In
verità i fratelli Zanes (un’altra storia di rock brothers come quella dei
Creedence , dei Blasters, dei Black Crowes) ed il bassista Tom Lloyd non erano nativi di Boston ma
provenivano da Concord, 30 mila anime,
capitale del New Hampshire, ma nella città del Massachusetts si erano
trapiantati frequentando quel girone di giovani disperati che amavano ancora i
suoni elettrici vintage, tipi come i
Neats, i Lyres, i Flies, il Ben Vaughn Combo e altre amenità minori. Il nome lo
scelse il maggiore dei due fratelli Zanes, Dan, cantante e chitarrista ritmico
che così liquidò la faccenda: “sapete dove
si trova la Terra del Fuoco? In fondo, in fondo al mondo, beh più in basso di
così non avremmo mai potuto cadere”. Detto e fatto, in quanto ad ironia e
simpatia Dan Zanes non si è mai
tirato indietro, sapendo che far parte di una rock n’roll band era una delle
poche possibilità per non finire a lavorare all’ufficio postale o in un grande
magazzino. Comunque sia, negli alti( pochi) e bassi (tanti) della loro
avventura musicale, i Del Fuegos sono rimasti fedeli fino in fondo all’immagine
di una innocente e divertita garage band che suonava cià che gli dettava il
cuore ed il proprio gusto. Cresciuti ad una dieta di R&B (Brenda Lee,
Wilson Pickett, Gary U.S Bonds, Del Shannon) e con nel sangue i riff di Keith
Richards, Dan Zanes, il fratello Warren,
chitarra solista, e Tom Lloyd,
cambiati un po’ di batteristi (prima Nick Patterson, poi Steve Morrell, alla
fine Brent Giessman) registrano un
singolo, I Always Call Her Back/ I Can’t
Sleep prima di accasarsi con la Ace
of Hearts, con la quale riescono nell’impresa di non pubblicare nulla ad
eccezione di un brano della compilation A Boston Rock Christmas . Babbo
Natale gli regala l’attenzione di quelli della Slash, una etichetta distribuita dalla WB, in quel periodo al top
in fatto di rock “allora alternativo” con in scuderia Dream Syndicate,
Blasters, Green On Red, BoDeans, Los Lobos, Plugz, Rank and File, X, Violent
Femmes. I quattro bostoniani partono per Los Angeles per un viaggio affatto
turistico, nell’Ohio il Van esce di strada compromettendo la strumentazione,
appena arrivati nella Città degli Angeli si rifocillano con delle birre in un
bar ma quando tornano al furgone trovano il finestrino spaccato e bagagli,
giubbotti e agende con gli indirizzi volatilizzati. Gli angeli evidentemente
non erano in città ma la Slash gli mette a disposizione il produttore Mitchell Froom che al tempo è ancora un
signor nessuno e non ci mette molto a capire di che pasta sono fatti i quattro.
Li fa suonare per due mesi, soli e con altri musicisti di casa Slash, estenuanti giorni di prove, riprove, breaks,
rifacimenti, a cui partecipano anche Dave Alvin e Chris D. negli studi Sound
Factory. Alla fine viene fuori The Longest Day, un album dal suono
elettrico e chitarristico, con un tiro sferzante e ritornelli urlati alla maniera
di Kinks e i Creedence. In poche parole Nervous
and Shakey, il titolo che apre
l’album ed esemplifica il loro “tutto o nulla”. E’ il 1984 e quel rock spiccio,
crudo, che strizza l’occhio agli anni sessanta per l’appeal canzonettistico, è
una precisa configurazione dell’American music con un sound urbano venato di
rhythm and blues e rockabilly, inebriato da una attitudine punk. Roba in
ritardo per gli anni settanta e fuori luogo nelle radio, nei video e nelle
classifiche degli anni ottanta. Ma poco importa, c’è una tribù che li
intercetta e respira quell’aria di innocente gioventù innamorata del rock
n’roll pur coi dovuti rimandi a qualche loro concittadino, Jonathan Richman per
quello che aveva fatto coi Modern Lovers, Peter Wolf durante e dopo la J.Geils
Band.
Il
trucco per fuggire all’anonimato lo suggeriscono i testi di Mary Don’t Change e Backseat Nothing e
soprattutto lo sferragliare delle chitarre, accompagnato da una sezione ritmica
cattiva e dalle tastiere (lo stesso Mitchell Froom)che ogni tanto si fanno
sentire con quel rumore da beat dei sixties. Qualche amara ballata, è il caso
di Anything You Want presagisce il futuro paesaggio di Boston,
Mass., l’anno seguente. Superata qualche goffaggine da
esordienti (Have You Forgotten) e
appresa qualche infarinatura sulle modalità di registrazione, i Del Fuegos
rincarano la dose, appoggiandosi ancora a Mitchell Froom che suona le tastiere,
produce e si porta appresso il chitarrista James
Ralston, già nella band di Tina Turner. Al tempo scrissi che Boston,
Mass. è il miglior disco degli Stones degli anni ottanta e l’iperbole
serve a capire come la novella del rock n’roll in certi momenti “bui” ha
bisogno di comparse di secondo piano per mandare segnali di resistenza e non
abbandonare la strada. Il fatto che per il sottoscritto i Del Fuegos fossero
tutt’altro che delle comparse poco importa, non l’ho scritta io la storia ufficiale
del rock, mi accontento di aver riempito i miei scaffali di dischi come i loro,
necessari per continuare a vivere e divertirmi con la musica. In Boston,
Mass. Dan Zanes canta prima col cuore in gola e poi col microfono, urla
dal fondo delle backstreets una poesia bluastra da loser ma nelle ballate è
come se una scheggia della musica di Springsteen fosse entrata e l’abbia
riscaldata. E la band rolla il sound della giungla urbana con tenacia e
determinazione, la batteria sta ancora chiedendo pietà tanto è stata pestata e
le chitarre sono laser figlie del blues. Basta ascoltarsi l’iniziale Don’t Run Wild per capire quante cassette degli Stones devono
essersi ascoltati i quattro nello stereo del Van, viaggiando da Boston a Los
Angeles. Ma è tutto l’album a funzionare, creando l’umore di una città di
notte, gli asfalti lucidi di pioggia, le luci al neon dai riflessi giallastri,
il silenzio delle strade secondarie, i fogli di giornale spazzati dal vento, le
saracinesche abbassate, una libertà sognata con l’autoradio a tutto a volume e
con la consapevolezza disincantata che l’alba non è poi così lontana. Rock
catartico, ingentilito da una grande storia d’amore (I Still Want You) che entra in classifica, e mitizzato da una
scenografia notturna degna di un noir. A
ballate strascicate e doloranti come Night
On The Town dove la voce di Dan
Zanes spezza il cuore, e lo stesso succede in Coup de Ville e Fade To Blue
(titoli che collegano idealmente Dream Syndicate, Rolling Stones, Mink De Ville,
Springsteen e Van Morrison) si oppongono le velocità anfetaminiche di Hold Us Down, It’s Allright, Don’t Run Wild
in uno stile di rock urbano tipico della
East-Coast, lo stesso espresso da Raindogs, Treat Her Right, Joe Grushecky, Joneses,
Semi-Twang, BoDeans e in una versione black, il primo Barrence Whitfield.
