sabato 25 agosto 2018

DIECI ESPERIENZE ESTATICHE

 
 

MILES DAVIS   BITCHES BREW    1969

"Avevo visto chiaramente una strada verso il futuro e stavo cominciando a seguirla, lo stavo facendo per me stesso, per quello che volevo e di cui avevo bisogno nella mia musica, pensavo che stavo facendo la stessa cosa di Stravinskij quando era tornato alle forme semplici". Con queste parole Miles Davis introduce la genesi di Bitches Brew album rivoluzionario che prefigura i paesaggi estatici di quello che sarebbe stato definito in modo semplicistico jazz-rock. Ne fanno parte difatti tutti i musicisti che dal jazz e dall'esperienza con Davis poi gettarono un ponte sul rock e sul funk: il sassofonista Wayne Shorter ed il pianista Joe Zawinul inventori di Weather Report, il chitarrista John McLaughlin ed il batterista Billy Cobham della Mahavishnu Orchestra, i bassisti Dave Holland e Bennie Maupin, il pianista Chick Corea ed il percussionista Airto Moreira creatori di Return To Forever, il batterista Jack DeJohnette. "Cominciammo la mattina presto nello studio della Columbia sulla 52ma strada e registrammo per tre giorni consecutivi in agosto. Avevo detto a Teo Macero, il produttore del disco, di non rompere i coglioni, di lasciare semplicemente acceso il registratore e registrare tutto quanto, senza venire a interrompere e fare domande. Io dirigevo come un maestro, una volta cominciato a suonare, e buttavo giù un po' di musica o dicevo all'uno o all'altro di suonare le varie cose che cominciavo a sentire man mano che la musica cresceva, che diventava un insieme". Il risultato è un trip electro-jazz-funk di incredibile energia e sensualità uscito prima come doppio album nel 1970, poi ridefinito in modo completo in The Complete Bitches Brew Sessions del 2004.

 

TRAFFIC       TRAFFIC  1968

L'estasi bucolica si consuma in un cottage di un gardiacaccia ad Aston Tirrold nel Berkshire, un luogo contornato da boschi di noccioli e pini. Sheepcott era ad un quarto di miglia dalla casa più vicina e per anni diventa il rifugio dei Traffic. Tappeti indiani furono piazzati vicino al camino per dare più atmosfera all'ambiente, teatro di conversazioni notturne sull'astronomia ed il Libro Tibetano dei Morti. Il folk si amalgamò coi ritmi latini e coi link jazz del flauto di Chris Wood, ammiratore di Rahsaan Roland Kirk e appassionato di musica africana e giapponese. Le percussioni di Jim Capaldi, la voce e le tastiere di Steve Winwood e le chitarre di Dave Mason fecero il resto. Non c'era acqua corrente né elettricità, sopperiva un generatore ausiliario, le lunghe session furono magiche ed irripetibili, in quel cottage in mezzo alle colline inglesi successe qualcosa di straordinario, Mr.Fantasy fu l'equivalente inglese di Music From A Big Pink e ancora meglio fece l'omonimo secondo album prodotto da Jimmy Miller nel quale il misticismo e il clima pastorale di quei giorni in campagna trovano sfogo in canzoni sublimi, complesse e semplici al tempo stesso, pure e raffinate,dove non esistevano barriere tra rock, jazz, musica etnica, pop e psichedelia color pastello. Feelin' Alright in tutto e per tutto.

 

NICK DRAKE   BRYTER LAYTER  1971

Il medesimo intreccio di folk e jazz esplorato dai Traffic del Berkshire lo si ritrova nel secondo album del tormentato songwriter inglese Nick Drake, anche se in questo caso l'ambientazione è prettamente urbana e notturna. Gli arrangiamenti di Robert Kirby valorizzano l'architettura musicale e poetica di Drake, la crema del folk anglosassone (Dave Pegg, Dave Mattacks, Richard Thompson) si accompagna a musicisti americani di talento (il batterista Mike Kowalski, il pianista Paul Harris) e l'ex Velvet Underground John Cale  con viola e clavicembalo scarabocchia il quadro con misurata bizzarria. Produce da maestro Joe Boyd un'opera che rasenta la perfezione assoluta e si distingue per la sua leggerezza e l'abbandono estatico che induce nell'ascoltatore, nonostante i testi parlino di alienazione urbana e delle potenzialità inespresse di una vita. Il cantato di Drake, incantato e malinconico ma di un candore irresistibile è la stella polare di un affascinante universo sonoro dove gli strumenti si accarezzano in ballad che hanno le virtù della grazia e del sogno. Una limpida chitarra acustica lascia spazio a sax e flauto, il clavicembalo e la viola si intrecciano con organo e pianoforte, basso e batteria nemmeno si sentono tanto sono lievi, arrangiamenti operistici si sovrappongono a pennellate di jazz e ad un folk progressivo. Il cielo del nord è qui rischiarato da una luce seducente.

