lunedì 19 giugno 2023

JOHN MELLENCAMP Orpheus Descending


 

 

L’invecchiamento e la morte sono diventati temi ricorrenti nel rock, mai come oggi. La longevità artistica di molti autori permette tale riflessione dopo che nel passato molti di quelli che avevano inventato la cultura rock se ne sono andati prematuramente o avevano abbandonato il campo. Per fortuna c’è tutta una generazione che è rimasta, è sopravvissuta, ha resistito al tempo e ai cambiamenti ed è diventata anziana con lo stesso rock n’roll. Cosi abbiamo artisti che raccontano il loro percorso dall’età della gloria giovanile a quella senile, mi vengono in mente i più noti, Eric Clapton, Bob Dylan, Van Morrison, Paul McCartney, Bruce Springsteen e appunto John Mellencamp che nella sua carriera ha attraversato tutte le tappe, dall’euforia giovanile di American Fool al canto di protesta di Scarecrow,  dagli Stones di Uh-Uh alle celtic roots di The Lonesome Jubilee, dalla pura e quadrata essenza rock di Whenever We Wanted al Woody Guthrie di Trouble No More fino al rauco, dimesso, country-folk blues degli ultimi album, compreso il recentissimo Strictly A One-Eyed Jack, parente stretto del nuovo Orpheus Descending. Il rischio di affrontare un tema così insidioso come quello dell’invecchiamento è cadere nella tristezza fine a sé stessa, in un tedio asfissiante, nell’autocommiserazione o al contrario nella glorificazione di sé e del proprio passato. John Mellencamp evita il tranello senza barare, senza truccare le carte, senza esibire un artefatto giovanilismo, piuttosto incastra tale tema su una osservazione ancora vivida, critica, amara ma capace di infondere forza e resistenza, della realtà  che lo circonda, in particolare quella del suo paese. Cosi attraverso undici canzoni di alto livello compositivo e sonoro risulta si essere saggio come lo può essere un settantenne ma che ancora cammina sull’altra parte della strada, quella parte che non è  mainstream e nemmeno il muscolare rock adulto di tanti veterani di questa musica. John Mellencamp è invecchiato bene nella sua musica e nella sua sensibilità sociale, pur con una voce incatramata da migliaia di sigarette che lo fanno assomigliare oggi più a Tom Waits che all’amico di Jack and Diane. Orpheus Descending è un disco maturo, emozionante, caldo e profondo fatto di ballate malinconiche dove è il ripensare alla vita che è trascorsa ( cercherò di fare del mio meglio nella vita che rimane suggerisce  nella conclusiva Backbone) il motivo ispirante, di polveroso folk-rock sullo stato delle cose ( nella terra dei cosi detti liberi non ci sono eroi da nessuna parte canta in The So-Called Free) ma anche di gagliardi colpi rock decisi e ben assestati dove si ascolta con piacere il suono della National resofonica (il fido Andy York) ed il ritorno del violino di Lisa Germano. Orpheus Descending suona come un atto di resistenza, nella ricerca di un bagliore di luce e speranza, anche se il mondo è andato nella direzione opposta di come si desiderava. C’è’ sempre un fottuto modo per reagire indica la canzone titolo, Mellencamp nonostante tutto mantiene il suo ottimismo, per quanto doloroso possa sembrare e offre con la sua musica un grido di battaglia lungo la strada. Senza fare sconti a nessuno, come l’inizio crudo e diretto dell’album suggerisce. Hey God sul tema della violenza delle armi in Usa è una rock song dal ritmo conciso ed insistente, sibila il violino di Lisa Germano e Mellencamp, per stare in tema, mostra le sue cartucce da sparare. La seguente The Eyes of Portland è commovente e non potrebbe essere diversamente, l’incontro con una senzatetto pone sul piatto il problema della povertà e dell’esclusione. La slide, la voce waitsiana e l’arrangiamento paiono sottolineare le ingiustizie di un mondo siffatto con un afflato che sta tra Steve Earle e il blues antico. Ancora la National blueseggia in The So-Called Free ma il ritmo meno metronomico è dinamico ed in levare, con la linea di organo che infonde sapori di Muscle Shoals. Voce gutturale e arpeggi di chitarra la portano nelle strade del Sud. The Kindness of Lovers,  Perfect World e Understated Reverence adottano un tono più dimesso ed intimista, il violino suona funereo nella prima, il brano più cupo del lotto, c’è tanto Dylan nella seconda, accompagnato dall’armonica e  dall’Hammond, un elegiaco pianoforte (ed il violino) regalano dolcezza alla terza come se fosse il Mellencamp di Big Daddy. Ma l’urgenza non è dissolta anche se il disco conserva un suono uniforme che a molti parrà ripetitivo, come è successo in anni recenti,  One More Tick attraverso ritmi scomposti che era dai tempi di Mr.Happy Go Lucky che non si sentivano crea un ardito gioco tra latin, blues e rock, e la canzone titolo esibisce la scioltezza e l’appeal di quel pezzo da novanta che era Freedom’s Road. Forse il brano che meglio sintetizza tutto l’album è la lunga ballata Lighting and Luck dove il racconto di Mellencamp ci prende per mano e nel verso usa quello che hai per ottenere ciò che vuoi confida che le cose possono cambiare se le persone sono disposte ad impegnarsi. Ancora il violino di Lisa Germano, le chitarre baritonali, le voci femminili ed un John Mellencamp con la voce sgraziata dal tabacco e dal tempo ma in grado di tenerci ancora attaccati a lui, alla sua musica, al messaggio di chi è rimasto un outsider.

MAURO ZAMBELLINI     GIUGNO 2023