjaS_fwtL7_nY8QXJZLk3S2n4_vC2H7GxFefOGz0k7WAsixBne7HthJn5Omku121Gez2F-e0/s475/1-black-crowes-happiness-bastards.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="475" data-original-width="475" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWRW7G7cagWkq35MbxXBSaWF2C2TZyxjcD9Jd9gj1GdREv8yQ76pgKrXIZ35Y4_2ouo3yr-_XrRJkdwHESlGJ8jj0Bi0PmPDQoXHIDnTSiViZoU4J4DcISRjaS_fwtL7_nY8QXJZLk3S2n4_vC2H7GxFefOGz0k7WAsixBne7HthJn5Omku121Gez2F-e0/s320/1-black-crowes-happiness-bastards.webp" width="320" /></a></div><br /><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><br /></span><p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Hanno riavvolto il nastro i Black Crowes e sono ritornati
alla linea di partenza. Dopo anni ognuno per la sua strada, Chris e Rich
Robinson dal 2019 hanno ricominciato a parlarsi e a fare musica insieme, prima
sfruttando la ristampa del loro album d’esordio <b><i>Shake Your Money Maker </i></b> per allestire un tour che li ha visti esibirsi
in venti paesi per un totale di 150 show, a cui è seguito un disco live, e
adesso mettendo in circolazione il decimo album della loro discografia, dopo
quindici anni dal loro ultimo lavoro con brani originali. <b><i>Happiness Bastards </i></b>lo spavaldo titolo con cui si
ripresentano è un chiaro e rinfrescante ritorno ai suoni e al vigore degli
esordi, un tuffo nel più quintessenziale schietto e viscerale rock n’roll
tinteggiato con una buona dose di rhythm and blues. In un periodo in cui questa
musica sembra messa alle strette dalle nuove ondate tecnologiche e pop, loro e gli
Stones con le recenti registrazioni tengono in vita una idea antica ma ancora in
grado di ossigenare sangue e menti di molti ascoltatori, ribellandosi ai
destini segnati da trend più importanti per i meccanismi e i calcoli aziendali
che per il benessere delle masse. Ammesso che queste siano disposte a lasciarsi
contagiare da un classicismo che stando alle cifre di vendita di <b><i>Hackney
Diamonds</i></b> miete ancora proseliti.
D’altra parte come diceva un rocker tutto di un pezzo, Tom Petty “<i>c’erano ideali in quella musica degli anni
cinquanta e sessanta e voglio vedere quegli ideali rimanere intatti”. </i>Scarno,
asciutto e diretto, <b><i>Happiness Bastards </i></b>è la
lettera d’amore dei Black Crowes al rock n’roll, un concentrato di ingredienti
atti a svegliare gli animi intorpiditi di rockers pronti per un ultimo ballo. Inossidabili
i Corvi Neri non paiono avere paura del tempo, fanno urlare le chitarre, soffiano
il blues in un’armonica che non è un semplice strumento ma la reliquia lasciata
dal Grande Fiume, scatenano un ritmo a palla dietro l’inconfondibile voce del
leader, lo sciamano che implora una urgente <i>sometimes
salvation </i>e ad ogni ascolto fa salire la febbre. E quando chiudono un album
come <b><i>Happiness
Bastards </i></b> suonato senza mai
toccare il freno, con una ballata del calibro di <i>Kindred Friend </i> allora ti
accorgi che il cuore ed il sentimento sono ancora lì, in chi non ha ancora
svenduto il proprio guardaroba anni settanta, musica fatta di riff brucianti,
organi di Chiesa, voci rapite dall’esaltazione del momento. Pazienza se non ci
sono più le galoppate psichedeliche di Marc Ford e album visionari come <b><i>Amorica
</i></b> e <b><i>Three Snakes and One Charm, </i></b>anche
le atmosfere bucoliche care a The Band di <b><i>Before The Frost…Until The Freeze….., </i></b> sono accantonate salvo qualche rara ballata, ciò
che i Black Crowes offrono nel nuovo album è quel gagliardo, maleducato,
sensuale approccio con cui negli anni novanta si fecero spazio nell’affollato
panorama dominato dal grunge preferendo confondersi con le borchie del metal
piuttosto che vestire le camicie di flanella. <b><i>Happiness Bastards </i></b>è figlio di <b><i>Shake Your Money Maker </i></b> ma di acqua ne è passata e ciò che è stato,
comprese le avventure soliste dei due fratelli, fa parte della continuazione di
una storia con tutto il bagaglio di esperienze vissute, il tentativo di rincorrere
il tempo perduto. Parte con l’acceleratore a tavoletta <b><i>Happiness Bastards </i></b> e se non fosse che le note del disco dicano di
<b>Jay Joyce</b> come produttore, si penserebbe
che dietro canzoni fulminanti come <i>Bedside
Manners </i>e <i>Rats and Clowns </i> ci sia la mano di Andrew Watt, l’uomo alla
consolle negli ultimi lavori di Stones ed Iggy Pop. Siamo comunque sotto la
Mason Dixon-Line, qui il sound è più sporco e meno metallico nonostante la
sezione ritmica (Sven Pipien e Cully Symington) sia roba da fabbrica
metallurgica ma non puoi togliere il Sud dai Black Crowes e allora quando è il
turno di <i>Cross Your Fingers </i>il ritmo
singhiozza, la batteria accentua la crudezza delle chitarre, Rich Robinson se
la gioca e fratello Chris quando stacca lascia
al backing vocale e alle tastiere il pretesto per creare
quell’orgiastico gospel di cui sono maestri . L’inizio rutilante di <i>Wanting and Waiting </i>non lascia dubbi, loro
non sconfessano nulla, né il boogie né i tumulti famigliari e le gelosie,
difatti sembra una nuova versione di uno dei loro primi cavalli di battaglia, <i>Jealous Again.</i> Chris è abile nel
trascinarsi dietro sia i cori che l’Hammond ed il battere ottuso della
batteria, le chitarre sono morsi velenosi, il sabba è di nuovo in scena. Me la
vedo già in concerto, sarà impossibile stare seduti agli Arcimboldi. Pezzo da
novanta. Con la cantante <b>Lainey Wilson</b>,
una che si veste come loro pur bazzicando il country, i Corvi concedono la
prima pausa in tanta euforia, <i>Wilted Rose
</i>si apre con le chitarre acustiche, Chris sembra immerso in una sorta di
preghiera, ma ad un certo punto tutto sembra andare a carte e 48 in un
terremoto elettrico che sconvolge quella che avrebbe dovuto essere una pacifica
ballata. E’ caos ma poi la Wilson riconduce il brano sulla via di una ballata
gotico-sudista. Viene lasciato all’Hammond il compito di riaprire le danze, <i>Dirty Cold Sun </i>puzza di Stones in un
ambiente dove il fumo ed il bourbon sono i propellenti di un rock che non ne
vuole sapere di diventare saggio e se i loro miti nel 1969 cantavano <i>Let It Bleed </i>, adesso loro rispondono
con <i>Bleed It Dry </i>pur con gli stessi umori,
ovvero l’armonica, la slide e la voce febbricitante di Chris ad inscenare un
blues da strada sterrata. Forse la
concessione al mainstream arriva con <i>Flesh
Wound,</i> col suo drumming da marcia militare ed il coro trionfale ma le
chitarre in apertura di <i>Follow That Moon </i>citano
i Led Zeppelin prima che diventi un rhythm and blues killer che scuote corpo e
anima. Il trance di Chris nel cantarla suona come la felicità ritrovata nel sentirsi
di nuovo unito a fratello Rich e allo storico bassista <b>Sven Pipien</b>, salvo smentite sempre in agguato quando si tratta di
una brothers band. Ma la sontuosa ed emozionante ballata <i>Kindred Friend </i>non può essere una illusione, quel romanticismo
polveroso dell’ <i>amico affine </i>è la
speranza che il nuovo corso non si esaurisca troppo in fretta. Alzate il volume,
i Corvi Neri stanno ancora cavalcando nelle praterie del rock n’roll.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"> </span></p><p>
</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="text-align: left;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">MAURO ZAMBELLINI </span></b></div><br /> <p></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-70922300003025843192023-12-28T19:23:00.005+01:002023-12-28T23:38:23.127+01:00MY BEST OF 2023<p> </p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Niente ristampe,
edizioni deluxe, vecchi concerti ritrovati, solo dischi dell’anno. Questa è la
sporca dozzina, un disco<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>al mese. <o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZj3QIFhQaqIih-P1NqXhhTObpd-CUYC4Dp37JZXhfR-MgHolR631zsFDzTZdxZCnecSlqYUv0_mSlHTdjx63PStiIYcPwzH0-XHQszhPmSNIqgO7ylMYgf9vFOUapV9iio72bpYU0riAmuXUPCrD9Y0sFbO0F1sNaKSq2XHrRumwuGz6F1XVAS3Mo-1Ex/s600/Lucinda-Williams.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZj3QIFhQaqIih-P1NqXhhTObpd-CUYC4Dp37JZXhfR-MgHolR631zsFDzTZdxZCnecSlqYUv0_mSlHTdjx63PStiIYcPwzH0-XHQszhPmSNIqgO7ylMYgf9vFOUapV9iio72bpYU0riAmuXUPCrD9Y0sFbO0F1sNaKSq2XHrRumwuGz6F1XVAS3Mo-1Ex/s320/Lucinda-Williams.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">LUCINDA WILLIAMS<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Stories from a rock n’roll heart<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Il disco più nerazzurro dell’anno, lo dice la copertina,
anche il più rock n’roll<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFd9wF6wuZbCugL1itd-8fOUDAbDMUNqfJR1CsU1SJWMA01wa11KQ7QMIsasea7Rx84uttNLwCQYb0mh8zxpYhz8SKa3_J6NVRGX27AWg1WWIMqprm5LMV3A7aMQthWiXvGsXG7KE48RkZJwAHIBECLDyKXquNAZd57ZbHaR_eeVNCrxypTSNH0V_KZ6nU/s543/hunter.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="543" data-original-width="536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFd9wF6wuZbCugL1itd-8fOUDAbDMUNqfJR1CsU1SJWMA01wa11KQ7QMIsasea7Rx84uttNLwCQYb0mh8zxpYhz8SKa3_J6NVRGX27AWg1WWIMqprm5LMV3A7aMQthWiXvGsXG7KE48RkZJwAHIBECLDyKXquNAZd57ZbHaR_eeVNCrxypTSNH0V_KZ6nU/s320/hunter.jpg" width="316" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">IAN
HUNTER<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Defiance part 1<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Il disco brit-rock dell’anno. Non fatevi ingannare dalla
carta d’identità, qui c’è una vitalità che è rimasta ai tempi dei Mott The
Hoople. Forever young.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkDfDQcVrK36AMR7coi5DymMk4jQSL_j0DcnpmCbU2klKpgX477T2w1OFjvOa7pzIGMBybmNJFIVW-WCwrjb0Oxu12gO3yG86x61rjXLk6DY767f-ZdMSwNroIJfd-s-ucvOyvzY4nupU6HjqmVHHKPHvta2Hh3l-xtR9b8b3CsVqhWAMZUzHpk4h6KPfw/s1500/mellencamp.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="1500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkDfDQcVrK36AMR7coi5DymMk4jQSL_j0DcnpmCbU2klKpgX477T2w1OFjvOa7pzIGMBybmNJFIVW-WCwrjb0Oxu12gO3yG86x61rjXLk6DY767f-ZdMSwNroIJfd-s-ucvOyvzY4nupU6HjqmVHHKPHvta2Hh3l-xtR9b8b3CsVqhWAMZUzHpk4h6KPfw/s320/mellencamp.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">JOHN
MELLENCAMP<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Orpheus Descending<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Un disco<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che unisce
la grande canzone d’autore americana con la protesta socio-politica e la
malinconia del tempo che passa. Caldo, arguto,confortante<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmsE7q133QmPhWfCIaUM8Kd891rnkH6Ky5hiyQnlyGFNobRi-bNvBgQPWMzP0LviY-kvhmakqYXZQrVQXrWIXHvW-vatkiCcWjG7x4TM5OUvmTu281SnLY8voZetpYjcvyNY4XaXJ9Qe2uJb9w2zED1qlE2GLCekSp81cNI7AVe3iiXS_HpvbJzjvhgNm-/s3000/ROLLING%20STONES_SWEET%20SOUND%20OF%20HEAVEN_ARTWORK.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3000" data-original-width="3000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhmsE7q133QmPhWfCIaUM8Kd891rnkH6Ky5hiyQnlyGFNobRi-bNvBgQPWMzP0LviY-kvhmakqYXZQrVQXrWIXHvW-vatkiCcWjG7x4TM5OUvmTu281SnLY8voZetpYjcvyNY4XaXJ9Qe2uJb9w2zED1qlE2GLCekSp81cNI7AVe3iiXS_HpvbJzjvhgNm-/s320/ROLLING%20STONES_SWEET%20SOUND%20OF%20HEAVEN_ARTWORK.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">THE
ROLLING STONES<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Hackney Diamonds<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Una delle poche certezze rimaste da un secolo a questa parte<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlJOIjJeB8PUz2q6_TX1RPJjp2dz0hJ58udmcVJRtKiTBWardc-fDvM80IrE4so9HhVw_YkCO0DyejjoQRfSKFc3YSw5sTN3MHqq3yIn_cJcYBHbwMWARgFDi8XU3mL7rlAHOAcXNxTUUBenUuy-nV8MyC73uC6exXcFA_CvnQTuMl2tNMlPIQ5cIIiWPa/s536/rossi.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="488" data-original-width="536" height="291" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlJOIjJeB8PUz2q6_TX1RPJjp2dz0hJ58udmcVJRtKiTBWardc-fDvM80IrE4so9HhVw_YkCO0DyejjoQRfSKFc3YSw5sTN3MHqq3yIn_cJcYBHbwMWARgFDi8XU3mL7rlAHOAcXNxTUUBenUuy-nV8MyC73uC6exXcFA_CvnQTuMl2tNMlPIQ5cIIiWPa/s320/rossi.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">ANGELO leadbelly ROSSI<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>It don’t always matter how good you play<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Come aprire un juke joint dalle parti di Gallarate e far
divertire ogni sera con un show diverso. Blues a geometria variabile ed un
tocco psycho<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbLqp-4Q2ixAEbI6YWRGnjqojyYZ1kENJpM7IW8dFsbhXvAN-Fgi6H2eTxP53IC-p9uXxN0qttIX5BTcWrBYkAiPYQmmIT8RcE51odl2d5qcDdvFzVYz4l0ffuTHaavRFKSzJMK1UcNmF5yI3079ZVBWO0HfXazA_Qkr5NZw2x-_i_X1eLZq9eKRr_eMlV/s700/fuzzmen.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbLqp-4Q2ixAEbI6YWRGnjqojyYZ1kENJpM7IW8dFsbhXvAN-Fgi6H2eTxP53IC-p9uXxN0qttIX5BTcWrBYkAiPYQmmIT8RcE51odl2d5qcDdvFzVYz4l0ffuTHaavRFKSzJMK1UcNmF5yI3079ZVBWO0HfXazA_Qkr5NZw2x-_i_X1eLZq9eKRr_eMlV/s320/fuzzmen.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">THE FUZZMEN<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>The Fuzzmen<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">Italian third mind. Shakerare
garage, Traffic, jazz, Curtis Mayfield, southern e psychedelia. Servire a temperatura
ambiente.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxLb3e-fvyrqoyjLsrrik71dA4UU551fUcfgQSBDp6X6KWWy9kn6jOnsrVhVRkm9A7a8dRuaWAE5LRmLcB_XgAnRqT8q4-4mF7A3MzmRqfSxJBxwMrHEhTKNMretvFd4OTYRcjiS44LfjKkttXJmqhEFx5YZGiI9JhsjQ9QzlsTbk4mb6Xnjmgs3kcUHXJ/s500/rose%20city.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxLb3e-fvyrqoyjLsrrik71dA4UU551fUcfgQSBDp6X6KWWy9kn6jOnsrVhVRkm9A7a8dRuaWAE5LRmLcB_XgAnRqT8q4-4mF7A3MzmRqfSxJBxwMrHEhTKNMretvFd4OTYRcjiS44LfjKkttXJmqhEFx5YZGiI9JhsjQ9QzlsTbk4mb6Xnjmgs3kcUHXJ/s320/rose%20city.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">ROSE CITY BAND<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Garden Party<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">Bucolici e psichedelici,
rilassanti e gradevolmente erbivori. Nel senso della panama red</span><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">.<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZaYZA1UEqloWnuQNpnwIf9WcKZehF0URBONMW0S_1SMNuABYuxG5MwAvOJxOZa-HLHThv_pR1mgYHQaBArhU8aHIebg85j-hat8uCIOlNv6JC80T7Dcm1ZHRjJAcNiD1KQqWbIJKMuWFLdk-uBJfVQdlUMi7yA3_lV0Jozw-ASnwM3Vy3wb8BTk7vphS6/s1024/duane%20betts.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZaYZA1UEqloWnuQNpnwIf9WcKZehF0URBONMW0S_1SMNuABYuxG5MwAvOJxOZa-HLHThv_pR1mgYHQaBArhU8aHIebg85j-hat8uCIOlNv6JC80T7Dcm1ZHRjJAcNiD1KQqWbIJKMuWFLdk-uBJfVQdlUMi7yA3_lV0Jozw-ASnwM3Vy3wb8BTk7vphS6/s320/duane%20betts.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">DUANE BETTS<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Wild & Precious Life<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Paesaggio pastorale, chitarre in libera uscita, ballate al
profumo delle magnolie, un pianoforte che svolazza e quella vecchia fascinosa
aria del Sud. Come ringiovanire di 30 anni padre Dickie.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhshe3hVqpgoYcrfd2aqukTMR9oHWfGhoH5V4cmEM8JXQVZmW8eKv_wcwF5loTme4-IafeXUEFj9f-uE-SxddN30Mf6pL_ZKa2TFLDUbE-fPpjEd2Ze8r8LWQDWftLPteDwtM_DDxGhOErIbf_Tz35mBBNB6EMcwAbOma1APgbj5uwZvVBq_zD86K5fg1GT/s425/lankum.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="425" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhshe3hVqpgoYcrfd2aqukTMR9oHWfGhoH5V4cmEM8JXQVZmW8eKv_wcwF5loTme4-IafeXUEFj9f-uE-SxddN30Mf6pL_ZKa2TFLDUbE-fPpjEd2Ze8r8LWQDWftLPteDwtM_DDxGhOErIbf_Tz35mBBNB6EMcwAbOma1APgbj5uwZvVBq_zD86K5fg1GT/s320/lankum.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">LANKUM<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>False Lankum<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">T</span><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">radizionali e solenni, cupi e dronati, celtici e
psichedelici. Folk irlandese d’avanguardia. Mettersi il maglione di lana.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmt-LYS1P6kPTV5pwX4Z18ZCfur50wLrszEgYY6rY2UQGcy_B6-OuRbZOrN61C50ShvHMExi_qBNsK-gDFnDfi_X1IvBIlWQzjgFlAT705kZae4QMnCfXjXkJaRE2p7y7hfAALQIxku2xcPNAN2h7Se78_ox-vpV7KGZlaTA3qaolWoSVvx8AsViZJg2Cc/s536/morrison.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmt-LYS1P6kPTV5pwX4Z18ZCfur50wLrszEgYY6rY2UQGcy_B6-OuRbZOrN61C50ShvHMExi_qBNsK-gDFnDfi_X1IvBIlWQzjgFlAT705kZae4QMnCfXjXkJaRE2p7y7hfAALQIxku2xcPNAN2h7Se78_ox-vpV7KGZlaTA3qaolWoSVvx8AsViZJg2Cc/s320/morrison.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">VAN MORRISON<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Movin’ on Skiffle<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Irriducibile. Le tradizioni “povere” della musica Americana trattate
con un irish beat, una voce che è uno strumento e pinte di swing.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAjQXE80tlA7urLm3xFW8pQi8F-TWoYGY-KzTo-5iZA6VgfqiXjWMEnJcjCBZHuCIJa1OcRmIIsIrCduzCCq2aenwCBf_e9G63cg8nCg-pDJmNPRkhPIcNvOGR8kU8tjhUwjnx5LNvkd-pWjl-fgYBh98g5wXaqRLlfimTIELnFcXrGJ3JdsAOKy4lCXl1/s536/stapelton.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAjQXE80tlA7urLm3xFW8pQi8F-TWoYGY-KzTo-5iZA6VgfqiXjWMEnJcjCBZHuCIJa1OcRmIIsIrCduzCCq2aenwCBf_e9G63cg8nCg-pDJmNPRkhPIcNvOGR8kU8tjhUwjnx5LNvkd-pWjl-fgYBh98g5wXaqRLlfimTIELnFcXrGJ3JdsAOKy4lCXl1/s320/stapelton.jpg" width="320" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">CHRIS<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>STAPLETON<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Higher<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">Come unire il country di Nashville meno <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>edulcorato <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con il soul di casa Muscle Shoals, il tutto
dietro ad una voce forte ed autorevole<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9F7CmmF1hzHU5LveON10DCCjz2yXOxnRe3tkCkw2ChufzmMGTZsuopY3E2W450PyJCIKm3KCvGplOLUX4lxlPhljCyIWo3GZpXbePx18TQDN8KKEIkDDb_HaAIgaFzx2dsDT3XjBQJ4Nqe6GlfQikmiGwb8nT8HStTAaiTQZ6eKBIEknoTBXEKhfwPJKj/s254/finley.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="254" data-original-width="254" height="254" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9F7CmmF1hzHU5LveON10DCCjz2yXOxnRe3tkCkw2ChufzmMGTZsuopY3E2W450PyJCIKm3KCvGplOLUX4lxlPhljCyIWo3GZpXbePx18TQDN8KKEIkDDb_HaAIgaFzx2dsDT3XjBQJ4Nqe6GlfQikmiGwb8nT8HStTAaiTQZ6eKBIEknoTBXEKhfwPJKj/s1600/finley.jpg" width="254" /></a></b></div><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><br /><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"><br /></span></b><p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">ROBERT
FINLEY<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Black bayou<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;">I misteri, l’oscurità ed il blues del bayou, come nei
racconti di James Lee Burke. Louisiana mon amour.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 12pt; line-height: 115%;"><o:p> </o:p></span></p><p class="MsoNormal"><br /></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;"><o:p> </o:p></span></b></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com34tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-42466093739301807122023-11-23T11:20:00.001+01:002023-11-23T11:20:12.496+01:00GOV'T MULE Teatro Dal Verme MILANO 20/11/23<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9OQdO4-5MTU4XNcz_QQcUSi3qM2MnWycN4JTJ9m-hvmrGW2I54X-4FdxVfV2wmit6kBD5uZOi8508B1hylFglnG5RS9VDGoJtNy6s4unitWo_0HLEymo45AtSL8iroVb6TKAcuHaTPbTyT2r1VLhyphenhyphenWU19ozK4eDbcQZzi-VFxx74vjnCtn8pqr4FcsCit/s4480/muli%203.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2016" data-original-width="4480" height="144" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9OQdO4-5MTU4XNcz_QQcUSi3qM2MnWycN4JTJ9m-hvmrGW2I54X-4FdxVfV2wmit6kBD5uZOi8508B1hylFglnG5RS9VDGoJtNy6s4unitWo_0HLEymo45AtSL8iroVb6TKAcuHaTPbTyT2r1VLhyphenhyphenWU19ozK4eDbcQZzi-VFxx74vjnCtn8pqr4FcsCit/s320/muli%203.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><o:p> </o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Esiste la serata perfetta nel rock ? Si quando in città,
nella fattispecie Milano, arrivano i <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Gov’t
Mule</b> e suonano in un teatro comodo, dall’acustica ottimale, davanti ad un
pubblico caldo e competente che ricambia la bellezza che arriva dal palco con
applausi e partecipazione sentita, così da instaurare quella sinergia tra
artisti e pubblico che gli Allman chiamavano hittin’ the note. Avrò visto 8/9
concerti dei Muli ma questo del 20 novembre a Milano rimarrà impresso
indelebile nella mia memoria, una band mostruosa costituita da quattro
eccezionali solisti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che si fondono nella
chimica di un insieme che non ha eguali oggi, per tecnica, amalgama e inventiva,
regalando musica sublime anche quando, come nella prima parte dello show, può
apparire dura, contorta, difficile ma sempre legata ad una idea di
sperimentazione che si traduce al momento, mentre suonano <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>col sorriso sulle labbra, in assoli,
rallentamenti, stacchi e ripartenze, parti cantate e torrenziali flussi sonori
che portano l’ascoltatore in un paradiso del vero sentire dove si pensava fosse
ormai già esaurito il numero dei concerti memorabili. </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP1CRB__zGLT1akO0EdjSEB6rIvbMMLTgLSK9-mXC0e4B-N9td88dFHH1SRLnt7TsIhLv6enPyTwxMSkZ6lWa51MccSYUugnMFPp3iQFHqsCJOZ5p0RGVZo4Mqm1SBDzKqeN2jhnIoSpN8eRZz-YTaPc-A8ENqwSOPYmnjAHdfDSRQxhyphenhyphenEGXzF_Df4EZoi/s4480/muli%201.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4480" data-original-width="2016" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiP1CRB__zGLT1akO0EdjSEB6rIvbMMLTgLSK9-mXC0e4B-N9td88dFHH1SRLnt7TsIhLv6enPyTwxMSkZ6lWa51MccSYUugnMFPp3iQFHqsCJOZ5p0RGVZo4Mqm1SBDzKqeN2jhnIoSpN8eRZz-YTaPc-A8ENqwSOPYmnjAHdfDSRQxhyphenhyphenEGXzF_Df4EZoi/s320/muli%201.jpg" width="144" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Il dimagrito <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Warren Haynes</b>, sempre modesto e
affabile, è il condottiero di questa pattuglia che definire rock è limitativo
perché nel loro concerto c’è di tutto ma solo esclusivamente musica, a parte il
suggestivo gioco di luci di vago sapore psichedelico che illumina il palco.