Nell’anno di Born In The Usa, dalle città della East Coast soffiava un rock
forte, autorevole, romantico, come se Bruce avesse legittimato un mondo capace
di opporsi alla musica di plastica con cui le radio e MTV inondavano l’etere.
Lo stesso Springsteen in una pausa
del suo tour raggiunse i Del Fuegos sul palco di un club in North Carolina per
eseguire con loro Hang On Sloopy e Stand By Me. Capiterà anche di “peggio”,
quando Bruce insieme a Nils Lofgren improvviserà in un backstage Backseat Nothing e Mary
Don’t Change, due canzoni di The Longest Day ma tipico dello stile Del Fuegos, sarà non
avere sottomano un registratore per immortalare
l’irripetibile jam.
Con due album alle spalle, il nome Del Fuegos comincia a suscitare interesse anche nei piani alti del rock, John Fogerty e Tom Petty si interessano a loro ma, nello spogliatoio, la squadra comincia a scricchiolare. Ritornano al Factory Sound Studios di Hollywood con Mitchell Froom e Tchad Blake, una coppia che di lì a poco avrebbe firmato dischi importanti, e per loro si scomodano nomi di spicco: il chitarrista di Presley, James Burton, si diverte con la chitarra wah-wah in A Town Called Love ed il dobro in Long Slide(Far and Out), Merry Clayton ci mette i cori come faceva con i Rolling Stones, Alex Acuna porta le percussioni e i due vocalist di Ry Cooder, Bobby King e Willie Green Jr. danno una mano alla Clayton. In più Tom Petty regala la sua voce in I Can’t Take This Place e gli Heart Attack Horns aggiungono con la loro sezione d’ottoni una buona dose di Memphis sound. Il suono c’è, dal rock della banlieu di Boston, Mass. si passa ad un rock ancora urbano e chitarristico ma tinto di scuro R&B, il problema è che le canzoni non hanno lo stesso appeal e la stessa concretezza di quelle dell’album che lo ha preceduto. La copertina di Stand Up è un preciso riferimento all’epoca degli Stones di Brian Jones, lo stesso Warren Zanes lo ricorda nella foto con quella zazzera bionda ed il giubbetto di pelliccia bianca, e anche l sound lo conferma. Le danze cominciano con Wear It Like A Cape, negritudine a palla al pari di Long Slide, fiati in gran spolvero e sporcizia da Exile. A Town Called Love è tesa e notturna con un Burton ispiratissimo ed una Merry Clayton tornata ai tempi di Gimme Shelter, I Can’t Take This Place mischia pietre rotolanti e spezzacuori in un mezzo tempo perfetto per le highway, New Old World è funky e News From Nowhere è il rauco e duro grido dell’ ultima spiaggia, vivo o morto. Che qualcosa non funzioni è però palese, non è tanto il R&B a fare acqua ma le ballate, come se portassero a galla il malumore interno. He Had A Lot To Drink Today è un maldestro tentativo di imitare Tom Waits con versi presi da Francis Scott Fitzgerald, Scratching at Your Door è stanca da morire, I’ll Sleep With You una love song tirata per i capelli e Name Names un singolo destinato al fallimento.
Come affermò in seguito Dan Zanes “Stand Up è avaro di emozioni, ce ne siamo accorti troppo tardi e abbiamo dato per scontato che il pubblico ci seguisse comunque. C’era tensione tra me e mio fratello, che naturalmente si ripercuoteva su tutto il gruppo”. Fanno in tempo ad andare in tour con Tom Petty ma il destino è segnato, Warren Zanes se ne va e con lui il batterista Woody Geissman. Stand Up fu pubblicato nel 1987 e trascorse un anno prima che Dan Zanes e Tom Lloyd trovassero i sostituti. “Non ci interessavano due musicisti in affitto o due figure secondarie ma due veri Del Fuegos”. Il batterista Joe Donnelly proveniva da Boston e aveva suonato in diverse band locali, “voleva diventare un Del Fuegos cinque anni prima che lo chiamassimo”, Adam Roth, newyorchese, si era impegnato in più miscugli, prima con Jim Carroll, poi con i Jive Five, col poeta John Giorno e con una band rockabilly. “Un vero casino, proprio l’uomo che io e Tom cercavamo”.
“All’epoca di Stand Up le cose attorno ai Del Fuegos erano cambiate, molta
dell’innocenza si era smarrita, le liriche del disco sono spesso fuori fuoco,
appunti che non parlano di nulla”. Parole dette da Dan Zanes in un
intervista rilasciata al sottoscritto nel 1990, prima di un infuocato concerto
a Meolo, nell’entroterra veneziano. “Vivevamo
su un pullman senza accorgersi di come giravano le cose intorno ma non rinnego
quel disco, lo sbaglio è servito, ogni volta che fai un disco devi metterci il
cuore, devi dare tutto alla musica”. Il
cuore batte forte in Smoking In The Fields, nuovo disco,
nuova casa discografica e nuovo produttore, Dave Thoener, ingegnere del suono con la J.Geils Band. Non è la
sola connessione con la storica band di Boston capitanata da Peter Wolf, il
pianoforte di Seth Justman e
l’armonica del funambolico Magic Dick
ricamano nel disco un approccio ancora più stretto col soul e col suono Stax.