 

MARVIN GAYE      WHAT'S GOING ON   1971

Potrebbe sembrare una bestemmia parlare di estasi per un album il cui contenuto nasce attorno al punto di vista di un veterano del Vietnam che torna in patria e si vede circondato da odio, sofferenze e ingiustizie. Temi riguardanti l'abuso di droghe, la povertà e la guerra si mischiano a tensioni interiori e alla paura di un mondo inquinato, alla deriva. Ma l'architettura dell'opera, un concept album dalla struttura ciclica con le tracce che fanno da introduzione alla successiva e quella finale riprende l'iniziale, e sopratutto il lirismo  che pervade tutto l'album, un soul avvolgente e orchestrale con sovrapposizioni di cantato, innesti di jazz, gospel e musica classica, fanno di  What's Going On un opera monumentale, un punto di non ritorno nella storia della soul music, ancora oggi stupefacente tanto è il potere di coinvolgimento e il benessere quasi sensuale che trasmette. Effetto quasi paradossale visto che tutto nasce dopo che un membro dei Four Tops, Renaldo "Obie"Benson, durante un tour fu testimone di un atto di violenza e brutalità da parte della polizia verso dei manifestanti pacifisti a Berkeley nel 1969. Tornato a Detroit raccontò l'episodio al songwriter Al Cleveland il quale ci scrisse sopra una canzone, rifiutata dai Four Tops perché considerata di protesta e non adatta al loro repertorio. Di tutt'altro parere Benson e Cleveland la rivendicarono invece come una canzone di amore ed incomprensione e la cedettero all'interessato Marvin Gaye il quale aggiunse una nuova melodia, cambiò alcune liriche, la abbellì e trasformò What's Going On  in una storia del ghetto divenuta un concept album.  Un album che ha segnato in modo indelebile la carriera di Marvin Gaye e ha indicato nuove strade nel sound della Motown.  

 

DAVID  CROSBY     IF I COULD ONLY REMEMBER MY NAME 1971

Il flusso di coscienza che accompagna le note e il cantato di questo disco ha del prodigioso, una illuminazione che ha incantato un' intera generazione. Mai disco ha avuto il potere di prefigurare un universo in cui la musica è amore e bellezza naturale. Certo fu necessario l' LSD ma che importa, come scrisse Elémire Zolla (1926-2002) scrittore, filosofo, storico delle religioni e conoscitore di dottrine esoteriche " la storia intima dell'uomo è fondata sulla successione degli stupefacenti", e allora If I Could Only Remember My Name dove già il titolo suggerisce uno stato "altro" in cui la mente se ne è andata dal corpo, è un trip di tale potenza estatica da lasciare senza fiato, magnificamente confusi dentro una dilatazione sensoriale di straordinaria intensità. Mistico, visionario, onirico ma pervaso da una incredibile immediatezza e spontaneità. Oggi può suonare come un'elegia del quadro idilliaco di una California di libera coscienza e di libero amore ma l'album va goduto come una lunga suite sonora, un susseguirsi di atmosfere e visioni, una sinfonia folk-rock di suoni sospesi e chitarre sognanti screziata di colori lisergici, con David Crosby accompagnato dall'intera comune artistica della Bay Area, dai Grateful Dead ai Jefferson Airplane, da Joni Mitchell a Neil Young e Graham Nash.