Solo musica perciò, che sa essere rock, blues, jazz, free, psichedelia, reggae,
hard, fusi in composizioni che lasciano comunque trasparire il senso della
canzone, anche quando questa si traduce in una jam che si vorrebbe non finisse
mai. Haynes suona le chitarre con delicatezza come se le stesse accarezzando ma
ne trae un fiume in piena, le conosce come se fossero suoi figli, non hanno
segreti per lui, e canta con quella voce fatta apposta per strappare commozione
nelle ballate blues, salvo urlare ogni tanto quando il tema diventa duro e
rabbioso. Ma non è mai una rabbia iconoclasta, piuttosto una reazione a
qualcosa di irragionevole ed ingiusto come nelle tematiche del blues, è statico
in scena ma è la musica creata che vola, si innalza, attorciglia le emozioni,
ti porta dove sogneresti essere. Di fianco a lui <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Danny Louis</b> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhv1Ut-_5Jy9Ivq351SL-8LaAKdHq8Ys4joF8S_ptIkRVBKpyy7L-ivUiJ6oX-JN7-8DxvCufUKI5E5CMUikaVoH4f4-jb72bcWkDig2EHTBgGT1THMY3bYEDuUfObmDhEeqxCvyo7_yIcLLgaXD1_GY9ylFSNYFDgQz_pBaTwTwhHJUO_ofe7fy9HdeQIa/s3472/muli%205.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3472" data-original-width="3472" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhv1Ut-_5Jy9Ivq351SL-8LaAKdHq8Ys4joF8S_ptIkRVBKpyy7L-ivUiJ6oX-JN7-8DxvCufUKI5E5CMUikaVoH4f4-jb72bcWkDig2EHTBgGT1THMY3bYEDuUfObmDhEeqxCvyo7_yIcLLgaXD1_GY9ylFSNYFDgQz_pBaTwTwhHJUO_ofe7fy9HdeQIa/s320/muli%205.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">è la ragnatela sonora che collega il solismo di Haynes
con lo stantuffo ritmico, avvolgendo il tutto. I suoi tocchi sono nobili ed
estasianti, è solenne e drammatico, è lieve e fluido, sia quando è frontale
verso la platea col suo Hammond o voltato di fianco sul piano elettrico. Berretto
di lana, occhiali, sobrio nel look ma straripante con le dita è l’alchimista
dei Muli, il lato melodico dell’ensemble, il contraltare del sempre più
contratto (nelle pose) e magro <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Matt Abts</b>
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il treno su cui viaggia la musica dei
Gov’t Mule.</span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4IpcS3486BW2anVnzw1VYTZ14jIqbxm6g1ixmTWsfVc-WY4UaMO3-bIEWU4Lyt1IWP2GOHUSkO6XIVjTHhh81AFIWuXOzv1j0G6-TERZwYgzjZPInzCa2nHNKdvKGkfeMgYNjgHroWMD1-0WPO6KkE6ZwEbmyrruExfSuqtx7X5UaVKF-eJeqVngypHvA/s1816/muli%202.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1816" data-original-width="1815" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4IpcS3486BW2anVnzw1VYTZ14jIqbxm6g1ixmTWsfVc-WY4UaMO3-bIEWU4Lyt1IWP2GOHUSkO6XIVjTHhh81AFIWuXOzv1j0G6-TERZwYgzjZPInzCa2nHNKdvKGkfeMgYNjgHroWMD1-0WPO6KkE6ZwEbmyrruExfSuqtx7X5UaVKF-eJeqVngypHvA/s320/muli%202.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"> La quintessenza del batterista, picchia quando è il momento e poi
diventa così soffice e delicato da sembrare che non abbia in mano nemmeno le
bacchette quando Haynes smorza il pezzo, lo addormenta dolcemente in un
affascinantissimo mood jazzy, dove sono solo i sussurri e i celestiali tocchi a
tenere ancora in vita la canzone. Per poi riesplodere in un magma sonoro dove la
Les Paul del leader<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ricorda, a seconda
dell’istante, B.B King o Santana, Duane o Elmore James (quando va di slide). </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX-7vmDDY12einkC69kpJoWSKFM27f8OZUMwerJ9KkSlGE_sC9QuMkgv4B_5qQn81o_Wi-Nqnb7TPdu9uYbFWwkcfjv5agaoLsQXWeKpy6BhUOjdx-dR3MTJiRhUKtFsfeZg9sfEC-lh4_qcd1Bjws0XZ6kkBAosILZSTEu73VAXDGIixf90Pf1UHGaSgk/s4624/muli%204.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4624" data-original-width="3472" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX-7vmDDY12einkC69kpJoWSKFM27f8OZUMwerJ9KkSlGE_sC9QuMkgv4B_5qQn81o_Wi-Nqnb7TPdu9uYbFWwkcfjv5agaoLsQXWeKpy6BhUOjdx-dR3MTJiRhUKtFsfeZg9sfEC-lh4_qcd1Bjws0XZ6kkBAosILZSTEu73VAXDGIixf90Pf1UHGaSgk/s320/muli%204.jpg" width="240" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Kevin Scott</b> è il nuovo bassista,
vecchia scuola non possiede il funambolismo del<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>dimissionario Jorgen Carlsson ma non sbaglia un tempo, è tosto ed il
timing con cui risponde ad Abts è dimostrazione di dinamiche assolute. Alto,
robusto, barbuto pare uno dei Metallica ma si è inserito perfettamente nel
gruppo e quando fa il suo assolo gli altri lo assecondano come si deve, in un pulsante
ed ipnotico drive. </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCvULRrdBUttSBse4AqN0wkttJY2g_imIqBEClLBW5wgzySFOYSiQJOtUmeijUXSzc6Ev8FNnSPX2eHkx2NWPSpAiaA2PFIycX3tfLLI9nbYMyeIHkB5vMcv9JghM7DkFNvEOZtfSeC4higwpcVuanLztaUdQ_N0xXkpBLkeLl8zOYNYRc8ibAdQKXICpz/s3472/muli%206.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3472" data-original-width="3472" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCvULRrdBUttSBse4AqN0wkttJY2g_imIqBEClLBW5wgzySFOYSiQJOtUmeijUXSzc6Ev8FNnSPX2eHkx2NWPSpAiaA2PFIycX3tfLLI9nbYMyeIHkB5vMcv9JghM7DkFNvEOZtfSeC4higwpcVuanLztaUdQ_N0xXkpBLkeLl8zOYNYRc8ibAdQKXICpz/s320/muli%206.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Energici, potenti e duttili i Muli affrontano la prima parte
dello show con più durezza ma offrendo lampi di assoluto trance come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Thorazine Shuffle <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>e diversi ripescaggi dal lontano passato. Riemergono
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Temporary Saint, Bad Little Doggie </i>con
cui si è aperto il concerto, l’omaggio a Monk di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Thelonius Beck, </i>la splendida sincopata <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Broke Down The Brazos </i>e poi due titoli che giustificano il fatto
che il tour è all’insegna della recente pubblicazione. Da <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Peace…..Like a River</i></b><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>arrivano difatti <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Peace I Need, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>una chicca con
quel carico di blues da pelle d’oca, e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">After
The Storm, </i>nella seconda parte ci sarà tempo anche per <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Shake Our Way Out. </i>Chiude il set <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I Asked Her For Water</i> e potrebbe essere già sufficiente se non
fosse che dopo venti minuti di break, ciò che si ascolterà nell’altra ora e
trentacinque minuti di concerto (durata totale 2 ore e quaranta) sfiora il
soprannaturale. </span><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;">Haynes menziona <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Heavy
Load Blues</i></b><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>e il blues sale in cattedra.<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i></span><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Dopo la mirabolante <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Endless Parade </i>e la reggatissima <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Unring The Bell, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>chiama sul palco l’armonicista <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Fabio Treves </b>e con lui eseguono <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Good Morning Little Schoolgirl <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>frazionata in un ritmo molto diverso
dall’originale classica, quasi singhiozzante. Poi i Muli si scatenano nella
lunga <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sco-Mule <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>che tra rallenty, ripartenze, impennate e
scorribande strumentali con un il drive bestiale di Matt Abts (sia Santo
subito), Carlos Santana dell’età dell’oro sembra lì sul palco. Il momento più
romantico dello show è affidato al colpo al cuore di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Beautifully Broken </i>e allora il Teatro Dal Verme ha ormai cambiato
galassia e per chi è in sala non resta che abbandonarsi al piacere sensoriale
di una musica totale. Potrebbero fare tre concerti in un giorno con scalette
tutte diverse tanto è immenso il loro repertorio e la loro versatilità,
scelgono <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Shake Our Way </i>un funky nero
come la pece e la lunga <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Feel Like B.U.S.H,
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>un blues urbano ad alto numero di
ottani per chiudere lo show. L’encore non si fa attendere, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Haynes canta solo a-cappella e commuove con <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Grinnin’ in Your Face <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>di Son House, poi richiama Treves in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Long Distance Call </i>di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Muddy Waters</b>, l’amore di entrambi,<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>e trascina Muli e pubblico adorante in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Soulshine, </i>finale previsto di un
concerto straordinario. Eleganza e sensibilità, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Soulshine
</i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non è solo la canzone più nota dei
Gov’t Mule ma è anche il filo che riconduce agli <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Allman</b> (uscì nell’album <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Where It All Begins </i></b>), la band che
ha dato i natali a tutta questa fantastica storia musicale che dura tutt’ora.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><o:p> </o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">MAURO
ZAMBELLINI<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">Le foto
sono dell’amico Zanza <o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"><o:p> </o:p></span></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com27tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-34947215871105938572023-10-19T19:03:00.004+02:002023-10-20T12:31:05.848+02:00THE ROLLING STONES Hackney Diamonds<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUJSgHuO8mGlpZvpClP307FgkyrmeJyBYQelsHnfpUbYPujok88mLtFdreKkNY3LY2EkkOioCyZ4hqlSvBSTlPCsPwulIbLvdA9BRXv0vksKh-E9SjsgqMCMGwy_E38pofX53H5EsvZMb3QqJOsM6grcYaPeH58RODNeA8mZoWaLJPfPrgQynbJS-znLh6/s536/hackney.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUJSgHuO8mGlpZvpClP307FgkyrmeJyBYQelsHnfpUbYPujok88mLtFdreKkNY3LY2EkkOioCyZ4hqlSvBSTlPCsPwulIbLvdA9BRXv0vksKh-E9SjsgqMCMGwy_E38pofX53H5EsvZMb3QqJOsM6grcYaPeH58RODNeA8mZoWaLJPfPrgQynbJS-znLh6/s320/hackney.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Diciotto
anni di attesa sono tanti, nonostante la parentesi cover blues di <b><i>Blue
and Lonesome</i></b>, ma ne valeva la pena perché <b><i>Hackney Diamonds </i></b>è un
album sorprendentemente fresco e al passo coi tempi. I Rolling Stones
dimostrano la loro longevità artistica con un album forte, brillante, energico,
evocativo dove sono presenti gli elementi caratteristici del loro stile ma spostati
in avanti in virtù di una produzione, il newyorchese <b>Andrew Watt </b>(Elton John, Iggy Pop) che ha saputo conferire al loro
sound quella lucidità e modernità necessarie per non scivolare in un prodotto
di nostalgia o una ripetizione di uno standard. Registrato in diversi studi
sparsi per il mondo, da Los Angeles a New York, da Londra a Nassau, ed
intitolato come lo storico Hackney Empire, epicentro dell’arte pionieristica
nell’East London da almeno 125 anni, e suonato dai tre rimasti del gruppo più
una pletora di collaboratori tra cui Benmont Tench, Paul McCartney, Elton John,
Matt Clifford, con la presenza di Steve Jordan alla batteria (ma in un paio
di brani c’è ancora Charlie Watts ed in uno Bill Wyman), <b><i>Hackney Diamonds </i></b>è una
dimostrazione di vitalità senza eguali, la testimonianza di una band rimasta ancorata
a quel flusso di rock n’roll e blues che ha forgiato la loro essenza artistica
e la loro passione, nonché la loro carriera. Si rimane sbalorditi davanti a dei
musicisti instancabili che pur conoscendo così tanti saliscendi, baciati dal
successo ma anche avversati da lutti e capitomboli, riescono ad essere ancora
oggi portavoce di un rock n’roll che nonostante il fiorire di tanti altri
idiomi musicali, rimane una plausibile fonte di piacere, eccitazione e
consolazione. <b>Mick Jagger</b>, <b>Keith Richards</b> e <b>Ron Wood</b> e con loro tutti quelli che si sono portati appresso in
questa cavalcata selvaggia, hanno realizzato un lavoro che appaga i desideri di
qualsiasi fan, dove ballate romantiche e polverose convivono con micidiali e
feroci pugnalate rock, canti gospel inneggianti a quegli anni settanta di cui
loro furono angeli e diavoli si intrecciano con sensuali e maliziosi funk di
scuola soul, vecchi blues acustici dell’età della pietra si accompagnano a
smargiassi pop-rock adatti a riempire di eros, macchine e cuoio nero un video
con cui far ballare il mondo intero (se questo pensasse di più a divertirsi che
a creare guerre). Insomma <b><i>Hackney Diamonds </i></b>è un disco che ha
lasciato di stucco anche un vecchio fan come me e questo non è lavoro per cui
bisogna dire l’età degli autori per esaltarlo o semplicemente giustificarlo,
questo è un ottimo disco di rock, senza tempo e senza ma. Parte con <i>Angry</i>, il singolo pubblicato il cui
video diretto da Francois Rousselet riassume la risaputa iconografia glamour
del gruppo tra scenari urbani, auto sportive, belle ragazze e cartellonistica
amarcord, ma subito dopo si entra in pista con le scalpitanti note di <i>Get Close </i>in cui appare chiaro come la voce di Jagger sia ancora giovane e
squillante e come il drumming di <b>Steve Jordan</b> sia ben diverso da quello di Charlie Watts, più tosto e meno
swingante e quindi più in linea con la moderna produzione di Watt. Detto questo, chi scrive non dimentica che la peculiarità ritmica degli Stones sia stato lo swing del maestro Watts. Matt Clifford e <b>Elton John</b>
lavorano con le tastiere, il produttore Andrew Watt si occupa del basso, in
altri pezzi ci penserà Keith Richards, le chitarre graffiano. A metà irrompono
il sassofono di James King e Ron Blake e allora è facile ricordare quello che
facevano Bobby Keys e Jim Price quando c’era bisogno di sporcare il rock con il
rhythm and blues del Sud. Arriva <i>Depending
On You </i>e le acque si calmano, una superba ballata con tanto di
arrangiamento d’archi (dovrebbero prendere nota quelli invaghiti dalla pompa
magna delle stelle dell’Ovest ) evoca l’antica bellezza di <i>Waiting For A Friend, </i>un’ aria di romantico e corale country&western
infonde un sapore epico. Al pianoforte c’è Andrew Watt, l’organo è di <b>Benmont Tench</b>, Jagger è un mattatore,
il crescendo mette al tappeto anche i più duri del reame, traspare commozione. Niente
lacrime di circostanza, gli Stones innestano la marcia e con due brani
estraggono l’armamentario da battaglia. <i>Bite
My Head Off </i>è di una violenza inaudita, chitarre a palla, suono compatto,
furia punk, giro ossessivo, muscoli ed urla. La cosa che lascia di stucco è il
basso nelle mani <b>Paul McCartney,</b>
ovvero come schiaffeggiare una carriera con tre minuti e mezzo di hard-rock.
Non da meno è <i>Whole Wide World, </i>una
sorta di rockabilly metallizzato alleggerito da un refrain cantabile e indurito
dal secco e arrembante assolo di chitarra di scuola British. Andando di questo
passo ai tre verrebbe un infarto e allora in <i>Dreamy
Skies </i>la slide di Ron Wood ricama uno sfilacciato country della serie <i>Faraway Eyes. </i>Jagger parlotta citando
Hank Williams e l’honky tonk, le chitarre acustiche ci mettono una elegia
western e la sezione ritmica lavora in punta di piedi. Al contrario in <i>Mess It Up </i>gli Stones si ricordano di
aver fatto ballare tutte le discoteche del pianeta con <i>Miss You, </i><b>Charlie Watts</b>
swinga ed il brano si traduce in un funk-dance piuttosto furbetto, col falsetto
di Jagger che rimanda alle leggerezze pop di <b><i>Emotional Rescue.</i></b> Niente
di grave, Elton John, <b>Bill Wyman</b> e
Charlie Watts rimettono le cose in carreggiata, <i>Live By The Sword </i>è tagliente come una lama, suona come una
registrazione live, inizia con una nota rubata a <i>Spoonful </i>e poi diventa un duro pop-rock venato di blues per cui gli
Artic Monkeys farebbero carte false per averlo. Chitarre strapazzate e
martellate da parte di Jordan, delirio e caos. Come da copione il ritmo
rallenta, <i>Driving Me Too Hard </i>è
un'altra ballata polverosa e stradaiola, da gustarsi in autostrada. Jagger è
superlativo e sa che di lì a poco entrerà in scena Keith Richards per una di
quelle sue ballate dondolanti di soul esangue ed intimo ma emozionante da
morire. Keef non si smentisce e lascia il segno nella lenta <i>Tell Me Straight. </i>Siamo alla traccia
numero undici ed è il momento di alzarsi in piedi per un applauso fragoroso. Nei
sette e passa minuti di <i>Sweet Sound of
Heaven, </i>un canto celestiale di spiritualità biblica, convergono il soul, il
gospel delle chiese battiste del Sud, riverberi old shool, <i>You Got The Blues </i>e <i>You Can’t
Always Get What You Want, Gimme Shelter </i>ed una magnifica <b>Lady Gaga</b> che qui fa la Merry Clayton
della situazione dialogando con l’inarrivabile Mick Jagger in una ascesa vocale
che porta direttamente in Paradiso. Al pianoforte c’è <b>Stevie Wonder</b>, il finale e la coda sono brividi caldi di estasi e
piacere, pura leggenda, tra le cose
migliori dei Rolling Stones dal 1972 ad oggi.</span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span face="Arimo, "sans-serif"" style="font-size: 14pt;">Dove
è nata tutta la storia, si chiude. In due minuti e 45 secondi Jagger e
Richards, nudi e soli, voce, chitarra e armonica, rileggono la genesi del loro
viaggio nella musica con una scarna , primitiva e spartana </span><i style="font-family: Arimo, "sans-serif"; font-size: 14pt;">Rolling Stone Blues </i><span face="Arimo, "sans-serif"" style="font-size: 14pt;">dove il blues di Muddy Waters incontra quello
di Skip James. Eleganza, amore e riconoscimento verso i padri fondatori di
tutto quello che è venuto dopo, i Rolling Stones rimangono la più grande rock
and roll band del pianeta, vecchi e solo in tre in un mondo che ha perso la
ragione.</span></p><p class="MsoNormal"><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 16pt; line-height: 115%;"> </span></p><p>
<b><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 16pt; line-height: 115%;">MAURO ZAMBELLINI
OTTOBRE 2023</span></b> </p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com45tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-76911118148030492482023-10-03T12:39:00.002+02:002023-10-03T12:39:20.537+02:00Prossimamente su questi schermi<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMHpe-sYkMjeKDelRH6xYhg2LIo7x5W99cT4a4BbkkEEoEMrJJqgVFg1zhKMmvUi7lTOo4iyZ3XKxqfpmaCzmdgdJPdKimoAt5zCncGDgtmNmD3Ro6dw8shrSUZJiubANu5e35DpiVlExiQnWDZd34deV5fD-aV3ivzkXK-Uafk5aDdzkwmWXcdKAGFnOs/s1061/Tom%20Petty_copertina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1061" data-original-width="682" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiMHpe-sYkMjeKDelRH6xYhg2LIo7x5W99cT4a4BbkkEEoEMrJJqgVFg1zhKMmvUi7lTOo4iyZ3XKxqfpmaCzmdgdJPdKimoAt5zCncGDgtmNmD3Ro6dw8shrSUZJiubANu5e35DpiVlExiQnWDZd34deV5fD-aV3ivzkXK-Uafk5aDdzkwmWXcdKAGFnOs/s320/Tom%20Petty_copertina.jpg" width="206" /></a></div><br /> <p></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-2907770411052177402023-09-21T18:00:00.001+02:002023-09-21T18:00:24.840+02:00DUANE BETTS Wild & Precious Life<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4uduLp9kmnQfMgYi_nMUSMO0bpi_KrO_bUyG2aQi_wBRUVLx-Ma71UBhj2WLIL3R6hTNISOEsRCX6D7slVGXthuazmH6WLOrO1eZgrJ5I05HnXVhUfqPdi1c3lL9m-Zl7nA3HDlbX4yrJ3mUyE0o4X5P8iMfplwkUIqSKBorI-TgVAw4MRIeR9-hLTyz1/s536/duane%20betts.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4uduLp9kmnQfMgYi_nMUSMO0bpi_KrO_bUyG2aQi_wBRUVLx-Ma71UBhj2WLIL3R6hTNISOEsRCX6D7slVGXthuazmH6WLOrO1eZgrJ5I05HnXVhUfqPdi1c3lL9m-Zl7nA3HDlbX4yrJ3mUyE0o4X5P8iMfplwkUIqSKBorI-TgVAw4MRIeR9-hLTyz1/s320/duane%20betts.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Tale padre, tale figlio. Richard “Dickie” Betts ha passato
la sua arte musicale al figlio Duane ed il risultato è qui da sentire, <b><i>Wild
& Precious </i></b>è un ottimo disco
che rinfresca come meglio non poteva
l’immortale e amato sound della Allman Brothers Band, catapultandolo ai giorni
nostri senza troppe rughe e nostalgia. Il merito è tutto di Duane Betts anche
se va riconosciuto al padre di essere stato un maestro perfetto perché come
canta e suona la chitarra il figlio è frutto di una educazione tecnica e
sentimentale che non lascia dubbi in merito. <b><i>Wild & Precious Life </i></b>è
il primo disco completo di Duane Betts, dopo essere stato nella band di suo
padre, The Great Southern. Nel 2018 aveva pubblicato un interessante Ep a suo
nome, <b><i>Sketches of American Music </i></b>per
poi dare vita col figlio di Gregg Allman, <b>Devon</b>
e con Berry Oakley Jr., figlio del bassista della ABB, alla Allman Betts Band.
Due album a loro nome, tre chitarre soliste in azione, compresa quella di
Johnny Stachela e due cantanti dalle voci molto diverse, lui e Devon. Adesso il
salto solista, e che salto. Accompagnato al basso da <b>Berry Oakley Jr</b>., da <b>Johnny
Stachela</b>, dal batterista Tyler Greenwell e dalle tastiere di John Ginty, co-produttore
dell’album, Duane Betts inforca la chitarra e canta dieci canzoni scritte di
proprio pugno, inconfondibilmente allmaniane nello stile ma arricchite da una
personalità che, pur risentendo di tale background, infonde emozioni che i due
album della Allman Betts Band non trasmettevano. Merito suo come compositore e
del superbo team di musicisti coinvolti, dove non mancano invitati speciali
come Derek Trucks, Marcus King e Nicki Bluhm. Certo ci sono momenti che rievocano
il passato, in <i>Waiting on a Song </i>è
facile ritrovare <i>Blue Sky </i> con quell’assolo che produce arpeggi
squillanti e armoniche sequenze che erano pane per Dickey Betts, e la
strumentale <i>Under The Bali Moon </i>ricorda
l’architettura sonora di <i>Elizabeth Reed </i>,
una jam di jazz e rock che si sviluppa su un pianoforte tintinnante a supporto
delle chitarre, ma Duane Betts sa prendere quei momenti nella sua direzione e
li usa in modo singolare. Con estrema fluidità va su e giù sul manico della
chitarra, fornendo paesaggi sonori lussureggianti di un <i>southern rock</i> non ancora in archivio e regala canzoni di perdita e
di amore, di lotta e gioia, con correnti di note, frasi su frasi, ponti
strumentali dove il leader e Johnny Stachela dialogano da grandi performer e il
puntiglioso lavoro al pianoforte e all’Hammond di <b>John Ginty</b>, un gigante, ricama il tutto. L’iniziale <i>Evergreen </i>è un biglietto da visita coi
fiocchi, l’arpeggio delle chitarre acustiche, il piano e l’Hammond come detonatori
della forza propulsiva della sezione ritmica e delle chitarre prima che la
tromba di John Reid metta disordine al brano con un finale jazzy. <i>Forrest Lane</i> è bucolico country-rock di
forme dolci e ondulate, ricorda quanto fece il padre Dickey nel primo album dei
<b>Great Southern</b>, anche qui l’Hammond
è determinante nell’economia sonora del brano, quasi sulla stessa lunghezza
d’onda <i>Colors Fade </i>emana una rilassatezza
country-blues con la voce di <b>Niki Bluhm</b>
e note accarezzate da chitarre da sogno. Nei sette minuti di <i>Saints to Sinners, </i>Betts e Stachela si dividono i compiti in
una jam che ripristina la dualità chitarristica della Allman Brothers Band,
quando entra in scena <b>Derek Trucks</b>
in <i>Stare at The Sun </i> i suoi brucianti e convulsi fraseggi marchiano
un<i> </i>brano dalla forte impronta blues.
E’ invece Marcus King l’invitato in <i>Cold
Dark World, </i>lui e<i> </i>Betts, con la
complicità di Stachela, si rincorrono a suon di roventi riff sullo sfondo del
lamentoso Hammond di Ginty mentre basso e batteria incalzano con un dinamismo
da combo jazz . <i>Circles in The Stars </i>chiude
le danze, una romantica ballata dove regnano il pianoforte, la lap steel e la
melodiosa voce di Duane Betts. <b><i><o:p></o:p></i></b></span></p><p style="background: white; margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt;">Registrato
allo Swamp Raga Studio di Derek Trucks e Susan Tedeschi a Jacksonville, <b><i>Wild
& Precious Life </i></b> finalmente
ridà voce con dignità a quello che una volta chiamavamo <i>southern rock, </i>una brillantezza e freschezza anni luce distante
dalla retorica caricaturale di tante band del settore. Blues, country, rock e
swing cucinati con spezie regionali e tocco da grande chef.<o:p></o:p></span></p><p style="background: white; margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; vertical-align: baseline;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt;"> </span></p><p style="background: white; margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; vertical-align: baseline;"><b><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt;">MAURO ZAMBELLINI SETTEMBRE
2023</span></b><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt;">
</span><span style="color: #3f3f46; font-size: 11.5pt;"><o:p></o:p></span></p><p style="background: white; margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm; vertical-align: baseline;"><b><i><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 16.0pt;"> </span></i></b></p><p>
</p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com17tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-64519521304757221762023-08-26T19:03:00.002+02:002023-08-26T19:08:10.581+02:00WILCO Todays Festival TORINO 25/08/23<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_XDbw8nrWZX8nxhOAq28sGtzrjH151y-ie_nRiUFpM2gF41SCL94dSNOu_OKlxEbsMWkje2ar-eFBShUdRZyT0L4-xBct4E8G7fVoT1in2OxUyCkxzNNaVnYVrjdjnHBUSjyuT2wcTdXkgqzQKU9kXoVTSYH0YKxVQ67mhLMf4hkT5G2h8QRU5H3-CYDH/s2048/wilco.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1532" data-original-width="2048" height="239" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_XDbw8nrWZX8nxhOAq28sGtzrjH151y-ie_nRiUFpM2gF41SCL94dSNOu_OKlxEbsMWkje2ar-eFBShUdRZyT0L4-xBct4E8G7fVoT1in2OxUyCkxzNNaVnYVrjdjnHBUSjyuT2wcTdXkgqzQKU9kXoVTSYH0YKxVQ67mhLMf4hkT5G2h8QRU5H3-CYDH/s320/wilco.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Bookman Old Style","serif"; font-size: 16pt; line-height: 115%;">Non pensavo di emozionarmi ancora così tanto ad un
concerto rock visto l’età e la mole di eventi simili alle mie spalle, ma è
successo e quando le luci sul palco si sono spente a mezzanotte di un
caldissimo 25 agosto torinese, da una parte ero amareggiato perché avrei voluto
partecipare a quella festa dello spirito e dei sensi per un’altra ora, e da una
parte viaggiavo alto su una nuvola di benessere per aver assistito ad uno show
che mi ha riconciliato coi valori più veri del rock n’roll. Attorniato da un pubblico
finalmente molto più giovane di me, salvo una buona dose di eccezioni, che
cantava a memoria e ballava di felicità sulle note della più straordinaria rock
band degli ultimi venticinque anni, sebbene il sottoscritto ami anche con
ardore i Drive By Truckers pur con le dovute differenze. Bello il pubblico,
bella l’atmosfera ruvida e non celebrativa del Todays Festival, salvo le
consuete interminabili file per un panino (ci ha salvato un chiosco di kebab
proprio prima di imboccare l’autostrada al ritorno, frequentato da un
campionario umano che se ci fosse stato lì Tom Waits avrebbe fatto minimo un
doppio album), niente pit e tokens e finalmente di livello internazionale il
sistema audio, suono pulito e volumi giusti anche quando le frizioni rock
imponevano watt a valanga. L’ultima volta che avevo visto Wilco era il
settembre del 2019 al Fabrique di Milano e pur essendo stato un buon concerto
avevo pensato che il meglio di loro, sia su disco che su palco, fosse passato, avvertii
una flessione nell’ entusiasmo, un ripetersi senza troppa energia, rispetto a quanto
vidi negli anni precedenti. Quello era il mio quinto concerto e con dispiacere
mi sorse il dubbio che la strada verso una dignitosa standardizzazione fosse stata
imboccata. Sbagliavo e proprio in quello sta la forza di una band capace di
scatenare le emozioni, quella di smentirti, di sorprenderti, di spiazzarti,
inebriandoti ancora con la propria musica, che nel caso di Wilco non è
cambiata, caso mai si è arricchita di altre sfaccettature. La pausa per la
pandemia, i lavori solisti del leader Jeff Tweedy ed un disco ispirato come il
recente <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cruel Country</i></b> hanno ridato fiato e impeto alla band tradotte in
una performance, quella del Todays Festival (ma non è stata da meno quello
della sera precedente a San Mauro Pascoli) che ha raggiunto le vette di quella
magistrale esibizione del luglio 2007<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>nello stesso luogo, quando ad un certo punto dell’esecuzione di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Spiders (Kidsmoke)</i> la corrente saltò e
Jeff Tweedy trascinò il pubblico a seguirlo nel cantare all’unisono il refrain
della canzone per quasi dieci minuti. Una dimostrazione di sinergia tra artista
e pubblico rara da trovare nelle arene del rock, ebbene Tweedy ricordandosi di
quel magico momento ha iniziato lo show torinese con la stessa canzone stoppando
la band ad un certo punto e riprendendo di nuovo a cantare assieme al pubblico
il ritornello, come se la storia si fosse fermata a quindici anni fa e noi e
loro fossimo ancora lì a gustarci quella magia. E di fatto eravamo ancora lì,
magari aumentati di numero a rispettare una band ed una musica come non ce ne
sono altre, capace di infonderti una felicità che almeno nel mio caso avevo
dimenticato in un concerto. Tweedy ha dimostrato di avere con Torino un
rapporto particolarmente intimo, per tutto il concerto ha sorriso, così come i
suoi compagni di ventura, divertiti di trovarsi davanti ad una platea che non
ha lesinato applausi e gesti di riconoscenza e amore. Non poteva iniziare
meglio lo show che si è poi rivelato di una forza, potenza e lucidità straordinarie
con oasi bucoliche di ballate dal profumo californiano e momenti di assoluta
controllata baraonda rumorista, dove Nels Cline faceva urlare le sue chitarre
in territori limitrofi al free jazz indirizzandosi su ardite scale elicoidali, e
Pat Sansone, abbandonate per un attimo le tastiere, gli rispondeva con una
veemenza chitarristica che lasciava di stucco per come fondeva Television e
Johnny Thunders, sferzante rock anni 70 e punk, Crazy Horse e artiglieria
tedesca. In mezzo, ingrassato, paffuto e stranamente solare Jeff Tweedy teneva
il timone con le sue chitarre acustiche, quelle canzoni che sembrano frutto di
un improvvisato colpo di genio ed invece posseggono una ricchezza che
sintetizza metà della storia della musica rock e quella voce tra il trasognato,
il romantico e il malinconico, a tratti sorniona a volte liberata in urla di
rabbiosa gioia. Di fianco a lui un bassista poco menzionato, ma assistere a
come pompava nell’iniziale <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Spiders </i>per
rendersi conto che John Stirratt è uno degli elementi cardini del sound della band
e assieme al vulcanico picchiatore Glenn Kotche, uno dei migliori batteristi in
circolazione, costituisce una sezione ritmica capace di fare la differenza, e
come per gli Heartbreakers di Tom Petty, distingue una rock band da una grande
rock n’roll band quali sono oggi Wilco. Potrà sembrare superfluo ma anche
l’uomo nell’ombra, il pianista e tastierista Mikael Jorgensen, è basilare
nell’economia del gruppo, e lo si sente quando accompagna con note basse le ascese
verticali di Cline, che detto tra noi è colui che ad un certo punto ha cambiato
l’impatto live della band dandogli una connotazione meno classica, più sghemba,
improvvisata, aperta a schegge impazzite anche quando la canzone pare iniziare
come una innocua ballad country&western rubata a Gram Parsons. Se qualcuno
si aspettava che <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cruel Country </i></b>potesse limitare l’impatto sonoro del set di
Wilco con una dimensione più dimessa e minimale, è stato smentito perché molte
sono le ballate che la band mette in campo creando suggestioni pastorali e
sognanti orizzonti folkie, e da quell’album sono arrivate la canzone titolo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I Am My Mother </i>e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Falling Apart (Right Now), </i>ma le versioni che ne danno è fuori da
qualsiasi copia e incolla ed è bastato ascoltarsi come hanno trattato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Bird Without A Tail/Base of My Skull </i>con
Cline e Sansone scatenati con le chitarre per capire la qualità rivoluzionaria
del loro gesto, in molti momenti pronto a tradursi in jam che lasciano
increduli e senza fiato. Ma Wilco sono stati forgiati da un passato di dischi preziosi
e fondamentali, fa ancora piacere vedere un album come <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Being There </i></b>che
contrassegnò il distacco definitivo dall’eredità di Uncle Tupelo mandare in
visibilio il pubblico con <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Misunderstood </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I Got
You at The End of The Century, </i>che ogni volta mi dà per un attimo l’impressione
di essere una cover dei Big Star, e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Outtasite(Outta
Mind</i>) con cui si è chiuso il concerto. Da <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">A Ghost Is Born </i></b>sono
state estratte oltre al brano di apertura, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Hummingbird,
</i>una sorta di scanzonato cabaret alla Kinks e la magnifica <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Late Greats </i>che assieme a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Jesus, Etc. </i>racchiude l’irresistibile
sapienza melodica della scrittura di Tweedy. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Impossible Germany </i>iniziata in sordina ma poi scarabocchiata con
cruente senso free dall’assolo di Cline ha mandato in visibilio l’intero
festival ed un altro applauso fragoroso ha accompagnato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I Am Trying To Break Your Heart </i>dove si consuma il delirio sonico
della loro musica tra margini angelici e celestiali del cantato di Tweedy e lo
sprofondamento nella infernale tempesta elettrica creata dal resto della ciurma,
un sabba che evoca il kraut rock. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">A Shot
In The Arm, </i>unico estratto da<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Summerteeth</i></b> ha il potere, ed è una
delle loro caratteristiche, di creare una eccitante e sospesa aspettativa prima
della deflagrazione finale, con le voci che man mano lasciano il posto al
forsennato accavallamento degli strumenti con Kotche che picchia come un
ossesso e Sansone e Cline che se la sparano a mille in una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">battle of guitars</i> che non fa prigionieri. Rimangono sul campo altri
titoli tra cui <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Random Name Generator </i>presa
da <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Star
Wars </i></b>e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Downed On Me </i>da <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">The
Whole Love </i></b>ma ormai il Todays Festival è ai loro piedi e Jeff Tweedy e
compagni rispondono con l’assoluta semplicità delle anti-star, nessuna enfasi
celebrativa, solo il grande potere di un rock n’roll che ha assorbito il
passato, le giungle urbane, i colori tranquillizzanti delle campagne lungo le
highways, l’amarezza del presente e uno sguardo amorevole verso il futuro.
Wilco rimangono qui a farci credere che il rock n’roll sia ancora un grande
sogno.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Bookman Old Style","serif"; font-size: 18pt; line-height: 115%;">MAURO
ZAMBELLINI<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>AGOSTO 2023<o:p></o:p></span></b></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Bookman Old Style","serif"; font-size: 18pt; line-height: 115%;">La foto è dell'amico Paolo Baiotti</span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Bookman Old Style","serif"; font-size: 18pt; line-height: 115%;"><o:p> </o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Bookman Old Style","serif"; font-size: 18pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com30tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-6773529079138371282023-07-04T22:09:00.001+02:002023-07-04T22:09:09.219+02:00ROBICHEAUX James Lee Burke<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbnprTHB5jM9uf-WQxJpN8siStEQycDJRHbbUm3_8bHqGNLVzQArc6oefPmuFGQQxy60hy9cjaw8r95tf5VWekgLjbPnoWPK_sI60aI5xChluyYkKEE0Oj9J4bPrMhZQPlhV1XYqasKHdPLyQ1SkLe2ZcJD3X7evii5qRr4WCfj213wL1FL0GL3gWKIytB/s499/robicheaux%202.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="499" data-original-width="318" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbnprTHB5jM9uf-WQxJpN8siStEQycDJRHbbUm3_8bHqGNLVzQArc6oefPmuFGQQxy60hy9cjaw8r95tf5VWekgLjbPnoWPK_sI60aI5xChluyYkKEE0Oj9J4bPrMhZQPlhV1XYqasKHdPLyQ1SkLe2ZcJD3X7evii5qRr4WCfj213wL1FL0GL3gWKIytB/s320/robicheaux%202.jpg" width="204" /></a></div><br /> <span style="font-family: Arimo, "sans-serif"; font-size: 14pt;">Il ritorno nell’editoria italiana di James Lee Burke non
può che far piacere agli estimatori del noir hard-boiled americano che
nell’autore nato nel 1936 a Houston ma residente oggi nel Montana, ha una delle
attuali punte di diamante. Dopo la raccolta di racconti </span><b style="font-family: Arimo, "sans-serif"; font-size: 14pt;"><i>Gesù dell’Uragano,</i></b><span style="font-family: Arimo, "sans-serif"; font-size: 14pt;"> quelli
di Jimenez pubblicano un romanzo uscito originariamente nel paese d’origine nel
2018 col titolo di </span><b style="font-family: Arimo, "sans-serif"; font-size: 14pt;"><i>Robicheaux </i></b><span style="font-family: Arimo, "sans-serif"; font-size: 14pt;">ovvero il cognome del detective inventato da Burke
protagonista della stragrande maggioranza dei suoi scritti. Tale scelta mette
in luce l’intento narrativo, quello di riversare nelle dense 459 pagine del
romanzo l’intero universo del mondo e delle storie che da anni circondano Dave
Robicheaux come fosse l’obbligata sintesi della sua visione tribolata,
romantica, allucinata di un profondo Sud americano, in particolare New Orleans
e la Louisiana, che concede poche chance all’ottimismo e alla lotta dei ricchi
corrotti e dei demagoghi contro gli ultimi e i senza colpe. Tormentato tra gli
incubi ricorrenti sul Vietnam, visioni deformate di una Guerra Civile che
ancora vive in un retaggio culturale alienato, la battaglia contro l’alcolismo
e la perdita della moglie Molly in un incidente automobilistico, i suoi
pensieri sono diventati sabbie mobili e lo spettro della ricaduta è sempre lì
pronta ad addentarlo, come una scimmia sulla schiena. Il suo codice etico lo
rende santo in una società che ha perso il senso di grandezza e ha ereditato la
vergogna, ma i suoi peccati e le sue debolezze sono altresì un bagaglio nascosto
salvo riemergere all’improvviso nella loro drammaticità. Durante
un’indagine</span><span style="font-family: Arimo, "sans-serif"; font-size: 14pt;"> </span><span style="font-family: Arimo, "sans-serif"; font-size: 14pt;">scopre che potrebbe essere
lui stesso l’assassino dell’uomo che ha tolto la vita alla sua Molly, ma la
memoria è offuscata dall’alcol consumato quella sera e sulla sua strada trova un
collega il cui codice morale è peggio di quello di uno stupratore che pensando
di essere immune da un torbido passato, lo vuole incastrare. Mentre si adopera
per ripulire il proprio nome e smontare l’assurda congettura contro di lui,
Robicheaux incontra un incredibile cast di personaggi che non solo paiono i
soggetti di un film ma sono aggrovigliati in una quanto mai strampalata
velleità di sentirsi orgogliosi del loro essere del Sud tentando di realizzare
un film sulla Guerra Civile. Fat Tony è l’obeso mafioso locale che prima di
uscire di scena, ammazzato da uno psicopatico giustiziere che fa ridere i
bambini e piangere chi è sulla sua lista dei cattivi, sogna di produrre il
film, Jimmy Nightingale è l’altolocato locale dai modi signorili e dai progetti
loschi, ambisce ad un posto al Senato della Repubblica sollecitando gli istinti
più bassi dell’elettorato, Levon Broussard è uno scrittore stimato che si porta
appresso un senso di colpa irrisolto, con al fianco una moglie Rowena le cui
paure sono il risultato di violenze subite nella vita precedente. Il groviglio
sembra portare la storia su binari diversi da quello che è l’originale plot di
Robicheaux, risolvere un caso di omicidio, ma la Louisiana che si estende tra i
ricordi di una New Orleans che non esiste più e le limacciose acque del Bayou
Teche nei pressi di New Hiberia è la terra più fertile per annebbiare la verità
e le menti, fomentare dubbi e confusioni e far rinascere forze oscure che
minacciano di distruggere tutti coloro che Robicheaux ama. Come la figlia
Alafair, laureatasi in scrittura e anche lei coinvolta nella realizzazione del
film storico, come il ribollente Clete Purcel, amico di lunga data, selvaggio e
dolce come può esserlo una palude della Louisiana, che lo aiuta a mettere insieme
un puzzle in cui una serie di reati, dallo stupro agli omicidi efferati, si
sovrappongono nella strana, e perduta, lotta di offrire un briciolo di senso al
tutto. Clete salva la vita di un uomo che odiava, Jimmy Nightingale è diventato
senatore degli Stati Uniti, l’assassino soprannominato Smiley si è dileguato in
Messico o in qualche isola dei Caraibi, Levon e Rowena hanno adottato il figlio
di un pregiudicato (assassinato) che lo aveva abusato da bambino e Dave
Robicheaux ancora una volta, tra una seduta dell’Anonima Alcolisti e l’altra,
ha imparato a lasciare che le stagioni facciano il loro corso e a non opporsi
all’attrazione terrestre, al movimento delle maree e all’ammonimento che per
correre non basta essere agili, anche perché la terra rimane sempre la stessa.
