venerdì 21 giugno 2019

NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE


Sono girate moltissime recensioni, riflessioni e commenti a riguardo di Western Stars, ultimo disco di Springsteen che ha mosso le acque attorno alla sua musica come non succedeva da tempo. Ne è stato investito anche il mio piccolo blog che da una media di 5/10 commenti per post si è passati a più di 60 commenti a margine della mia recensione del disco, tutti improntati ad opinioni e punti di vista critici o emotivi, spesso divergenti ma sempre civili ed educati. Grazie di cuore a chi vi ha partecipato. C'è comunque un secondo tempo, è con mio piacere che pubblico la seguente riflessione scritta dall'amico MARCO DENTI,  redattore part time del Buscadero e free lance a 360 gradi, che reputo tra le più approfondite, analitiche e circostanziate lette in questi giorni sui media nazionali. Buona lettura.

M.Z

 
NIENTE  DI  NUOVO  SUL FRONTE  OCCIDENTALE

Come i personaggi che cerca ancora di raccontare, Springsteen è incastrato in un meccanismo da cui non sa o non vuole uscire. Questione di status, più che di soldi, ma Springsteen non è soltanto il troubadour che viene a raccontarci le sue storie, è un onesto lavoratore con scadenze e impegni da rispettare. Un argomento di cui è vietato parlare, ma che ha un peso specifico non relativo sull’esistenza di Western Stars , e anche sulla sua peculiare natura. Di fatto dopo il famigerato contratto da cento milioni di dollari del 2005, Springsteen ne ha rinegoziato un altro (con un anticipo di trenta milioni) che prevede, dal 2015 al 2027 13 album (esattamente uno all’anno) di cui 4 di inediti in studio. La tabella di marcia è stata rispettata per quanto riguarda i box retrospettivi (il primo era The Ties That Bind: The River Collection , seguiranno in ordine sparso Born In The USA , Nebraska e qualcosa di molto simile a Tracks 2 ) e i dischi dal vivo (saranno cinque, il primo è stato Broadway , con risultati non esaltanti) con il fuori programma di Chapter & Verse . Per inciso, e per avere una vaga idea delle dimensioni del patteggiamento totale, Springsteen ha ottenuto di poter continuare a pubblicare i “live” digitali, a sua discrezione, e ha imposto una rigorosa verifica delle royalties da tutti i paesi in cui è distribuito al netto delle tasse e della fiscalità di ogni nazione. Immagino le parcelle degli avvocati, ma questo (e non un altro) è il mondo in cui vive Springsteen. Un mucchio di soldi, e un sacco di dischi da mettere insieme.  Quelli in studio dovevano arrivare alla media di uno ogni tre anni (i calendari non sono un’opinione), ma già il primo, Western Stars, salta il turno, arriva in ritardo e segna una sorta di linea di demarcazione. Nei prossimi otto anni, Springsteen dovrà incidere altri tre album in studio, partorire tre box e quattro dischi dal vivo. È qualcosa in più di un album all’anno: è una catena di montaggio. Questa, con un pizzico di realismo, è la condizione di Springsteen, oggi. Lasciamo perdere le questioni personali e autobiografiche. Non facciamo finta che Springsteen sia il profeta che viene a raccontarci cosa sta succedendo in America (e comunque non lo sta facendo). In tutta onestà, Springsteen gioca in un ruolo che si è scelto e questo, per dirlo con le sue parole, è il prezzo di pagare. La libertà ha un altro valore, e chiedete a John Mellencamp che negozia disco per disco (e i risultati sono lì da vedere). Western Stars è il primo album di inediti del nuovo contratto, proprio come High Hopes (ricordate?) era l’ultimo tassello della precedente trattativa. È un disco montato ad arte attorno a un concept (attenzione, non a un concept album) che è stato sviluppato per sommi capi, seguendo delle indicazioni altalenanti e qualche falsa pista. C’è stato un grande lavoro (persino eccessivo) nel creare attorno a Western Stars un’aura che ha generato commenti con un’enfasi pari soltanto a quella del disco, ma è tutto frutto di quel concept che Springsteen ha prima annunciato come un album di “pop californiano” (qualsiasi cosa significhi) e poi, grazie a una sottile e pervicace campagna di marketing, ha