 

TELEVISION    MARQUEE MOON  1977

L'estasi newyorchese ha tutt'altri suoni, altre frizioni, distorsioni violente, nuove scenografie e sogni inquieti. Il popolo degli hippie è ormai un ricordo e LSD una droga non più di moda, nel 1977 tutto viene rimesso in discussione, il futuro ha colori plumbei, i Velvet Underground avevano prefigurato con anni d'anticipo la decadenza. Ma come qualche volta succede, per assurdo i tempi difficili generano creatività ed un tale Tom Miller, assunto il nome del poeta simbolista Verlaine si inventa una luna al neon attorno a cui far caracollare un acido suono chitarristico che azzarda un unione tra i Grateful Dead e i Velvet Underground. Singolare il risultato, una  psichedelia ferrosa intrisa di ossessioni metropolitane e schizzi poetici, frastagliata di arpeggi e voli di chitarre elettriche, quelle di Richard Lloyd e Tom Verlaine, capaci di disegnare un nuovo cosmo musicale. Marquee Moon  è un disco premonitore e spartiacque, profondamente legato alle estetiche sonore della seconda metà degli anni settanta (le produzioni della Ork Records)  ma proiettato in avanti. Patti Smith che con il leader dei Television ha condiviso relazioni sia sentimentali sia artistiche, ha detto " il suono della chitarra di Tom Verlaine fa pensare all'urlo di mille uccelli". La chitarra di Verlaine, infatti suona stridula, straniante, assecondando le tonalità gutturali del suo cantato da androide allucinato, ma altrettanto geniale è l'elicoidale fraseggio di Richard Lloyd, forgiante una struggente rivisitazione della vecchia psichedelia underground dentro gli scenari della new-wave.

 

SANTANA      CARAVANSERAI   1972

Ad altre latitudini l'estasi si tinge di tramonti roventi, notti di blu abbacinante, orizzonti tremolanti nel miraggio della calura sahariana. Le cicale cantano, le carovane avanzano lentamente sulle piste, il silenzio è  musica,  percussioni si rincorrono in una fusione ritmica morbida e avvolgente, le tastiere sono un tappeto dalle mille trame, e sopra il caravanserraglio si erge limpida, distinguibile, lirica la chitarra di Carlos Santana che qui suona come un vento del deserto raggiungendo l'apoteosi proprio in Song Of The Wind. E' l'ultimo album di Santana con l'organista Gregg Rolie e il chitarrista Neal Schon i quali formeranno i Journey l'anno seguente e a mio modesto parere assieme ai due primi lavori del messicano, Santana e Abraxas, è una delle perle della sua discografia. Un disco luminoso senza cadute pop-commerciali, pressoché strumentale perché l'abbandono sensoriale è qui dettato dal suono caldo e avvolgente, da intermezzi jazzati, da echi di mondi diversi e da una fusion che dall'America Latina ha fatto ritorno in Africa. Perfetto in ogni dettaglio e sfumatura, Caravanserai  riesce nell'obiettivo di sollevare l'ascoltatore in uno stato etereo con delle sonorità che sembrano scaturire naturali dalla terra e dal vento, un eccelso intreccio strumentale con le varie tracce legate tra di loro attraverso lo sfumare di un pezzo nell'altro,creando una unica grande suite di puro godimento.  

JOHN COLTRANE     A LOVE SUPREME  1965

Ma che diavolo sta suonando? , disse Miles Davis ascoltando una delle improvvisazioni che John Coltrane suonava sul palco dell’Half Note. Siamo nel pieno degli anni ’60, e il sassofonista era resident artist del club di Hudson Street. «Sembrava di stare in chiesa», ricorderà anni dopo Archie Shepp – musicista free e suo storico collaboratore – di quelle serate newyorkesi. A un certo punto, ha detto Dave Liebman, «la gente ha rivolto le mani verso il soffitto. Si sono alzati tutti in piedi, erano rapiti».  A Love Supreme è uno degli album che hanno cambiato la storia del jazz, c’è la musica, allo stesso tempo conclusione del periodo modale e prologo di quello sperimentale, c’è il testo, rappresentato dalla poesia-salmo che dà­ titolo al disco, inserita dal sassofonista nel libretto, e c’è la rivelazione religiosa. Tra il ’55 e il ’57, infatti, mentre suonava con il quintetto di Miles Davis, Coltrane sprofonda nella dipendenza da eroina che riuscirà a  a superare solo dopo un lungo periodo di solitudine nella sua casa di Philadelphia.

Nel 1957 sperimentai, per grazia di Dio, un risveglio spirituale che doveva condurmi a una vita più ricca, più piena. All’epoca, per gratitudine, chiesi umilmente di avere il privilegio di rendere felici gli altri con la musica. Mi sembra che mi sia stato accordato, rendo grazie a Dio”, si legge nelle note d’accompagnamento.