Molta confusione sotto il cielo, tutto bene quindi, un romanzo crudo,
suggestivo e mordace, stappatevi una birra e ascoltatevi Willy DeVille periodo
New Orleans.</span><p></p><p><span style="font-family: Arimo, "sans-serif"; font-size: 14pt;"><b>MAURO ZAMBELLINI 4 luglio 2023</b></span></p>
<p class="MsoNormal"><br /></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com42tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-6215746909778425372023-06-19T21:05:00.001+02:002023-06-19T21:05:39.748+02:00JOHN MELLENCAMP Orpheus Descending <p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiWyTkrZ79LCf5zcm_u3VcWFk1mKrHUOnk8hEofpN1FC3BgzX6rSzlo9CqNcSKEJQx-NBGkIg2i_pYIvSRn_aPz-cMqd8Xe-n03yRI5ogmKfSOOvEK9H4yfQzOlE9GVwOmqwJcZjExnXN5L2w-_5FWMv3Qgc6Wn8f1ADOq1oADiEqeHGzisJPUvxYfXcDG/s1000/john%20mellencamp.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiWyTkrZ79LCf5zcm_u3VcWFk1mKrHUOnk8hEofpN1FC3BgzX6rSzlo9CqNcSKEJQx-NBGkIg2i_pYIvSRn_aPz-cMqd8Xe-n03yRI5ogmKfSOOvEK9H4yfQzOlE9GVwOmqwJcZjExnXN5L2w-_5FWMv3Qgc6Wn8f1ADOq1oADiEqeHGzisJPUvxYfXcDG/s320/john%20mellencamp.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="EN-US" style="font-family: "Bookman Old Style","serif"; font-size: 18.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;"><o:p> </o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Bookman Old Style","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">L’invecchiamento e la morte sono diventati temi
ricorrenti nel rock, mai come oggi. La longevità artistica di molti autori
permette tale riflessione dopo che nel passato molti di quelli che avevano
inventato la cultura rock se ne sono andati prematuramente o avevano
abbandonato il campo. Per fortuna c’è tutta una generazione che è rimasta, è
sopravvissuta, ha resistito al tempo e ai cambiamenti ed è diventata anziana
con lo stesso rock n’roll. Cosi abbiamo artisti che raccontano il loro percorso
dall’età della gloria giovanile a quella senile, mi vengono in mente i più
noti, Eric Clapton, Bob Dylan, Van Morrison, Paul McCartney, Bruce Springsteen
e appunto John Mellencamp che nella sua carriera ha attraversato tutte le
tappe, dall’euforia giovanile di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">American Fool </i></b>al canto di protesta
di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Scarecrow,
</i></b><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dagli Stones di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Uh-Uh
</i></b>alle celtic roots di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Lonesome Jubilee, </i></b>dalla pura e
quadrata essenza rock di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Whenever We Wanted</i></b> al Woody Guthrie
di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Trouble
No More </i></b>fino al rauco, dimesso, country-folk blues degli ultimi album,
compreso il recentissimo <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Strictly A One-Eyed Jack,</i></b> parente
stretto del nuovo <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Orpheus Descending. </i></b>Il rischio di affrontare un tema così insidioso
come quello dell’invecchiamento è cadere nella tristezza fine a sé stessa, in
un tedio asfissiante, nell’autocommiserazione o al contrario nella
glorificazione di sé e del proprio passato. John Mellencamp evita il tranello
senza barare, senza truccare le carte, senza esibire un artefatto giovanilismo,
piuttosto incastra tale tema su una osservazione ancora vivida, critica, amara
ma capace di infondere forza e resistenza, della realtà<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che lo circonda, in particolare quella del
suo paese. Cosi attraverso undici canzoni di alto livello compositivo e sonoro
risulta si essere saggio come lo può essere un settantenne ma che ancora cammina
sull’altra parte della strada, quella parte che non è <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mainstream e nemmeno il muscolare rock adulto
di tanti veterani di questa musica. John Mellencamp è invecchiato bene nella
sua musica e nella sua sensibilità sociale, pur con una voce incatramata da
migliaia di sigarette che lo fanno assomigliare oggi più a Tom Waits che
all’amico di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Jack and Diane. <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Orpheus Descending </b></i>è un disco
maturo, emozionante, caldo e profondo fatto di ballate malinconiche dove è il
ripensare alla vita che è trascorsa ( <i style="mso-bidi-font-style: normal;">cercherò
di fare del mio meglio nella vita che rimane </i>suggerisce<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nella conclusiva <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Backbone</i>) il motivo ispirante, di polveroso folk-rock sullo stato
delle cose ( <i style="mso-bidi-font-style: normal;">nella terra dei cosi detti
liberi non ci sono eroi da nessuna parte </i>canta in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The So-Called Free</i>)<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>ma
anche di gagliardi colpi rock decisi e ben assestati dove si ascolta con
piacere il suono della National resofonica (il fido Andy York) ed il ritorno
del violino di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Lisa Germano</b>. <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Orpheus
Descending </i></b>suona come un atto di resistenza, nella ricerca di un
bagliore di luce e speranza, anche se il mondo è andato nella direzione opposta
di come si desiderava. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">C’è’ sempre un
fottuto modo per reagire </i>indica la canzone titolo, Mellencamp nonostante
tutto mantiene il suo ottimismo, per quanto doloroso possa sembrare e offre con
la sua musica un grido di battaglia lungo la strada. Senza fare sconti a
nessuno, come l’inizio crudo e diretto dell’album suggerisce. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Hey God </i>sul tema della violenza delle
armi in Usa è una rock song dal ritmo conciso ed insistente, sibila il violino
di Lisa Germano e Mellencamp, per stare in tema, mostra le sue cartucce da
sparare. La seguente <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Eyes of Portland
</i>è commovente e non potrebbe essere diversamente, l’incontro con una
senzatetto pone sul piatto il problema della povertà e dell’esclusione. La
slide, la voce waitsiana e l’arrangiamento paiono sottolineare le ingiustizie
di un mondo siffatto con un afflato che sta tra Steve Earle e il blues antico.
Ancora la National blueseggia in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The So-Called
Free </i>ma il ritmo meno metronomico è dinamico ed in levare, con la linea di
organo che infonde sapori di Muscle Shoals. Voce gutturale e arpeggi di
chitarra la portano nelle strade del Sud. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The
Kindness of Lovers,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Perfect World </i>e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Understated Reverence </i>adottano un tono
più dimesso ed intimista, il violino suona funereo nella prima, il brano più
cupo del lotto, c’è tanto Dylan nella seconda, accompagnato dall’armonica e <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dall’Hammond, un elegiaco pianoforte (ed il
violino) regalano dolcezza alla terza come se fosse il Mellencamp di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Big
Daddy. </i></b>Ma l’urgenza non è dissolta anche se il disco conserva un suono
uniforme che a molti parrà ripetitivo, come è successo in anni recenti, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">One More
Tick </i>attraverso ritmi scomposti che era dai tempi di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Mr.Happy Go Lucky </i></b>che non
si sentivano crea un ardito gioco tra latin, blues e rock, e la canzone titolo esibisce
la scioltezza e l’appeal di quel pezzo da novanta che era <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Freedom’s Road. </i>Forse il brano che meglio sintetizza tutto l’album
è la lunga ballata <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lighting and Luck </i>dove
il racconto di Mellencamp ci prende per mano e nel verso <i style="mso-bidi-font-style: normal;">usa quello che hai per ottenere ciò che vuoi </i>confida che le cose
possono cambiare se le persone sono disposte ad impegnarsi. Ancora il violino
di Lisa Germano, le chitarre baritonali, le voci femminili ed un John
Mellencamp con la voce sgraziata dal tabacco e dal tempo ma in grado di tenerci
ancora attaccati a lui, alla sua musica, al messaggio di chi è rimasto un outsider.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Bookman Old Style","serif"; font-size: 18.0pt; line-height: 115%;">MAURO
ZAMBELLINI<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>GIUGNO 2023<o:p></o:p></span></b></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com30tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-1127449355833506292023-05-31T19:19:00.001+02:002023-05-31T19:19:31.357+02:00GOV'T MULE Peace......Like a River<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyyCnhrl5vGdryAlw1ErNaCN69pceKKUkHcWNmI8pDzbkMFL1OuklUTEGNy3K7ynqBjlD6BWy5NFIWFvjerFE0Z8reoeNtASKd3SdMpwKIsaHdts8qDAjOM_gaA3ak35QrHJBDnxCREDHKFnCmIcITrrVLPV2fpr5XfqxPxaIA3yuFkJJXldIfgM7_-A/s1280/muli%203.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="801" data-original-width="1280" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyyCnhrl5vGdryAlw1ErNaCN69pceKKUkHcWNmI8pDzbkMFL1OuklUTEGNy3K7ynqBjlD6BWy5NFIWFvjerFE0Z8reoeNtASKd3SdMpwKIsaHdts8qDAjOM_gaA3ak35QrHJBDnxCREDHKFnCmIcITrrVLPV2fpr5XfqxPxaIA3yuFkJJXldIfgM7_-A/s320/muli%203.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p class="MsoNormal"><b><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;"> </span></b></p><p class="Default"><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt;">Registrato
durante le sedute di <b><i>Heavy Load Blues </i></b>presso The Power
Station nel New England con il produttore John Paterno (Elvis Costello, Los
Lobos, Bonnie Raitt)che ha affiancato Warren Haynes, i due dischi sono però
stati realizzati in sale diverse senza usare le stesse apparecchiature. <b><i>Peace....Like
A River </i></b>è un potente album di rock che non sfigura nella discografia in
studio dei Gov’t Mule per varietà ed ampiezza espressiva. Dodicesimo album
della loro collezione ( senza contare i numerosi live) ribalta un po’ l’idea
generale venutasi a creare nel tempo che i Muli siano sostanzialmente una band
live bravissima nelle cover ma piuttosto debole nello scrivere in proprio e nel
lavoro in studio. <b><i>Peace…..Like A River </i></b>respinge questo punto di vista attraverso
tredici tracce, ma ce ne sono altre cinque contenute nell’Ep <b><i>Time
of The Signs</i></b> che accompagna il CD, che oltre a fornire ottimo materiale
da sviluppare nelle performance dal vivo, mostra quanto sia sfaccettata la
musica dei Muli oggi, non riducendosi solo al lato più imponente e granitico.
Certo, anche qui i Muli si confermano una potente macchina da guerra con un
impianto tecnico e strumentale da paura, a cominciare dal bassista <b>Jorgen Carlsson</b> cresciuto in maniera
vertiginosa negli anni e dal lavoro non più solo riempitivo del tastierista <b>Danny Louis</b>, per non dire del drumming quadrato
e killer di Matt Abts e di Warren Haynes, per il quale ormai sono stati
consumati tutti gli aggettivi sia per quanto riguarda la chitarra che il modo
di cantare, ma <b><i>Peace….Like A River </i></b>è anche un disco di canzoni una diversa
dall’altra dove non mancano fantasia, arrangiamenti di fiati, echi di rock,
soul, blues e jazz dell’epoca d’oro, melodie e armonie vocali degne di un
ottimo songwriting. Ne viene fuori uno stile compositivo il più possibile
conciso che coesiste con le sortite solistiche individuali, brani che rimangono
compatti pur lasciando spazio alle divagazioni strumentali. Muscoli e cuore,
potenza e romanticismo, <b><i>Peace….Like A River </i></b>a livello
tematico affronta gli eventi che hanno investito il mondo in anni recenti a
cominciare da pandemia e guerre, per chi scrive è un ottimo compromesso tra
songriwiting e suono. La presenza di alcuni invitati aggiunge brillantezza al
quadro generale, se <i>Same As It Ever Was </i>è
l’apertura classica che ti aspetti da un disco dei Muli, con l’alternanza di
pause e frustate sonore che ti portano sulle montagne russe del loro rock-blues
fino al dirottamento finale tenuto saldamente in mano dalla chitarra di Haynes
e dall’organo di Louis, l’arcigno funky-blues <i>Shake Our Way Out </i>dà modo a <b>Billy
Gibbons</b> di inscenare quel power-sound da trio tipico degli ZZ Top dove
basso e batteria sono una vera deflagrazione tellurica. Granitico, duro,
possente, è uno degli episodi di continuità coi Gov’t Mule delle origini. Di
diversa ambientazione è <i>Dreaming Out Loud
</i>scritta da Haynes citando discorsi di Martin Luther King , John e Robert
Kennedy<i>, </i>Danny Louis col piano
elettrico costruisce il terreno ritmico dove si innesta una elegante sezione
fiati mentre gli interventi vocali di <b>Ivan
Neville</b> e della blueswoman <b>Ruthie
Foster</b> accompagnano Warren Haynes in quello che sembra un numero di revue
R&B da grande orchestra. Un’altra cantante fa la comparsa nel disco, l’
emergente <b>Celisse Henderson</b> si
infila nelle note della lenta e bluesata <i>Just
Across The River, </i>ennesimo titolo che usa il fiume come metafora, al
contrario il talkin’oscuro e deep south di <b>Billy
Bob Thornton</b> caratterizza <i>The River
Only Flows One Way, </i>brano<i> </i>che
scorre sulle dinamiche di un reggae visionario, dubbato e ipnotico con tanto di
sezione fiati nel rispondere alla sezione ritmica. Se questo è il banchetto con
gli invitati, il resto non è certo un menù da ospedale. <i>After The Storm </i>mischia Santana e jazz-rock di primissimo taglio
che lascia spazio all’Hammond di Louis di giganteggiare e a basso e batteria di
creare un groove sornione ed irresistibile, gli sporadici interventi di Haynes
con la chitarra sono schizzi da grande illustratore. <i>Long Time Coming </i>sembra studiato apposta sulle sonorità tra jazz,
blues orchestrale e rock dell’omonimo album degli <b>Electric Flag</b>, <i>Gone Too Long </i>si
sviluppa come una ballata appassionata dai risvolti romantici e l’ assolo di
Haynes è da antologia , <i>Made My Peace </i>è
piacere assoluto per le orecchie, <i>Head Full of Thunder </i>e <i>Peace I
Need </i>sono scuola per bassisti e batteristi. <o:p></o:p></span></p><p class="Default"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPWsNYZoJsM8jkgkdWpXtfMN0gMZ4LmGylXWno-EVe04HMgsqg3DT-DAJjFjfZWNDm5KmkviN7hPV0SAInvBsoOl6UWzw2-M2wZrVB7KwCZnRL4qeDfG9p_HhEKzXKAPjlmx2-Ta-LX_xrNhGQdny1g-kv6hAkigrUtzeFBwi03MGAF3QV6IWHcdLj-g/s800/muli%202.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="584" data-original-width="800" height="234" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjPWsNYZoJsM8jkgkdWpXtfMN0gMZ4LmGylXWno-EVe04HMgsqg3DT-DAJjFjfZWNDm5KmkviN7hPV0SAInvBsoOl6UWzw2-M2wZrVB7KwCZnRL4qeDfG9p_HhEKzXKAPjlmx2-Ta-LX_xrNhGQdny1g-kv6hAkigrUtzeFBwi03MGAF3QV6IWHcdLj-g/s320/muli%202.jpg" width="320" /></a></div><br /><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt;"><br /></span><p></p><p class="Default"><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt;">Ad
un album di per sé già piuttosto lungo, si aggiungono nell’edizione in CD le
cinque tracce dell’Ep. Vale la pena citare la tesa e jazzata <i>Stumblebum, Time Stands Still </i>colorata
dal coro femminile e dal funambolismo delle tastiere, i toni scuri, sibilanti e
notturni di <i>Blue, Blue Wind </i>con tanto
di tromba che imita <b>Miles Davis</b> e <i>The River Only Flows One Way </i>questa
volta cantata dallo stesso Haynes.<o:p></o:p></span></p><p class="Default"><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt;">Senza
i Gov’t Mule il rock non avrebbe più quella avventurosa attitudine alla
sperimentazione che fu di grandi band del passato, Allman e Dead in primis,
detto questo non resta che alzare il volume e sedersi sulla riva guardando
scorrere <b><i>Peace….Like A River</i></b>.<o:p></o:p></span></p><p class="Default"><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 16.0pt;"> </span></p><p class="Default"><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 16.0pt;"> </span></p><p class="Default"><b><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 16.0pt;">MAURO ZAMBELLINI MAGGIO 2023</span></b><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 16.0pt;"> <o:p></o:p></span></p><p class="Default"><o:p> </o:p></p><p>
</p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-84187333627027354882023-05-01T10:42:00.002+02:002023-05-01T10:49:55.573+02:00ANGELO leadbelly ROSSI it don't always matter how good you play <p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqb5WSRPPJrvJC-HaVyNIPp-c7_OBPxoBjeJcmTeGsvR_JJToaPSJf22zodrHP7YEJA108St6U11vm3jgOcnK5ZWTan-Vo7zS4znxvYqIthuWI_16DkUHGb5pLT7v24mG2FfQLKVnUpIoei50bn377GcOE_nRkP40BRRE227gRqh6CenDmCUB8806I5Q/s1156/rossi%20disco.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1055" data-original-width="1156" height="292" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqb5WSRPPJrvJC-HaVyNIPp-c7_OBPxoBjeJcmTeGsvR_JJToaPSJf22zodrHP7YEJA108St6U11vm3jgOcnK5ZWTan-Vo7zS4znxvYqIthuWI_16DkUHGb5pLT7v24mG2FfQLKVnUpIoei50bn377GcOE_nRkP40BRRE227gRqh6CenDmCUB8806I5Q/s320/rossi%20disco.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal"><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 16pt; line-height: 115%;"><br /></span></p><p class="MsoNormal"><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 16pt; line-height: 115%;">Parco di registrazioni in studio, tre album a suo nome di
cui l’ultimo nel 2006 ed uno come Nerves & Muscles del 2012, ma ricco di
esibizioni live, Angelo Leadbelly Rossi torna con un disco che può considerarsi
il punto climax della sua carriera, un lavoro che racchiude tutte le anime e
gli spiriti della sua musica. Non solo blues difatti, perché in <b><i>It
Don’t Always Matter How Good You Play, </i></b>titolo che esemplifica la
filosofia dell’autore ovvero <i>non sempre
importa quanto tu suoni bene </i>perché è da sempre il feeling che fa la
differenza, ci sono elementi che sconfinano nel rock dei settanta, nel jazz,
nella psichedelia, nell’ indie-folk, nelle jam band, idiomi tenuti insieme da
una performance vocale che sembra buttata lì quasi per caso, svogliata e
dolente ed invece è il viatico di una dimensione sonora profonda, intensa,
genuina. Il groove è da sempre alla base del gesto di Rossi, lontano da
narcisismi e leziosità ma piuttosto portato a creare una sorta di trance
ipnotico che ammalia e seduce l’ascoltatore, qui punteggiato dai sublimi
interventi della chitarra elettrica di <b>Roberto
Luti</b>, le cui frasi impreziosiscono un sound
che non abbandona mai l’atmosfera di un down-home blues che rumoreggia naturale e vitale. Accanto ai due c’è l’attenta sezione ritmica di <b>Simone Luti</b> (basso) ed <b>Enrico Cecconi</b> (batteria), insieme
hanno trascorso tre giorni nel gennaio del 2021 al Gianbona Lab di Livorno registrando
dal vivo l’album, apportando solo minime variazioni. Il risultato è un lavoro
sfaccettato che possiede però una tematica sonora riconoscibile, ripetuta nelle otto tracce concedendo ad
ognuna di queste una sua personalità, a cominciare dalla lenta <i>Desperate People </i>cantata in un talkin’
malinconico e desolato, con Luti abile ad insaporirla con le sue nervose frasi
di chitarra. Nell’ipnosi ritmica di <i>Wait
a Little Longer More</i> Rossi canta con un fremito di rabbia dentro un decor
sonoro che pare arrivare direttamente dalle colline a Nord del Mississippi portandosi
appresso invitati quali <b>Fred McDowell</b>,
Junior Kimbrough e Luther Dickinson. Splendido il lavoro di Luti. <i>Who Gonna Remember What? </i>incede
ossessivo, la voce leggermente roca di Rossi evoca <b>Jim Morrison</b>, la sua chitarra e la sezione ritmica impongono il
drive mentre Luti apre, chiude, svolazza, graffia e ci mette un pizzico dei <b>Grateful Dead </b>dell’era PigPen. Sono
invece i Fleetwood Mac di <b>Peter Green</b>
che si affacciano nell’apertura di <i>Old
Memories Sound Good To Me </i>dove Rossi sceglie di cantare come un crooner
country che cerca di convincere una sua vecchia fiamma a ricordarsi di quanto
bene stavano insieme. Il momento delle dolcezze si chiude quando parte <i>Get me outta here! </i>uno dei brani topici
del disco. L’insistente invocazione del <i>suo
cuore pronto per il Signore</i> marcia di pari passo con il groove contagioso
creato da Rossi che qui usa la voce come uno strumento schiamazzando un po’, la
sezione ritmica è un metronomo e Luti dipinge blues come fosse un pittore
impressionista. <i>How Long Will It Take </i>è
Rossi-style al 100%, inizio lento e quasi sognante con la chitarra elettrica
che ricama, il talkin’ ipnotico, ancora Luti che estrae magie dallo strumento
tra Bloomfield e Peter Green, un blues etereo che si infila nel cosmo senza
esaltazioni e assoli fini a sé stessi ma estremamente coinvolgente. Più terrea
è <i>Swinging Seventies, </i>Rossi brontola
blues con rabbia, non c’è nostalgia ma determinazione, un organo rubato a
quella decade entra a dare manforte alla quadrata sezione ritmica e lascia il
segno, Luti cesella e Leadbelly gli fa da spalla. La conclusiva <i>Grateful Be Here </i>parte sorniona e
addormentata ma poi si trasforma in una vera jam dove si sentono i Dead, gli <b>Allman, </b>le super session e soprattutto
questo quartetto capace di espandere i confini del blues verso qualcosa di progressivo
ed “in divenire” senza perdere la melodia e i rustici sapori roots. <b><i>It
Don’t Always Matter How Good You Play </i></b>è un disco dove il blues è più un
attitudine che un numero di battute, ed è la tangibile dimostrazione del sound
posseduto da Angelo Leabelly Rossi improntato al <i>lessi is better</i> ma ugualmente stravagante, ipnotico, appassionato. Grande
ritorno.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKG8kQ2tQt5vgwcxbxHprEn48SmAPWPlcUQYTtUa7-CpdG82p4ijvRAp2TrKTrESH4_ht51MdtzKv_bB4jrAWgF1r__hQLPR88DU5cpfeUAX0JDa-edrZiG6HDySDc_bHEMiBpOE1TPKVR5RTe25VWWKOy6xs5pTEAf-akIrIE1wotiiJX9EwcUWpDGA/s4032/rossi%201.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="4032" data-original-width="3024" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKG8kQ2tQt5vgwcxbxHprEn48SmAPWPlcUQYTtUa7-CpdG82p4ijvRAp2TrKTrESH4_ht51MdtzKv_bB4jrAWgF1r__hQLPR88DU5cpfeUAX0JDa-edrZiG6HDySDc_bHEMiBpOE1TPKVR5RTe25VWWKOy6xs5pTEAf-akIrIE1wotiiJX9EwcUWpDGA/s320/rossi%201.jpg" width="240" /></a></div><br /><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 16pt; line-height: 115%;"><br /></span><p></p><p>
</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="text-align: left;"><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 18pt; line-height: 115%;">MAURO ZAMBELLINI </span></b></div><br /><p></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com55tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-88571771142768801422023-04-09T17:13:00.000+02:002023-04-09T17:13:01.113+02:00MUSICA una storia sovversiva TED GIOIA<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqTjyX1OjtP2G9NRmtIrCZIErIRXIUkv0SDO7oYH-D_CHkpQ-zrYBOOPzBv8gLCgRoFz1Sjewa_XNayCnYSgm85RHrHO6Sl2SoreqIPET30fZbKb68OeeuT_HT3xJUaWx6Yva7IBEOaJ1o53K1mWddCGhmW6BmO-QvRX16h8IWbUkHExQ9BxbFEV9DYg/s658/MUSICA%202.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="658" data-original-width="424" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqTjyX1OjtP2G9NRmtIrCZIErIRXIUkv0SDO7oYH-D_CHkpQ-zrYBOOPzBv8gLCgRoFz1Sjewa_XNayCnYSgm85RHrHO6Sl2SoreqIPET30fZbKb68OeeuT_HT3xJUaWx6Yva7IBEOaJ1o53K1mWddCGhmW6BmO-QvRX16h8IWbUkHExQ9BxbFEV9DYg/s320/MUSICA%202.jpg" width="206" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /> <p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">Tutti
gli appassionati di musica dovrebbero leggere questo affascinante e dettagliato
trattato con cui </span><b style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">Ted Gioia,</b><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;"> critico
jazz e storico della musica americana, intraprende una straordinaria operazione
di rovesciamento intellettuale rivendicando il peso giocato in ogni importante
innovazione musicale da tutti coloro che sono ai margini della società. Ecco
spiegato il sottotitolo, </span><i style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">Una storia
sovversiva , </i><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">lunga quattromila anni, dal suono del vento quando ancora
l’uomo non era comparso sulla terra fino alle innovazioni tecnologiche e alle
neuroscienze del nuovo millennio, passando dai primi strumenti recuperati dai
corni degli animali o dall’arco dei cacciatori, dalla Grecia antica e la Roma
Imperiale, dal Medioevo ed il Rinascimento, dai primi trovatori, dalla diaspora
africana, dal blues, dal jazz, dal rock n’roll, dal punk, dal grunge, dal
hip-hop e la techno. Con una scrittura affilata e colta ma scorrevole, l’autore
si addentra in tutti gli aspetti della Musica mettendone in evidenza aspetti
poco noti, come per esempio il fatto che per lungo tempo le percussioni furono
prerogativa solo femminile, finché il loro uso in campo militare non divenne
prevalente, oppure di quanto la Chiesa osteggiò e bandì la polifonia perché anticamera
del trance, oppure della lira che, in quanto strumento ben accordato,
promuoveva l’armonia e l’ordine sociale, mentre il flauto sfruttando il fiato
umano per i suoni strazianti fu istigatore pericoloso di passione ed estasi.
