martedì 26 maggio 2009

Ryan Bingham > Road House Sun


Era difficile bissare un disco come Mescalito così fresco, energico, ispirato ma Ryan Bingham c’è riuscito e lo ha fatto bilanciando la rauca immediatezza del suo esordio con una spregiudicata sterzata verso un suono più aggressivo e rocknrollistico. Confermato saggiamente l’ex chitarrista dei Black Crowes Marc Ford dietro la consolle,  Bingham ha continuato su quella strada piena di polvere ed arbusti rinsecchiti su cui corrono la sua immaginazione ed il suo vissuto, cantando storie di un’America di confine non tanto diversa da quella di Sam Peckimpah ma questa volta non si è limitato a fare lo storyteller del border  e  così ha imbottito le sue ballate stralunate ed il suo scalpitante country-rock con un pimiento acido e corrosivo che più che Mescalito ricorda la mescalina.
Brani come Bluebird inizialmente una melodia bucolica, la younghiana Hey Hey, la nervosa e stridente Endless Eyes e i sette minuti meditabondi ed ipnotici di Change Is hanno portato Bingham a ridosso del rock psichedelico senza per questo smarrire la sua verve narrativa di vagabondo e outsider e senza privarsi di quella veste “povera” da cantastorie acustico che gli avevano valso accostamenti con Dylan e Guthrie.  Un atto coraggioso quello di Ryan Bingham, autore creativo ed in piena crescita, curioso di esplorare nuove lande sonore non accontentandosi di uno standard che gli ha portato fortuna e lo ha fatto conoscere in giro per il mondo. 
Road House Sun non ha cambiato lo scenario in cui Bingham opera, polvere, radici e fuorilegge rimangono i capisaldi della sua musica asciutta, suggestiva e visionaria ma accanto a laconiche ballate che ripropongono il gesto del solitario alla prese con le accordature acustiche (Snake Eyes) o frizzanti folk-rock che trasudano Dylan da tutte le parti (Country Roads e l’amara constatazione di come i tempi non siano cambiati di Dylan’s Hard Rain) ci sono affondi elettrici duri e lancinanti, squisitamente chitarristici che rivelano di uno spirito genuinamente ribelle non solo nelle liriche ma per l’atteggiamento libero con cui Bingham vive il sound delle radici. Un atteggiamento che lo rende versatile e originale e diverso dall’honky-tonk man in stivali e cappello da cowboy che tanti credevano di aver impacchettato. 
Sono proprio i brani di più lucida e rabbiosa follia rock la vera novità del disco, quelli che rendono Road House Sun non un sequel di Mescalito come qualcuno pronosticava ma un nuovo e altrettanto brillante capitolo di un’avventura che mi auguro piena di soddisfazioni, per lui e per noi. 
Ryan Bingham ha passato la maggior parte della sua vita sulla strada, Road House Sun appare come una sorta di vademecum sonoro di quello che la strada gli ha lasciato sulla pelle, nel cuore e nell’anima. Il suono brusco dei giorni sbagliati, il dolore dell’abbandono, l’amarezza della sconfitta ma anche la gioia della libertà,  l’ironica e disincantata osservazione del mondo, la bellezza del deserto, i misteri della notte ed il calore di un’amicizia trovano sfogo in un suono infettato di blues che attraverso la citazione di titoli quali Day Is Done, Dylan’s Hard Rain, Country Roads, Rollin’ Highway Blues, Bluebird, Roadhouse Blues esemplifica influenze e spiriti e rivela da che parte viene e dove vuole andare.

Mauro Zambellini