E’ un disco dai toni duri e dai racconti caldi dove i fiati degli Heavy Metal
Horns (tre sassofoni, due trombe ed un trombone) sono la miccia che fa
esplodere le danze, dove ci sono gli arrangiamento d’archi in Part Of This Earth, nel quale Tom Lloyd
suona il violoncello, e le orchestrazioni
nella struggente I’m Inside You che
strizzano l’occhio ad un Philly Sound
senza sdolcinature. C’è la voce di Rick
Danko nell’acustica Stand By You dal
profilo country. Per molti Smoking
In The Fields ( il titolo trae spunto da un verso di Friends Again, canzone dedicata al fratello, “ed è quello che assieme amavamo fare, fumare
spinelli nei campi”)è il lavoro più riuscito dei Del Fuegos grazie alla
sentita interpretazione degli stili che hanno dato anima, sangue e cuore al
rock. Il soul, il blues, il rock n’roll, il rhythm and blues e quelle ballate
che i Del Fuegos sapevano cantare con una disperazione da far accapponare la
pelle, pur offrendo con la loro energia la speranza che ognuno potesse esaudire
un sogno, vivere un amore, avere un futuro migliore. Anche qui canzoni come Down in Allen’s Mills, I’m Inside You,
Breakaway , Part Of This Heart non
sono avare in quanto a commozione, mentre Headlights
e The Offer suonano come se la J.Geils
Band fosse ancora in tour ad “aprire” per i Rolling Stones. Da parte loro Lost Weekend , No No Never e Move
with my Sister stemperano la rabbia in riff di chitarra quadrati ma mai
banali, in aperture armoniche da grandi spazi ed un pulsare ritmico da pub-rock
ad alto tasso di negritudine. Dan Zanes si riconferma un songwriter da strade
blu, il sound è saturo ma non sovraccarico, fiati, archi, coloriture delle
tastiere danno vigore a canzoni che esaltano l’umore stradaiolo di una delle più
trascinanti band americane degli anni ottanta. Se si considera che l’album
raggiunse il 139esimo posto di vendita nelle classifiche americane ed il
singolo Move With My Sister il ventiduesimo (Boston, Mass. era
arrivato al 134esimo), si capisce perché l’anno dopo della pubblicazione di Smoking
In The Fields, nel 1990, i Del Fuegos tolsero il disturbo. Con la sua
solita ironia, Dan Zanes dichiarò “gli
anni ottanta erano finiti e anche noi avevamo finito”. Nel giugno del 2011
la band si riunì per un paio di concerti al Paradise Rock di Boston per
raccogliere fondi per Right Turn, il programma di riabilitazione ideato da
Woody Geissman per assistere tossicodipendenti e malati mentali, nel febbraio
dell’anno seguente i Del Fuegos si imbarcarono in tour che si concluse nel
marzo del 2012 al Capital Centre of Arts di Concord, la città natale dei
fratelli Zanes. Durante quel tour registrarono un Ep, Silver Star , troppo
moderato per accendere il fuego di un
tempo.
Dan
Zanes, nel 1995, ha pubblicato un interessante disco solista, Cool
Down Time, prodotto ancora da Mitchell Froom prima di dedicarsi a
registrazioni per i bambini, il fratello Warren ha conseguito due master in
Visual and Cultural Arts, è Vice Presidente di Educazione alla Rock and Roll
Hall of Fame e ha realizzato nel 2002 l’album solista Memory Girls. Tom Lloyd
si è laureato presso il California Institute of Technology nel 1999 e ha
lasciato la musica, Adam Roth è morto di cancro nel 2015 e Joe Donnelly gira
ancora nel sottobosco del rock n’roll.
MAURO
ZAMBELLINI
Grandi i Del Fuegos! Articolone Zambo!
RispondiEliminaGianni, pensa che l'ho consegnato 3 mesi fa al Busca. Evidentemente i dischi sono fuori catalogo......
RispondiEliminaBellissimo articolo e non poteva essere diversamente,considerando la passione e l'amore con cui Mauro scrive da sempre. Aspettavo da una vita un'articolo del genere anche perché per quanto mi sarebbe piaciuto conservare quei vecchi numeri del vecchio Mucchio Selvaggio, non mi è stato possibile per varie ragioni. Raccolgo i tuoi post in due cartelle distinte di cui questo raggiungerà sicuramente quella denominata Zambo Place Classic Files.Sempre un bene ricordarsi di certe band specie se facenti parti del sottobosco rock. Riprendere qualche settimana fa Boston Mass.e rimetterlo sul piatto mi ha restituito emozioni uniche o ripensare ad " I'm inside You" ed in quante cassette finiva questa traccia,mi ha inumidito gli occhi. Mi è piaciuta molto la tua puntualizazione sugli anni '80 e credo tu sia stato tra i pochi ad averlo fatto e ad averlo detto. Grazie Mauro....di tutto cuore.
RispondiEliminaArmando Chiechi
Grazie Armando sei un supporter davvero prezioso. Rock on
RispondiEliminaInutile dire che la materia è ideale(del fuegos) e la penna del nostro prof.in stato di grazia.
RispondiEliminaNon possiamo nascondere che il nostro amore per questo tipo di rock deve molto a racconti come questo oltre che ,ovviamente ,ai dischi ed ai concerti.
Allora se è vero che questo blog è una classe e Zambo il prof alziamoci in piedi sui banchi come nella scena finale de L'attimo fuggente.
Luigi and all the folks, thanks. Sono inorgoglito e contento di avere una classe come la vostra, ricettiva, curiosa, gentile. Sono io che mi alzo in piedi ad applaudirvi. Abbiamo costruito un microcosmo di piacere culturale e scambio umano. Non ci vediamo ma ci sentiamo. Peccato avere sempre le classi maschili, mai una bella ragazza. Eppure ci sono.
RispondiEliminaVero Mauro, sempre un piacere seguirti sia in questo spazio che sulle pagine del Buscadero e molto bello interagire con tutti i compagni di classe,valore aggiunto al blog, ragazzi che reputo amici. Mai come in questo momento storico certi valori vengono a galla e per quanto le distanze non ci permettono di riunirci e conoscerci personalmente, posso dire senza alcun segno di sentimentalismo che sembra conoscervi da una vita. Aspettando che possa aggiungersi qualche rockgirl,vi abbraccio e vi auguro un buon fine settimana. Statemi bene e alla larga dal maledetto virus !!
RispondiEliminaArmando Chiechi
il best of "the slash years" è spettacolare ed è un cd che adoro.Fa piacere sapere che i Del Fuegos piacciono anche a tanti altri, grazie Zambo. "La felicità (musicale n.d.r.) è reale solo quando è condivisa"
RispondiEliminaLivio. Grandissimo articolo per un gruppo che ci fece dimenticare il piattume alla Miami Vice dei terribili Eighties. In realtà i gruppi buoni furono tanti, all'epoca, e il Prof li nomina TUTTI!!!
RispondiEliminaIo ho amato tantissimo, insieme a mio fratello, Boston Mass. e tuttora nella mia play girano diversi brani di quel disco. Potenza, feeling, chitarroni al vento: che altro chiedere? Confesso che, pur amando moltissimo la musica nera dei sixties, la svolta black dei Fuegos mi è parsa in qualche modo posticcia, imposta da casa discografica e produzione. L'imponente, definitivo articolo di Mauro dice invece altro, e di sicuro riconsidererò la cosa, riascolterò con orecchio diverso.