Ted Gioia, come conseguenza di un capillare ed approfondito lavoro di ricerca,
ci racconta come avveniva la trasmissione dei canti tra gli antichi aedi greci,
e del perché i trovatori francesi medioevali nella loro ispirazione e nel loro
stile fossero debitori dei girovaghi ispano-arabi. Ma anche come la musica
nell’antichità agisse come gesto propiziatorio, celebrazione della sessualità e
base della prosperità e di quanto le canzoni siano state alla radice di quella
che oggi si chiama </span><i style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">psicologia </i><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">, in
parole povere un modo per celebrare le emozioni e gli atteggiamenti privati,
molto prima che la vita interiore fosse giudicata degna di rispetto in altre
sfere della società e nei luoghi del potere ecclesiastico. Divertente</span><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;"> </span><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">la parte riguardante</span><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;"> </span><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">Bach, Mozart e Beethoven inconsapevolmente
sovversivi,</span><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;"> </span><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">la citazione da </span><i style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">Tracce di Rossetto </i><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">di Greil Marcus per i possibili</span><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;"> </span><span style="font-family: Bahnschrift, "sans-serif"; font-size: 14pt;">collegamenti tra l’eresia catara nella
Francia medioevale ed il punk-rock oppure le credenze, alimentate dal potere
religioso, per cui i bardi e gli artisti itineranti venivano accusati di
stregoneria tanto che il demonio assumeva le fattezze di un menestrello. E ancora
gli schiavi e i loro discendenti che hanno continuamente reinventato la musica,
dal ragtime al blues, dal jazz al R&B, e infine soul, rap, hip, hop, perfino
le origini della musica country nel Neolitico e il rito sacrificale nel rock
n’roll con gli amplificatori devastati dai Who, la chitarra incendiata da
Hendrix, Altamont e Sid Vicious.</span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">La
tesi di Ted Gioia afferma la musica come agente del cambiamento nella vita
umana, un motore di trasformazioni e magie che nei secoli ha dovuto farsi
strada tra ostacoli, superstizioni, divieti. Nei secoli, scrive l’autore, la libertà di canto
è stata importante quanto la libertà di parola, e spesso assai più controversa,
temuta per via dell’intrinseco potere di persuasione. Le canzoni incarnano frequentemente nuove idee pericolose molto
prima che qualsiasi politicante sia disposto ad esternarle e per tale motivo re,
potenti, autocrati, tecnocrati e leader religiosi tendono a delegittimare le
innovazioni musicali, congelarle, omologarle e assorbirne le spinte, trasformando le forme primarie e originarie. Dimostrazione
di ciò che accade oggi, dove potenti interessi economici vogliono la musica
limitata alle forme più prevedibili dell’industria dello spettacolo, sempre più
incarnate da algoritmi che promettono di rimuovere ogni difficoltà e ostacolo
al consumo musicale anche se sacche di resistenza insistono ad usare la musica
in modi inattesi e disordinati. La diversità, secondo Gioia, favorisce
l’innovazione e le esperienze musicali
più intense vanno cercate tra gli emarginati, tra schiavi e forestieri, più che
nella classe dirigente che invece ha tutto l’interesse nell’ omogeneizzarle
tanto che, come spesso è accaduto, il ribelle è diventato mainstream. Le
istituzioni e le imprese non creano innovazioni musicali, si limitano a
riconoscerle a posteriori e a farle proprie. La musica, secondo il trattato di
Gioia, è sempre stata collegata al sesso e alla violenza, i primi strumenti
grondavano sangue, le prime canzoni
promuovevano la fertilità, la caccia, la guerra e i più grossi
cambiamenti musicali sono affiorati in città portuali come Liverpool e Amburgo
e in città malsane come Deir-El Medina e New Orleans. Ma le canzoni possiedono
ancora la magia e trasmettono amore, non hanno età e sfidano le barriere tra
generazioni. <b><i>Musica- Una storia sovversiva </i></b> è un libro avvincente che non finisce di
sorprendere e meravigliare e non tralascia nulla, dalla musica gregoriana a
Beethoven, dal Canto dei Cantici a Lesbo,
dallo Shijing a Scott Joplin, da Duke Ellington a Robert Johnson, da Miles
Davis a Elvis Presley, da Marvin Gaye ai Beatles, dai Doors ai Sex Pistols, da Kurt Cobain al South Bronx, dai festival
pop ai rave (<i>le ultimissime dimostrazioni
del potere della musica come accesso al trascendente e agli stati alterati
della coscienza</i>), da Napster al K-pop, dall’Auto Tune a Spotify. Senza scordarsi
come suggerisce Ted Gioia che “<i>quando
cantiamo l’ormone ossitocina immesso in circolo con un messaggio partito
dall’ipotalamo ci fa provare un legame emotivo con chi appartiene al nostro
gruppo, ecco perché gli stati hanno l’inno nazionale e i tifosi cantano l’inno
della propria squadra. Ma l’ossicitina è anche l’ormone dell’amore e delle
coccole, salta fuori in situazioni di stress e può spedire la gente in trincea
o ad una protesta di piazza”.</i><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">La musica intrattiene ma non può mai essere ridotta
ad un intrattenimento, quattrocento pagine dense, corpose, che esaltano il
potere rivoluzionario della musica, la sua funzione sociale e di benessere
individuale. Libro documentatissimo, coinvolgente, istruttivo, visionario e
godurioso. Un capolavoro. <o:p></o:p></span></p><p>
</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b style="text-align: left;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">MAURO
ZAMBELLINI EASTER 2023</span></b></div><br /><p></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com34tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-23743011193864932632023-03-21T11:09:00.002+01:002023-03-21T11:09:49.472+01:00EVASIO MURARO Non rientro Fragile Dischi<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /> <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9qwcq3SSkIeyOtqDuaJWBbuyBZw8uEwkCKL72mEcYK-lQbuwNiDkfVMb3mtyyMeuButzxQ-lbajKZugV991JBhwVpJRIedGxPCdwZngk5Rb74RLZOw1z8hSkNuLwHm75IZ9ieuliCre1bJPnRUBJkWMD_mrnKgTbSDW8nYq28qq-niOyHCN1KuylY7w/s963/evasio%20foto%202.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="963" data-original-width="961" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9qwcq3SSkIeyOtqDuaJWBbuyBZw8uEwkCKL72mEcYK-lQbuwNiDkfVMb3mtyyMeuButzxQ-lbajKZugV991JBhwVpJRIedGxPCdwZngk5Rb74RLZOw1z8hSkNuLwHm75IZ9ieuliCre1bJPnRUBJkWMD_mrnKgTbSDW8nYq28qq-niOyHCN1KuylY7w/s320/evasio%20foto%202.jpeg" width="319" /></a></div><p class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt;">Scrivo raramente di artisti che cantano in
italiano ma questa volta non rispetto tale regola perché conosco l’intero
percorso di Evasio Muraro, da quando militava nel <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Settore Out</b>, l’unica reale blue collar band esistita nel panorama
nostrano, fino alla sua scelta di fare dischi a suo nome, rivelandosi un
songwriter alla continua ricerca di paesaggi sonori inusuali e liriche
scomposte e frammentarie atte più a porre domande che dare risposte. Con <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Non
Rientro </i></b>Evasio Muraro ha finalmente realizzato il disco che gli rende
giustizia in termini di un pop d’autore autenticamente italiano che<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>rifugge i modelli anglosassoni più conosciuti
da cui in genere attingono coloro che, provenendo dal rock, alle nostre latitudini
fanno della canzone d’autore. Difficile trovare parenti nella poetica sonora di
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Non
Rientro </i></b>a meno di non fare un salto all’indietro negli anni settanta
quando alcuni artisti della Cramps, in primis Finardi e Camerini, esploravano
un linguaggio autonomo dai modelli stranieri per esprimere la loro
inquietudine, le loro speranze, i loro slanci. <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Non Rientro </i></b>non è un
disco rock se non nell’attitudine perché qui la strada è quella di un
equilibrio tra suoni elettroacustici (la voce e la chitarra acustica di Muraro
intrecciate con le tastiere, le chitarre elettriche e i ritmi di Fidel Fogaroli)
e melodie, un matrimonio riuscito anche quando, è il caso di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Mi Fermo qui (Rosepine),</i>le dissonanze
elettriche sembrano minare l’apparente concept del disco. Basta aspettare un
attimo, e la serenità folkie di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Tenera nella
</i>sua scarna purezza con l’unica interferenza della<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pioggia,<i style="mso-bidi-font-style: normal;">
</i>rimette le cose a posto. E’ il momento più tradizionalmente cantautorale
del disco che svanisce quando la voce baritonale di Evasio e le suggestioni
ancestrali costruite con percussioni e tastiere, di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Una cosa venuta dal mare, </i>riportino il disco in quella landa<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>visionaria di schizzi acustici, elettronica e
voci rapite che è il suo tratto caratteristico.</span><span style="color: #050505; font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"> Ispirata dalla melodia di <i>The Lover
Of Beirut</i> di Anouar Brahem è un grido di dolore, senza un filo di
retorica, per quello che sta avvenendo, da anni, nel Mediterraneo.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrIjNI-gW6DML5raT5sO7_Dvscnv7lTz1qtQlQDB4o0sevcxh6CJY1Esa5oxPfech-Kgszx_QvqiHOLxY8bJzdH-_-K9aIkGrym9jMWHvW9ISKKNrxJIlJhgc-HkRQzpbapaPlRoo6wCqA1G1qkshZVmfTCkaxlSGtROo5j-KarsvIlfYON5NCsd4Jcw/s1280/evasio%20foto%201.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="852" data-original-width="1280" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhrIjNI-gW6DML5raT5sO7_Dvscnv7lTz1qtQlQDB4o0sevcxh6CJY1Esa5oxPfech-Kgszx_QvqiHOLxY8bJzdH-_-K9aIkGrym9jMWHvW9ISKKNrxJIlJhgc-HkRQzpbapaPlRoo6wCqA1G1qkshZVmfTCkaxlSGtROo5j-KarsvIlfYON5NCsd4Jcw/s320/evasio%20foto%201.jpeg" width="320" /></a></div><br /><span style="color: #050505; font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span><p></p>
<p class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><span style="color: #050505; font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Il disco parte con la canzone che ne dà
il titolo ed è un riallacciarsi all’essenzialità del lavoro precedente, <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">O
Tutto o l’Amore, </i></b>anche se qui tra punteggiature elettroniche ed un vago
ritmo tribale, la sensazione è di trovare un personaggio ormai convinto che
l’unica soluzione per vivere è rimanere fuori dal contesto che ci circonda.
Lirica ed ispirata è il biglietto da visita di un album che si sviluppa in
forme ogni volta diverse e fluttuanti. Dal senso cosmico di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Non Rientro </i>si passa alla sincopata e
nervosa <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Stazioni </i>con un crudo innesto
free che ricorda il lavoro che Nels Cline fa con <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Wilco</b>, più melodiosa è <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Stupido
film</i> canzone che cita inconsapevolmente, in un frangente, il Lucio Battisti
di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Io
Vivrò senza<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>te </i>e si traduce in un
malinconico quadretto di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>vita domestica
spezzata, con la marea dentro il cuore ed il freddo che sale sapendo già di
aver perso la persona amata. Bellissimo l’arrangiamento sonoro creato da <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Fidel Fogaroli</b>, musicista che da anni
collabora con Muraro e nel cui home studio è stato registrato <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Non
Rientro</i></b>.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Solo </i>potrebbe essere il singolo estratto dall’album, per la carica
ritmica ed il refrain contagioso, uno pseudo-rap costruito sul drumming
elettronico e su un ritornello che si fissa immediatamente nella testa
nonostante <i style="mso-bidi-font-style: normal;">il pigro non sappia dare senso
alle emozioni.</i> Qualcosa di Ivan Graziani affiora dalla struttura melodica,
il finale viene scarabocchiato di nuovo alla maniera di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Nels Cline</b>. L’episodio più candidamente pop è <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Lei, lei, </i>leggera, indolore ma<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>non banale, come tutto il disco, punto climax di un cantautore che
merita ben altro che il circuito underground. <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Non Rientro </i></b>di Evasio
Muraro è pop per cosmonauti in cerca di altri suoni e altri mondi.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #050505; font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p> </o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal" style="background: white; line-height: normal; margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm; text-align: justify;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #050505; font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">MAURO ZAMBELLINI MARZO 2023 </span></b><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="color: #050505; font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></i><span style="color: #050505; font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "DejaVu Sans Mono"; font-size: 14.0pt;"><o:p></o:p></span></i></p><br /><p></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-47848065803476721052023-03-07T18:50:00.002+01:002023-03-07T18:50:25.396+01:00GARY ROBERT ROSSINGTON 1951-2023<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijVQZ3oC6gK2w2iPL_ZWYdDCONfGZ6cENoSXym-R8BFS1Iqq6J3rLA3l1eZDPUW115J1Bul4twBD-2b_sfY9oUffCnwwlkBstn7pTF51lYkHJq8-yrDgTH0inGBF6z4lRCQDAWiTQCzCrgr6gMVfZnFM2HZ-DwYUtO1MuQRsQMosDwvrhBGhdPbeZzGQ/s429/rossington%202.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="429" data-original-width="425" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijVQZ3oC6gK2w2iPL_ZWYdDCONfGZ6cENoSXym-R8BFS1Iqq6J3rLA3l1eZDPUW115J1Bul4twBD-2b_sfY9oUffCnwwlkBstn7pTF51lYkHJq8-yrDgTH0inGBF6z4lRCQDAWiTQCzCrgr6gMVfZnFM2HZ-DwYUtO1MuQRsQMosDwvrhBGhdPbeZzGQ/s320/rossington%202.jpg" width="317" /></a></div><br /> <p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Californian FB","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Affetto
da tempo da seri problemi cardiaci, il 5 marzo se ne è andato l’ultimo rimasto
degli originali Lynyrd Skynyrd, Gary Rossington, chitarrista formidabile e
fondatore con Ronnie Van Zant, Albert Collins e Bob Burns della più popolare
formazione southern rock esistita ( considerato che gli Allman Brothers si sono
sempre e solo reputati una blues band). La saga della band di Jacksonville è
così arrivata al capolinea anche se probabilmente il brand sarà usato per
continuare una leggenda che ormai non è più la stessa. Nato il 4 dicembre 1951
a Jacksonville, Gary Robert Rossington partecipò alla realizzazione dei
migliori dischi dei <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Lynyrd Skynyrd </b>divenendo
uno degli elementi cardini della band, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lasciando la firma in brani epocali come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Simple Man, Down South Jukin’, I Ain’t The
One, Gimme Back My Bullets, Sweet Home Alabama </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e facendo da fulcro a quella irresistibile <i style="mso-bidi-font-style: normal;">guitar army </i>che lo vide protagonista con
Albert Collins, Ed King, Steve Gaines prima ed in anni seguenti con Hughie
Thomasson e Rickey Medlocke. Se la prima fase della band, con l’indimenticabile
cantante <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ronnie Van Zant<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è quella che si ricorda con più affetto, vessillo
delle “cattive maniere” del southern rock con una musica aspra e corrosiva,
fatta di riff sporchi e brucianti e di canzoni che non facevano mistero dell’
identità sudista, spesso rivendicata con le lodi all’whiskey, le risse al bar,
l’atteggiamento ribelle del “vivi di corsa, lavora duro, muori giovane”, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e con live act capaci di rivaleggiare con i
più titolati Rolling Stones, Who, Led Zeppelin, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>non va dimenticata la fase post-reunion del
1987 con Rossington ancora protagonista. Tantomeno il resto della <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sua carriera. Linea di separazione è il
tragico incidente aereo che falcidiò la band di Jacksonville causando la morte
di Ronnie Van Zant, Steve Gaines e sua sorella Cassie, lasciando pesanti
conseguenze anche in Gary con braccia, gambe e bacino rotti e stomaco e fegato
perforati.</span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-6HDpdgmmNMzetQsiw-zDtf-vSTUQyxNYSLle6HewlsF0Tekj3JhaPFAZ6vzRP2RdPrQFyPaOkSATNlBjhm6IBruLbPhLGakplWRJzYPyIozl8K3apo3oPOwE1QUI60OvYsGYxje0vCQB99ojXvX9nETjEIrMWs_Au-YzWi5UIcmnJ51fO55FjsA5TA/s651/rossington%203.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="362" data-original-width="651" height="178" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-6HDpdgmmNMzetQsiw-zDtf-vSTUQyxNYSLle6HewlsF0Tekj3JhaPFAZ6vzRP2RdPrQFyPaOkSATNlBjhm6IBruLbPhLGakplWRJzYPyIozl8K3apo3oPOwE1QUI60OvYsGYxje0vCQB99ojXvX9nETjEIrMWs_Au-YzWi5UIcmnJ51fO55FjsA5TA/s320/rossington%203.png" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Californian FB","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"> Quel nefasto 20 ottobre 1977 è una delle date che tutti gli amanti
del southern rock ricordano bene, la fine dei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">glory days</i> di quell’idioma musicale che tanto fece per il Sud-Est
degli Stati Uniti (gli Allman si erano momentaneamente sciolti proprio in quei
giorni) sdoganando un luogo geografico che si pensava<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ostaggio di una sottocultura razzista e
reazionaria, e grazie a quell’esperienza musicale <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>legittimato in termini di un innocente quanto
sentito <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>spirito di comunità e appartenenza.
Come ogni novella sudista che si rispetti, sia la storia dei Lynyrd Skynyrd che
quella degli Allman hanno subito la mannaia della maledizione con morti,
incidenti e drammi oltre che cadute rovinose a base di alcol e droga, ma resistono
nella memoria collettiva del rock come epopee artistiche ed umane dal respiro
epico, imprescindibili nella cultura americana di strada. Quella palude del
Mississippi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>inghiottì non solo un aereo
con a bordo dei musicisti ma un intero sogno ed una grande esperienza musicale,
nonostante la caparbia, la tenacia, la passione e<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pure la convenienza economica di ribelli
confederati<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>permise che dopo la morte e
gli anni bui ci potesse essere se non una rinascita almeno un nuovo capitolo. Alla
fine degli anni ottanta, quasi in contemporanea di un altro lutto, quello di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Allen Collins</b>, i Lynyrd Skynyrd tornarono
in pista proprio grazie alla volontà di Rossington, con il nuovo cantante
Johnny Van Zant, fratello minore di Ronnie, per un’altra cavalcata<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>durata fino ai giorni nostri. Prima che il <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Lynyrd Skynyrd Tribute Tour 1987 </b>rimettesse
insieme i cocci con Johnny Van Zant, il redivivo Ed King, Leon Wilkeson,
Artimus Pyle, Billy Powell, Randall Hall e appunto Rossington, quest’ultimo si
era leccato le ferite inventandosi con la futura moglie <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Dale Krantz</b> una formazione sul modello dei vecchi Lynyrd.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Niente di sorprendente per chi bazzica quei
suoni ma uno scatto di orgoglio contro il destino avverso nel segno di una
comunità improntata alla condivisione perché insieme a Gary scesero in campo i
sopravvissuti Skynyrd ovvero<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Allen
Collins, da qui il nome di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Rossington
Collins Band</b>, il pianista Bill Powell e il bassista Leon Wilkeson,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>oltre al batterista Derek Hess e al
chitarrista Barry Lee Harwood.. Dischi più che dignitosi come <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Anytime,
Anyplace, Anywhere </i></b>del 1980 e <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">This Is The Way </i></b>dell’anno seguente, fino
a quando la moglie di Collins,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Katy
Johns muore per emorragia cerebrale durante un parto e la storia si ripete. Attorniato
da tanta negatività, Rossington sente il bisogno di allentare i legami con
l’ingombrante eredità del passato e crea con la moglie una band a suo nome
reclutando musicisti estranei all’universo Lynyrd e virando con due album per
la MCA verso un Adult Oriented Rock radiofonico con punte di hard-rock. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Dal 1987 sarà di nuovo in forza ai rinati
Lynyrd Skynyrd lasciando il segno con la <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Gibson
Les Paul </b>del 1959 acquistata da una donna il cui fidanzato l’aveva
abbandonata dimenticandosi della chitarra,<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>ed impreziosendo di blues il suono della band. Doveroso riguardare i
tanti filmati live in circolazione, sia con la formazione originale che con
quella del post-reunion quando fattosi crescere ancora di più i capelli, col
cappellaccio ed una lunga palandrana scura Rossington pareva uscito da un film
western nei panni di un fuorilegge di qualche banda dedita al furto di cavalli.
Memorabili i suoi assolo con l’inseparabile Les Paul in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Call Me The Breeze, </i>in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Swamp
Music </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ed in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">That Smell, </i>magnifica canzone scritta da Ronnie Van Zant e Albert
Collins per l’album <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Street Survivors </i></b><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pare
indirizzata allo stesso Rossington andato a sbattere con la sua Ford Torino
contro una quercia sotto l’effetto di alcol e droga. Come memorabile è il suo
apporto nella kilometrica <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Freebird </i>dedicata
a Duane Allman<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>perché è vero che l’assolo lancinante lo
faceva la Gibson Explorer di Collins prima e Medlocke poi, ma chi preparava la
pista di lancio era Rossington che con la Gibson SG <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“slidava” affinché la canzone si liberasse di
lì a poco in uno spazio e in altezze in quel periodo consentite solo a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Stairway To Heaven </i>dei Led Zep.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Californian FB","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzKEK6dDwPQowgCTtc6EMO3dyrnkIs_B1LGo7ZhXzeJjikXeKWFwQT2pKxEyS-wxL23o358LZRvLQuc6LBXuQpehyA05IfFCxJkvqumTfC0Ky4JjzZUV42D6k9ln3Vq6PamKu-E55OUMC_FIA6ixflPDU-GhdfXPKTUIh-FPo2WOGmIYssIssZUamocg/s700/rossington%201.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="466" data-original-width="700" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzKEK6dDwPQowgCTtc6EMO3dyrnkIs_B1LGo7ZhXzeJjikXeKWFwQT2pKxEyS-wxL23o358LZRvLQuc6LBXuQpehyA05IfFCxJkvqumTfC0Ky4JjzZUV42D6k9ln3Vq6PamKu-E55OUMC_FIA6ixflPDU-GhdfXPKTUIh-FPo2WOGmIYssIssZUamocg/s320/rossington%201.webp" width="320" /></a></div><br /><span style="mso-spacerun: yes;"><br /></span><p></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Californian FB","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Gary
Rossington è stato un grande chitarrista ed uno dei simboli del southern rock,
oggi ne piangiamo la scomparsa ma il suo tocco e la sua <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Simple Man </i>rimarranno per sempre.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Californian FB","serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">MAURO<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ZAMBELLINI<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>MARZO 2023<o:p></o:p></span></b></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com35tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-33391407257633994852023-02-25T16:03:00.000+01:002023-02-25T16:03:03.764+01:00THE ROLLING STONES GrrrrrrrLive!<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1n5QkTyzyZslgv-C2FmwVV1xIy0QA9_IiHqRBKrQORbRNhEq8-5vYcs6VCe4j-sJlpX3p3LucDiv32xnFYjrzZUqjwLXbKzYzPWtLKa-K-uKg6DDxtsqksnR6BsIDRcPrE-b_YgpMTqZ--VgoT6QiyACQAd7EpiAeW_ewC-trz3t2T0op6U3g2JR-fw/s425/ggrrrrr.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="425" data-original-width="425" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1n5QkTyzyZslgv-C2FmwVV1xIy0QA9_IiHqRBKrQORbRNhEq8-5vYcs6VCe4j-sJlpX3p3LucDiv32xnFYjrzZUqjwLXbKzYzPWtLKa-K-uKg6DDxtsqksnR6BsIDRcPrE-b_YgpMTqZ--VgoT6QiyACQAd7EpiAeW_ewC-trz3t2T0op6U3g2JR-fw/s320/ggrrrrr.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p><br /></p><p>Nel 2012 i Rolling Stones pubblicarono in concomitanza del loro 50&CountingTour una antologia di 3 CD con 50 canzoni tra le più rappresentative della loro avventura musicale. Intitolato Grrr! ricapitolava la loro carriera dal primo singolo del 1963 Come On fino ai brani incisi mezzo secolo dopo, ovvero Doom and Gloom e One More Shot. Non era certo la prima antologia del gruppo inglese, dieci anni prima c'era stata Forty Licks e sette anni dopo ci sarebbe stata Honk, senza contare le tante compilation del secolo presecedente, ma Grrr! abbracciando un lasso di tempo così ampio sembrava quella definitiva. Considerata la proverbiale iperattività di Jagger e compagni nel pubblicare materiale proveniente dai loro archivi e nello sfruttare il loro arsenale, pochi avrebbero scommesso su quella parola, "definitiva" che di fatto non appartiene al vocabolario degli Stones ed infatti, immancabile, dieci anni più tardi arriva l'equivalente live di quella sorta di greatest hits espanso. Grrr Live! non abbonda di titoli come il predecessore, solo 24 tracce con i must dei loro show, quella specie di karaoke che va in onda sui palchi di mezzo mondo da una ventina d'anni a questa parte, con in più alcuni titoli famosi ma non così popolare come i loro classici. Maestri in quanto a ristampe e prodotti d'archivio, gli Stones non hanno assemblato brani live estratti qui e là dai loro tour ma presentano un ideale greatest hits attraverso un unico concerto, quello avvenuto durante il tour del cinquantesimo il 15 dicembre del 2012 al Prudential Center a Newark nel New Jersey. Un concerto superlativo e potente come si evince dall'ascolto di questo album che da prassi verrà distribuito in più formati (2CD, DVD+2CD,Bluray+2CD, 3 LP rosso e 3Lp nero) e dove non mancano invitati di lusso a rendere ancor più appetibile il menù.</p><p>Partono da lontano gli Stones mettendo in pista una scoppiettante Get Off Of My Cloud anno 1965 con cui scaldare gli americani del New Jersey e New York accorsi in massa a salutare la più longeva rock n'roll band dopo sei anni di assenza. L'ultima volta che erano capitati da quelle parti era il 2006, a settembre a East Rutherford e a novembre al Beacon Theatre di New York. Jagger è in forma e canta come fosse un trentenne, stessa verve, stesso entusiasmo, stessa scelleratezza, durante lo show non ci sarà calo di tensione a parte il rallenty in Wild Horses ma qui in apertura sono frizzi e lazzi, che si ripetono in The Last Time, medesimo anno della precedente, canzone amata anche dai mods oltre che dai rockers di ogni età e sesso. Chitarre sfrigolanti come nel beat, drumming (Charlie, l'eterno Charlie) disteso e preciso, il refrain immediatamente memorizzabile, il coretto finale sixties e tanti saluti ai Beatles. Are you feeling good ? grida Jagger al pubblico prima del manifesto programmatico della loro musica ovvero E' solo rock n'roll ma mi piace, qui ben rimpolpato dal backing di Bernard Fowler e della incandescente Lisa Fisher. Si ritorna al passato con la frustata di Paint It Black il loro hit più dark dove il suono del sitar aggiunge ombroso esoterismo ad un brano dalle linee barocche. Una versione intrigante e di cupa atmosfera, con una tensione ritmica costante, titolo che sarà onnipresente nei tour seguenti. Gimme Shelter è la mia canzone preferita del gruppo e qui parte alla grande, Jagger è mattatore ed introduce Lady Gaga che si lancia in un acuto ed in vocalizzi piuttosto banali, affatto adatti alla drammaticità del pezzo. Senza scomodare l'originale Mary Clayton sarebbe bastata la sola Fisher a tenere alta una canzone che è una meraviglia dell'arte moderna. In Wild Horses Jagger prende fiato e si fa romantico lasciando divertire i due dietro che con le chitarre masticano del polveroso e sfilacciato country-blues, cosa che si ripete con più dinamismo in una splendida versione di Dead Flowers con tutti quei saliscendi e quel profumo di strade, quasi che la droga di cui si canta non sia presagio di morte ma dia una scossa diversa rispetto ai cavalli selvaggi, termine con cui negli anni settanta i junkies chic chiamavano l'eroina. A questo punto entrano in scena due chitarristi blues di recente generazione, Gary Clark Jr. e John Mayer che incendiano I'm Goin' Down di Freddie King con una irruenza tutta giovanile. Quattro chitarre sul palco con Richards e Wood sono una band di fuorilegge da cui è meglio guardarsi. Tellurica, micidiale, tostissima, Jagger canta quel poco che basta per lasciare che la band diventi un'eruzione vulcanica ed insegni al New Jersey di che pasta è fatto il British R&B quando incontra Chicago e il Texas blues. Rock-blues nucleare, senza scorie ed effetti secondari, solo una sventola da lasciare senza fiato. Nemmeno il tempo di prendere fiato e arrivano i Black Keys che incitati da Jagger e soci si buttano a capofitto in Who Do You Love resuscitando Bo Diddley in una versione che sa di psichedelia e di quel blues di casa nelle colline settentrionali del Mississippi con maestri come Fred McDowell e R.L Burnside. Le chitarre friggono, Jagger e Dan Auerbach si rincorrono, la sezione ritmica picchia duro. Si smorza il tasso blues del concerto per far ballare gli americani coi due singoli di allora ovvero l' heavy danceable di Doom and Gloom con Charlie qui in versione martello ed il pop-soul One More Shot, e poi prende il via il karaoke più bello del mondo. Al di là di come la si pensi Miss You gigiona e sfacciata quanto si vuole, è di una piacevolezza estrema, Chuck Leavell con le tastiere ci mette un soffio di jazz, il basso pulsa funk, la batteria pur metronomica suona soffice e quando entra Bobby Keys col sax vorresti saltare indietro nel 1977 allo Studio 54 contornato da belle donne che ballano con te. Divertimento sexy. Di Honky Tonk Woman, altra my favourite thing, non posso dirvi molto perché lo streaming in mio possesso per recensire il disco si interrompe sempre al 46esimo secondo lasciandomi a bocca asciutta, ma ci pensa Keith Richards (chi se non altro) ad inumidirmela con il sound al Jack Daniels di due sue composizioni. Accolto da un fragoroso applauso mette voce (ancora udibile) e chitarra in un residuato di Some Girls, Before They Make You Run insaporita di sassofoni, cori e chitarre twangy in una versione molto southern, e nella classica Happy sporca di uno urbanissimo stile Stax con Ron Wood che blueseggia slide e Fowler e la Fisher che esaltano il mood orgiastico del brano. A questo punto non poteva mancare il vecchio amico Mick Taylor nei dodici minuti feroci, convulsi e furiosi di Midnight Rambler. Il suo tocco è inconfondibile, l'armonica va fuori nota ma lui si lancia in un cruento e caotico assolo che avrebbe messo paura anche allo stesso strangolatore di mezzanotte. Nulla da eccepire su questa versione anche se ne esistono di migliori, ma una volta tanto mi piacerebbe risentire Taylor rifare assieme agli Stones Can't You Hear Me Knocking oppure quella Sway che nell'album con Carla Olson è un vero sabba sonico. Quisquilie, perché quello che arriva dopo è roba da togliere il fiato anche se la si conosce a memoria. Versioni toste, sfavillanti, energiche di Start Me Up, Tumbling Dice, Brown Sugar, Sympathy For The Devil, You Can't Always Get What You Want (grandiosa) dove Jagger fa cantare tutto il New Jersey,Jumpin' Jack Flash ed una terrificante e assatanata Satisfaction nella quale il cantante finisce per diventare una copia di Wilson Pickett. Il padrone di casa Bruce Springsteen partecipa a Tumbling Dice col suo vocione arrochito, gioca di forza e muscoli per farsi sentire in mezzo ai sassofoni indemoniati di Tim Ries e Bobby Keys e ad un Jagger che, trasformato in black singer, ripete a squarciagola gotta gotta gotta.</p><p>Dimostrazione della vitalità ritrovata dalla band (è mia impressione che la resa degli show della seconda decade del duemila siano mediamente migliori di quelli della prima, salvo comunque eccezioni), il concerto del 15 dicembre 2012 a Newark testimoniato da Grrr Live! è la nitida fotografia del loro cinquantesimo sul palco ed anche un modo, oggi, per celebrare i sessanta anni di carriera regalando (si fa per dire) il juke box dei loro hits ma in versione dal vivo. Performer eccelsi e businessmen di classe.</p><p><br /></p><p>MAURO ZAMBELLINI </p><p><br /></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-89109080311819582682023-01-26T12:01:00.000+01:002023-01-26T12:01:03.914+01:00WILCO Cruel Country <p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5qHXmvC0oZRbOiPdfn5pKJTzEdcaa3MglgNUtMWq21w8Gkrzwl9Qt3BBPKrpzQGfe6yLwI46mqjlT4RjM2goRHbDKvqXNN2QaqkB41MSYfWOXFijEHnmcdBuoB881F0n38xLir-Rg91qkZYM2pRkEageY1XkmAfyu58roQSs6V0XrrrAeYFSJseJ9hg/s450/cruel%20country%201.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="450" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5qHXmvC0oZRbOiPdfn5pKJTzEdcaa3MglgNUtMWq21w8Gkrzwl9Qt3BBPKrpzQGfe6yLwI46mqjlT4RjM2goRHbDKvqXNN2QaqkB41MSYfWOXFijEHnmcdBuoB881F0n38xLir-Rg91qkZYM2pRkEageY1XkmAfyu58roQSs6V0XrrrAeYFSJseJ9hg/s320/cruel%20country%201.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“I love my country like a little boy/red,
