mercoledì 31 maggio 2023

GOV'T MULE Peace......Like a River

 

Registrato durante le sedute di Heavy Load Blues presso The Power Station nel New England con il produttore John Paterno (Elvis Costello, Los Lobos, Bonnie Raitt)che ha affiancato Warren Haynes, i due dischi sono però stati realizzati in sale diverse senza usare le stesse apparecchiature. Peace....Like A River è un potente album di rock che non sfigura nella discografia in studio dei Gov’t Mule per varietà ed ampiezza espressiva. Dodicesimo album della loro collezione ( senza contare i numerosi live) ribalta un po’ l’idea generale venutasi a creare nel tempo che i Muli siano sostanzialmente una band live bravissima nelle cover ma piuttosto debole nello scrivere in proprio e nel lavoro in studio. Peace…..Like A River respinge questo punto di vista attraverso tredici tracce, ma ce ne sono altre cinque contenute nell’Ep Time of The Signs che accompagna il CD, che oltre a fornire ottimo materiale da sviluppare nelle performance dal vivo, mostra quanto sia sfaccettata la musica dei Muli oggi, non riducendosi solo al lato più imponente e granitico. Certo, anche qui i Muli si confermano una potente macchina da guerra con un impianto tecnico e strumentale da paura, a cominciare dal bassista Jorgen Carlsson cresciuto in maniera vertiginosa negli anni e dal lavoro non più solo  riempitivo del tastierista Danny Louis, per non dire del drumming quadrato e killer di Matt Abts e di Warren Haynes, per il quale ormai sono stati consumati tutti gli aggettivi sia per quanto riguarda la chitarra che il modo di cantare, ma Peace….Like A River è anche un disco di canzoni una diversa dall’altra dove non mancano fantasia, arrangiamenti di fiati, echi di rock, soul, blues e jazz dell’epoca d’oro, melodie e armonie vocali degne di un ottimo songwriting. Ne viene fuori uno stile compositivo il più possibile conciso che coesiste con le sortite solistiche individuali, brani che rimangono compatti pur lasciando spazio alle divagazioni strumentali. Muscoli e cuore, potenza e romanticismo, Peace….Like A River a livello tematico affronta gli eventi che hanno investito il mondo in anni recenti a cominciare da pandemia e guerre, per chi scrive è un ottimo compromesso tra songriwiting e suono. La presenza di alcuni invitati aggiunge brillantezza al quadro generale, se Same As It Ever Was è l’apertura classica che ti aspetti da un disco dei Muli, con l’alternanza di pause e frustate sonore che ti portano sulle montagne russe del loro rock-blues fino al dirottamento finale tenuto saldamente in mano dalla chitarra di Haynes e dall’organo di Louis, l’arcigno funky-blues Shake Our Way Out dà modo a Billy Gibbons di inscenare quel power-sound da trio tipico degli ZZ Top dove basso e batteria sono una vera deflagrazione tellurica. Granitico, duro, possente, è uno degli episodi di continuità coi Gov’t Mule delle origini. Di diversa ambientazione è Dreaming Out Loud scritta da Haynes citando discorsi di Martin Luther King , John e Robert Kennedy, Danny Louis col piano elettrico costruisce il terreno ritmico dove si innesta una elegante sezione fiati mentre gli interventi vocali di Ivan Neville e della blueswoman Ruthie Foster accompagnano Warren Haynes in quello che sembra un numero di revue R&B da grande orchestra. Un’altra cantante fa la comparsa nel disco, l’ emergente Celisse Henderson si infila nelle note della lenta e bluesata Just Across The River, ennesimo titolo che usa il fiume come metafora, al contrario il talkin’oscuro e deep south di Billy Bob Thornton caratterizza The River Only Flows One Way, brano che scorre sulle dinamiche di un reggae visionario, dubbato e ipnotico con tanto di sezione fiati nel rispondere alla sezione ritmica. Se questo è il banchetto con gli invitati, il resto non è certo un menù da ospedale. After The Storm mischia Santana e jazz-rock di primissimo taglio che lascia spazio all’Hammond di Louis di giganteggiare e a basso e batteria di creare un groove sornione ed irresistibile, gli sporadici interventi di Haynes con la chitarra sono schizzi da grande illustratore. Long Time Coming sembra studiato apposta sulle sonorità tra jazz, blues orchestrale e rock dell’omonimo album degli Electric Flag, Gone Too Long si sviluppa come una ballata appassionata dai risvolti romantici e l’ assolo di Haynes è da antologia , Made My Peace è piacere assoluto per le orecchie,  Head Full of Thunder e  Peace I Need sono scuola per bassisti e batteristi.



Ad un album di per sé già piuttosto lungo, si aggiungono nell’edizione in CD le cinque tracce dell’Ep. Vale la pena citare la tesa e jazzata Stumblebum, Time Stands Still colorata dal coro femminile e dal funambolismo delle tastiere, i toni scuri, sibilanti e notturni di Blue, Blue Wind con tanto di tromba che imita Miles Davis e The River Only Flows One Way questa volta cantata dallo stesso Haynes.