All'epoca ricordo che amai un gruppo in qualche modo simile, Jason and the Scorchers, citato dal Prof., x una furente versione di 19th nervous breakdown...
Un caro saluto a tutti, e appena possibile vaccinatevi!!! E' l'unico modo x uscirne, x sperare in un po' di musica dal vivo
Livio,non vedo l'ora di farlo il vaccino. Considero "The other side of eighties" una stagione bellissima e memorabile,anche perché la lego anche a quegli anni in cui leggevo il Mucchio Selvaggio e scoprivo un modo altro di fruire la musica di quei famigerati anni. Avevo amici che ascoltavano la New Wave britannica e a parte qualcosa in comune ( Clash,Jam,Style Council,Talking Heads,U2,un po'di Reggae e poco altro),mi sentivo un estraneo in casa propria. Ascoltare e amare tutte quelle band che venivano dagli U.S.A. fu un modo per riappropriarsi delle chitarre e di quel sano rock che sembrava perso ed andato per sempre.
RispondiEliminaArmando Chiechi
Mauro spara a raffica una serie di nomi da colpo al cuore che ti lasciano senza fiato. Innanzitutto, finalmente qualcuno che si ricorda dei Jason and the Scorchers. Esattamente come Edy Cilia, se non ricordo male, mi ero procurato una registrazione precaria di "Fervor" e l'ho completamente consumata. Stessa cosa con la versione cd e con il successivo "Lost and found". Poi vado sui ricordi: a 16 anni partii per il mio primo campeggio. Feci la fame per conservarmi i soldi per 2-3 dischi appena usciti: "Gravity talks", dei Green on Red, il primo degli Aztec Camera e "The day of wine and roses" dei Dream Syndicate, credo, non vorrei ricordare male. Joe Perrino and the Mellowtones avevano preso moltissimo dai Green on Red, quando glielo feci notare ci rimasero un po' male perché pensavano di non essere riconosciuti (ma con quel suono di organo...).
RispondiEliminaI Del Fuegos mi piacevano ugualmente, però un po' meno e per questo nel tempo li ho quasi dimenticati, ma colpevolmente e infatti vedrò di recuperare... Ero più preso dallo stile chitarristico di Chuck Prophet (entrato successivamente nei Green on Red) e dal chitarrista dei Jason, di cui cercavo di ripetere le prodezze tecniche, certo con meno bravura.
C'erano però dei terzi anni '80, oltre all'orrendo techno pop e ai nostri loosers stradaioli (non dimentichiamo l'influenza che hanno avuto sui nostri grandissimi Cheap Wine): alla radio scoprivo gli Smiths e finivo in un'altra dimensione di bellezza e poesia. E c'erano altri gruppi e musicisti che alla lunga sono rimasti impressi nel mio cuore più dei traditori U2. Penso ai Bauhaus, a David Sylvian, agli Eusturzende Neubauten e naturalmente Nick Cave e, di nuovo negli USA, il punk e il dark californiani, con i Bad Religion e addirittura i primi Christian Death, quelli di Rozz Wiliams e Rick Agnew, non certo la carnevalata successiva di Valor. E non dimentico i nostrani Diaframma (i Litfiba mai, manco in fotografia) e i CCCP.
Insomna, a scuola ero fuori da tutti i giri, perché non ascoltavo il synth pop; tra gli amici ero criticato perché ascoltavo anche il nuovo rock; nel giro dei musicisti ero poco considerato e bollato come antico, perché ascoltavo e suonavo tutta quella musica di cui parliamo qui.
Mai risolta questa dicotomia. Dura ancora oggi. Se fossi vissuto a Pesaro avrei suonato con i Cheap Wine. Se fossi vissuto a Londra forse starei suonando con Johnny Marr. Se fossi vissuto negli USA avrei chiesto a Steve Wynn di fargli da roadie... Un caro saluto a tutti, discussione bellissima.
Anche per il sottoscritto fondamentale tutto quel sound all'epoca definito Paisley Underground e tutta la nuova scena rootsrock americana ( Blasters e Los Lobos in testa). Purtroppo non ho amato molto la New Wave inglese salvo rare eccezioni. Mi piaceva il precedente pubrock e certe cose più legate ad una sorta di meticciato insito in artisti quali Joe Jackson,giusto per fare un esempio. Non mi dispiacevano gli Aztec Camera,i Lloyd & The Commotion e i primi Smiths. Alcuni amici mi passavano le audiotape di band come gli Strangles ma in cuore mio amavo più i Clash e Jam.Il nostro Zambo poi, mi aprì ad un mondo nuovo quando provai ad avvicinarmi agli Style Council ma il colpo di fulmine avvenne dopo con i primi lavori di Weller. Comunque in linea di massima il sole del deserto californiano, tequila,cactus saguari e le immancabili bluehighways hanno sempre avuto un fascino maggiore per me, almeno in quei mid-eightiees. Negli anni a venire comunque ho cercato di sopperire ad alcune mie lacune, soprattutto sul versante britannico (certe cose legate al progressive e al folk-rock di band come Fairport Convention...). Solitamente cerco di non essere prevenuto e farmi sempre un'idea su artisti che magari non amo alla follia ma dai quali sono incuriosito.
RispondiEliminaArmando Chiechi
Livio. Bellissimo sentir parlare di Green on Red, coi Dream Syndycate punte di diamante del Paisley. L' hammond strappacuore di Chris Cacavas, con tanto di leslie, è un suono che non dimentichi più, che ricorda i mitici Animals. Dan e Chuck autori top, da rivalutare assolutamente. A quando una retrospettiva coi fiocchi? Ma forse anche qui, avendo troppi titoli fuori catalogo... sarà dura.
RispondiEliminaQualche altro nome di ambito Paisley U.: Long Ryders (bellissimo il box economico), Thin White Rope (il suono del deserto), True West, Rain Parade. E a casaccio, anni '80 USA, Rank and File, Steve Earle, Talking Heads. I mai troppo lodati REM!!!
Per me poco di inglese: The The, Joe Jackson, il movimento ska, Eric Clapton, che almeno live non delude mai, Roxy Music, i primi U2.