white and blue/ I love my country, stupid and cruel” </span></i><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>canta Jeff Tweedy nella canzone che dà il
titolo all’album ed in questo semplice verso c’è racchiuso il senso di un disco
che segna il ritorno di Wilco alle atmosfere folk e country dei primi loro due lavori,
pur non mancando qualche sventagliata elettrica e ardito arrangiamento ben caro
alla band. Un disco lunghissimo, doppio album di 21 canzoni con una veste
sonora apparentemente dimessa e sotto tono, lontana dalle spinte
avanguardistiche e avventuriste dei loro album più innovativi ed incensati, a
chi scrive piacciono particolarmente <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sky Blue Sky </i></b>e <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Being There </i></b>anche se il
più acclamato dalla critica rimane<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Yankee Hotel Foxtrot, </i></b>quindi un
ridimensionamento del ruolo di Nels Cline, autore di quegli schizzi free che
hanno contribuito ad esaltare in termini alternativi il sound della band,
raggiungendo l’apoteosi nei concerti, alcuni davvero indimenticabili.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">La
pandemia ed il lockdown hanno condizionato lo scrivere di Tweedy che alla luce
di un intimismo dettato dalla situazione contingente ha iniziato a concepire
alcun brani di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cruel Country </i></b>durante le session del suo album solista del 2020
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Love
Is The King . </i></b>Ma se quello si è trasformato in uno sforzo isolato,
assistito solo dal figlio batterista Spencer e dal produttore Tom Schick, l’album
a firma Wilco è al contrario il frutto di un lavoro collettivo da parte di
tutta la band. E’ stata una liberazione per i sei trovarsi di nuovi insieme,
registrando dal vivo in studio dopo diversi anni, lasciando andare i loro
strumenti in una sorta di onda sonora con i ritmi che fluttuavano e le canzoni che
pur abbozzate da Tweedy beneficiavano della chimica collettiva, assorbendo la
felicità di sentirsi ancora insieme a creare musica. Proprio per tale ragione il
disco, al di là dei temi trattati che abbracciano la politica, la storia del
proprio paese, la mortalità, l’ambivalenza, l’intolleranza, l’utilità
dell’arte, rappresenta un ritorno alla sobrietà e alla naturalezza delle radici
sonore da cui Wilco sono nati, in particolare l’eredità degli <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Uncle Tupelo</b>, sbrigativamente definiti
country all’epoca ma di quel country che ha prodotto tutto il fenomeno di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">americana </i>e oggi grazie al coraggio
esplorativo e alla irrequietezza che ha contraddistinto la band nella sua
produzione recente e passata, si è trasformato in un linguaggio rock che sfugge
alle etichette, ben più ampio, innovativo e articolato. Unico, direi. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Hanno deciso di accantonare le loro voglie
art-pop e sono ritornati a casa ma senza l’atteggiamento di chi sconfessa la
strada percorsa, al contrario creando un insieme sonoro amalgamato, naturale,
specchio dei tempi incerti che stiamo vivendo ma comunque rilassato. Al primo
ascolto queste 21 canzoni possono lasciare freddi e titubanti ma è solo
l’impressione iniziale perché suonando in studio come se fossero live, ed ogni
membro si è trovato a proprio agio, il risultato alla distanza viene fuori ed il
quadro brilla di una luce diversa, ogni brano ha una sua dinamica, i dettagli
si sprecano, gli arrangiamenti con le tastiere accarezzano la malinconia di
fondo, le chitarre dialogano tra loro come fosse una conversazione tra amici e pur
se in qualche momento le canzoni sembrano andare alla deriva, si respira vita
ed il senso di una musica non artefatta, sincera come il sentimento dell’autore
che l’ ha scritta. <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cruel Country </i></b>è un percorso di liberazione dopo un periodo
cupo, il volume è contenuto ma il calore delle esecuzioni impedisce all’album
di sprofondare nell’oscurità anche quando l’andamento è lento, lamentoso e in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Plains<span style="mso-spacerun: yes;">
</span></i>e<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Ambulance<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>la voce di Tweedy narcolettica. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDBBcyPc8hgM5xL7r9npgIclKLdBRV03ey3GOkG_QijzWO645MHKwiAVBeFvTaH0nM9eKeb7_yykuxVp0vQRqcWXeIvd9mXzv_W8WdQw1s5esRa7xWa93PbuN5GJM7sP_Yzlx0XluWGb9E-vG6FQqfczFWqi3KnWmuhBDLBZj-vbKYzIHq1b3IBD2wGQ/s1024/wilco%202.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1024" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDBBcyPc8hgM5xL7r9npgIclKLdBRV03ey3GOkG_QijzWO645MHKwiAVBeFvTaH0nM9eKeb7_yykuxVp0vQRqcWXeIvd9mXzv_W8WdQw1s5esRa7xWa93PbuN5GJM7sP_Yzlx0XluWGb9E-vG6FQqfczFWqi3KnWmuhBDLBZj-vbKYzIHq1b3IBD2wGQ/s320/wilco%202.webp" width="320" /></a></div><br /><span style="mso-spacerun: yes;"><br /></span><p></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Prevalgono
le ballate, malinconiche ma rustiche, con occasionali deviazioni verso qualche
bizzarro colpo rock, un eclettico intervento delle tastiere, sottigliezze qui e
là, nel caso di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Bad Without A Tail/Base
of My Skull </i>addirittura una jam semiacustica con la batteria di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Glenn Kotche</b> che offre lo spunto per
l’intrecciarsi avanti ed indietro delle chitarre di Tweedy e <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Nels Cline</b>. In <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Falling Apart(Right Now) </i>e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">A
Lifetime To Find, </i>quest’ultima una conversazione sulla morte che arriva
all’improvviso, è evidente un approccio country-rock tipo <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Gram Parsons</b> ma se di country bisogna parlare qui vale di più
Bakersfield che Nashville ed in generale <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cruel Country <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i></b>è fatto di una materia tutta sua. Ci
sono canzoni come<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Across The World </i>e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Hearts Hard To Find </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>capaci di sciogliere il cuore, una piccola
magia del songwriting di Tweedy con la voce dolente ma prodiga di dolcezza, quest’ultima
scritta appositamente per qualcuno in cerca d’amore come suggerisce il titolo,
altre come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Universe <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>sono lente e lamentose, lontane anni luce
dalla ipertecnologia attuale tanto da indurre la sensazione di trovarsi di
fronte ad un album in analogico, autentico nella sua sobrietà. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Story To Tell </i>pare una out-take di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Being
There , </i></b><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Many Worlds </i>diafana e
sospesa è l’apparente fotografia di un paesaggio nordico con l’eco del mare e
l’arpeggio di chitarre acustiche, come se Michael Chapman fosse resuscitato e
avesse re-incontrato Steve Gunn, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Mysery
Binds </i>è un’altra piccola dolcezza in punta di piedi con squarci sonori
dall’effetto visionario.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Il
country di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Merle Haggard</b> e <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Buck Owens</b> viene integrato da Wilco
come al tempo fecero i Dead, i Flying Burrito Brothers, i Byrds e i New Riders
of Purple Sage nel rock psichedelico, c’è un sound nostalgico ma l’istinto
esplorativo proprio della band persiste nei dettagli e il rifugiarsi nel
passato qui è sintomo di conforto, naturalezza, perfino benessere. Ne è esempio
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Country Song Upside-Down, </i>altra perla
del disco e dimostrazione della capacità di Tweedy e compagni di non apparire
revivalisti, attuali nonostante il sapore elegiaco . <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I Am My Mother </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è un valzer
sulle speranze di un immigrato nel quale Tweedy contempla un paese amaramente
divisivo, in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cruel Country </i>l’autore
piagnucola che “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">tutto ciò che devi fare è
cantare in un coro”, Tonight’s The Day </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è una riflessione sull’ambivalenza di bene e
male, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Hints </i>con la sua fresca aria
pop scarabocchiata da una lap steel si chiede se è ammissibile che “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">non ci sia una via di mezzo quando l’altra
parte preferirebbe uccidere piuttosto che scendere a compromessi”.</i> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Tweedy non offre direzioni o soluzioni, le sue
sono solo osservazioni (in questo assomiglia a Lou Reed )su un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">paese crudele </i>che peraltro continua ad
amare. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Inspiegabilmente
messo on line durante l’anno passato ma pubblicato “fisico” solo ora, <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Cruel
Country </i></b><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è l’attestato di una
band che dopo un periodo di appannamento ha ricominciato la sua corsa,
guardandosi dentro e riallacciandosi alle proprie esperienze e alle proprie
radici, con umiltà e maturità. Disco splendido.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><o:p> </o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%;">MAURO ZAMBELLINI<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></b><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="color: #1a1a1a; font-family: "Helvetica","sans-serif"; font-size: 16.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-theme-font: minor-bidi;"><o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal"><span style="color: #1a1a1a; font-family: "Helvetica","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-theme-font: minor-bidi;"><o:p> </o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="color: #1a1a1a; font-family: "Helvetica","sans-serif"; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-theme-font: minor-bidi;"><o:p> </o:p></span></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com68tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-23591905498997909882023-01-13T20:11:00.008+01:002023-01-13T20:20:39.854+01:00LUCINDA WILLIAMS Teatro Lirico-Giorgio Gaber MILANO 10/01/23<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5Dxw_UbPyvfxTRKrHZ1qrwhbFx8Q9ajpXrn6tlmGx6gwsMSzpatuw_-T0fVnQiu-vsikyrUEbaZoEPDOCiYskMC6gKIA53KDO9GBVG5mzTJTkl493X6sheluIy7GYtnfODxsiRC5EuUOPw0tebYa7HCUL4Y79M63hhxf0xXIO8Np0LNg3jRyCNf2Qpg/s2048/lucinda%20williams.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1365" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5Dxw_UbPyvfxTRKrHZ1qrwhbFx8Q9ajpXrn6tlmGx6gwsMSzpatuw_-T0fVnQiu-vsikyrUEbaZoEPDOCiYskMC6gKIA53KDO9GBVG5mzTJTkl493X6sheluIy7GYtnfODxsiRC5EuUOPw0tebYa7HCUL4Y79M63hhxf0xXIO8Np0LNg3jRyCNf2Qpg/s320/lucinda%20williams.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p>Si è scritto molto sui social il giorno dopo l'esibizione milanese di Lucinda Williams a proposito se sia giusto presentare sul palco un'artista in evidente difficoltà, reduce da un ictus che le ha lasciato problemi di deambulazione e per di più funestata la sera stessa da una faringo-laringite che l'ha costretta a tossire e soffiarsi il naso continuamente.C'è stato chi, indignato, ha lasciato la propria poltrona dopo solo qualche brano, altri hanno evidenziato il cinismo di chi ha portato in tour Lucinda Williams in queste condizioni oppure qualcuno ha ipotizzato che l'artista americana sia in qualche modo costretta ad esibirsi per pagarsi l'assicurazione che negli Stati Uniti garantisce le cure per la malattia. Facile fare della dietrologia, la verità non la conosceremo mai e nemmeno interessa perché quello che personalmente mi ha emozionato, commosso, meravigliato è stata la forza di una donna che spogliata del suo mito, fragile e “nuda”davanti ad un pubblico meraviglioso e partecipe del suo dramma, è riuscita a rimettere in piedi, dopo un inizio agghiacciante con lei in evidente stato confusionale e la band che cercava di mettere insieme i cocci, scambiando sguardi impauriti di incoraggiamento, un concerto che dopo due ore ed un bis di tre canzoni, è finito trionfale con l'intera platea in piedi ad incitarla e a seguirla in una corale Rockin' In The Free World di Neil Young. Un momento memorabile, il potente realismo del rock n'roll, un' artista aggrappata alla vita grazie alla sua musica con quella voce vivida ed espressiva che nemmeno la malattia ha cambiato, una voce che è dolore, malinconia, abbandono, rabbia e accettazione, la voce di chi non vuole arrendersi e pur nella precarietà contingente manda messaggi di resistenza. Il concerto più umano che mi sia capitato di assistere, traballante all'inizio, liberatorio alla fine, con la Williams che malferma si portava appresso l'asta del microfono fino al limite del palco e pur scusandosi per gli inceppi, le false partenze, i colpi di tosse, l'acqua rovesciata, lo smarrimento in alcuni momenti, trascinava l'intero teatro nella più tangibile affermazione che per alcuni grandi artisti come lo è lei arte e vita sono la stessa cosa.</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicEZVbMBnDJRiMn5oald4eX5If9xECcYZnSdaQrbC4sX9RzQBoBx90VfaCXgCz0n7JHUKnS-fFjEkpdBp0RJPa-liG7FuSaCEDw6Yt3LcADmTnV8YTzRExeryh-ZOhnxer5b8G85_GZ9CRv7zlWeYpqorndZf1UiSMDBYbWBsF32hEIkznMsjfkWPtaQ/s2048/williams%202.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1365" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicEZVbMBnDJRiMn5oald4eX5If9xECcYZnSdaQrbC4sX9RzQBoBx90VfaCXgCz0n7JHUKnS-fFjEkpdBp0RJPa-liG7FuSaCEDw6Yt3LcADmTnV8YTzRExeryh-ZOhnxer5b8G85_GZ9CRv7zlWeYpqorndZf1UiSMDBYbWBsF32hEIkznMsjfkWPtaQ/s320/williams%202.jpg" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqEbKl_RsDovRodqMICOkLID8qvzh8_DL8gz9I2HybLy2KH1uwWZpdntcF8pUemkp_v8fsQtQkjZF68c-gtZ4IWIGW8cuGD_tTZCP0WnuahxXwAN8xllikTONbI3sTMi7uwetlMsxtBCQVNqxMUM34kBCDrUfYYe7r2DU7bj1yNvmR-hDf-Vml14yjzw/s2048/williams%203.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1365" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqEbKl_RsDovRodqMICOkLID8qvzh8_DL8gz9I2HybLy2KH1uwWZpdntcF8pUemkp_v8fsQtQkjZF68c-gtZ4IWIGW8cuGD_tTZCP0WnuahxXwAN8xllikTONbI3sTMi7uwetlMsxtBCQVNqxMUM34kBCDrUfYYe7r2DU7bj1yNvmR-hDf-Vml14yjzw/s320/williams%203.jpg" width="320" /></a></div><br /><p><br /></p><p>Certo l'inizio ha messo tutti in un silenzio glaciale, facendo presagire la fine prematura del concerto, accompagnata sul palco dal road manager la Williams accennava a Blessed per fermarsi subito, smarrita e confusa, guardando con terrore i due chitarristi, Stuart Mathis e Doug Pettibone, che con dolcezza cercavano di darle fiducia tranquillizzandola e rimettendo in moto l'esibizione.</p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxniiMStl14Q7SgSJCM8HEjFc9TzOGJOEflvFKpup3JOGd2xJcZfQFQ9x0kGk81DYE-f7VxST1Z0egm__HRFrgceWlKqHQ8hzZo6J9URNNvgOCF4GW_4erVLdC7Q-G2aPts8s_L2gWXBPKwyQuoQ_HE6dQ1X2ci4_XN7hKxyXX8DZJRWLQ4Ab0hzsmNA/s2048/williams%204.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1365" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxniiMStl14Q7SgSJCM8HEjFc9TzOGJOEflvFKpup3JOGd2xJcZfQFQ9x0kGk81DYE-f7VxST1Z0egm__HRFrgceWlKqHQ8hzZo6J9URNNvgOCF4GW_4erVLdC7Q-G2aPts8s_L2gWXBPKwyQuoQ_HE6dQ1X2ci4_XN7hKxyXX8DZJRWLQ4Ab0hzsmNA/s320/williams%204.jpg" width="320" /></a></div><br /><p><br /></p><p>Starnuti, tosse, sguardo assente hanno fatto presagire il peggio, Protection non possedeva minimamente il carisma dell'originale, così come Right In Time ed una esangue Drunken Angel. Poi la Williams ha preso forza, il fantasma di Tom Petty in Stolen Moments, canzone a lui dedicata, l'ha benedetta e complice una band superlativa con un batterista da favola con tanto di cappello da cowboy in grado di ottenere il massimo col minimo del gesto, un bassista (David Sutton) che definire efficace è dire poco e due chitarristi, uno ( Stuart Mathis) con la Gibson SG, l'altro ( Doug Pettibone) prima con una Gretsch, poi con una Stratocaster e la lap steel, capaci di "illustrare" con ricami di alta scuola come deve essere il suono americano anche quando si lavora a volumi bassi. Dimostrazione eccelsa di tecnica, gusto, feeling, conoscenza, saggezza sonora che ha supportato e spinto la rockeuse di Lake Charles a dare il meglio di sé in Big Black Train, in Lake Charles, nella scapigliata e rockata Let's Get The Band Together, nuova di scrittura e nella bluesata, scura e paludosa Pray The Devil Back To Hell. Uno dei momenti topici del concerto assieme alla commovente e palpitante Born To Be Loved suonata in punta di piedi quasi fosse un jazz di un combo acustico, ed una Copenhagen da pelle d'oca che grondava malinconia come fossero lacrime di un innamorato abbandonato. </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6pmnQfFs4czwc_--SrMZdXCo6cuGeRX1Aiombi5SJVqIPyiVytrHxmAFMZb5X74sLzb1R_SEhk74Q_-lw5l7ZrLG1LsiYatP-wJUX3WWfJaPAVqxEk-ZQbWb6yH_Hk3d2sgtLsLTFSA6CJt3uIyqjSQOWr5OdlN_A3-vn8gePXVC7T_zOJ0h1r2NqGg/s2048/williams%205.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1365" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6pmnQfFs4czwc_--SrMZdXCo6cuGeRX1Aiombi5SJVqIPyiVytrHxmAFMZb5X74sLzb1R_SEhk74Q_-lw5l7ZrLG1LsiYatP-wJUX3WWfJaPAVqxEk-ZQbWb6yH_Hk3d2sgtLsLTFSA6CJt3uIyqjSQOWr5OdlN_A3-vn8gePXVC7T_zOJ0h1r2NqGg/s320/williams%205.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p><br /></p><p>La ruvida Honey Bee lasciava divertire la band con il ritmo e gli assoli, contenuti ma graffianti, in Essence come Righteously la Williams reiterava parole e versi creando un mantra circolare di effetto ipnotico, è lo stile di tante sue ballate, </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiq7LMh4CjRY73Yy1Ir7hjmscD6yHJzeQn2xAoDj34skvx611egEaMZ-Dwmq5zuJOhE5Fx7KEUv6K4vh-jvtUhyQHDuhuL_7K68cBBfcNEyzTBd7KJn2cdN91YjfWMcRGLrzd2BcX8L9UqxelatMzWnfGQMG_rS681_zqOh9WvaGnPBueJ-9dJuNnDepw/s2048/williams%206.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1365" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiq7LMh4CjRY73Yy1Ir7hjmscD6yHJzeQn2xAoDj34skvx611egEaMZ-Dwmq5zuJOhE5Fx7KEUv6K4vh-jvtUhyQHDuhuL_7K68cBBfcNEyzTBd7KJn2cdN91YjfWMcRGLrzd2BcX8L9UqxelatMzWnfGQMG_rS681_zqOh9WvaGnPBueJ-9dJuNnDepw/s320/williams%206.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p><br /></p><p>Hot Blood la vedeva ritornare sul palco dopo solo qualche minuto dalla fine dell'esibizione, acclamata da tutto il teatro prima dell'apoteosi di Rockin' In The Free World dove la Williams pur ferita dal destino e quasi imbarazzata per trovarsi in quello stato ci buttava in faccia una grande verità: non sempre è facile vivere su un palco e sotto i riflettori e solo chi crede profondamente nella propria arte alla fine ne esce vincitore. Concerto che non dimenticherò mai.</p><p><b>TESTO di MAURO ZAMBELLINI </b> </p><p><b>FOTO di GIUSEPPE VERRINI</b></p><p><br /></p><p><br /></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com34tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-46797632304104696342023-01-02T17:02:00.002+01:002023-01-02T17:04:25.232+01:00MY PLAYLIST 2022<p> <b>PURE ROCK FOR NOW PEOPLE</b></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7aAWOvhi_OfIQ72ewqz4LmmhrlRiRqlqlMPPJPek6V6qEqNdXTgH_NE37FMYQjr9c56OKKm81uJ3Jpr6giqHvdPe7feEuNvf-ekJr0Q3RZAz16dXPgjaVIq7WVqKnQc_iPct8R77RCe8I_-fxI2Wy19xkgoHlVPsB__kLk8-sVur9uA7hV5Vdf5TRmw/s500/delines.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7aAWOvhi_OfIQ72ewqz4LmmhrlRiRqlqlMPPJPek6V6qEqNdXTgH_NE37FMYQjr9c56OKKm81uJ3Jpr6giqHvdPe7feEuNvf-ekJr0Q3RZAz16dXPgjaVIq7WVqKnQc_iPct8R77RCe8I_-fxI2Wy19xkgoHlVPsB__kLk8-sVur9uA7hV5Vdf5TRmw/s320/delines.jpg" width="320" /></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2jkA8vBUx5xC6Y8bLrcV3B5euk_brwvY1lW51C4cpkLUhfzyumcnVCYKexXM8xJl5KtbTbK8yoTcUbHglh6UOaSl6HmjLtGfESpE7zRE2dh5zNdDgP0zttvJ3oSb7mN9cYn51bv8fI8DUEyUrXyon62GF0GtFJVGaUZIup0fcbBxHjWcbZHlx_NlO2g/s800/meltdown%202.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="800" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2jkA8vBUx5xC6Y8bLrcV3B5euk_brwvY1lW51C4cpkLUhfzyumcnVCYKexXM8xJl5KtbTbK8yoTcUbHglh6UOaSl6HmjLtGfESpE7zRE2dh5zNdDgP0zttvJ3oSb7mN9cYn51bv8fI8DUEyUrXyon62GF0GtFJVGaUZIup0fcbBxHjWcbZHlx_NlO2g/s320/meltdown%202.webp" width="320" /></a></div><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitdSi4h6PyiYBScI8aLw8dCxh_5-6aqmjXAZ6Nmiaj32SOxdpTU3Sb3k8ELlh5frEgLr7KMQTz1t-CHhCv2oUU2DPnaLJMnLdTakAfB7kl9AEKlmJlmxkz0E-gxYvMfjwhGdhX8NqTwYsemuYl0uKozAg1J286aaWtbVouGy0L8VnZz76ESs2bB_zKGA/s1600/wilco.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEitdSi4h6PyiYBScI8aLw8dCxh_5-6aqmjXAZ6Nmiaj32SOxdpTU3Sb3k8ELlh5frEgLr7KMQTz1t-CHhCv2oUU2DPnaLJMnLdTakAfB7kl9AEKlmJlmxkz0E-gxYvMfjwhGdhX8NqTwYsemuYl0uKozAg1J286aaWtbVouGy0L8VnZz76ESs2bB_zKGA/s320/wilco.webp" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0hMQEaNsgPCmz2xjGotO0yIeOEPZMi85yJUIkS3a7ZI6ZuPDxhQpNFR4SkZGrsYiSBDh6hnFLqEkHQPASKLMkfF6OyWATrHJy62HXd6EGk44ysHUh5hM_n_uYeY3ZLHmfc_1bz67VXrRJ4Hqksrma0KZmMgR5RPUXdvTlEcpuYdY73oZXRFH_D8rSiQ/s500/the%20hanging%20stars.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0hMQEaNsgPCmz2xjGotO0yIeOEPZMi85yJUIkS3a7ZI6ZuPDxhQpNFR4SkZGrsYiSBDh6hnFLqEkHQPASKLMkfF6OyWATrHJy62HXd6EGk44ysHUh5hM_n_uYeY3ZLHmfc_1bz67VXrRJ4Hqksrma0KZmMgR5RPUXdvTlEcpuYdY73oZXRFH_D8rSiQ/s320/the%20hanging%20stars.png" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn5jxxXzjLlmeW_QOWMtCtCZq-00_k8IU7rGj59LVVm_-hrng-MUmChaLqF4TYr_onz8cVZ3WN4sF8zYS1fQMMHtjfW-sAg19xFXtxIjW2INaxG27SDTsUq5QQ-0QFaU8drZdu6oAolHp5olLfcjm5vh2wXZwLJcDRiLsHoR4H6QEMR-pr7V_BeIkxSg/s450/tedeschi.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="450" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn5jxxXzjLlmeW_QOWMtCtCZq-00_k8IU7rGj59LVVm_-hrng-MUmChaLqF4TYr_onz8cVZ3WN4sF8zYS1fQMMHtjfW-sAg19xFXtxIjW2INaxG27SDTsUq5QQ-0QFaU8drZdu6oAolHp5olLfcjm5vh2wXZwLJcDRiLsHoR4H6QEMR-pr7V_BeIkxSg/s320/tedeschi.jpg" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdyEqnHfVO7R6Hhza0ItKgUtJOJSdxuTXLrOUrPWp7QSoJMuvr_7_W8qkapCyqbWjGoCmos-RAxgvjdL34I0glngrBmBaquIkFHQ2pptPCmtKrb9SMWfFiwGYw6RT9KsrDUeqgYTODnyIxUs3cNFyxsYlX6mulfjWXNqF5NXmogYw0X9_-v56FeaOduA/s536/drive%20by%20truckers.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgdyEqnHfVO7R6Hhza0ItKgUtJOJSdxuTXLrOUrPWp7QSoJMuvr_7_W8qkapCyqbWjGoCmos-RAxgvjdL34I0glngrBmBaquIkFHQ2pptPCmtKrb9SMWfFiwGYw6RT9KsrDUeqgYTODnyIxUs3cNFyxsYlX6mulfjWXNqF5NXmogYw0X9_-v56FeaOduA/s320/drive%20by%20truckers.jpg" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDyC96wjCpk14Ykrp5Cz1BB9Btv47P8OpwpPSfFwZiul2JJvASinJYSUoiw6PE-xIpR-9jBOvehgmWFD8lOZMRl4DnZv7eEDuV-Rw4_atr_SCbbIAKvaOGJh4JW_DhgatTKWL1A3a2bXgnbRV9G1gYbW4UxkNnCNOxsxXMUIXTWgmBsu8HopBR1w01xw/s350/maurizio%20gnola.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="350" data-original-width="350" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDyC96wjCpk14Ykrp5Cz1BB9Btv47P8OpwpPSfFwZiul2JJvASinJYSUoiw6PE-xIpR-9jBOvehgmWFD8lOZMRl4DnZv7eEDuV-Rw4_atr_SCbbIAKvaOGJh4JW_DhgatTKWL1A3a2bXgnbRV9G1gYbW4UxkNnCNOxsxXMUIXTWgmBsu8HopBR1w01xw/s320/maurizio%20gnola.jpg" width="320" /></a></div><br /><b>USATO SICURO</b><p></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQZwsIn6XfwchuZFi48w_Gl2MsSS5mjfWm0Lc-JH4cX2Ontnhoj3ibqWB4_Sq7HIe3GP5Ih2SmyCYVRKSuFC9Nb4LTXCn_fR0NNbACcQoPAB40qRYiQaxdHNTo8eoCGChIPyUUJCdFu6tbUhVh8hE4qYU91GutfeH5gp-PnSYqCAVKY86bg0G-qxDjIA/s450/stones.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="450" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQZwsIn6XfwchuZFi48w_Gl2MsSS5mjfWm0Lc-JH4cX2Ontnhoj3ibqWB4_Sq7HIe3GP5Ih2SmyCYVRKSuFC9Nb4LTXCn_fR0NNbACcQoPAB40qRYiQaxdHNTo8eoCGChIPyUUJCdFu6tbUhVh8hE4qYU91GutfeH5gp-PnSYqCAVKY86bg0G-qxDjIA/s320/stones.jpg" width="320" /></a></div><br /><b><br /></b><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipXdd2ZCX5xUVgo1WA5iJVXadmaSrA69s23pTpLkf4Oya0o6VSrkiNbD1vHOmQXA_yrUWqcRvehkjtjGOIATPRkZYGdsLzEHtaGkjS1_uwfpe0YnL_2saveZXJk44JJYcksjfzm16jppgim_ydbaDFXFWakXp_r7ki4YRS2ZCFnyFkPi31ZKeA5JBJDw/s536/tom%20petty.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipXdd2ZCX5xUVgo1WA5iJVXadmaSrA69s23pTpLkf4Oya0o6VSrkiNbD1vHOmQXA_yrUWqcRvehkjtjGOIATPRkZYGdsLzEHtaGkjS1_uwfpe0YnL_2saveZXJk44JJYcksjfzm16jppgim_ydbaDFXFWakXp_r7ki4YRS2ZCFnyFkPi31ZKeA5JBJDw/s320/tom%20petty.jpg" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXa3EKuRegveRQBlvrchEZAvYLI0RSPeTo-RS4TolqSmNt8KgNzQWEQwyFAk3gNe-_wHTFI3YtKFI4TLCzDp8BWP-tEbUrHRvf4Fg05ufhpAYVC2Uqht5b5W8cNTtLK1RACnIQGRuKe-Mzbs2B-6pS7OO2gSqOf1TXL6KEZOTyUGaUUM3Zew0lp4rNCA/s536/willy%20de%20ville.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="536" data-original-width="536" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXa3EKuRegveRQBlvrchEZAvYLI0RSPeTo-RS4TolqSmNt8KgNzQWEQwyFAk3gNe-_wHTFI3YtKFI4TLCzDp8BWP-tEbUrHRvf4Fg05ufhpAYVC2Uqht5b5W8cNTtLK1RACnIQGRuKe-Mzbs2B-6pS7OO2gSqOf1TXL6KEZOTyUGaUUM3Zew0lp4rNCA/s320/willy%20de%20ville.jpg" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiymXNMHiJ8asJ8_Nqh3igeQulsY0sgaT6SlgqfGJzY8ZFrxmHh3374AvEmziZy-FQ52KI8VMjGknVTMloBYNEEKpVMhGOq5vQRdmtHmDmjqJuTZfOTj2vAyPgKUEMJnd-QNhIG3JILMkEsT7l2pi4sXu1KOyH5EGUgp-SgiazCigXbZLyvOEMGEr_sAg/s450/john%20mellencamp.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="450" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiymXNMHiJ8asJ8_Nqh3igeQulsY0sgaT6SlgqfGJzY8ZFrxmHh3374AvEmziZy-FQ52KI8VMjGknVTMloBYNEEKpVMhGOq5vQRdmtHmDmjqJuTZfOTj2vAyPgKUEMJnd-QNhIG3JILMkEsT7l2pi4sXu1KOyH5EGUgp-SgiazCigXbZLyvOEMGEr_sAg/s320/john%20mellencamp.jpg" width="320" /></a></div><b>BLUES & SOUL</b><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDMhsnmGCUYj4un4wITZOE1dVjqTebfUaaVjEIsyNkKIHPqCYz4ZF2HBzHwj78ZNUeHVW6VeJKW-V41oLhXD_2xzTl-DQfJBlBkkRjHFFjk_I4lWpgAIKSfIrv9eSAYyGblPsnhQLpa1PxyOeSBJyBqFrUeW39gRJ6Abx-Y7SYUZH7ElknsEfHnO6f5Q/s500/buddy%20guy.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDMhsnmGCUYj4un4wITZOE1dVjqTebfUaaVjEIsyNkKIHPqCYz4ZF2HBzHwj78ZNUeHVW6VeJKW-V41oLhXD_2xzTl-DQfJBlBkkRjHFFjk_I4lWpgAIKSfIrv9eSAYyGblPsnhQLpa1PxyOeSBJyBqFrUeW39gRJ6Abx-Y7SYUZH7ElknsEfHnO6f5Q/s320/buddy%20guy.jpg" width="320" /></a></div><br /><b><br /></b></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6O_5h-bd83ztiCwVNfqEcIOGrcyEh-ZwIV3pkcsVAbc3AU4dCneLmY4avPTJQMvN_XB5RQspy7b-qhCk5iKXfzZJ-BXH2yWu_U4a2v9ycw_Q07Wu1O8NuFmG2gJUH6j5_UhsSLKoJtahB7cnJoGbv80o5VAJsReJu_ht0FgsiINC6ZxVum-4gXpsKZw/s700/porcaro.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="700" data-original-width="700" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6O_5h-bd83ztiCwVNfqEcIOGrcyEh-ZwIV3pkcsVAbc3AU4dCneLmY4avPTJQMvN_XB5RQspy7b-qhCk5iKXfzZJ-BXH2yWu_U4a2v9ycw_Q07Wu1O8NuFmG2gJUH6j5_UhsSLKoJtahB7cnJoGbv80o5VAJsReJu_ht0FgsiINC6ZxVum-4gXpsKZw/s320/porcaro.jpg" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgG-f0b4xuqh0WmOqLjimWSfBOZUrbB_vhIeBJEWL_8R5-yxRzYluR1Mj4n0RBuHUYEH3XekVDT85s0pGoJqow2kaReIedQttfMf00CDYuDvg6QaLMdgjVK1mi2BiNKDrhk5bldwnfMMp8nV4OQmiUmxpGQfk1DLTPaHRHM-qORCdeiCGUVQaxe3vyVpQ/s300/clapton.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="268" data-original-width="300" height="268" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgG-f0b4xuqh0WmOqLjimWSfBOZUrbB_vhIeBJEWL_8R5-yxRzYluR1Mj4n0RBuHUYEH3XekVDT85s0pGoJqow2kaReIedQttfMf00CDYuDvg6QaLMdgjVK1mi2BiNKDrhk5bldwnfMMp8nV4OQmiUmxpGQfk1DLTPaHRHM-qORCdeiCGUVQaxe3vyVpQ/s1600/clapton.jpg" width="300" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQbf4m_fbs7EmSLpz85S8i3vqeUqV2TjDRZX64sBnyPIWqj4nSyqNy0t4sPZ_SmfdoruG6QjK0RISiAqUajewZ2k0Bd027i81EYNCdxrHpuRtXD2PzePFpji-GgnAR05rKfgOVD3RsA0-vBYuHt9ZdjazptRbNKYRbJ9YJUHbxBynmmar1f3UTt9UcDQ/s500/blue%20moon%20marquee.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="458" data-original-width="500" height="293" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQbf4m_fbs7EmSLpz85S8i3vqeUqV2TjDRZX64sBnyPIWqj4nSyqNy0t4sPZ_SmfdoruG6QjK0RISiAqUajewZ2k0Bd027i81EYNCdxrHpuRtXD2PzePFpji-GgnAR05rKfgOVD3RsA0-vBYuHt9ZdjazptRbNKYRbJ9YJUHbxBynmmar1f3UTt9UcDQ/s320/blue%20moon%20marquee.png" width="320" /></a></div>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com16tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-78327603431241072472022-12-28T18:20:00.001+01:002022-12-28T18:20:18.155+01:00FOLLOW THAT DREAM L'esordio di Tom Petty and the Heartbreakers<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEkYiHqIqNvsaKLXEPU2L3oVUN5DeO2Dhr7P7_2hpHP9HGDxqMhX7eM-dlEDR2r2U-H6RWQP6xvsJ87Jzzh58dA7aFvm2ZkYwX8jtnV0gZx9PEq1e-9lhxlDRlx5sLAitRQPHtyQMb2L8MQPlKe5wIy-1Wcc9rMkag-XdsC0pa7QcPrDtvOM7FzxXJCg/s500/tom%20petty%201.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="500" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEkYiHqIqNvsaKLXEPU2L3oVUN5DeO2Dhr7P7_2hpHP9HGDxqMhX7eM-dlEDR2r2U-H6RWQP6xvsJ87Jzzh58dA7aFvm2ZkYwX8jtnV0gZx9PEq1e-9lhxlDRlx5sLAitRQPHtyQMb2L8MQPlKe5wIy-1Wcc9rMkag-XdsC0pa7QcPrDtvOM7FzxXJCg/s320/tom%20petty%201.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p lang="en-US" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><span style="font-size: 16pt;"><b>Pubblicato
originariamente sul N.458 del Buscadero (settembre 2022) questo è il
primo di un trittico di articoli sulla carriera di Tom Petty. A
seguire il resto</b></span></span></p><p style="line-height: 115%;"> </p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><span style="font-size: 16pt;">Sebbene
nativi della Florida fu la Città degli Angeli a catalizzare la
nascita di Tom Petty and the Heartbreakers. Il nucleo originario
esisteva ben prima del 6 novembre 1976, data di uscita del loro
esordio discografico, perché dalle parti di Gainsville, nella
Florida settentrionale, i Mudcrutch erano diventati popolari tra
quanti bazzicavano i club e i raduni della zona. Tom Petty era
cresciuto nella difficile relazione col padre Earl, rappresentante
commerciale, e la musica gli era parsa l’unica salvezza per evadere
dalla famiglia e cercarsi un’alternativa. Nato nel 1950, era il
classico figlio dell’età della televisione e probabilmente è
questa la ragione per cui Los Angeles divenne nella sua mente il
luogo ideale dove realizzare i propri sogni. Il primo incontro con il
rock n’roll non fu difatti un jukebox ma un set cinematografico. Lo
zio di Petty, Earl Jerrigan aveva il compito di perlustrare il
tribunale di Ocala, 40 miglia a sud della casa di Petty a Gainsville,
per una scena del film di <b>Elvis Presley</b> <i>Follow That Dream
</i>e invitò Tom ad accompagnarlo. Tom non conosceva il Re del
rock n’roll ma, incuriosito, accettò. Quando si trovò al cospetto
di Elvis non disse una parola ma rimase visibilmente impressionato: “
<i>sembrava di una specie irreale, come se stesse brillando, era
sbalorditivo, quasi spirituale”. </i>Tom Petty quel giorno
vide il suo futuro e rientrato a casa scambiò la sua fionda di marca
Wham-O per un box di 45 giri di Presley. Tre anni dopo Petty ebbe
un’altra visione cosmica quando assistette all’esibizione dei
<b>Beatles</b> all’Ed Sullivan Show. Non passò molto tempo che
convinse alcuni amici del quartiere a mettere insieme una band sul
modello di quello che aveva visto e sebbene avesse solo quattordici
anni capì che quella era la strada per evitare una vita mediocre.