Senza i Gov’t Mule il rock non avrebbe più quella avventurosa attitudine alla sperimentazione che fu di grandi band del passato, Allman e Dead in primis, detto questo non resta che alzare il volume e sedersi sulla riva guardando scorrere Peace….Like A River.

 

 

MAURO ZAMBELLINI     MAGGIO 2023

 

 

lunedì 1 maggio 2023

ANGELO leadbelly ROSSI it don't always matter how good you play

 



Parco di registrazioni in studio, tre album a suo nome di cui l’ultimo nel 2006 ed uno come Nerves & Muscles del 2012, ma ricco di esibizioni live, Angelo Leadbelly Rossi torna con un disco che può considerarsi il punto climax della sua carriera, un lavoro che racchiude tutte le anime e gli spiriti della sua musica. Non solo blues difatti, perché in It Don’t Always Matter How Good You Play, titolo che esemplifica la filosofia dell’autore ovvero non sempre importa quanto tu suoni bene perché è da sempre il feeling che fa la differenza, ci sono elementi che sconfinano nel rock dei settanta, nel jazz, nella psichedelia, nell’ indie-folk, nelle jam band, idiomi tenuti insieme da una performance vocale che sembra buttata lì quasi per caso, svogliata e dolente ed invece è il viatico di una dimensione sonora profonda, intensa, genuina. Il groove è da sempre alla base del gesto di Rossi, lontano da narcisismi e leziosità ma piuttosto portato a creare una sorta di trance ipnotico che ammalia e seduce l’ascoltatore, qui punteggiato dai sublimi interventi della chitarra elettrica di Roberto Luti, le cui frasi impreziosiscono un sound  che non abbandona mai l’atmosfera di un down-home blues che rumoreggia naturale e vitale. Accanto ai due c’è l’attenta sezione ritmica di Simone Luti (basso) ed Enrico Cecconi (batteria), insieme hanno trascorso tre giorni nel gennaio del 2021 al Gianbona Lab di Livorno registrando dal vivo l’album, apportando solo minime variazioni. Il risultato è un lavoro sfaccettato che possiede però una tematica sonora riconoscibile,  ripetuta nelle otto tracce concedendo ad ognuna di queste una sua personalità, a cominciare dalla lenta Desperate People cantata in un talkin’ malinconico e desolato, con Luti abile ad insaporirla con le sue nervose frasi di chitarra. Nell’ipnosi ritmica di Wait a Little Longer More Rossi canta con un fremito di rabbia dentro un decor sonoro che pare arrivare direttamente dalle colline a Nord del Mississippi portandosi appresso invitati quali Fred McDowell, Junior Kimbrough e Luther Dickinson. Splendido il lavoro di Luti. Who Gonna Remember What? incede ossessivo, la voce leggermente roca di Rossi evoca Jim Morrison, la sua chitarra e la sezione ritmica impongono il drive mentre Luti apre, chiude, svolazza, graffia e ci mette un pizzico dei Grateful Dead dell’era PigPen. Sono invece i Fleetwood Mac di Peter Green che si affacciano nell’apertura di Old Memories Sound Good To Me dove Rossi sceglie di cantare come un crooner country che cerca di convincere una sua vecchia fiamma a ricordarsi di quanto bene stavano insieme. Il momento delle dolcezze si chiude quando parte Get me outta here! uno dei brani topici del disco. L’insistente invocazione del suo cuore pronto per il Signore marcia di pari passo con il groove contagioso creato da Rossi che qui usa la voce come uno strumento schiamazzando un po’, la sezione ritmica è un metronomo e Luti dipinge blues come fosse un pittore impressionista. How Long Will It Take è Rossi-style al 100%, inizio lento e quasi sognante con la chitarra elettrica che ricama, il talkin’ ipnotico, ancora Luti che estrae magie dallo strumento tra Bloomfield e Peter Green, un blues etereo che si infila nel cosmo senza esaltazioni e assoli fini a sé stessi ma estremamente coinvolgente. Più terrea è Swinging Seventies, Rossi brontola blues con rabbia, non c’è nostalgia ma determinazione, un organo rubato a quella decade entra a dare manforte alla quadrata sezione ritmica e lascia il segno, Luti cesella e Leadbelly gli fa da spalla. La conclusiva Grateful Be Here parte sorniona e addormentata ma poi si trasforma in una vera jam dove si sentono i Dead, gli Allman, le super session e soprattutto questo quartetto capace di espandere i confini del blues verso qualcosa di progressivo ed “in divenire” senza perdere la melodia e i rustici sapori roots. It Don’t Always Matter How Good You Play è un disco dove il blues è più un attitudine che un numero di battute, ed è la tangibile dimostrazione del sound posseduto da Angelo Leabelly Rossi improntato al lessi is better ma ugualmente stravagante, ipnotico, appassionato. Grande ritorno.



MAURO  ZAMBELLINI