Ma forse sto andando di nuovo fuori tema. Poi il Prof è costretto a tirare le redini
Gli Anni '80 americani sono stati eccezionali, certo, non ai livelli dei' 60, ma io nel complesso li preferisco ai '70. C'era la voglia di rompere con tutta la bruttura sintetica che si respirava intorno e ancora oggi se riascolto, faccio un esempio, Jimmy Boy dei Green on Red o Then She remembers dei Dream Syndicate, sento che suonano fresche e attuali. Sto frugando tra i miei vinili e mi ritrovo alcuni nomi, sicuramente minori, ma comunque interessanti:i Guadalcanal Diary dei primi due dischi e gli Eleventh Dream Day, anche se il disco che ho qui è del 1989 (Beet). Ma ci siamo dimenticati degli Husker Du? immensi, con Bob Mould capace di suonare sia un punk sporchissimo e grezzo, sia dei pezzi tecnicamente raffinati, come la cover di Donovan, Sunshine Superman. E poi il "ponte": gli Opal di Dave Roback e Kendra Smith, ex Dream Syndicate. Dico ponte perché la reincarnazione successiva, i Mazzy Star, con Hope Sandowall fecero un bell'incontro con gli scozzesi Jesus and Mary Chain, che si volsero agli U. S. A. Stradaioli col loro quarto disco, Stoned and Rethroned. Chi si è perso i Jesus si è perso molto: imnediatezza ed essenzialità tecnica del punk con melodie accattivanti con più di un occhio verso l'America. E tornando negli States, molti amici e molti critici musicali si sono persi i Sonic Youth, IL gruppo seminale del nuovo rock chitarristico e non sintetico. Fino a Goo non se li filava nessuno, poi il Weld tour con Neil Young li ha proiettati verso il successo. Che non li ha corrotti, come accaduto per altri.
RispondiEliminaChiudo il giro del mondo con l'Australia, dove i nipotini dei Radio Birdman (per me assolutamente favolosi) ci hanno deliziato con musica che non tramonta: Barracudas, New Christ, anche gli Hoodoo Gurus, un gruppo che poi purtroppo non ha mantenuto le promesse.
Insomma, avevamo tutto un mondo verso il quale volgerci, mentre il vicino di casa ci ammorbava le orecchie con Cindy Lauper e compagnia. Ora il vicino si è riconvertito: ascolta i... Maneskin.
Mamna mia, ho il voltastomaco, ma sono assediato da cinquantenni che hanno scoperto il rock con 'sta gente e mi stanno torturando più di quanto mi torturarono da ragazzino con Spandau Ballet e Duran Duran
Livio. Corrado, mi inviti a nozze! Guadalcanal D., Husker D., Jesus e M.C. (grandissimi! Psychocandy l'ho consumato), Radio Birdman: seminali, Barracudas, Hoodoo G. (Ampology è sempre in rotation x me).
RispondiEliminaAustralia: lasciami aggiungere Church (Starfish), Celibate Rifles (Kiss Kiss Bang Bang), Huxton Creepers (12 Days to Paris), Go Betweens, e di sicuro ne dimentico...
E poi, USA, Fleshtones (Roman Gods), Flamin' Groovies, i Cars di Ric Ocasek (pop, d'accordo, ma di immensa classe), Jim Carroll, i francesi City Kids...
E i big: Dylan (oh mercy), Mellencamp (alcuni dei suoi migliori), N. Young (freedom), Springsteen...
Se nessuno si scandalizza ci metto anche i Cult e i primi Guns'n'Roses (axel è personaggio impresentabile, però): potenza grezza, istinto puro...
Avercene oggi, di musica come negli Eighties: tutta conosciuta e apprezzata grazie al Mucchio, quello vero.
Io Sanremo ho smesso di vederlo a fine anni '60, quando infuriava il dilemma capelloni-melodici. Indovina x chi tifavo?
Ho amato molto i Died Pretty di Free Dirt, i Jesus di Psychocandy ma anche di Darklands, i Beasts of Burden australiani, Galaxie 500, anche i Cure di 17 seconds e Disintegration, naturalmente i Cramps. I Sonic Youth di Daydream Nation e Dirty. Vidi un concerto al Rolling Stone di Milano con scazzottamento all'entrata non so per quale motivo. Scorreva il sangue, sembrava di essere a New York quando ancora era una città affascinante.
RispondiEliminaGrazie ai vostri interventi dovrò senz'altro recuperare Psychodandy dei Jesus and Mary Chains. La cosa "divertente" se così si può dire è che l'ho pure visto in giro per pochi spiccioli e non l'ho ancora preso. Idem per i Sonic Youth di cui non ho nulla, tranne la loro versione di " Computer Age" su di un album tributo a Neil Young.
RispondiEliminaArmando Chiechi
Gli scazzottamenti fanno parte del Rock e talvolta sono pure divertenti. Basta mettersi un po' discosti... Ho visto gente picchiarsi e ppi fare una bevuta insieme, ma per fortuna, il più delle volte la situazione non degenerava. Un concerto dei Cramps lo avrei proprio voluto vedere. Purtroppo è una di quelle cose che non tornerà. Vedere i Cure oggi lo eviterei, ma negli anni '80 hanno scritto alcune belle canzoni, meno dark e più tirate.
RispondiElimina...non sapevo che warren zane avesse scritto la bella biografia di Tom Petty...
RispondiEliminaLivio. Ecco chi dimenticavo: Died Pretty, proprio con Free Dirt! Dei Cure anche Pornography, '82. Dei Sonic Y. anche Goo, ma siamo già nei 90's. I Cramps di Date w. Elvis...
RispondiEliminaE i Wall of Voodoo di Stan Ridgway? Call of the West!!!
Non sembri piaggeria, ma è normale che la mia discoteca abbia molto in comune con quella del Prof, visto che l'ho composta felicemente leggendo il Mucchio prima e il Busca poi. Sono grato di aver trovato due rock magazine che hanno assecondato i miei gusti e mi hanno aiutato ad affinarli, e dei critici illuminati, appassionati e competenti che mi hanno indicato la via.
Poi, come diciamo sempre nella ns casa del Rock: il pensiero unico non esiste, e dissentire è non solo lecito, ma doveroso! Io di Cure e Sonic Youth ho solo un paio di dischi, ad es, mentre di Green on Red e Dream Synd. mi sono procurato anche i boot...
Di scazzottate ai concerti non ne ho viste mai, alle partite di calcio sì...
Riviste come il Mucchio Selvaggio e Buscadero sono state i nostri fari e punti di riferimento. Da una veste iniziale che le avvicinava a delle fanzines sono cresciute notevolmente nel tempo. In quegli anni ( metà '80 fino ai primi '90) il Mucchio Selvaggio era quella che preferivo e che compravo regolarmente anche per la qualità degli scritti ed i contenuti. Come ben possiamo ricordare vi erano anche bei servizi su cinema e letteratura. Il Buscadero lo compravo ma non in modo cadenzato e regolare, tutto ciò avvenne solo con il passaggio di Zambellini e Denti. Mi ricordo di aver seguito anche Velvet e la breve avventura di Zambo per quel mensile di cui ora non ricordo più il nome ma che sembrava davvero promettente ed una valida alternativa al Mucchio in fase di trasformazione e che in un certo senso perdeva pezzi ed il suo spirito. Rock Amarcord !!