Ci furono delle band scolastiche ma l’avventura vera e propria
iniziò quando gli Epics si trasformarono in <b>Mudcrutch. </b>Ne
facevano parte il chitarrista e cantante Tom Leadon, il
batterista Randall Marsh e l’altro chitarrista Mike Campbell,
ai quali poi si aggiunse il tastierista Benmont Tench. Petty si
occupava di canto e basso ed il suo background abbracciava quel rock
e quel beat che riusciva ad intercettare nelle radio locali. La scena
musicale degli anni sessanta e primi settanta che si concentrava
attorno all’Università della Florida era abbastanza fertile ma a
Petty sembrò un segno premonitore che Bernie Leadon, il fratello
maggiore di Tom, fosse emigrato a Los Angeles diventando un membro
degli Eagles ed il più giovane Tom Leadon, rimpiazzato nei Mudcrutch
da Danny Roberts, in California avesse trovato lavoro nella band di
Linda Ronstadt. Agli occhi di Petty, Los Angeles significava la
mecca dei propri ideali, la città in cui tutto era possibile e i
suoi sogni si sarebbero realizzati. In seguito il rapporto con la
città non sarà così idilliaco e solo fonte di successo, causa la
travagliata relazione con l’industria discografica. E difficoltoso
sarà all’inizio farsi accettare nella scena californiana, sia coi
Mudcrutch prima che con gli Heartbreakers poi, la stampa sarà
piuttosto restia a considerare la loro musica un prodotto della West
Coast preferendo scrivere di gruppo punk o southern rock o
addirittura una band di heartland rock . Ma in quei giorni di
gioventù è Los Angeles il pantheon dove abitavano i miti di
Petty che ascoltava alla radio, ovvero i Beach Boys, i Byrds, i
Buffalo Springfield e i Flying Burrito Brothers. Il primo
viaggio nella Città degli Angeli Petty lo fa con Roberts e l’amico
McAllister, è il 1974 e si portano appresso un demo dei Mudcrutch.
Ma prima di arrivare in California si fermano agli studi della
Capricorn Records a Macon dove la Marshall Tucker Band stava
registrando il secondo disco <i><b>A New Life. </b></i> Aspettarono
tutto il giorno prima che qualcuno gli desse retta e ascoltasse il
loro demo ma la risposta fu lapidaria : “<i>troppo inglese questa
roba, grazie e arrivederci ”. </i> Rivelò anni più tardi
Petty che “<i>in quel momento il Sud era inondato dalla musica
della Allman Brothers Band e tutti, tranne noi, cercavano di
imitarli. A noi piacevano gli Allman ma odiavamo le imitazioni,
pensavamo che fosse una cosa stupida. Los Angeles rimaneva la nostra
vera opportunità, là c’erano i Byrds, là volevamo fare quello
che non potevamo fare in Florida”.</i> </span></span>
</p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><span style="font-size: 16pt;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><span style="font-size: 16pt;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuBwhkTWsBXT-h3OOtiXNVYF_9rv7GPRzLV4Qqf4SX9ehcINKSy4cSGk-OsW-VB8mxB3lm21CwZl8hhsuEQCbTlpDR5kInPFx6vq_sIuYcDIU-YWGNfZnyoh_9pvhw_t5_tlOKvmkFBNAC1VvIv2YesTH44bk527jzjnpw8-lktdweRX7Xc9KhZl752A/s750/tom%20petty%202.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="593" data-original-width="750" height="253" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuBwhkTWsBXT-h3OOtiXNVYF_9rv7GPRzLV4Qqf4SX9ehcINKSy4cSGk-OsW-VB8mxB3lm21CwZl8hhsuEQCbTlpDR5kInPFx6vq_sIuYcDIU-YWGNfZnyoh_9pvhw_t5_tlOKvmkFBNAC1VvIv2YesTH44bk527jzjnpw8-lktdweRX7Xc9KhZl752A/s320/tom%20petty%202.jpg" width="320" /></a></span></span></div><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><span style="font-size: 16pt;"><br /><i><br /></i></span></span><p></p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><span style="font-size: 16pt;">Prima
di lasciare Gainsville, i Mudcrutch avevano già inviato il demo
di <i>On The Street</i>, registrato su due piste nel soggiorno della
casa dei genitori di Benmont Tench, a varie case discografiche
ricevendo unica risposta da Peter Welding, A&R della Playboy
Records e storico del blues e del jazz che aveva lavorato con artisti
“oscuri”, il quale pur rifiutando il materiale proposto ne
analizzò i singoli brani mettendone in evidenza i difetti e
suggerendo possibili migliorie. Arrivati a Hollywood, i tre si
trovarono immersi in un mondo che non conoscevano e da ogni parte
guardassero trovavano compagnie discografiche. Il feeling con la
città fu immediato e la MGM offrì loro la possibilità di
registrare un singolo. Presero tempo dopo che in un diner Petty si
appuntò da un elenco telefonico i numeri di una ventina di etichette
discografiche tra cui la <b>Shelter</b>, ubicata in un bungalow in
una zona piuttosto fatiscente di East Hollywood. L’ufficio aveva
però un aspetto pittoresco, il legno con cui era rivestito conferiva
un fascino campagnolo in contrasto con il decor urbano di luci e
cemento del sobborgo. Lasciarono lì il nastro dimostrativo e
continuarono il loro giro interpellando anche le più titolate
Capitol e London. Fecero in tempo a fare una sortita nel mitico
Whiskey a Go-Go di West Hollywood rimanendo incantati dal luogo e dal
pubblico che lo frequentava ma di fatto a Petty e compagni non rimase
che tornare in Florida sperando di ricevere qualche telefonata
importante, che arrivò quando <b>Denny Cordell</b>, il produttore
inglese che era stato alle spalle dei successi di Procol Harum, Moody
Blues e Joe Cocker e co-proprietario della Shelter Records li chiamò.
Aveva ascoltato il loro demo e li invitò a fare tappa a Tulsa
in Oklahoma dove <b>Leon Russell</b>, l’altro socio della Shelter,
aveva allestito un suo studio in una vecchia chiesa. Cordell
incontrò i Mudcrutch al completo in una tavola calda di Tulsa e
negli studi di Russell Petty e soci incisero una versione di <i>Cry
To Me</i> di Solomon Burke, <i>I Can’t Fight It</i> ed
una primitiva <i>Don’t Do Me Like That </i> tutte e tre
rintracciabili nel box antologico <i><b>Playback </b></i>del 1995. Il
viaggio continuò fino a Los Angeles perché la Shelter era
fermamente interessata a loro. Anni dopo, Tom Petty confidò “
<i>arrivai a L.A ed in una settimana avevo in mano il contratto, per
disfarmene ci vollero parecchi anni”. </i>Insieme a Petty c’era
la nuova moglie <b>Jane</b>, sposata poco prima di lasciare la
Florida, con cui diede al mondo la figlia Adria nel novembre del
1974. I Mudcrutch presero alloggio all’Hollywood Premier Motel in
Hollywood Boulevard non molto distante dagli uffici della Shelter.
Passò del tempo prima che le cose in sala di registrazione
funzionassero, i soldi scarseggiavano e la band fu costretta a
spostarsi in due case affittate nella San Fernando Valley, a nord di
Hollywood. Ma Cordell fu un vero mentore per loro ed invitò più
volte Petty a raggiungerlo nel suo ufficio nell’orario di chiusura
per fargli ascoltare i dischi più disparati, da Lloyd Price ai
Rolling Stones, da Dylan al reggae, cose di cui il musicista era
piuttosto a digiuno perché nei giorni di Gainsville con pochi soldi
a disposizione non poteva permettersele e l’unica fonte rimaneva la
radio. Fu una bonanza di informazioni e non solo discografiche. Il
futuro batterista degli Heartbreakers, <b>Stan Lynch</b> mantiene un
identico punto di vista a proposito di Cordell: “<i>ero ancora
molto giovane e non sapevo cosa significavano in termini musicali
groove e feel. Lo chiesi a Denny il quale mi invitò ad andare con
lui ad un concerto di Bob Marley and The Wailers.</i> <i>Mi fece
accomodare sulla sua Ferrari, mi passò le chiavi e mi disse di
guidarla, spronandomi ad accelerare. Una volta raggiunta una velocità
sostenuta, mi disse, ecco cosa significa il groove. Al concerto,
Marley ipnotizzò la platea con la sua performance, qualcuno
passò un joint attraverso la balconata, e Cordell disse, questo è
il feel”.</i></span></span></p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><span style="font-size: 16pt;">La
prima menzione sui Mudcrutch in L.A apparve il 31 agosto 1974 su
Billboard, annunciava che stavano registrando con Cordell come
produttore e Rick Heenan come ingegnere del suono al Village
Recorder, uno studio ricavato negli anni sessanta da un tempio
Masonico. Quegli studi furono fondamentali nella carriera di Petty ma
il primo approccio non fu facile, pareva che i Mudcrutch si
trovassero meglio a registrare nel salotto di Tench che al Village
Recorder ma nonostante tutto ne uscì un singolo, <i>Depot Street,
</i>con venature reggae, e come B side un più commerciale <i>Wild
Eyes. </i>L’idea di un singolo reggae può sembrare balzana
conoscendo oggi la discografia completa di Petty ma al tempo la mossa
non fu così strana visto che in quel 1974 Clapton scalava le
classifiche con <i>I Shot the Sheriff. </i> Comunque <i>Depot
Street </i>non ricevette ne particolari attenzioni radiofoniche ne
recensioni, a parte una segnalazione nella rubrica First Time Around
di Billboard come nuovi artisti valevoli di ascolto. Le vendite
furono inesistenti. La band uscì dallo studio delusa e senza nulla
in mano se non un mediocre singolo reggae. La scena rock di Los
Angeles era in completa evoluzione, i vecchi miti californiani erano
in stand by o pagavano gli eccessi del passato, ed il Sunset Strip
era preso d’assalto da nuove e giovani band punk e new-wave.
Nell’etere teneva banco un certo <b>Rodney Bingenheimer</b> sulla
stazione radio KROQ col programma <i>Rodney on the ROQ </i>dove
passava la nuova musica emergente della città. Nel frattempo i
Mudcrutch avevano perso Danny Roberts che aveva fatto ritorno in
Florida e al suo posto venne reclutato <b>Charlie Souza</b>, un
veterano della scena rock di Tampa con i Tropics. Dal momento che i
soldi per le registrazioni erano esauriti, Petty e company furono
indirizzati nello studio casalingo di Leon Russell a Encino dove per
qualche mese tentarono di incidere qualcosa. Charlie Souza fece in
tempo a partecipare alla versione dei Mudcrutch di <i>Don’t
Do Me Like That</i> il singolo che avrebbe lanciato qualche anno più
tardi l’album <i><b>Damn The Torpedoes </b></i>e segnato in modo
indelebile la carriera degli Heartbreakers. La canzone era stata
scritta al pianoforte da Petty agli Alley Studios e sempre nello
studio di Russell fu registrata <i>Hometown Blues </i>, poi finita
nell’esordio degli Heartbreakers, con Randall Marsh alla batteria,
Charlie Souza al sassofono e Donald “Duck” Dunn al basso. Ma in
ultima analisi le session furono piuttosto fallimentari e Cordell fu
costretto a convocare Petty nel suo ufficio dicendogli che le perdite
erano tali da imporgli di licenziare la band ma, credendo ciecamente
in lui, era disposto a rinegoziare il contratto con la Shelter come
solista. Situazione analoga a quella capitata sempre a Los Angeles
quando la Liberty si sbarazzò degli Hourglass ovvero del nucleo
originario degli Allman tenendosi stretto il solo Gregg Allman. </span></span>
</p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0YS-VD76FLjKDZ8EdfGs0kS1eZLVKqAvRYdBcESKyJBs1NHfbt4_e5fw5CKkdOybTi195HMYr1hiVmIkqfIRwob9jxqFsG8CliTNbcjTl6u31LTpA7PW4Ak5j-y7SRTjG3xONbdHepV_jkQC3w4umGk5vVaYCPOAEs3eHh5VdmFzJBEbHEToAuQ0RPQ/s750/petty%203.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="750" data-original-width="750" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0YS-VD76FLjKDZ8EdfGs0kS1eZLVKqAvRYdBcESKyJBs1NHfbt4_e5fw5CKkdOybTi195HMYr1hiVmIkqfIRwob9jxqFsG8CliTNbcjTl6u31LTpA7PW4Ak5j-y7SRTjG3xONbdHepV_jkQC3w4umGk5vVaYCPOAEs3eHh5VdmFzJBEbHEToAuQ0RPQ/s320/petty%203.jpg" width="320" /></a></span></div><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><br /><span style="font-size: 16pt;">(foto estratta da Rick's Airport Recorders)</span></span><p></p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><span style="font-size: 16pt;">Tom
Petty con la moglie Jane si spostò a vivere al Winone Motel e
cominciò a lavorare al suo disco solista negli studi della Warner
Bros. di Burbank ricevendo ancora una volta una telefonata da
Leon Russell, il quale lo coinvolgeva in un progetto ambizioso.
L’idea di Russell era pianificare un album in cui ogni brano
avrebbe goduto di un produttore diverso offrendo a Petty la
possibilità di scrivere assieme al lui alcune canzoni. Lo portò a
casa di Brian Wilson, gli fece conoscere Ringo Starr, George
Harrison e il batterista Jim Keltner che in quel mentre si
trovavano a L.A e poi <b>Terry Melcher</b> il produttore di diversi
hits dei Byrds. Fu una esperienza formativa per Petty entrare in
contatto e vedere all’opera simili leggende, anche se alla fine non
fu accreditato di nessun brano sebbene la sua <i>Satisfy Yourself </i> fu
riscritta da Russell come <i>I Wanna Satisfy You </i>e apparve nel
disco del 1976 di quest’ultimo, <i><b>Wedding Album</b></i>, col
titolo di <i>Satisfy You. </i>Nello stesso tempo sebbene Dennis
Cordell gli avesse messo a disposizione musicisti come Al Kooper e
Jim Keltner, le session per il nuovo disco di Petty non
produssero molto se non la romantica <i>Since You Said You Loved Me </i>e
la prima versione di <i>Louisiana Rain </i>entrambe contenute in
<i><b>Playback. </b></i> Da parte sua <b>Benmont Tench</b> era
rimasto a L.A dopo la dissoluzione di Mudcrutch formando un suo
gruppo e nel sottobosco musicale di Hollywood era rimasto anche <b>Mike
Campbell</b>. Del giro faceva parte anche il bassista <b>Ron Blair
</b>che telefonò al batterista <b>Stan Lynch </b>per proporre
assieme agli altri due una session con Tom Petty<b>.</b> La
luce si accese, così anni dopo rivelò Petty “<i>Benmont li aveva
portati tutti lì e di colpo vidi gli Heartbreakers nascere. Quella
era la mia casa”. </i>In verità Randall Marsh, presente in quelle
session, non fu incluso nella iniziale line up, al suo posto c’era
<b>Jeff Jourard</b> presente nelle prime foto pubblicitarie del
gruppo. Quest’ultimo fece in tempo a mettere la sua chitarra in
alcuni brani dell’album d’esordio, come nella strepitosa
<i>Strangered in the Night </i>e partecipare alla prima uscita di Tom
Petty and Nightro al Van Nuys Recreation Center il 19 marzo 1976.
Quando Cordell coniò il nome <b>Heartbreakers </b> scartando
Tom Petty and the King Bees la band era già in pista di decollo con
Campbell, Tench, Lynch e Blair. Il nome di Tom Petty rimaneva in
primo piano, sostanzialmente perché il contratto discografico era a
suo nome, e lui sarebbe rimasto se la band non fosse riuscita a
prendere piede. Fu reclutato il roadie <b>Alan “Bugs” Weidel</b>
che divenne il confidente ed il braccio destro del leader. Molti dei
brani dell’album d’esordio degli Heartbreakers furono registrati
negli studi della Shelter fatti costruire da Cordell in un vecchio
night club armeno dove l’unica vista esterna era un teatro gay
porno. In quindici giorni di duro lavoro nell’estate del ’76
vennero messe a punto <i>Fooled Again (I Don’t Like It)</i>
negli studi della WB e <i>Mystery Man </i>registrata live in una sola
seduta agli A&M Studios precedentemente chiamati Charlie
Chaplin Studios perché lì il regista ci girò alcuni suoi film,
nelle sale della Shelter nacque invece uno dei brani più famosi
della discografia di Petty ovvero <i>American Girl</i>, registrata
nel giorno del bicentenario il 4 luglio 1976. Molti asserirono che il
tema della canzone fosse il suicidio di una studentessa
dell’Università della Florida, l’autore spiegò invece che più
semplicemente fu scritta a proposito del traffico a ridosso
dell’appartamento in cui viveva. “<i>Abitavo in un appartamento a
Encino vicino alla freeway e le macchine passavano in continuazione.
Il rumore aveva su di me l’effetto delle onde dell’oceano. Era il
mio oceano, la mia Malibu dove sentivo la risacca delle onde, ma
invece erano le auto che sfrecciavano. Ispirarono il testo, era il
giorno del bicentenario, c’erano tante cose americane che giravano
attorno, era tutto rosso, bianco e blu”. </i> Altro
pezzo da novanta dell’album è <i>Breakdown </i>, cavallo dei suoi
concerti, scritta al pianoforte comprato proprio in quei giorni.
Confrontati ai Mudcrutch, da subito gli <b>Heartbreakers</b> si
rivelarono più sapienti e consci delle proprie possibilità, il
processo di scrittura e la registrazione furono molto più facili e
naturali, le canzoni vennero fuori quasi spontaneamente, registrate
per di più dal vivo. “ <i>Eravamo molto eccitati, non avevamo
paura di sperimentare qualsiasi cosa, era una gioia suonare insieme e
fummo orgogliosi di quello che facemmo”. </i> Ancora oggi
l’album <i><b>Tom Petty and the Heartbreakers </b></i>suona come
uno dei debutti migliori nella storia del rock americano, canzoni
divenute la forza delle esibizioni live nelle decadi successive come
<i>Breakdown, Anything That’s Rock and Roll, American Girl, Fooled
Again, </i>scampoli di cosmica psichedelia come in <i>Luna,
</i>misteriose ballate come <i>Strangered In The Night </i>e <i>Mystery
Man </i> e soprattutto quella diffusa attitudine nel rinfrescare
un rock a stelle e strisce che nella seconda metà degli anni
settanta si stava imbolsendo. </span></span>
</p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">Ad
eccezione di </span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">Rockin’ Around (With You) </i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">co-scritto con
Campbell, tutti i brani sono accreditati a Petty, il disco fu
pubblicato il 9 novembre 1976 e ricevette ovunque recensioni
positive. Billboard lo incluse nel suoi “LP raccomandati”,
</span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">Breakdown</i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;"> entrò nella heavy rotazione della stazione radio
KWST e nella classifica di Billboard, la rivista Sounds
disse che il disco incorporava il suono delle band degli anni
sessanta ma rimaneva puro ed unico, Robert Hilburn sul Los Angeles
Times definendolo l’album dell’anno, scrisse che “</span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">come la
musica dei Rolling Stones, la musica di Tom Petty guadagnava dopo
ripetuti ascolti tanto da diventare seduttiva, era la miglior dose di
puro mainstream rock da parte di una band americana dai tempi di
Rocks degli Areosmith”.</i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;"> </span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;"><b>Tom Petty and the
Heartbreakers </b></i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;"> ancora oggi mantiene la sua solidità e
non soffre il tempo, è sfaccettato come un mosaico con quei
molteplici rimandi ai Beatles, agli Stones, a Eddie Cochran, alle
garage band dei sixties, cantato con la passione di un vero rocker
compulsivo. L’uscita permise alla band di andare in tour nella East
Coast e soprattutto di apparire più volte in quell’agognato
Whiskey A-Go-go fin dai tempi dei Mudcrutch. Divisero il palco con
Blondie nel febbraio del 1977 e ci ritornarono per due show
nell’aprile seguente, poi “aprirono” per Bob Seger al
Winterland di San Francisco. Andarono in tour per sette
settimane in Inghilterra toccando anche Francia, Germania, Svezia e
Olanda, paesi dove il singolo </span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">American Girl/Anything That’s Rock
n’ Roll </i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">stava sbancando ma l’impressione, una volta tornati a
casa, appena scesi dall’aereo fu quella di sentirsi di nuovo
delle nullità. Non era così, in California il loro nome era ormai
sulla bocca di tutti ed il mondo intero li stava aspettando, bastava
solo avere un po’ di pazienza. Singolare in quei giorni fu
l’incontro tra Petty ed uno dei suoi miti, </span><b style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">Roger McGuinn</b><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">, il
quale gli confidò di aver ascoltato </span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">American Girl </i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">ma di non
ricordarsi quando l’aveva incisa. Timoroso Petty gli fece presente
che “ </span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">mi spiace sir, ma veramente quella è una mia</i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">……”
al ché McGuinn lo tolse dall’imbarazzo complimentandosi per la
bellezza della canzone e manifestando la volontà di interpretarla”.
“</span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">Grazie sir-</i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">ribatté Petty-</span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">avete la mia
benedizione”.</i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">. Di nuovo Hilburn sulle colonne del L.A Times
dichiarò </span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">American Girl </i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">come il singolo rock debutto dell’anno
e ciò non fece che lievitare la popolarità della band, finalmente
adottata dalla scena musicale californiana. Ma l’episodio che più
di ogni altro focalizza le bizzarrie di quel periodo pionieristico e
chiude il cerchio, è ciò che racconta Petty nelle note annesse al
box </span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;"><b>Playback</b></i><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;"> : “ </span><i style="font-family: Bahnschrift, sans-serif; font-size: 16pt;">ero a casa a Los Angeles e fu un
giorno davvero strano perché fu la prima volta che mi sentii alla
radio. Stavo ascoltando KROQ e appresi che Elvis era morto, rimasi
sbigottito e, potete non credere, ma KROQ non aveva a disposizione
nessun disco di Presley. Inaudito. Allora per supplire alla mancanza
misero sul piatto alcuni artisti che Elvis aveva ispirato e scelsero
proprio me. Fui stupito ma mi sembrò assurdo che una stazione radio
specializzata in new wave e punk non avesse un disco del Re del rock
n’roll. Una situazione davvero surreale, la cosa più strana che mi
sia mai capitata, essere il sostituto di colui che più di ogni altro
mi aveva indicato a seguire un sogno……. poi a mente fredda,
riflettendo mi sono detto…..beh ogni generazione ha bisogno delle
proprie band”.</i></p><p style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Bahnschrift, sans-serif;"><span style="font-size: 21.3333px;"><b><i>Mauro Zambellini</i></b></span></span></p><p style="line-height: 115%;"><br /></p><p style="line-height: 115%;"><br /><br />
</p><p>
</p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com19tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-58558541235945961572022-11-14T20:42:00.003+01:002022-11-15T09:32:48.409+01:00BRUCE SPRINGSTEEN Only The Strong Survive<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPGOSlRhoesLIft9AhcSScbHkKQSlDXAWR-KOkwMw4NMadl0GRlykSjBa6jLddviuVm4XuRZgefWMqTfdpXhALfCNPq7dcseaphKDUyxf1oVZr9EPAW_ErnzGaHCI1k8xyMCyQ6vYMpEfpAqkUchgRUbz4gZItIphp0QASZHwJPqKNmg7T6R-D-gxxdw/s450/bruce.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="450" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPGOSlRhoesLIft9AhcSScbHkKQSlDXAWR-KOkwMw4NMadl0GRlykSjBa6jLddviuVm4XuRZgefWMqTfdpXhALfCNPq7dcseaphKDUyxf1oVZr9EPAW_ErnzGaHCI1k8xyMCyQ6vYMpEfpAqkUchgRUbz4gZItIphp0QASZHwJPqKNmg7T6R-D-gxxdw/s320/bruce.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 12pt; line-height: 115%;">Se <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Only
The Strong Survive </i></b>rientra nella rilettura che da un po’ di anni Bruce
Springsteen fa della propria storia personale, a cominciare dalla pubblicazione
dell’autobiografia e dal confessionale di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">On Broadway</i></b> nonché con la ripresa
dei tre brani “antichi” di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Letter To You, </i></b>il percorso è logico
perché a detta dello stesso le quindici canzoni del nuovo disco fanno parte
della sua adolescenza, ciò che aveva amato da ragazzino zeppo di sentimenti
d’amore, quando il soul degli anni 60 usciva dalla radio di casa, era compagna
della vita famigliare domestica, in particolare di sua madre. Ma c’è un’altra
storia che magari i recenti fans di Bruce non hanno conosciuto ed invece ha
coinvolto i tanti che lo hanno accompagnato fin dagli albori della sua
carriera, dai giorni in cui sembrava un hippie con gli Steel Mill. Siamo stati
abituati ad altro, e quando l’artista prese in mano nelle sue strabordanti
performance il soul, sia che fosse quello dei Temptations (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ain’t Too Proud To Beg</i>),<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>sia
quello delle Ronettes, di Darlen Love e di Dion o di Marvin Gaye (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ain’ That Peculiar) </i>o Curtis Mayfield (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Gypsy Woman</i>), di Sam Cooke (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Havin’ A Party) </i>e i Drifters (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Under The Boardwalk</i>) , di Solomon Burke
(<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Down In The Valley</i>) e di Gary U.S
Bonds, di Dobie Gray (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Drift Away</i>) e
di Bobby “Blue” Bland ( <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Turn On Your Love
Light),</i> di Wilson Pickett (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Funky
Broadway, Midnight Hour</i>) e di Ernie K.Doe, di Eddie Floyd (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Raise Your Hand</i>) e di Edwin Starr (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">War</i>), di Sam&Dave (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Soothe Me</i>) e di Arthur Conley (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Sweet Soul Music), </i>di Rufus Thomas (<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Walkin’ The Dog</i>) e della Detroit Medley,
non era quella colata di zucchero filato che esce dai quindici ripescaggi di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Only
The Strong Survive, </i></b>decisamente più orientato verso il lato più morbido
del genere, quasi innocuo visto che di temi su diritti civili e razzismo di cui
le canzoni soul sono piene, qui non c’è traccia. Eppure l’intento di
Springsteen era rendere giustizia agli autori di quella musica gloriosa ed in più
in generale alla Black America; ha preferito soffermarsi invece sugli
struggimenti del cuore, le lacrime e la tristezza di un abbandono, e in un
periodo di divisioni come questo può suonare terapeutico, anche se la sua
storia sembrava più coerente con l’intensità e quella profondità di impegno
sociale dei suoi testi o in ambito di cover, di lavori come le <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Seeger
Sessions.</i></b> Non avrebbero sfigurato Donnie Hathaway, Marvin Gaye, Otis
Redding e Curtis Mayfield tra gli autori scelti per il nuovo disco, piuttosto
che un baricentro spostato verso Motown, Philly Sound e sviolinature a destra e
a manca. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Poche concessioni alla Stax, alla
Hi Records, alla Atco, alla Fame, a Memphis e Muscle Shoals, quando va bene c’è
la ripresa di un brano “minore” della Motown di Frank Wilson, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Do I Love You (Indeed I Do) </i>che<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>swingata ad hoc è uno dei pezzi più
trascinanti dell’album, al contrario dell’altro singolo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Nightshift</i> dei Commodores che invece è una precisa opzione,
estetica e culturale. Il vecchio Bruce ci aveva promesso meraviglie e credevamo
che la storia fosse andata avanti all’infinito perché accanto alla storica soul
music arrivarono nel suo background gli Animals, i Beatles, i Rolling Stones, i
Manfred Mann, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis, Roy Orbison e allora disorienta pensare
ad un artista che oggi si diverte con un soul così annacquato e lontano dalle
sue radici. Libero di fare ciò che vuole, benintesi e non contesto l’idea di un
disco di soul music ma di quali arrangiamenti, di quali canzoni selezionate e di
una veste sonora interamente in mano al solo <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Ron Aniello </b>( secondo chi scrive il responsabile del decadimento
musicale del nostro), salvo sporadici interventi (Sam Moore), i cori e i fiati
dei E-Street Horns. Non per forza di cosa attingere al repertorio di Otis
Redding, di Wilson Pickett, di Solomon Burke, di Sam&Dave o di Curtis
Mayfiled voglia dire recuperare i loro hits e gli standard, perché la musica soul
costituisce un bacino così ampio da permettere brani meravigliosi anche se poco
noti. Basta sentire cosa hanno fatto Eddie Hinton e Willy DeVille, Paul Rogers
e Boz Scaggs, o addirittura l'amico Southside Johnny, per rimanere tra alcuni visi pallidi del rock che hanno cantato
il soul.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Bruce Springsteen ha scelto
altrimenti evocando l’America dell’innocenza con canzoni peraltro piacevoli da
ascoltare alla radio o durante la tombola natalizia, un album carino e innocuo (
termini che non avrei mai pensato di usare per una recensione di un disco del
Boss), più che soul un disco pop e vintage.<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i></b><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Poca anima e interpretazioni spesso didascaliche,
rari i guizzi, tantomeno il coraggio nel trasformare un vecchio brano in
qualcosa di veramente “suo”, assenza di una band, anche fossero dei sessionmen,
dominano invece gli arrangiamenti ampollosi e carichi (il soul ha bisogno di
archi, violini e trombe ma non è obbligatorio estenderli in tutti i brani), la
sensazione è di un professionale lavoro di consolle. <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Sam Moore </b>il nome che più lega questo Springsteen al soul con cui
infiammava i concerti degli anni settanta e ottanta interviene <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Forgot
To Be Your Lover</i>, dal repertorio dei <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Four
Tops </b>arrivano <i style="mso-bidi-font-style: normal;">When She Was My Girl </i>con
un taglio dance da Philly Sound ( la incisero nel 1981 per la Casablanca quando
già dominava la Disco music) e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">7 Rooms of
Gloom </i>incalzante e sincopata come nello stile del quartetto di Detroit,<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>mentre dagli archivi del southern soul esce
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Any Other Way </i>di William Bell. Sono
tra le cose migliori del disco, quest’ultima impreziosito da un buon lavoro di
sax nelle retrovie. L’arcinota <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Don’t Play
That Song </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>si nutre di un imponente
supporto corale come fosse una registrazione live ma è gigiona nel cercare
l’applauso facile, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Someday We’ll Be
Together </i>di Diana Ross e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">What Becomes
of the Brokenhearted</i> di Jimmy Ruffin metterebbero in piedi tutto il Cesar’s
Palace di Las Vegas. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 12pt; line-height: 115%;">The Sun Ain’t Gonna Shine Anymore </span></i><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 12pt; line-height: 115%;">degli
Walker Brothers, un singolo che amavo molto da ragazzo, è in pompa magna, enfatico
da morire, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Turn Back The Hands of Time </i>portata
al successo da Tyrone Davis nel 1970 è un altro degli episodi in cui la voce di
Bruce svetta espressiva e forte ma anche qui le orchestrazioni si sprecano, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Hey,</i> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Western
Union Man</i> di Jerry Butler, autore anche della canzone che dà il titolo
all’album (la versione di Presley possedeva ben altra sensualità),<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>mostra l’autorevole vocione del Boss in
un guizzo coraggioso e ben assestato, ma se Aniello non avesse calcato la mano
con gli archi avrebbe avuto ben altro impatto. Cosa che si ripete in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I Wish It Would Rain </i>dei Temptations
dove la malinconia di un uomo lasciato da una donna che si augura che la
pioggia nasconda le sue lacrime, è stemperata da una interpretazione che sa di
riscatto.<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> Nightshift </i>si apre con le
tastiere di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">The Streets of Philadelphia </i>e
poi cita Marvin Gaye e Jackie Wilson e sintetizza l’intero album, una
sensazione di formale eleganza in un copione rispettato alla lettera. Disco inutile.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">MAURO ZAMBELLINI<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>NOVEMBRE 2022</span></b><span face=""Arimo","sans-serif"" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;"> <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i></b><o:p></o:p></span></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com126tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-76104198316653715782022-10-21T11:55:00.000+02:002022-10-21T11:55:00.089+02:00LO SPAVENTAPASSERI<p align="JUSTIFY" style="line-height: 115%;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVYT_Goc-_0INGL5jizvFve5ASF1BwSLRqcZzVkhlJ30mcE4s6KtQxbee9ssSRCcZqSiSYQCnLvneCNQt5u8yteWX-Wq1Nc1jbtEhkADzdSPf-Kn7VlEt_3cxBYcoOyrc2H6Ii_4nCx5jlwcNWj40DcnweTqeVaWem3RZT9s4_SWrnVDrFnE0U0TGJaw/s960/scarecrow%202.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="958" data-original-width="960" height="319" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVYT_Goc-_0INGL5jizvFve5ASF1BwSLRqcZzVkhlJ30mcE4s6KtQxbee9ssSRCcZqSiSYQCnLvneCNQt5u8yteWX-Wq1Nc1jbtEhkADzdSPf-Kn7VlEt_3cxBYcoOyrc2H6Ii_4nCx5jlwcNWj40DcnweTqeVaWem3RZT9s4_SWrnVDrFnE0U0TGJaw/s320/scarecrow%202.jpg" width="320" /></a></div><br /><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><br /></span><p></p><p align="JUSTIFY" style="line-height: 115%;"><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">Solo
tre anni prima <b>John Mellencamp</b>, nato il 7 ottobre del 1951 a
Seymour nello stato dell’Indiana, aveva sbancato le classifiche
americane con un furbo connubio di pop e rock che raccontava di due
adolescenti americani, <b>Jack and Diane, </b>che si affacciavano
alla vita con i loro sogni, i loro desideri e le loro paure. Col nome
di John Cougar era di colpo diventato un <i>teen idol </i>nonostante
nell’ambiente musicale avesse evidenziato un carattere non proprio
docile e accomodante, abbandonando di colpo le interviste, schernendo
i giornalisti che non gli andavano a genio e mostrando quell’
atteggiamento ribelle che il titolo dell’album del 1982 contenente
quell’hit ben sintetizzava : <i><b>American Fool. </b></i>Tre anni
dopo il Cugaro si era trasformato in John Mellencamp pur preservando
ancora tra nome e cognome il riferimento al felino americano, e con
Willie Nelson e Neil Young allestì a Champaign nell’Illinois una
delle manifestazioni di beneficenza più durature nel tempo, il Farm
Aid, un concerto per raccogliere fondi in aiuto ad agricoltori e
braccianti del Midwest messi in ginocchio dalle restrizioni nei
prestiti delle Farmers Bank, frutto del feroce clima dell’era
Reagan. Un evento che è continuato per anni e lo ha visto
protagonista, una tangibile prova di solidarietà che ha fruttato
fino ad oggi 60 milioni di dollari da devolvere a contadini in
difficoltà e alle loro famiglie. Un cambiamento repentino quindi, da
scapestrato ragazzo della porta accanto ad artista sensibile alle
istanze sociali del suo paese. In mezzo c’era stato un album che
aveva fatto presagire il cambio di passo, pur riconoscendo ad
<i><b>American Fool </b></i>un solido impianto rockista costruito su
un tuonante bam-bam ritmico che concedeva margini a canzoni pop
assolutamente non banali, <i><b>Uh-Uh </b></i>aveva alzato il tiro
con tutti quei riferimenti rollingstoniani nel suono e quella
canzone, <i>Pink Houses</i>, che senza tante metafore diceva delle
miserie causate dall’amministrazione repubblicana. Il suo
songwriting era maturato ed era sotto gli occhi di tutti, ma quando
in giovane età aveva parlato di amore e ragazze il suo scrivere non
era mai apparso futile e ancora prima di <i>Jack and Diane, </i>la
sua <i>I Need A Lover,</i> grazie a Pat Benatar, aveva acchiappato i
cuori dei teenagers americani. Canzoni che filavano spedite grazie ad
uno schietto e diretto rock n’roll a stelle e strisce cantato come
facevano i “negri” della Stax e outsider come <b>Mitch Ryder</b>.