È un disco di spunti infiniti, per il sassofonista era una dichiarazione d’amore rivolta verso il cielo, per i giovani musicisti dell’epoca il manifesto espressivo totale.  L’album è diviso,, in quattro sezioni – Aknowledgement, Resolution, Pursuance e Psalm , tutte costruite sulla base di frasi molto semplici, sulle quali vengono innestate le jam vertiginose del sassofonista e dei musicisti del quartetto, vere e proprie cattedrali di suoni enfatici, quasi violenti. Accompagnato da Jimmy Garrison (contrabbasso), Elvin Jones (batteria) e McCoy Tyner (pianoforte), Coltrane disegna un viaggio mistico che culmina nel finale, dove il suo sax tenore si sdoppia in quella che per molti è l’improvvisazione definitiva, l'estasi per eccellenza.

 

THE ALLMAN BROTHERS BAND   LIVE AT FILLMORE EAST  1971

Si è scritto tante volte su queste pagine a proposito di questo disco, considerato da molti il più bel live nella storia del rock e del blues, un'opera destinata a far parlare di se per decenni, un doppio disco da cui emergeva  una band capace di mettere insieme la fantasia di Jimi Hendrix, la tradizione blues di Muddy Waters e le invenzioni del quintetto di Miles Davis di Kind of Blue  secondo una fluidità sonora che nessuno nel rock aveva mai ascoltato. Ma questa volta c'è di mezzo l'estasi e non la storia e allora la qui presente In Memory of Elizabeth Reed è cibo degli Dei, materia pesante, la chitarra di Richard Betts sembra un violino, l'organo di Gregg un'orchestra, Duane Allman è in cielo e la performance assume quelle modalità che i musicisti jazz cominciavano a definire fusion. Quell'approccio che derivava da Miles Davis e John Coltrane, in particolare dal loro lavoro in Kind of Blue.  Duane Allman confidò al giornalista Robert Palmer che quel modo di suonare in Elizabeth Reed proveniva da quell'album, lo aveva ascoltato così tante volte negli ultimi due anni che lo conosceva a memoria. Quello che Duane trovava accattivante era l'improvvisazione modale che Davis aveva sperimentato alla fine degli anni cinquanta, estendere gli assoli basandosi su una singola scala o una sequenza di scale, piuttosto che sulla progressione di un accordo. Questo concetto forniva grande libertà ai solisti per condurre la musica verso nuove direzioni, una libertà che la ABB fece propria. Gli assoli di Duane in Elizabeth Reed, Whipping Post e Mountain Jam furono tra le cose più inventive e creative della sua carriera di musicista e la sua collaborazione con Dickey Betts  raggiunse un livello di potenza ed emozione che finì col contagiare gli altri ed influenzare generazioni di musicisti. 

 

STAPLE SINGERS     BE ATTITUDE: RESPECT YOURSELF (1972)

 

Per spiegare che  "in tempi come i nostri, di rapidi mutamenti sociali, le canzoni aiutano a sincronizzarsi, a muoversi insieme allo stesso ritmo", Jules Evans, l'autore di Estasi: istruzioni per l'uso ovvero l'arte di perdere il controllo (Carbonio Editore), richiama questo fondamentale "affare di famiglia" che non può essere sottovalutato da chi ama la musica afromaericana in toto, qui nelle sue pieghe gospel e soul. L'estasi è qui un trance mistico e religioso, ma di quella religione che appartiene agli uomini di qualunque colore siano, la religione che avvicina sì al divino ma anche agli altri, alla bellezza, alla comprensione e al rispetto delle diversità, alla libertà di essere un cittadino del mondo senza barriere. L'apoteosi discografica degli Staples Singers la trovate in Faith and Grace: A Family Journey 1953-1976 , un box che da solo allarga e prolunga l'estasi all'infinito ma per chi non vuole trascendere in modo completo può bastare l'ascolto di questo superbo Be Attitude: Respect Yourself.