RispondiEliminaArmando Chiechi
Dovrei andare a rileggere gli ultimi numeri del Mucchio che avevo comprato verso la fine degli Anni '80 e inizio dei' 90. Ricordo che incominciavano a non piacermi le scelte redazionali, l'apertura verso musica brutta e compromessa eccessivamente con il business. Quando poi vidi la copertina a Ligabue capii che un ciclo era proprio finito. Tra l'altro, se non ricordo male, Zambo, Pettiti, Bottazzi se ne erano andati via o comunque avevano diradato le loro collaborazioni; Bianchini si era trasformato in qualcosa che non mi piaceva, Guglielmi aveva perso smalto... La mia Bibbia restano i primi 80-90 numeri, che possiedo dal numero 2 (avevo 10 anni). Molto con il quale mi sonp formato viene da lì con qualche occasionale contributo di Rockerilla e Buscadero. Dopo anche Rumore e Velvet, ma ormai riuscivo a orientare da solo le mie orecchie. Ci vorrebbe una bella retrospettiva sul Mucchio delle origini
RispondiEliminaCerto e concordo su quanto dice Corrado che ad un certo punto formi i tuoi gusti, ma per quel che mi riguarda non riesco a smettere di leggere e comprare certe riviste,quindi in questo caso Buscadero. Anche per il solo fatto di scoprire cose nuove o per rileggere retrospettive su band che posso aver dimenticato o colpevolmente ignorato.Dai primi anni 2000 poi e per 10 anni ho comprato regolarmente anche Uncut e devo ammettere che tanti nomi li ho scoperti sui loro allegati ben prima che se ne parlasse dalle nostre parti. Cercavo di farmi un' idea e parlo di band come Calexico,Drive by Truckers, Richmond Fontaine o autori come Ryan Adams Damien Jurado o Neal Casal, giusto per fare qualche esempio. Purtroppo non avendo padronanza con la lingua inglese afferravo i concetti e le descrizioni per sommi capi e aspettavo di approfondire certe scoperte poi quando certi nomi finivano poi sulle pagine del Buscadero. Ad ogni modo comunque mi piace proprio l'idea di sfogliare le pagine e di possedere il supporto in essere. Idem per la musica,certo non nego di ascoltare e scoprire certe cose anche attraverso Spotify ma sapere di poter sfilare un vinile dalla sua busta o un CD dal suo contenitore è tutt'altra cosa !!
RispondiEliminaArmando Chiechi
In effetti anche io avrei detto male degli anni 80 eppure rileggendo tutti questi nomi ... gran bei gruppi .
RispondiEliminaGrazie Zambellini mi ha fatto bene leggerti e leggere i commenti .
Abbastanza inspiegabile che il tuo articolo fosse pronto da tempo e non pubblicato...personalmente ho da anni difficoltà col Busca ma qui mi taccio per evitare polemiche
Mi permetto di intervenire sulla chiusura di Bob e non credo ci sia nulla di male nell'esprimere pareri anche discordanti sul Buscadero. Credo che noi tutti siamo coscienti dei pregi quanto dei difetti o limiti della rivista. Sicuramente con l'arrivo di Zambo e Denti molte cose sono cambiate in meglio,la qualità degli scritti è notevolmente migliorata e così pure l'aspetto grafico. Personalmente leggo questa anche perché l'unica rimasta e più aderente ai miei gusti. Poi sappiamo tutti quali sono i limiti e lo stesso Mauro si è espresso più volte in proposito. Aggiungo anche che trovo interessanti anche gli scritti di Callieri e Trevaini.
RispondiEliminaArmando Chiechi
Sicuramente il Busca è rimasto uno dei pochissimi baluardi della "nostra"musica.
RispondiEliminaD'altro canto la storia della editoria rock in italia fra abbandoni scissioni e altro può competere tranquillamente con la storia della sinistra nel nostro paese.
I nemici atavici sono ben conosciuti:
Scarsa cultura,vendite asfittiche,irruzione del web.
Credo sia una situazione difficile da ribaltare.
Siamo una nicchia ma non rassegnata all'estinzione.
Immagino che mantenere in piedi una rivista di musica rock di questi tempi non sia affatto cosa facile e la considerazione di Luigi sintetizza bene cosa significhi e cosa ha significato per tanti. Per quel che mi riguarda spero possa tanto il Buscadero quanto il nostro caro Mauro e blog di questo tipo, andare avanti ancora a lungo. E per dirla come il nostro Neil : " Keep on rockin' on the free world"...
RispondiEliminaArmando Chiechi
Eh sì se parliamo di scissioni a sinistra si può intavolare un forum interminabile; comunque il buscadero resta una valida rivista.
RispondiEliminaEliminerei una firma ; detto questo tutti i i nomi da voi elencati sono portatori di articoli più che validi.
Livio. Pensate che io ho cominciato con 'Ciao 2001'. Giuro, si chiamava proprio così, ed era una specie di Sorrisi e Canzoni del rock. Però le foto erano bellissime, e almeno ero informato sulle nuove uscite e purtroppo anche sul gossip imperante pure in rock area.
RispondiEliminaAppena possibile sono approdato al Mucchio: tutt'altro spessore, anche se forse un po' troppo schierato. Se voglio parlare di politica non è al mondo musicale che mi rivolgo in primis.
Quando al Mucchio rimase solo Stefani, lo abbandonai senza rimpianti, e rimasi 'orfano' x una 15na d'anni. Ho provato pure io Velvet e Rumore, ma non scattò la scintilla. Leggevo il Musica di Repubblica, tò, tanto per restare al corrente, ma era troppo generalista e superficiale. Dal Busca mi tenne lontana x anni quella fama di bollettino del negozio di Carù che velenosamente il 'nuovo' Mucchio gli aveva appiccicato. Ma quando seppi che Zambellini era lì, fu naturale approdo.
Ora lo leggo volentieri, ho imparato a conoscere i gusti dei vari recensori e a 'tarare' sui miei gusti i loro pareri. E' ok, mi tiene aggiornato, mi regala favolose retrospettive, fornisce ogni mese quasi quaranta pagine di recensioni.
Nel tempo ho corrisposto via mail con diversi redattori e ho sempre trovato persone gentilissime e disponibili.