Un universo di <i>american music</i> incamerato in un suono asciutto
e tagliente ma dotato delle giuste melodie, una veste che negli anni
ottanta lo proiettò nel coast to coast della ballata rock,
insieme a Springsteen, Tom Petty, Bob Seger. </span>
</p><p align="JUSTIFY" style="line-height: 115%;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDs6CpyEGExCqRTM4B_SWhutP4JETofSBRUZKT1RrVgALgtUeRK4q7BELh0osj9f-t9cwd80AnaZjx3WkZmdDXgEYOOY4ruJe4bLWFMFfGitxWVxbM-zO9DaWlWQs9sS1QHtVk_YxlDiwGpMYXHlIIL2efeIuKO-JiUS9hACJr8QZm8LBmYlcgUyf5dA/s480/scarecrow%203.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="319" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDs6CpyEGExCqRTM4B_SWhutP4JETofSBRUZKT1RrVgALgtUeRK4q7BELh0osj9f-t9cwd80AnaZjx3WkZmdDXgEYOOY4ruJe4bLWFMFfGitxWVxbM-zO9DaWlWQs9sS1QHtVk_YxlDiwGpMYXHlIIL2efeIuKO-JiUS9hACJr8QZm8LBmYlcgUyf5dA/s320/scarecrow%203.jpg" width="213" /></a></div><br /><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><br /></span><p></p>
<p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">Ma
è il 1983 l’anno del cambiamento, quando Mellencamp sotto lo
pseudonimo di Little Bastard produce </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Uh-Uh</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
assieme </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Don
Gehman, </b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">un
produttore coi fiocchi che ha firmato i lavori di R.E.M, Blues
Traveler, Jimmy Barnes, Hootie and The Blowfish, ristampe di Clapton
e Neil Young e con lo stesso Mellencamp ha messo a punto il magnifico
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Hard
Line </b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">dei
Blasters a cui il </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>piccolo
bastardo </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">regalò
la bellissima </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Colored
Lights. </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">E’
il significativo prologo di </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Scarecrow</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">,
pubblicato solo un anno dopo </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Born
In The Usa, </b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">nell’autunno
del 1985, ed in qualche modo parente per la sincerità con cui
racconta quell’America che un tempo si riconosceva e trovava
rifugio nel rock nì’ roll, oggi dispersa in una frammentazione
sociale che è specchio della politica in atto. </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Scarecrow
</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"> (il
mio album preferito di Mellencamp pur nella difficoltà di scegliere
un possibile </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>the
best </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">in
una discografia così copiosa e di altissimo livello) è il frutto
dell’evoluzione artistica del personaggio senza che venga tradito
di una virgola l’ ambiente umano da cui proveniva ed il cammino che
lo aveva portato fino a lì, una progressione nel segno di un
riconoscimento del proprio passato e contemporaneamente
l’acquisizione di una rinnovata consapevolezza sociale. Con </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Pink
Houses </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">John
Mellencamp aveva dato un senso a tutto </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Uh-Uh,
</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">in
quei versi “</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>oh
but ain’t that America for you and me, ain’t that America were
something to see, baby, ain’t that America, home of the free,
little pink houses for you and me”</i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
c’era il dichiarato rifiuto di camminare su una strada facile dando
un seguito ad </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>American
Fool, </b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">e
in quel coro risuonava un misto di ironia patriotica e ambiguità
populista con un plausibile riferimento a </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Woody
Guthrie</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">.
Ma è con </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Scarecrow
</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">che
Mellencamp si fa carico di una visione sociale ancora più compiuta e
profonda, in primis con canzoni come </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Rain
On The Sacrecrow, The Face of the Nation </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">e
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>You’ve
Got To Stand for Something. </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">Benintesi,
nessuna delle canzoni del disco è esplicitamente politica ma in modo
istintivo, rabbioso, passionale l’artista si libera di alcuni
condizionamenti del music business e sente il bisogno di dire la sua
sul mondo e sull’America. </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>The
Face of the Nation </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">è
un violento atto d’accusa contro i sogni distrutti di persone
lasciate indietro dalle promesse di un mondo hi-tech fatto di
inaccessibili possibilità. Un popolo di vecchi, di bimbi che
piangono e di gente rimasta senza lavoro a cui il cantante non offre
soluzioni concrete (è d’altra parte solo un musicista) ma li
esorta ad una semplice, umana perseveranza. Soffia il </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Dylan</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
di </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>The
Times They Are A-Changin’ </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">ma
vent’anni prima le persone della sua terra, il Midwest, non stavano
perdendo le loro fattorie al ritmo di una ogni cinque minuti. In </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Rain
On The Scarecrow, </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">co-scritta
con l’amico </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>George
Green</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">,
la musica acuisce la drammaticità di una situazione familiare che è
diventata mancanza di prospettive, e culmina in una sorta di inno
dell’ heartland rock: </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Scarecrow
on a wooden cross. </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><span lang="en-US"><i>Blackbird
in the barn, four hundred empty acres that used to be my farm. I grew
up like my daddy did, my grandpa cleared this land, when I was five I
walked the fence, while grandpa held my hand. </i></span></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">Nella
magnifica </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>You’ve
Got To Stand for Something </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">non
spiega in modo specifico ciò che dovremmo aspettarci ma attraverso
una litania di immagini, dai Rolling Stones a Fidel Castro passando
per Johnny Rotten, i Who, le Pantere Nere, Marlon Brando e Kruscev,
un uomo che cammina sulla luna e Miss America, il messaggio è
chiaro: difendi la tua verità e come quella verità si collega alla
tua esperienza del mondo. “</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>So
che il popolo americano paga un alto prezzo per la giustizia e non so
perché, nessuno sembra sapere perché, conosco tante cose ma non ne
conosco altrettante”, </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">l’unica
cosa di cui Mellencamp sembra certo è che “</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>dobbiamo
iniziare a rispettare questo mondo o si girerà e ci morderà il
viso</i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">”.
L’ artista ha scelto di manifestare le sue posizioni in modo
esplicito, esprimendo un punto di vista forte proprio nel momento in
cui sarebbe stato più semplice per lui sdraiarsi su soluzioni più
facili ed immediatamente commerciali. </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwzAxrtFoQ8aw2QzsBT41-EJgQGm1138YPpsT4wi8wfr-advLHZo9xGDEDgq-G1uFUu6UeQ8ax68uXnO7ToBAjLGTnrgjuMbG0_67hd4rycMherWxBpt2d6GmJc-e8QX54b8Q1Ykq96h23mQRBQBEyrYEgiabfqDCptVMCxUzM1ykbv5t3AQgzRlp1dQ/s847/scarecrow%204.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="451" data-original-width="847" height="170" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwzAxrtFoQ8aw2QzsBT41-EJgQGm1138YPpsT4wi8wfr-advLHZo9xGDEDgq-G1uFUu6UeQ8ax68uXnO7ToBAjLGTnrgjuMbG0_67hd4rycMherWxBpt2d6GmJc-e8QX54b8Q1Ykq96h23mQRBQBEyrYEgiabfqDCptVMCxUzM1ykbv5t3AQgzRlp1dQ/s320/scarecrow%204.webp" width="320" /></a></span></div><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><br /></span><p></p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">Dal punto di vista
specificatamente musicale </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Scarecrow,
</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">registrato
al Belmont Mall, uno studio allestito in quei giorni dall’artista
sulla Route 46 nelle vicinanze di una stazione di servizio e di un
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>truckstop
cafè, </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">è
un riuscito insieme di crudo rock stradaiolo con un lontano sapore
Creedence, colpi di R&B di matrice Memphis ed un po’ di urlacci
alla James Brown, il tutto esibito con energia, sincerità e feeling.
Il cantato, come la scrittura e l’apporto strumentale, sostenuto
dalla coppia di chitarristi </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Larry
Crane</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"> e
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Mike
Wanchic</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
e dalla tuonante sezione ritmica di </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Toby
Myers</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">,
basso, e </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Kenny
Aronoff</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">,
batteria, è appassionato, molte delle canzoni sono scritte in una
chiave più bassa rispetto agli album precedenti così che la voce
goda di una ampiezza maggiore, un fattore che consente più melodia.
Il sound è un perfetto matrimonio di semplicità tecnica e musicale,
le ringhianti chitarre di Crane e Wanchic si allacciano al potente
drumming di Aronoff e dopo anni di gavetta la band è diventata una
estensione vivente del songwriter, uno strumento per disegnare la sua
musica. Ci fu pure un cambiamento nel modo di porsi dell’artista,
l’ amico George Green co-autore di due brani del disco, arrivò a
dire che “</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>aveva
imparato a dire per favore e grazie e nonostante lo spirito ribelle
si sentiva più felice anche se non ancora soddisfatto”. I
Can’t get no satisfaction, </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">il
suo amore per i </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Rolling
Stones</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
più che nelle dichiarazioni lo si rintraccia nel sound di molti
dischi, a parte </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Uh-Uh
</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"> mi
va di ricordare </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Nothin’
Matters and What If I Did</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
del 1980 e </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Whenever
We Wanted </b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">del
1991. Anche </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Scarecrow
</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">non
fa mistero di quell’amore, forse più nei brani di carattere
personale che in quelli di taglio sociale. Il range è vario,
nell’allegoria country-folk di </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Minutes
to Memories, </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">un
vecchio su un Greyhound racconta ad un giovane quanto ha
imparato nella vita grazie al lavoro e alla famiglia, ma alla fine il
giovane pur riconoscendo la visione del vecchio si ostinerà a fare
di testa sua, pagando un caro prezzo, fino a che nell’ultima strofa
ricorderà </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>quel
vecchio uomo sul bus ed ora che sono diventato vecchio anche io
capisco che aveva ragione”. </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">In
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Lonely
Ol’Night</i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">,
un incalzante rock alla Creedence con un pizzico di distorsione
elettrica, due amanti si ritrovano lacerati da bisogni
insoddisfatti e paure, come se </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Jack
and Diane </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">anni
dopo non fossero più giovani ed innocenti ma posti di fronte alla
difficile situazione di mantenere l’amore, un dilemma sulla
condizione umana che si sfoga nel ritornello “</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>she
calls me baby, she calls everybody baby, it’s lonely ol’ night
but ain’t they all”.</i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
Il duetto con </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Ricky
Lee Jones</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
in </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Between
a Laugh and a Tear </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">è
l’episodio più dolce e romantico del disco, una ballata sul
desiderio di raggiungere un equilibrio nella vita tra sorrisi e
lacrime, una atteggiamento molto diverso da quello espresso in
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>American
Fool. </b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">La
scoppiettante </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Rumbleseat
</i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"> sparge
buon umore, il senso positivo con cui affrontare ed esorcizzare i
conflitti viaggia sulle note di un suono Stax, è un possibile
antidoto alla depressione, e </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>R.O.C.K
In The Usa </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">è
quello che dice il titolo, una corsa al ritmo del rock n’roll con
un testo che suona come un ode ai santi dell’</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>american
music</i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">.
“</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Dissero
arrivederci alle loro famiglie, salutarono gli amici, con qualche
sogno in testa e pochi soldi in tasca, alcuni bianchi, altri neri,
con quel po’ di fede che bisogna sempre avere roccarono gli States.
</i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><span lang="en-US"><i>C’erano
Frankie Lymon, Bobby Fuller, Mitch Ryder, Jackie Wilson, Shangri Las,
gli Young Rascals, Martha Reeves, per non dimenticare James
Brown. </i></span></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Venivano
dalle città e dalla provincia, suonavano sulle macchine con chitarre
e rullante e facevano goin’ crack boom bam”. </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">Il
ruvido e arrabbiato rock n’roll </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>The
Kind of Fella I Am </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"> ha
una slide alla Ron Wood che accarezza il blues, gli Stones sono anche
in </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Justice
and Independence’85 </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">.
Ma è </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Small
Town </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">a
fare di </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Scarecrow
</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">una
sorta di concept album sull’età che avanza. Diverse canzoni
ritraggono umori e aspetti della vita e del passato del songwriter
anche se la metafora della </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>piccola
città </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">induce
ad una visione sociale sulle aspirazioni e frustrazioni di quel
Midwest fregato dalla modernità e dal liberismo esasperato.
Introdotta da </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Grandma’s
Theme </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">dove
Mellencamp con la chitarra acustica accompagnare la flebile voce di
sua nonna Laura cantare il vecchio folk </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>The
Baggage Coach, Small Town </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">è
una magnifica ballata, la risposta </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>blue
collar </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">alla
muscolare </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Born
In The Usa </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">del
collega Springsteen, ed è uno dei titoli più rappresentativi del
suo songbook. </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>John
Cascella</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
aggiunge le tastiere, Kenny Aronoff è un martello pneumatico, il
violino ne sottolinea il mood provinciale, spesso si parla di
perfezione, in questo caso la si raggiunge.</span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoPtKaXY9zKYQocz3uajgbSo7u7WqRawucLXAtwoA0YXsvgkYpmfuV6GBZqgFiQ6JWaY1lnc_iCgZ1ci1qWHcOcW6CJgH1U43VAGLISeVesjNlMUc-pUQIcyRsZTTNikNpBHXILSDENjoUgZOm6ibt2yxoZcgFwi-M9XHm_Jg9GDzzGv6DgcY1Mk0KYg/s285/scarecrow%206.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="284" data-original-width="285" height="284" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhoPtKaXY9zKYQocz3uajgbSo7u7WqRawucLXAtwoA0YXsvgkYpmfuV6GBZqgFiQ6JWaY1lnc_iCgZ1ci1qWHcOcW6CJgH1U43VAGLISeVesjNlMUc-pUQIcyRsZTTNikNpBHXILSDENjoUgZOm6ibt2yxoZcgFwi-M9XHm_Jg9GDzzGv6DgcY1Mk0KYg/s1600/scarecrow%206.jpg" width="285" /></a></span></div><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><br /></span><p></p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">Undici canzoni non fanno
la rivoluzione ma danno sicuramente coraggio, in piena era reaganiana
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>Scarecrow
</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">si
ergeva come un baluardo, l’urlo critico del rock n’roll, un album
epocale che il tempo non ha scalfito, contrariamente ad altri dischi
degli anni 80 grazie ad un sound che era già classico al momento
della sua pubblicazione. Giusto celebrarlo con una </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Super
Deluxe Edition</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">
ovvero l’originale rimixato e rimasterizzato ed un ulteriore disco
di rarità ed inediti. Due le canzoni mai pubblicate prima: </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Carolina
Shag </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">aperta
da una rullata alla Aronoff è polveroso e scapigliato
heartland rock perfettamente in sintonia con l’album originale,
ottimo, </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Smart
Guys </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">mantiene
una connotazione anni ’80 e sembra più che altro una out-takes di
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i><b>American
Fool</b></i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">,
più intrigante è la versione di </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Shama
Lama Ding Dong </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">con
quei coretti soul, i fiati R&B e quell’aria da party che gli
aprì le porte della colonna sonora del film </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Animal
House </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">grazie
alla versione di </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><b>Otis
Day and The Knights</b></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">.
Due le out-takes di </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Small
Town: </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">un
demo acustico di poco più di un minuto ed una bella versione folkie
con tanto di violino e mandolino ad anticipare il futuro Mellencamp
degli Appalachi. I demo di </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Between
Laugh and a Tear </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">e
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Rumbleseat
</i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">sono
prototipi acustici di ciò che verrà poi fuori con la band mentre i
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>rough
mixes </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">interessano
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Lonely
Ol’ Night </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">poco
diversa dall’originale, </span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>R.O.C.K
In The Usa </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">a
cui è stata aggiunta nel mezzo una tastiera Farfisa e l’incisiva
</span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;"><span style="font-size: small;"><i>Minutes
to Memories </i></span></span><span style="font-family: Arimo, sans-serif;">declinata
folk-rock. </span><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">A partire da </span><i style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;"><b>The Lonesome Jubilee </b></i><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">si è parlato delle radici folk di John Mellencamp ma negli anni di </span><i style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;"><b>Uh-Uh </b></i><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">e </span><i style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;"><b>Scarecrow </b></i><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">forte era l’influenza che la musica nera esercitava sul nostro, le due cover qui riportate mostrano quello “stato d’animo”. Il lato melodico della soul music con tanto di cori doo-wop in puro stile sobborgo newyorchese risuona nella bella interpretazione di </span><i style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">Under The Boardwalk</i><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;"> dei </span><b style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">Drifters</b><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;"> pur personalizzata dal raffinato lavoro di chitarre acustiche/violino e voce crooner, il lato selvaggio del funk esce invece nella focosa versione di </span><i style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">Cold Sweat </i><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">di </span><b style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">James Brown, </b><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">assoluto punto di riferimento come performer.</span></p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;">Con queste aggiunte <i style="font-weight: bold;">Scarecrow </i>brilla ancora di più confermandosi una delle opere più significative per temi e musica del rock americano anni ottanta, attuale anche oggi.</span></p><p style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;"><span style="background-color: #f8f9fa; font-family: Arimo, sans-serif;"><b>MAURO ZAMBELLINI</b></span></p><pre class="western" style="background: rgb(248, 249, 250); line-height: 115%; margin-bottom: 0.5cm;"><br /></pre><pre class="western" style="background: #f8f9fa; line-height: 115%; margin-bottom: 0.5cm; text-align: justify;"><br /></pre>
<pre class="western" style="background: #f8f9fa; line-height: 115%; margin-bottom: 0.5cm; text-align: justify;"><br /></pre><p> </p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com50tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-79640649098435051192022-09-15T15:12:00.002+02:002022-09-15T15:12:43.510+02:00ASPETTANDO COLOMBO Una storia degli anni settanta<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiS3Hl_N5iSj9FMiPlSkFbJbSY4dNUqvz2XF0JnJ8nm_I3lWJuOiTL2zSSBzz_zbpRl1-m12DvMIoLYEwQhuznJWhOZ_azdIhIrLGwyNhHI4i0YuqyXVm1mdbpPh4m6shpLGIfA62ciV5U9RXzimq7TTJhQQ2fql9BAEpXfmk-gHj43ti5Q4YVcCdWz5w/s522/waiting%20for%20columbus.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="522" data-original-width="522" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiS3Hl_N5iSj9FMiPlSkFbJbSY4dNUqvz2XF0JnJ8nm_I3lWJuOiTL2zSSBzz_zbpRl1-m12DvMIoLYEwQhuznJWhOZ_azdIhIrLGwyNhHI4i0YuqyXVm1mdbpPh4m6shpLGIfA62ciV5U9RXzimq7TTJhQQ2fql9BAEpXfmk-gHj43ti5Q4YVcCdWz5w/s320/waiting%20for%20columbus.jpg" width="320" /></a></div><br /> <p></p><p class="MsoNormal"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Londra,
agosto 1977<o:p></o:p></span></b></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">La
ristampa in box contenente tre CD doppi riguardanti uno dei più prestigiosi
live in ambito rock mai pubblicati, ovvero <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Waiting For Columbus </i></b>dei Little Feat,
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>riavvolge
il mio nastro dei ricordi a proposito di uno degli episodi più fortunati<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>della mia esperienza di fan. L’anno era il
1977, lo stesso della nascita ufficiale del punk e della morte del Re del rock
n’roll, non un anno qualsiasi quindi ma venendo dalla periferia dell’impero ed ignaro
della rivoluzione in atto a Londra, mi misi in viaggio con un amico e le
rispettive fidanzate (una sarebbe poi diventata mia moglie) per una vacanza in
Irlanda, luogo sognato per i suoi paesaggi, la sua musica e i suoi alcolici ma
allora non ancora nel mirino delle agenzie turistiche. A quel tempo non
esisteva Internet, tutto girava in modo diverso, si partiva spavaldi ed
avventurosi senza sapere bene cosa avremmo trovato sul percorso, senza
prenotazioni e con qualche costosa telefonata internazionale per capire di
traghetti e passaggi. Unica garanzia erano gli indirizzi e le segnalazioni delle
guide turistiche Clup, edizioni universitarie allora in auge tra il pubblico
“alternativo” ancora a digiuno di Routard, almeno in Italia. Del tutto fortuito
poi incontrare, strada facendo, qualche concerto o avvenimento artistico
appetibile perché come detto, Internet non c’era e pure le riviste
internazionali di musica erano da noi di difficile reperibilità. L’unica cosa
su cui si poteva contare era la propria autovettura, la tenda, il sacco a pelo
e la piccola Bialetti per il caffè, salvataggio d’obbligo dai surrogati
d’oltralpe. Fuori dalle grandi metropoli, difatti, si ricorreva al campeggio,
per scelta e per economia e la Bialetti anche nei momenti più critici ti faceva
sentire a casa. Bisognava avere dimestichezza con le carte geografiche e
stradali ma quello è sempre stato un mio pallino tanto che anche oggi quando
faccio le escursioni motociclistiche non uso mai il navigatore a meno di non
trovarmi nel dedalo urbano di città come Lione o Marsiglia. Ricapitolando siamo
in quattro a partire da Somma Lombardo , ci sono le due fidanzate e l’amico
Friz (in realtà si chiama Maurizio ma in età di gioventù, 18 anni circa, dopo
una bevuta collettiva di frizzantino nel Circolo del paese vicino dove si andava
a rimorchiare le ragazze, tornando a casa coi rispettivi motorini lo trovammo
riverso a terra col suo Bianchi Falco 50cc e i 45 giri che gli avevamo affidato
perché si era soliti portare sempre appresso il mangiadischi, sparsi per tutta
la piazza. Fu naturale chiamarlo da lì in poi Friz ), direzione Nord,
attraversamento della Francia fino a Calais, imbarco per Dover e poi Londra.
Due giorni nella metropoli inglese e poi altra cavalcata fino in Galles a
Holyhead dove un altro traghetto ci avrebbe portato a Dublino. Naturalmente in
quell’era senza Internet e piuttosto avversi per spirito “alternativo” nonché
ideologico alle agenzie turistiche, capitava di arrivare a Calais e non avendo
nessuna prenotazione aspettare ore per il primo traghetto disponibile. Stessa
storia a Holyhead dove arrivammo in una notte buia e tempestosa e aspettammo
mezza giornata prima di imbarcarsi. Era il prezzo dell’avventura e andava bene così,
in fondo a guardar bene quel mondo meno globalizzato <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e più lento era più umano di quello attuale.
L’arrivo a Londra fu comunque problematico perché districarsi tra le sue vie con
la nostra Renault 4 guidando a sinistra e contemporaneamente cercando un hotel
adatto alle nostre tasche non fu per nulla semplice. Lo trovammo con la sua
unica stella dalle parti di Earl’s Court e l’impresa ci sembrò di grande
auspicio. Bagagli in camera, una doccia nel bagno comune in corridoio, e poi
via entusiasti e pimpanti alla scoperta della grande città. D’obbligo servirsi
della metropolitana ma prima di scendere nell’abisso delle linee londinesi
compro un giornale, non ricordo il nome, di quelli che ti dicono cosa fare in
città in termini di spettacoli, concerti, musei, ristoranti, club, cinema e chi
più ne ha ne metta. Già appassionato da anni di musica e al tempo conduttore di
Radio Varese 100 e 700, radio libera da me ribattezzata (è stato pubblicato
anche un libro a proposito)in maniera iperbolica come si usava tra situazionisti,
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">l’unica radio libera dell’occidente
occupato, </i>mi cade l’occhio su un trafiletto che annuncia quattro serate al
Rainbow Theatre dei <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Little Feat</b>.
Fermi tutti, panico, innalzamento improvviso della pressione arteriosa, aumento
del battito cardiaco. Conosco e apprezzo i Little Feat e l’occasione di
trovarseli a portata di mano, per di più casualmente, a Londra è un colpo di fortuna
che neanche se vendi l’anima nei crossroads del Mississippi ti riesce. Oggi
sapremmo tutto sei mesi prima riguardo al possibile tour inglese dei Feats,
anche in quale albergo alloggiano, ma quella era preistoria rock, un altro
mondo felice nella sua limitatezza di informazioni. Mi volto verso gli amici e
comunico che per qualsiasi cosa al mondo voglio andare al concerto dei Little
Feat la sera stessa. Di nuovo panico, ma degli altri. Friz li conosce
marginalmente anche se ha sempre avuto buon orecchio per la musica e rimane in
stand by, immediati musi lunghi per le due donzelle che manco sanno dell’esistenza
di Lowell George e compagni e sognavano una cenetta in qualche tipico pub
londinese. Accampano pretesti in difesa della loro resistenza, “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">ma senza biglietti è inutile andare</i>”
anche perché la scritta sold out a margine del trafiletto non lascia scampo, e
poi “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">il teatro sta dall’altra parte della
città ed è un casino arrivarci</i>”. Non indietreggio, loro possono fare ciò
che vogliono ma io vado in metropolitana dall’altra parte della città a vedere
i Feats, cascasse il mondo. Li avviso della eccezionalità dell’evento, dicendo
di una band che difficilmente esce dagli Stati Uniti, trovarsela lì a due passi
è una vera fortuna. Friz si lascia convincere e a questo punto è fatta, perché
due splendide ragazze, sole, a digiuno di inglese e geografia urbana, con
orientamento ai minimi termini e fondi limitati per il taxi, dove vanno? Non è
maschilismo ma <i style="mso-bidi-font-style: normal;">real politik</i> e <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>quindi il gioco è fatto. Adesso, penso dentro
di me, una volta che ho convinto la ciurma, la devo far entrare in toto in
teatro, e quel Sold Out di tutte le serate è piuttosto sinistro. Rischio di
fare la figura dello scemo se fallisco la missione, niente concerto e niente cenetta
al pub tipico. Musi lunghi per un paio di giorni. Ma quando si è giovani non si
ha paura di nulla. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Costruito negli anni
30 e conosciuto come Finsbury Park Astoria e divenuto <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Rainbow Theatre</b> nel 1971 dopo uno show degli Who, il teatro è stato
sede di centinaia di concerti, da Frank Zappa ai Faces, da Alice Cooper ai Pink
Floyd, da Bowie ad Eric Clapton, da James Brown ai Grateful Dead, dai Queen a
Marc Bolan, per non dire di King Crimson, Bob Marley, Ramones e Van Morrison.
La lista è lunghissima e i Little Feat sbarcarono lì la prima volta il 19
gennaio del 1975. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Arriviamo davanti al
teatro l’afosa sera del 2 agosto , c’è un po’ di ressa, il pubblico
diligentemente sta già varcando le porte ed effettivamente alle casse troneggia
“tutto esaurito”. Sul viso delle fidanzate appare un misto di rabbia e ghigno
soddisfatto, Friz è perplesso, io individuo in pochi minuti l’anello debole
della situazione. Nella hall, prospiciente l’entrata principale,
scordatevi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>security,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>metaldetector e i controlli di oggi (mi
ripeto, era un’altra epoca) scorgo un robusto <i style="mso-bidi-font-style: normal;">colored man</i> ( mi piacerebbe chiamarlo afromericano ma siamo in
Inghilterra ed evitatemi l’accusa di razzismo) addetto al taglio dei biglietti
di entrata. Gli giro intorno alla chetichella, incrocio il suo sguardo, in un
momento di pausa cerco di trovare un contatto orale con lui dicendogli del mio
lungo viaggio dall’Italia e del desiderio di vedere questa band, impossibile da
vedere alle nostre latitudini. Il tutto avviene furtivamente, con uno stentato
inglese ma con una mimica che non lascia dubbi. Gli ripeto che non sapevo del
concerto, altrimenti mi sarei munito di biglietti, insomma stabilisco una
spicciola complicità mentre i paganti entrano sparsi. Lui mormora qualcosa e
sorride, sembra suggerirmi una possibilità, che colgo al volo e da buon
italiano dico agli altri tre di starmi appresso e non proferire verbo, solo
seguire i miei passi. Mi avvicino al tipo di colore e gli allungo di nascosto
delle sterline, stropicciate, se ricordo bene l’equivalente di un paio di
biglietti. Lui non proferisce parola, le impugna come fossero dei ticket, se le
tiene strette in mano, si sposta <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>guardando<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>l’orizzonte ed io mi infilo tra le tende del teatro portandomi dietro
gli altri tre. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Tu sei pazzo</i>, mi dice
quella che sarà la mia futura moglie, pazzo sì ma dentro il Rainbow Theatre, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>in attesa dei Little Feat che non sono quelli
del “dopo” ma quelli con Lowell George, cazzo. I problemi però non sono finiti
perché senza biglietti non abbiamo nessun posto assegnato. Ci sediamo vicini in
una postazione di buona visibilità ma non prestigiosa. Regola numero uno, è sempre
meglio volare basso specie se si è clandestini, ma arrivano i legittimi
detentori di quei posti per cui dobbiamo sloggiare. Facciamo un altro tentativo
ma solita storia, la paura è diventare sospetti che vagano senza meta. Con il sold
out è ingenuo aspettarsi posti vuoti a meno di qualche abbandono dell’ultimo
momento. Invito gli altri a sparpagliarsi ( ci ritroveremo uniti al momento
dell’encore tutti in piedi mischiati al pubblico plaudente, davanti a <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Mick Taylor</b> che suona <i style="mso-bidi-font-style: normal;">A Apolitical Blues </i>e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Teenage Nervous Breakdown</i>) prima
che<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>qualche “maschera” ci “avvisti” e ci
accompagni fuori tirandoci per le orecchie e dandoci un calcio nel sedere.