 

MAURO ZAMBELLINI



















mercoledì 1 agosto 2018

the MAGPIE SALUTE High Water I

 
 

Il fatto che nel titolo ci sia il numero uno sottintende che un secondo capitolo di High Water uscirà il prossimo anno e saranno quindi tre, live a parte, i dischi di questo collettivo che per formazione e stile prolunga a suo modo l'esaltante saga dei Black Crowes. Proprio il meno appariscente dei due Robinson, il chitarrista e cantante Rich, dopo qualche svolazzante disco a suo nome, si è impossessato dell' eredità dei corvacci ridando fiato a un rock strettamente legato agli anni settanta con schiamazzi di r&b sudista intinto nel bourbon. Dal vivo, e sono reperibili diversi bootleg,  i Magpie Salute assomigliano troppo ai Black Crowes, cover comprese, per destare un giustificato entusiasmo.  Per fortuna in studio Rich e compagni si ricordano di essere una band diversa e ampliano lo spettro sonoro incorporando armonie west-coast, ballate ariose e atmosfere acustiche dal tono pastorale e folkie. Riescono nell'intento di diversificarsi,  il miscuglio assortito e ben amalgamato rende High Water I meno dispersivo del già apprezzabile disco d'esordio, possiede unità e corpo e pur non negando l'esperienza più che decennale maturata dai tre fondatori della band (Rich Robinson, il chitarrista Marc Ford ed il bassista Sven Pipien) coi Black  Crowes,  allarga il campo, contestualizzando il contributo portato dal cantante John Hogg, dal tastierista Matt Slocum e dal batterista Joe Magistro .  High Water I è un disco godibilissimo di cui è facile lasciarsi irretire, per il sound solidamente anni settanta e per la semplicità con cui una materia strausata come il rock viene declinata in brani che rinfrescano e aggiornano una identità reinventata.  Il gioco riesce per la chimica instauratasi all'interno della band,  semplificazione strumentale di una convergenza e di un benessere collettivo che permette ai Magpie Salute di confermarsi arzilli continuatori di un rock classico di matrice southern.  Nonostante i sei abbiano scelto le montagne e i boschi di Woodstock come ritiro spirituale, cosa che si riflette un po' in tutto il disco.  High Water I inizia come l'album d'esordio ,  Mary The Gypsy  è un fiotto hard-rock registrato live ma già il seguente titolo, High Water,  emana una frescura differente.  Un impasto di chitarre acustiche portano nell'ovest i Magpie Salute e nello stesso tempo resuscitano quei modi da ballata pastorale che facevano capolino in Amorica. Non è l'unico momento bucolico, Walk On Water, altro riferimento all'acqua, ha chitarre acustiche ed una dolenza da ballata alla Tom Petty, For The Wind è una canzone folk con annesso sconquasso elettrico da Led Zeppelin del terzo album, You Found Me si spinge fino al country in compagnia di una lap steel e Open Up chiude le danze con le cadenze lente e sincopate, rette dal pianoforte di Matt Slocum, di un soul ibrido. 


Rich Robinson e John Hogg si dividono le parti vocali così da non annoiare e non far rimpiangere troppo Chris Robinson, lo stesso Rich risponde con la sua chitarre bluesy al più pindarico e psichedelico Marc Ford, un interplay che regala alla band fantasia e vivacità. Se il passato lo si ritrova nei pezzi più potenti, nella bella Send Me Omen dove si affacciano Led Zep e Free, nella caotica e muscolosa Take It All e nelle limpide chitarre di Can You See, il presente è sottolineato dalle tracce che premiano la ricerca dei Magpie Salute verso nuovi lidi. Sister Moon  dondola tra folk, Beatles e Paul Simon ed è il frutto dei racconti attorno al fuoco di John Hogg e Marc Ford durante un soggiorno di dieci giorni in una casa isolata nei boschi,  Color Blind, il cui testo riflette le difficoltà di integrazione vissute in gioventù a Londra da John Hogg, metà svedese e metà africano, è un modo per ricordare che i Rolling Stones non sono solo riff e fiammate rock-blues ma nel loro repertorio si ritrovano anche delizie come Winter. Inoltre l'assonnato ragtime un po' Kinks-style di Hand In Hand aggiunge un altro elemento alla strada che i Magpie Salute ( il cui nome indica nella   superstizione inglese una gazza che porta buone nuove) hanno imboccato.

Dai Corvi Neri alla Gazza del buon augurio, la continuità non è solo ornitologica ma il frutto di un lavoro in cui il passato è ancora motivo di ottimo rock basta suonarlo con la sensibilità e la verve di musicisti che hanno mantenuto intatto il loro entusiasmo.  High Water I ha la limpidezza dell'acqua di fonte e la bruciante elettricità di una band che possiede tecnica e feeling da vendere.

MAURO  ZAMBELLINI