Lo stesso Carù, che guardavo un po' da lontano x il suo italiano a volte scivoloso e x l'ossessione x Jerry Garcia\Ry Cooder\Van Morrison, mi ha chiarito quanto sia pesante confezionare ogni mese una rivista all'altezza e dedicarsi al contempo al proprio lavoro (con inevitabile conflitto d'interessi, certo) e alla genuina passione x la musica.
Dopo il mega box di Neil young,la ristampa di Stage fright della band il primo Black crowes in versione tripla ecco arrivare Deja vu in 4cd più Lp
RispondiEliminaCon outtakes in quantità industriali.
Lo so ,è una provocazione ma sinceramente ditemi come resistere ?
Leggendo il percorso di Livio riguardo le rock letture mi ci ritrovo abbastanza a parte qualcosa e per quel che riguarda Deja Vu' e prodotti di questo tipo credo sia difficile star dietro a tutti, semplicemente per una questione di costi. Il disco in questione ha rappresentato molto per il sottoscritto e non nego che ancora oggi spesso lo riascolto rimettendolo sul piatto. Certo la tentazione delle eventuali outtakes c'è ma credo che a questo punto ci toccherà ricomprare quasi tutto !?!
RispondiEliminaArmando Chiechi
Anche io ho cominciato con Ciao 2001 ma credo di averne lette svariate .
RispondiEliminaCiao 2001 Livio che ricordi avevo 13 anni
Anch'io compravo Ciao 2001, a metà anni 80 ero adolescente, stavo scoprendo la "nostra" musica (primo disco comprato Born In The USA, secondo Empire Burlesque) e le riviste le compravo tutte, poi col tempo ho imparato a diventare selettivo. Mi ricordo Rockstar, Velvet (mai piaciuta), Tutto Musica e Spettacolo (quello sì un Sorrisi e Canzoni in salsa musicale) e Tuttifrutti. Poi a fine decade mi sono avvicinato al Buscadero ed al Mucchio (lasciato presto in quanto troppo politicizzato) e ho abbandonato le altre. Avevo comprato anche tutti i numeri di Feedback, bellissima rivista fondata da Zambo e Denti che purtroppo è durata troppo poco.
RispondiEliminaRiguardo al box di Deja Vu, peccato per lo scarsissimo coinvolgimento da parte di Neil Young...ma forse è già andata bene che non abbia fatto ostruzionismo.
Livio. C'è il rischio concreto di saturare il mercato, con tutti 'sti box deluxe. Non facciamoci prendere x i fondelli, noi veterani. E' doverosa una selezione, e allora ci vengono in aiuto spotify e youtube: salutare risulta un ascolto preventivo, insieme alla lettura della personale rivista di riferimento. Non tutte le outtakes sono capolavori, anzi, spesso c'è un ottimo motivo se sono state scartate.
RispondiEliminaBei tempi, quelli di Ciao 2001! Ogni settimana a pendere dalle labbra dell'edicolante: 'E' arrivato???' 'Ma come "cosa"!!! Mi bevevo letteralmente pseudo articoli fatti di fuffa e veline delle case discografiche, recensioni ridicole, pettegolezzi. Però sotto bruciava un fuoco autentico, che tuttora, dopo + di 50anni, divampa. E finchè mi verrà la pelle d'oca al riff di Satisfaction, esattamente come la prima volta, anche dopo migliaia di ascolti, saprò che ne è valsa la pena.
Che sia un Lucky Day x tutti, fratelli!
Certo Livio, ormai il gioco delle ristampe con outtakes dura già da tempo. Chiaramente se poi a queste viene affiancato il concerto di turno l'occasione è più ghiotta. A memoria ricordo sempre con piacere le operazioni fatte con i cataloghi dei vari Allman Brothers, Clapton ecc. Delle Bottleg Series e degli Archivi se ne è parlato,mi piacerebbe solo che Springsteen lo facesse nel formato fisico. Belle anche le iniziative in casa Stones ma ad ogni modo è un mercato fitto e ricco in cui non sempre è facile muoversi.
RispondiEliminaArmando Chiechi
Livio. Non x fare il bastian contrario, ma spesso anche i concerti allegati ai box deluxe sono praticamente replica di live ufficiali sul mercato da decenni. Va analizzato caso x caso, e in era internet è molto semplice.
RispondiEliminaCerto, missaggio moderno, hi fi, pulizia del suono sono importanti, ma quando le scalette sono praticamente identiche... non so. Dipende da quanto sei fan(atic), e sai cogliere la particolare(?) magia di 'quella' sera.
Poi io, che sto qui a cavillare, di Springsteen ho + di 100 concerti su cd, ma almeno lui varia le tracklist x un buon terzo ogni sera, ed è tantissimo rispetto alla media. Nomi anche grossi della ns musica non si peritano di riproporre ogni santa sera gli stessi brani x un intero tour!
Una buona cosa sarebbe pubblicare un concerto tra i + riusciti + un'appendice con le 'rarities' dell'intero tour. Ma qs significherebbe agevolare i suddetti fan: vi pare che le major (o anche le indies, sia chiaro) lo farebbero mai?
Speciali sono, in qs caso, gli Stones, la cui perfetta operazione sugli archivi ci illumina d'immenso, ma loro partivano da una situazione paradossalmente favorevole: una grave carenza nei live ufficiali di tutta una carriera. Mi ripeto, ma se volete farvi un regalone prendete il Totally Stripped. E' semplicemente... troppo.
Per finire, io da springsteeniano sto ancora aspettando il pluriannunciato megabox da 24cd sui soundboard del Darkness tour. Tra avvocati e shottini il boss se ne sarà dimenticato...
Livio ma se hai cento concerti del boss cosa ti puô portare il box di Darkness dove al di là di un suono migliore i concerti li conosciamo a memoria e le setlist sono più o meno uguali ..?.
RispondiEliminaIo per contro ho un centinaio di concerti dei Dead ma oggi non ne comprerei più anzi col senno di poi potevo comprarne un bel po meno ...
Livio. Si si, ho già scritto su qs spazio che io non comprerò i 24cd. Quei concerti li conosco a memoria, anzi di alcuni ho già più di una versione. Sono ovviamente i + bootlegati, essendo stati diffusi in radio in diretta live, all'epoca. Anzi, sorprende che Bruce + entourage non abbiano altri concerti del '78 registrati dal mixer: sarebbero novità molto + appetibili.
RispondiEliminaAnch'io ritengo superflui molti dei concerti che ho sugli scaffali, però ricordo ancora la gioia che mi diede procurarmeli con tanta fatica. Ricordo anche la mitica frase di Best sul denaro, e dico che comunque ne è valsa la pena.
E' un po' come quando, bambino, scopri che babbonatale non esiste, ma da grande vorresti che i tuoi nipotini non lo sapessero mai.