Altro che portoghesi, italiani! Così facciamo, per via che il teatro si riempie
e noto altre persone in piedi. Ci confondiamo e aspettiamo un po’ tesi l’inizio
del concerto. Poi mi sciolgo ed è un orgasmo perché l’esibizione sarà
eccezionale, trionfale, esaltante, con i Little Feat raggiunti in otto brani
dalla sezione fiati dei <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Tower of Power</b>
e da Mick Taylor fuoriuscito da poco dai Rolling Stones e ancora in perfetta
forma. Morale : ancora oggi l’amico Friz non smette di ringraziarmi per avergli
dato la possibilità di assistere ad un avvenimento così eccezionale, per di più
immortalato da uno dei dischi live imprescindibili nella storia del rock, <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Waiting
For The Columbus <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i></b>pubblicato nel
1978 e oggi documentato in modo perfetto e ampio dall’odierna ristampa deluxe
con l’aggiunta dell’intero concerto londinese del 2 agosto, di quello alla
Manchester City Hall del 29 luglio del 1977 e di quello al Lisner Auditorium di
Washington, D.C del successivo 10 agosto. Una band catturata al top delle
proprie possibilità, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>solo un anno prima
della improvvisa morte del suo leader <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Lowell George. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">E le
ragazze mi chiederete ? Mah, visto l’entusiasmo del sottoscritto non poterono
fare altro che buon viso a cattivo gioco ma di quel concerto non le ho sentite
più parlare, tranne che citare l’escamotage dell’ingresso in qualche serata tra
amici. Penso che dei Little Feat si ricordino poco, una l’ho persa di vista
tanti anni fa, l’altra divenuta mia moglie è andata in trance a Zurigo nel 1981
vedendo il Bruce Springsteen del periodo <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">The River </i></b><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i></b>giustamente perdendo la testa per
lui. Dopo Londra raggiungemmo comunque l’Irlanda e fu una vacanza felice. A
Dublino apprendemmo della morte di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Elvis
Presley</b> ma il rock n’roll continuò ugualmente a vivere e a riempire di
gioia la mia esistenza.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Mauro Zambellini</span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">N.B Il pezzo continua con la disamina della ristampa di Waiting For Columbus e sarà pubblicata, assieme al testo qui, sopra nel prossimo numero di Ottobre della rivista Buscadero.</span></p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com39tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-22703527685695674832022-07-11T20:35:00.003+02:002022-07-12T15:53:39.488+02:00GOV'T MULE CHIARI BLUES FESTIVAL 2022<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEju_zDTy-marvE5E7aRLCnDgAwJ8EitnrmFfx6cgtyezqcIRt7gbXoDY9xBkfLdQQQPA31Qm7M-qoLPo788bktqvuNQoQ7Yjpr6xDJwpd7NS73rXdD6ojXnkcjZZxaF7HkOHS43VPw3TulRuWq_Ir6la1wGSH5amcZktx-Bhz8Y4pEu2mjcVYNwnz6d5A/s2048/muli%205.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1366" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEju_zDTy-marvE5E7aRLCnDgAwJ8EitnrmFfx6cgtyezqcIRt7gbXoDY9xBkfLdQQQPA31Qm7M-qoLPo788bktqvuNQoQ7Yjpr6xDJwpd7NS73rXdD6ojXnkcjZZxaF7HkOHS43VPw3TulRuWq_Ir6la1wGSH5amcZktx-Bhz8Y4pEu2mjcVYNwnz6d5A/s320/muli%205.jpg" width="320" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">Inizio
col botto per il Chiari Blues Festival, tornato in pista dopo anni di lockdown.
Non poteva esserci cartello migliore per festeggiare il ritorno della musica di
qualità e anche la location è sembrata la più adatta per l’evento, una grande
tettoia di legno sostenuta da colonne di cemento aperta lateralmente per
fronteggiare l’implacabile caldo di quest’estate. Hanno cominciato alle 18.30 i
<b>Rusties</b> del cantante Marco Grompi
forti di una lunga avventura musicale all’insegna di <b>Neil Young</b> e di alcuni pregevoli dischi solisti. Meglio non poteva
esserci per instaurare delle <i>good
vibrations</i>, il loro sound è strettamente legato al folk-rock del canadese e
più in generale alla scena californiana anni ’70 con iniezioni di psichedelia,
ballate dolenti alla <i>southern man </i>ed
una nostalgica aria hippie ancora presente nei cuori e nelle orecchie di tanti
presenti. Grompi ha un’ugola studiata su quella di Young, le chitarre
sfrigolano acide, sezione ritmica e tastiere fanno il loro dovere, come
supporter sono perfetti e poi quando sul palco compare a sorpresa <b>Warren Haynes</b> le certezze sono due: che
l’americano sia tra i personaggi più veri ancora esistenti nel rock, capace con
nonchalance ed umiltà di unirsi ad una
band di sconosciuti italiani (non me ne vogliano Grompi e soci), e quello che
sarà un assaggio della magica serata si chiama <i>Cortez The Killer. </i>Tutti accontentati, una cavalcata selvaggia tra chitarre elettriche
che si incrociano e tagliano a note ventose, il sole è ancora caldo ma ancora
più calda è l’atmosfera che si crea al Chiari Blues Festival. Cambio di palco e
arriva <b>David Grissom</b>, rinomata
chitarra che fu di Joe Ely, John Mellencamp, Allman, James McMurtry e chi più
ne ha ne metta. Con lui è il bravo batterista <b>Archelao Flo Macrillò</b> e l’ex bassista di Rocking Chairs e Ligabue, <b>Rigo Righetti</b>. Basta un pezzo per confermare
quello che ho sempre pensato, David Grissom dà il massimo come sideman, quando
la sua chitarra graffia con assoli bollenti e spietati nei dischi e nei
concerti altrui, ma quando è lui il leader cede al virtuosismo della sua Paul
Reed Smith, chitarra amata dai narcisisti delle sei corde, ed il suo talento
va in overdose e diventa pesante e logorroico, fine a sé stesso. Può piacere a
coloro che amano certo rock chitarristico piuttosto tecnico tipo Steve Vai,
personalmente dopo il secondo brano mi alzo per andare a rinfrescarmi con una
birra.</span><span style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;">Tutt’altra
storia quando entrano in scena i giganti. </span><b style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;">Warren
Haynes</b><span style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;"> è dimagrito ma il suo viso dolce e serafico è un inno alla simpatia,
</span><b style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;">Matt Abts</b><span style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;"> bianco più di me sembra
più anziano di quello che in realtà è, </span><b style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;">Danny
Louis</b><span style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;"> è l’alchimista dietro un muro di tastiere e </span><b style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;">Jorgen Carlsson</b><span style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;">, capelli lunghi neri pare lì quasi per caso. Sembra
però, perché nelle quasi due ore di concerto mi sono accorto di trovarmi di
fronte al più grande bassista che la scena rock-blues oggi offre. </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCqmHQBBz_-cGAGT0xylmg1e11GYBV1xWVg5ENTbKjTcirkBNOxMyxk8816mPqfclbhGlslwEjML6K08wZBJe0s8IUohjLxivdSIyNYgewtp7WwFuN_5lO_yFNTolT5UmRTpbs3eWsYOSYk0BwBngPGXM9lyrSNbeTNkj6N9hh-ZvVFADUk7Zn_C9ZXA/s2048/muli%202.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1366" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCqmHQBBz_-cGAGT0xylmg1e11GYBV1xWVg5ENTbKjTcirkBNOxMyxk8816mPqfclbhGlslwEjML6K08wZBJe0s8IUohjLxivdSIyNYgewtp7WwFuN_5lO_yFNTolT5UmRTpbs3eWsYOSYk0BwBngPGXM9lyrSNbeTNkj6N9hh-ZvVFADUk7Zn_C9ZXA/s320/muli%202.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: Century, "serif"; font-size: 14pt;">Una roba
impressionante, uno stantuffo che supporta tutto il sound della band come fosse
una pompa elettrica che non smette mai di imprimere velocità e dare potenza,
amplificando una sezione ritmica già irrobustita dal drumming quadrato e
roccioso di Matt Abts. </span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLmH8mjiZM6Ak5h-idZVjQsJvojL91KJs42pb-jeeyJehYteEDxE5KlEsLFfKkK-jMyIBWg1MjHmhdGp3TSoMxPbpAR0uc3sbVoiziGWLaWqRwkfBFBw6MwjCGCWMRg7jwM6AWU5UXfbB0krWpopVLU9nY_YLtht0A8aJvC6PEzgpe95UuRC5H58dLkg/s2048/muli%203.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1366" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLmH8mjiZM6Ak5h-idZVjQsJvojL91KJs42pb-jeeyJehYteEDxE5KlEsLFfKkK-jMyIBWg1MjHmhdGp3TSoMxPbpAR0uc3sbVoiziGWLaWqRwkfBFBw6MwjCGCWMRg7jwM6AWU5UXfbB0krWpopVLU9nY_YLtht0A8aJvC6PEzgpe95UuRC5H58dLkg/s320/muli%203.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">I Gov’t Mule sono una band che non dà scampo, assolutamente
devastante anche quando, come nel caso della serata a Chiari, opta per un
set bluesato, profondo, scuro, quasi
intimo e da club, dimostrando che assistere ad un loro concerto è una
esperienza sensoriale, cerebrale, spirituale e visionaria, un trip senza
bisogno di additivi. Basta lasciarsi condurre dalla voce di Capitan Haynes e
dai suoi strumenti di benessere, la Les Paul e la SG Gibson, e dalla sua
composta ciurma di stregoni del sound. Peccato che il loro set abbia solo
lambito le due ore, abituato alle loro maratone del passato, ma in quei
centodieci minuti di show è sembrato raggiungere quel punto che gli Allman
chiamavano <i>hittin’ the note </i>ovvero il
momento spontaneo e naturale in cui si crea totale sinergia tra chi fa musica e
chi la riceve.</span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUFxYuGr0buqxW9GUtnCuH9s9ySS5Tlked2E3l8pfRX9BpBmJM-jOLDtDCd8kIaDyhkikYGcpjYxwIMseXd2B8B34LmM_BoB1RW2iYXd4VmcrA1GoXdZbuZCUX-diSjIBT9gLDxLSpVIr0QtmDktLleimsJjYuuhGhE4QmiSmK98t9Gb0wmzk4w_qoVA/s2048/muli%201.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1366" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUFxYuGr0buqxW9GUtnCuH9s9ySS5Tlked2E3l8pfRX9BpBmJM-jOLDtDCd8kIaDyhkikYGcpjYxwIMseXd2B8B34LmM_BoB1RW2iYXd4VmcrA1GoXdZbuZCUX-diSjIBT9gLDxLSpVIr0QtmDktLleimsJjYuuhGhE4QmiSmK98t9Gb0wmzk4w_qoVA/s320/muli%201.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"> Consumata esperienza ed una
passione a 360 gradi verso il rock ed il blues, questi sono i Muli, una
istituzione oggi come lo furono in passato gli Allman, i Little Feat, i Led
Zeppelin, i Cream. Cominciano lenti e quasi cantautorali con <i>Hammer and Nails, </i>ballata
che lascia spazio a Haynes di intervenire con un assolo tremendo, poi si riaffacciano
i Gov’t Mule jammati, caotici ed imprevedibili di <i>Thorazine Shuffle, </i>accolta da un boato, prima che l’album <b><i>Heavy
Load Blues </i></b> porti in scena alcuni
pezzi da novanta e sottolinei che questo è il suo tour. <i>I Asked Her For Water </i>è un blues da pesi massimi, sincopato e
greve, un katerpillar sonoro, <i>Make It
Rain </i>è spettrale e misteriosa come solo una canzone di Tom Waits può
esserlo, l’unisono tra esplosioni di chitarra e coreografia di tastiere trova il giusto teatro in una
scenografia di luci notturne e noir, è uno dei momenti più emozionanti del set.
Danny Louis con l’Hammond rifinisce e arrangia, il suo è un abbraccio che
funzione come un’orchestra. </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcVDD9c7PdQi0nAQzYj87f9NG5xMrGBeL7ncISsizEGQH25MUhIniyWtoRs5NPap4EVnpA-OiBU4NTK39WezK3PL_eYRstSDysSAPq4lsVNnOubE39zJkgJ3J3oIUk_i4fKib3TcGa-8hksE98a-j2givQ-ztlQ65qt6E-MPBVJDar20IQ4U8wSEKY5w/s2048/muli%207.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1366" data-original-width="2048" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcVDD9c7PdQi0nAQzYj87f9NG5xMrGBeL7ncISsizEGQH25MUhIniyWtoRs5NPap4EVnpA-OiBU4NTK39WezK3PL_eYRstSDysSAPq4lsVNnOubE39zJkgJ3J3oIUk_i4fKib3TcGa-8hksE98a-j2givQ-ztlQ65qt6E-MPBVJDar20IQ4U8wSEKY5w/s320/muli%207.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">L’arazzo tribale alle spalle del palco rievoca il fiammeggiante
passato quando il loro heavy blues si tingeva di colori psichedelici ma a
Chiari, complice un palco non faraonico, Haynes e compagni si immergono nella
dimensione blues che il loro recente album giustifica. E poi è un Festival
Blues, la versione rallentata di <i>Good
Morning Schoolgirl </i>è arte dell’interpretazione, e c’è spazio per l’assolo
di David Grissom, salito sul palco come invitato speciale, e<i> </i>così <i>Last Clean Shirt </i>di Leiber e Stoller. Si vorrebbe che il concerto
durasse ancora un’ora ma i Muli pur lavorando sodo, hanno ridotto i tempi delle
esibizioni, almeno per questo tour. <i>Mr.Man
</i>seguita da una vivace e corale <i>Soulshine
</i>chiude un concerto magnifico e diverso, secondo i loro standard, ossigeno
puro per quanti vivono di questa musica, lontana dal marketing e dallo
smargiasso avanspettacolo<i> </i>del nuovo e
moderno. I conti sono presto fatti, 70 mila per i Maneskin e due mila per i
Muli, va bene così, le rivoluzioni le hanno sempre fatte le minoranze.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"> </span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0cm;"><b><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;">MAURO
ZAMBELLINI LUGLIO 2022</span></b><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14pt; line-height: 115%;"> <o:p></o:p></span></p><p>
</p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com33tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-45460541102147575532022-06-25T12:42:00.000+02:002022-06-25T12:42:08.079+02:00DRIVE BY TRUCKERS Welcome 2 Club XIII<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2DBWIT8FJ5w1m323fyuFek9p8FnX_csblgG7uhzJ_uZYUUBYX8mxkAak92EAlmgoY304w4Irvq1JyWoTuUJ9Xg-SpzWNm9_DT7ttC4kEmg-u3eXzSBvxQgr-NEqzZhemAh-q_-hgckpEK6MusRg51Bk6R7cufra617s9kQw2OS0fixCo3j_lkgKbijg/s450/dbt%201.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="449" data-original-width="450" height="319" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2DBWIT8FJ5w1m323fyuFek9p8FnX_csblgG7uhzJ_uZYUUBYX8mxkAak92EAlmgoY304w4Irvq1JyWoTuUJ9Xg-SpzWNm9_DT7ttC4kEmg-u3eXzSBvxQgr-NEqzZhemAh-q_-hgckpEK6MusRg51Bk6R7cufra617s9kQw2OS0fixCo3j_lkgKbijg/s320/dbt%201.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p class="MsoNormal"><b><span lang="EN-US" style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: EN-US;"> </span></b></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Non
hanno perso tempo i Drive By Truckers durante il lockdown visto che in poco più
di un anno hanno pubblicato due album, <b><i>The Unraveling </i></b> e <b><i>The New Ok </i></b> e appena smorzata l’onda d’urto della pandemia
sono ritornati in tour promuovendo il nuovo disco <b><i>Welcome 2 Club XIII. </i></b>Lavoro
diverso dai due precedenti perché meno concentrato sul volto oscuro
dell’America di oggi tra predicatori religiosi, eroina di ritorno, sovranisti
di varia forma e natura, povertà e disgregazioni umane e sociali. <b><i>Welcome
2 Club XIII </i></b> nasce dai ricordi di
<b>Patterson Hood </b>quando giovane, negli
anni settanta, era costretto a farsi oltre due ore di macchina per trovare un
locale che facesse musica e servisse alcolici. La zona del Nord Alabama nei
pressi di Muscle Shoals dove Hood abitava era davvero desolata e proibizionista
e l’unica possibilità era raggiungere The Line, subito oltre il confine
statale, dove sorgevano alcuni honky tonk bar in grado di offrire birra fredda,
musica e risse. Uno di questi club si chiamava Club XIII e fu per lui una
specie di salvezza. Negli anni ottanta la situazione anche in Alabama divenne
più “liberale” ed in quel periodo Hood conobbe <b>Mike Cooley</b> col quale formò
gli Adam’s<b> </b>House Cat. Ma il Sud
continuava ad essere il luogo più contradditorio d’America e ogni due anni un
referendum costringeva i club e gli honky tonk bar a finanziare coi propri
introiti le chiese locali affinché queste potessero indottrinare i fedeli a tenere lontano dai propri paesi il diavolo
nascosto nella bottiglia. “ <i>Il
proprietario del Club XIII</i> <i>di tanto
in tanto ci organizzava un mercoledì sera o ci lasciava aprire per una band
hair-metal per la quale eravamo terribilmente adatti, e tutti stavano fuori
finché non finivamo di suonare. All'epoca non era molto divertente, ma ora lo è
per noi</i>”</span><span style="background: white; color: #212529; font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%; mso-bidi-font-family: Arial;">. </span><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">La
canzone che traina il nuovo album si intitola <i>The Drive</i> ed è una cupa narrazione adatta ad un road movie dalle
tinte noir segnata da un pesante riff di chitarra, nella quale Patterson Hood
evoca i suoi viaggi nel profondo della notte, quando, dopo essere uscito dal
club, con l’auto girovagava per campagne, sobborghi urbani, strade secondarie
ascoltando musica a palla, bevendosi qualche birra e perdendosi nel nulla.
Molti dei momenti più significativi della sua vita, dice Hood, arrivano da quei
vagabondaggi notturni e quando i DBT entrarono in scena, quei <i>late night drives to nowhere </i> furono sostituiti dai lunghi spostamenti per
raggiungere le città in cui si sarebbero esibiti. Quei ricordi antichi
costituiscono l’ input di un album dove il guardarsi indietro lascia spazio
all’amarezza che traspare dalle ballate, anche se non mancano episodi ascrivibili
al ruvido rock dei DBT. Il disco è nato quasi per caso nel corso di tre
frenetici giorni dell’estate del 2021 quando la band si unì per riannodare le
fila dopo i mesi di inattività imposti dalla pandemia. </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhik7f7GRSs_v1O4TK4yRDHPR3MR_uelU8NjhodqB3djYftYsvrzskm6KY2JWSmxuzEf3b1DsjITzNdbFK0PhQ8e06vLAEymCsRYDobJ9DOcVFeK5Xs_Ujb6UehkrAw8RX4zx1c1VKdmkDhp9iyI34drcvYXYuKRO9lc_naxomsve5vI694Ds3R8ZIyYg/s4032/paradiso%201.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3024" data-original-width="4032" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhik7f7GRSs_v1O4TK4yRDHPR3MR_uelU8NjhodqB3djYftYsvrzskm6KY2JWSmxuzEf3b1DsjITzNdbFK0PhQ8e06vLAEymCsRYDobJ9DOcVFeK5Xs_Ujb6UehkrAw8RX4zx1c1VKdmkDhp9iyI34drcvYXYuKRO9lc_naxomsve5vI694Ds3R8ZIyYg/s320/paradiso%201.jpg" width="320" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Registrato
sostanzialmente dal vivo con la produzione del solito <b>David Barbe</b>, <b><i>Welcome 2 Club XIII </i></b> mostra comunque nei testi elementi di feeling
positivo riconquistato a seguito dei lutti che hanno funestato l’entourage
della band e della rabbia “politica” espressa dai precedenti tre album, a cominciare
da <b><i>American
Land. </i></b>Permangono amarezza e malinconia ma è come se i Drive By Truckers
respirassero ora una sensazione di libertà dopo il lungo periodo di clausura
del lockdown. Anche i concerti attuali lo testimoniano, ormai loro sono una
macchina da guerra che non fa prigionieri, una grande rock n’roll band oliata
in tutte le sue componenti con un carismatico leader, Patterson Hood, un alter
ego, Mike Cooley, che ha sempre più spazio nel cantare e scrivere canzoni ed un
tastierista/chitarrista, <b>Jay Gonzalez</b>,
che è un vero jolly.</span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4gmgAFhVL63xs9AeOlm3wJkHlNObKPbDIKRK2zsjBhBSNJslOgjqqnoOSS_n4rrkjwInNTZC3dFPOYTrQiuuum18E9E2-2J0RqfJD7vLQgMJ0yQDSklu43uOG_cjA93pn1K7RHimj_Tb6aoL4HtepDd2ikPQC2-1btl15I3dKj0q-MyOtH6xE0xiRag/s4032/amsterdam%207.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3024" data-original-width="4032" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4gmgAFhVL63xs9AeOlm3wJkHlNObKPbDIKRK2zsjBhBSNJslOgjqqnoOSS_n4rrkjwInNTZC3dFPOYTrQiuuum18E9E2-2J0RqfJD7vLQgMJ0yQDSklu43uOG_cjA93pn1K7RHimj_Tb6aoL4HtepDd2ikPQC2-1btl15I3dKj0q-MyOtH6xE0xiRag/s320/amsterdam%207.jpg" width="320" /></a></div><br /> <o:p></o:p><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Se <i>The Drive </i> si cala in una misteriosa e plumbea atmosfera
notturna, la seguente <i>Maria’s Awful
Disclosure, </i>una delle composizioni firmate e cantate da Cooley, fa riferimento ai risvolti nazionalistici di
tanto clericalismo sudista con un sound di echi e riverberi fluttuanti in uno
spazio dai colori psichedelici dove si fa sentire il lavoro alle tastiere di
Jay Gonzalez. <i>Shake and Pine </i>è uno di quei brani in cui si avverte l’eredità
Muscle Shoals di Patterson Hood, quell’intreccio di country e soul mai troppo
definito qui svolto su un ritmo da marcetta, e la seguente <i>We Will Never Wake Up In The Morning </i>, ancora opera di Hood, è
dolente ed introversa, come se i DBT avessero il freno a mano tirato, ma è il mood necessario per
raccontare un’altra balorda storia del Sud. Una vera short story. Non mi fa per
nulla impazzire la canzone che dà il titolo all’album, piuttosto routinaria,
diversamente da <i>Forged In Hell and Heaven
Sent </i>brano dall’infarinatura country con un bel lavoro di chitarre e
l’apporto vocale di <b>Margo Price. </b>Strepitosa è <i>Every Single Storied Flameout, </i>un fiammeggiante rock di Mike Cooley
reso ancor più bruciante dagli interventi di sax e tromba e altrettanto bella è
<i>Billy Ringo In The Dark, </i>una
dondolante ballata pennellata di nostalgia dove l’inciso di lap steel ne
sottolinea l’umore crepuscolare. Chiude <i>Wilder
Days </i>scheletrica ballad che rimanda alla traccia iniziale per via dei
ricordi di giorni selvaggi in cui ci si credeva invincibili, oggi
irrimediabilmente segnati dalla nostalgia, sottolineata dai toni acustici e dall’acuto
vocale di <b>Schaefer Llana</b>.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgd26xobmu1NtU_3Rt-AFPmwj7id_lcOJXuXerYDOkyec3MFkFD5WspLWR0cUd0u65LxmTpBGM1CTBpMOHLsa7PA7jF-XYX8SfDdEIUQbjn7rPcH_wNxhqMPbSn_8DRxUsn9eChMRFw8q-ESRoWmTdjceODmUsCEeSfwHdGJb8BXSwX_NAbVd-66wc5-A/s4032/paradiso%205.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3024" data-original-width="4032" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgd26xobmu1NtU_3Rt-AFPmwj7id_lcOJXuXerYDOkyec3MFkFD5WspLWR0cUd0u65LxmTpBGM1CTBpMOHLsa7PA7jF-XYX8SfDdEIUQbjn7rPcH_wNxhqMPbSn_8DRxUsn9eChMRFw8q-ESRoWmTdjceODmUsCEeSfwHdGJb8BXSwX_NAbVd-66wc5-A/s320/paradiso%205.jpg" width="320" /></a></div><br /><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span><p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Lungi dall’essere il miglior disco dei Drive By Truckers, <b><i>Welcome
2 Club XIII </i></b>è lavoro dignitoso e
di nobile scrittura rivolto soprattutto alla storia dei protagonisti, dove più
che i ganci tipici del loro rabbioso e polveroso rock n’ roll conta un maturo e sardonico senso della
riflessione in ballate e canzoni che ne colgono il lato più personale.<o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi73YdP4xaa7Qn1R5U_byEvUtTgd5Xnnq2ElPMbMDU1vGlAO8YrbfhCCijf-C8SNqCfWLYBsgc96uA1DyJJBD2JxTr4I6DDv29k62C7OAcwbs3UE-cM8lsklhsbEU0d9GNmcSEVLoBozQt5hxG4ZbpEPFVkOf3h_NoLEIEeJlsYNnoUH2X9r32Ghs325w/s4032/paradiso%206.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3024" data-original-width="4032" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi73YdP4xaa7Qn1R5U_byEvUtTgd5Xnnq2ElPMbMDU1vGlAO8YrbfhCCijf-C8SNqCfWLYBsgc96uA1DyJJBD2JxTr4I6DDv29k62C7OAcwbs3UE-cM8lsklhsbEU0d9GNmcSEVLoBozQt5hxG4ZbpEPFVkOf3h_NoLEIEeJlsYNnoUH2X9r32Ghs325w/s320/paradiso%206.jpg" width="320" /></a></div><br /><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span><p></p><p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"> </span></p><p class="MsoNormal"><b><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">MAURO ZAMBELLINI
GIUGNO 2022</span></b><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"> <o:p></o:p></span></p><p class="MsoNormal"><b><span style="font-family: "Century","serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">foto di M.Z del concerto dei Drive By Truckers al Paradiso di Amsterdam del 6/06/22. Recensione concerto su Buscadero luglio/agosto</span></b></p><p>
</p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com16tag:blogger.com,1999:blog-7009680779013260313.post-52838137469504408632022-06-08T22:20:00.001+02:002022-06-08T22:20:14.363+02:00THE DREAM SYNDICATE Ultraviolet Battle Hymns and True Confessions<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhE3Z5Y4yUBRLzvK2QHlhThQy2-yySsh5Jx6bWdB7QZAkVimiiIwFZ1aJv2GNU_ha9HldOH6nPUznyuUcuQc-QpEvWcqFumL6-NqzKVPZrPFRSVvknN7Mx_1RC3kxiQZFYBIJQrJHgOlYViOoLi3KYhsBbUs6D9otn5GURHRxYLGCSgxBeyw3vBN0Y3nQ/s475/syndicate%202.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="475" data-original-width="475" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhE3Z5Y4yUBRLzvK2QHlhThQy2-yySsh5Jx6bWdB7QZAkVimiiIwFZ1aJv2GNU_ha9HldOH6nPUznyuUcuQc-QpEvWcqFumL6-NqzKVPZrPFRSVvknN7Mx_1RC3kxiQZFYBIJQrJHgOlYViOoLi3KYhsBbUs6D9otn5GURHRxYLGCSgxBeyw3vBN0Y3nQ/s320/syndicate%202.jpg" width="320" /></a></div><p></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Coerenti
con la loro natura ma nello stesso tempo rivolti ad una continua evoluzione, I
Dream Syndicate arrivano al quarto album dopo che nel settembre del 2017,
trenta anni dopo la loro nascita, sono ritornati in scena con <b><i>How
Did I Find Myself Here ?.</i></b> Un album quello che mostrava una continuità
con il passato quando venivano reputati tra i più geniali propositori del rock
californiano anni 80 altrimenti conosciuto come Paisley Underground, una
esuberante e feroce esplosione chitarristica e psichedelica nel cui dna
scorrevano inesorabilmente i germi malati dei Velvet Underground. Due anni dopo
<b><i>These
Times </i></b> evidenziava cambiamenti
più radicali con un approccio meno diretto e classico, piuttosto finalizzato ad
atmosfere lunari e malinconiche dove spuntavano schizzi elettronici sia per la
passione di Steve Wynn verso il kraut-rock che per la coproduzione di John
Agnello, già al servizio di Phosphorescent, Dinosaur Jr., Hold Steady e
Waxahatchee. L’equilibrio veniva definitivamente rotto nel 2020 con <b><i>The
Universe Inside, </i></b>album sperimentale costituito da lunghi brani evocanti
una possibile colonna sonora di un film psichedelico ambientato nelle strade di
New York, sporcato da flash di jazz elettrico, musica d’avanguardia europea,
prog e visioni oniriche. Un netto cambio di direzione, accattivante dal punto
di vista sonoro e visuale ma mancante di canzoni vere e proprie, cosa che
invece ha contraddistinto il songwriting di Wynn, aperto alle innovazioni ma sempre
in sintonia con un concetto di canzone rock. Immancabilmente il fertile e illuminato
Steve Wynn, uno dei più geniali autori ancora in circolazione in quel rock che
deriva dai classici, cambia le carte in tavole e pur non disconoscendo le
recenti mutazioni ripristina con <b><i>Ultraviolet Battle Hymns and True
Confessions</i></b> la vera essenza dei Dream Syndicate ovvero spazio alle
aperture sonore in virtù di una visione moderna e <i>progressiva </i>della musica ma senza privare l’ascoltatore di brani riconducibili
all’idea popolare e storica di canzone rock, pur in una fisionomia alterata e
underground.<o:p></o:p></span></p><p style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Il
risultato è da sentire, UBHATC è un ottimo disco specchio non di una mediazione
ma di una ricerca senza compromessi per un suono che progredisce e gli stessi
autori amano sentire. Eliminate qualsiasi preconcetto dovuto al criptico titolo
dell’album, i Dream Syndicate non snaturano la loro indole ma la alimentano di
innesti che arrivano dai loro ascolti, dal glam britannico, dagli
sperimentalismi kraut, dal groove ritmico di ispirazione Neu, da Eno e David
Bowie, dall’amore mai negato verso i Velvet e Lou Reed, senza rinunciare alla
tonalità psichedelica, melodica e chitarristica del loro sound, sebbene le
chitarre qui siano meno evidenti che negli album della prima era della band. <o:p></o:p></span></p><p style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU2D7a-l1HshYGigGOzvRpObr0EJQEjQiRZXbLdcz--R5u23yhi48d3RWiKMbxM1094K26P7VkPqBdQVubTf8-SVXu88-hXvU69_PM4HtBpjrNRaMlkf2MpdtvDT_No6G0IzErEQvkpVWGySR0emNxeeIM3xsi6jrB0s49m1RtB5s1tBplvwS9PidwyA/s800/syndicate%201.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="618" data-original-width="800" height="247" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU2D7a-l1HshYGigGOzvRpObr0EJQEjQiRZXbLdcz--R5u23yhi48d3RWiKMbxM1094K26P7VkPqBdQVubTf8-SVXu88-hXvU69_PM4HtBpjrNRaMlkf2MpdtvDT_No6G0IzErEQvkpVWGySR0emNxeeIM3xsi6jrB0s49m1RtB5s1tBplvwS9PidwyA/s320/syndicate%201.jpg" width="320" /></a></div><br /><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;"><br /></span><p></p><p style="background: white; line-height: 115%; margin-bottom: .0001pt; margin: 0cm;"><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 14.0pt; line-height: 115%;">Wynn
in compagnia della storica sezione ritmica di <b>Dennis Duck</b> e <b>Mark Walton</b>,
del chitarrista <b>Jason Victor</b> e del
tastierista ex Green On Red <b>Chris
Cacavas</b>, musicista da sempre vicino alla band, allestiscono un lavoro di
energia ed intelligenza che può piacere a giovani e veterani. Dall’iniziale <i>Where I’ll Stand </i>che si apre coi
sintetizzatori elettronici di matrice krautrock, per poi trasformarsi in una
ballata melodica di oscillazioni psichedeliche, fino alla devastante
conclusione di <i>Straight Lines, </i>un
marasma chitarristico degno dei Velvet Undergound di <b><i>White Light White Heat</i></b>,
tutto funziona bene in questo disco compresa la presenza di <b>Stephen McCarty</b> dei Long Ryders che del
sassofonista e trombettista Marcus Tenney. Al dondolio malizioso di <i>Damian </i>, forse il momento più melodico d
UBHATC, in stile con le composizioni dello Steve Wynn solista, risponde il
malato andamento di <i>Hard To Say Goodbye</i>,
una sorta di folk urbano con la voce di un Lou Reed narcolettico, suonato con
chitarra acustica, un filo di ritmo ed impreziosito da una malinconica lap
steel, alla distorta e acida <i>Every Time
You Come Around </i>che al sottoscritto rammenta i migliori <b>Psychedelic Furs, </b>fa da sponda il
dinamismo di <i>Trying To Get Over, </i>beat
nervoso, chitarre crude, il giusto tasso di nasalità e la voglia di non
rimanere ingabbiati in un modello. L’ up-tempo <i>My Lazy Mind </i>dove un mondo notturno screziato di jazz, col
sassofondo, il controcanto e gli arrangiamenti traspone un fascino da amanti
perduti, si intreccia con le tabular bells di <i>Beyond Control </i>prima che diventi
una cavalcata cosmica. La deflagrazione di <i>Straight Lines </i>dopo dieci tracce<i>
</i>riporta i Dream Syndicate al rumore di <b><i>The Days of Wine and Roses </i></b>ed è un
ritorno a casa che non sa di sconfitta ma di consapevolezza della propria
inossidabile natura<b><i>. Ultraviolet Battle Hymns and True Confessions </i></b>è un ottimo
disco, il Sindacato del Sogno non ha chiuso i battenti, le iscrizioni sono
aperte. <o:p></o:p></span></p><p style="background: white; margin-bottom: 22.5pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 0cm;"><i><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 16.0pt;"> </span></i><b><span style="font-family: "Bahnschrift","sans-serif"; font-size: 16.0pt;">MAURO
ZAMBELLINI </span></b><i><span style="font-family: Arial, "sans-serif";"><o:p></o:p></span></i></p><p>
</p>Zambohttp://www.blogger.com/profile/07923128527248093987noreply@blogger.com32