Working on a dream
Vorrei sottoporvi 2 nomi nuovi che mi hanno colpito molto positivamente.
RispondiEliminaIsrael nash che con il suo album Topaz mi ha fatto rivivere atmosfere seventies con un alta qualità di scrittura e i Black Pumas autori di un album bellissimo che in versione espansa si candida ad un posto tra le migliori realta'della nuova musica nera
Ciao Luigi sono nomi che conosco per averne letto ma in realtà non ho ascoltato una nota .
RispondiEliminaIsrael salvo errori lo si può collocare in un filone di cantautori mentre i BP rientrano in un filone soul .
Corretto ..? O dico fesserie ..?
Corretto.
RispondiEliminaAggiungo Nick waterhouse in uscita con un nuovo lavoro e titolare di dischi molto belli.
Pare che piaccia parecchio al nostro stimato prof.
A proposito di gruppi anni 80, un ricordo per il grande Don Heffington, drummer dei Lone Justice ed in seguito apprezzatissimo sessionman, scomparso ieri all'età di 70 anni.
RispondiEliminaNon ho ancora preso né ascoltato " Topaz",ultimo lavoro di Israel Nash Gripka. Da quel poco che ho e che lui ha prodotto in anni recenti è un nome che mi entusiasma e che ritengo al livello di altri, in quel panorama musicale che per intenderci e per comodità chiamiamo " Americana". Dei Black Pumas ne ho sentito un gran bene a cominciare dallo stesso padrone di casa e spero al più presto di prendere qualcosa. Ho appena finito di leggere il bellissimo articolo scritto da Zambo e dedicato ai DBT sull' ultimo numero del Buscadero. Illuminante come sempre e soprattutto importante perché fa pulizia e chiarezza dei soliti cliché che girano spesso intorno al deep South e ai suoi miti. Leggendolo mi è venuto in mente quel bel film intitolato " Quel Gelido Inverno" ed anche un libro importante dal punto di vista storico scritto da Reid Mitchell ( La Guerra Civile Americana ). Libro quest'ultimo, che mi permetto di consigliare qualora non l'aveste, perché oltre ai dati puramente storici, fa chiarezza anche sulla società dell'epoca,analizzando soprattutto i rapporti tra le classi sociali del sud dell'epoca ed illuminante anche per i rapporti che intercorrevano all'interno della popolazione bianca e di questa con i neri,sia da schiavi che da "liberi".
RispondiEliminaArmando Chiechi
Grazie Armando per i complimenti sui DBT e della preziosa segnalazione del libro sulla Guerra Civile Americana che conto di prendere al più presto, mi serve anche per Southside. Quel Gelido Inverno bellissimo e crudissimo film su un Missouri assolutamente non turistico ma segnato dalle metanfetamine.Scommetto che quei tipi sono sia negazionisti che trumpiani, ammesso che abbiano la capacità di votare. Per la musica: Topaz di Israel Nash è un bel disco, migliore degli altri due che lo hanno preceduto. Adesso fa west coast sul tipo di Jomathan Wilson ed il primo irrangiungibile album solista di David Crosby. Atmosfere sognanti, suoni dilatati, armonie ovattate ma ancora qualche colpo di rock. Preferivo i primi suoi album più agri, elettrici e folk-rock. Comunque Topaz è un ottimo disco. Bello anche l'ultimo Nick Waterhouse, di cui ci sarà intervista nel prossimo Buscadero. Molto vintage e quasi retrò nel ricostruire la California tra la fine dei cinquanta e l'inizio dei sessanta. Blue Promenade, come il titolo. I precedenti erano però più arzilli e spumeggianti, più rock n'swing. Black Pumas piacevolissimi, soul moderno ma con lo sguardo ai classici, a Marvin Gaye, Donnie Hathaway, Curtis Mayfield. Se le radio fossero serie e come quelle di una volta, sarebbe un disco da trasmettere ogni giorno perchè ha un pop appeal notevole, non il pop di merda che gira ma il pop che ti f ballare e abbracciare una ragazza, o una donna. Alla prossima. Stasera metto nel blog una riflessione di Marco Denti su Springsteen tratta dl suo libro Strade Sterrate che farà discutere. Alla prossima
RispondiEliminaGrazie Armando per i complimenti sui DBT e della preziosa segnalazione del libro sulla Guerra Civile Americana che conto di prendere al più presto, mi serve anche per Southside. Quel Gelido Inverno bellissimo e crudissimo film su un Missouri assolutamente non turistico ma segnato dalle metanfetamine.Scommetto che quei tipi sono sia negazionisti che trumpiani, ammesso che abbiano la capacità di votare. Per la musica: Topaz di Israel Nash è un bel disco, migliore degli altri due che lo hanno preceduto. Adesso fa west coast sul tipo di Jomathan Wilson ed il primo irrangiungibile album solista di David Crosby. Atmosfere sognanti, suoni dilatati, armonie ovattate ma ancora qualche colpo di rock. Preferivo i primi suoi album più agri, elettrici e folk-rock. Comunque Topaz è un ottimo disco. Bello anche l'ultimo Nick Waterhouse, di cui ci sarà intervista nel prossimo Buscadero. Molto vintage e quasi retrò nel ricostruire la California tra la fine dei cinquanta e l'inizio dei sessanta. Blue Promenade, come il titolo. I precedenti erano però più arzilli e spumeggianti, più rock n'swing. Black Pumas piacevolissimi, soul moderno ma con lo sguardo ai classici, a Marvin Gaye, Donnie Hathaway, Curtis Mayfield. Se le radio fossero serie e come quelle di una volta, sarebbe un disco da trasmettere ogni giorno perchè ha un pop appeal notevole, non il pop di merda che gira ma il pop che ti f ballare e abbracciare una ragazza, o una donna. Alla prossima. Stasera metto nel blog una riflessione di Marco Denti su Springsteen tratta dl suo libro Strade Sterrate che farà discutere. Alla prossima
RispondiEliminaSi Mauro, anche io intendevo i primi di Israel Nash Gripka e mi scuso se ho dato l'impressione di citare gli ultimi due che non ho nemmeno preso. Solo che a volte il tempo e il suo scorrere ti fanno uno strano effetto...sembra ieri l'altro ed invece sono già passati una bella manciata di anni. E mai poi, come in questo ultimo anno la percezione è così distorta da sembrare un lunghissimo ed unico giorno.Mi accorgo che così non è per le scadenze inerenti a bollette e tasse da pagare e quanto e felicemente dobbiamo ascoltare un nuovo disco/CD, leggere un nuovo libro o l'ultimo tuo scritto !!
RispondiEliminaHold on !
Armando Chiechi