indirizzato verso il West in generale. Quando sono apparse le prime foto su Instagram, pensavo fossero le testimonianze di un bel viaggio (necessario) dopo la routine di Broadway e, invece no, erano già le avvisaglie di una serrata campagna promozionale che, passando per i videoclip, il ridondante comunicato della Columbia (che ha dettato la linea), le interviste/confessioni le sta provando tutte per “posizionare” il disco (una catena di centri commerciali ha persino riempito gli scaffali di finti Western Stars in attesa dell’uscita). Lo stesso Springsteen si è prestato a interpretare il concept di Western Stars con ogni ammennicolo del caso (cappello, stivali, giaccone), ma qui l’abbaglio è plateale, se lo si vuol vedere. Già dal titolo, Springsteen gioca con uno dei grandi miti americani, il West, ma la sua visione è da cartolina, limitata, e anche un po’ troppo patinata (in questo molto legata alle sonorità scelte con Ron Aniello). Una svista non da poco, che pare fare il bis con quella, a suo tempo, della location di Broadway. Già il West in sé è stato prima un ladrocinio brutale nei confronti dei nativi americani, poi una truffa conclamata ai pionieri, per non dire della corsa all’oro. Oggi è una una terra devastata a livelli apocalittici nell’ambiente (la California) e nell’umanità (i confini con il Messico). Di quale West parli Springsteen non è chiaro, di sicuro non è quello di Cormac McCarthy o di Larry McMurtry. L’unico nome che affiora, e proprio nella stessa Western Stars , è quello di John Wayne, perfetto interprete di un West posticcio, e se un indizio non fa una prova, rimane pur sempre un bel punto di domanda. Tutto lì? Restano i contorni paesaggistici, l’alone dei panorami al tramonto che dovrebbero e/o potrebbero coincidere con una condizione esistenziale, ma è un West del tutto arbitrario che purtroppo altri hanno saputo sviscerare in modo molto più convincente, dai Wall of Voodoo di Call Of The West a King Of California di Dave Alvin per non dire di un qualsiasi album di Tom Russell. In Western Stars , l’effetto, grazie anche alla colonna sonora cinematica, è quello di una serie di fotogrammi in technicolor, affascinanti, ma un po’ sgranati, dove si possono cogliere brevi e intensi momenti strumentali, ma la visione d’insieme, per quanto si tratti di un disco uniforme e coerente come non capita da tempo a Springsteen, non è per niente approfondita ed è limitata a piccoli dettagli che dovrebbero costruire le singole storie, ma che si limitano a essere particolari sparsi. Suggestioni, impressioni, frammenti: le canzoni reggono a forza di cliché e di luoghi comuni e il principio narrativo “kick the stone”, ovvero prendi un personaggio, mettilo sulla strada e guarda un po’ cosa succede, a volte funziona, a volte no. Ma non è quello il punto: le caratteristiche dello stuntman ( Drive Fast ), dell’autostoppista ( Hitch Hikin’ ), del viandante ( The Wayfarer ), dell’attore ( Western Stars ) e, buon ultimo, del songwriter ( Somewhere North of Nashville ) sono un’altra cosa rispetto all’America   blue collar di Springsteen dove, bene o male, magari non si arrivava a nessuna terra promessa, ma un approdo comunque lo si trovava. Se non altro, anche nei momenti più cupi, restava una “reason to believe”. Questa è la vera differenza, e forse anche la vera novità: Western Stars è frequentato da gente che non torna a casa, che è molto distante da se stessa e che, in definitiva, si è arresa. Un’umanità che avrebbe richiesto uno sfondo più accurato e un ritratto meno romantico. Il capolinea di Moonlight Motel , elegiaco nella forma, evanescente nella sostanza, è forse l’emblema della desolazione di Western Stars che è popolato, sì, di loser come in ogni altra canzone di Springsteen, ma dove sono stati accuratamente rimossi i conflitti che li hanno generati. Da cosa dipende questa scelta non è chiaro. La soluzione, in prima istanza, ha una sua efficacia consolatoria, ma vuoi per l’assonanza con il titolo, vuoi perché Sam Shepard “il vero West” l’ha scandagliato davvero, torna in mente quello che diceva in Motel Chronicles ovvero qui “la gente qui è diventata la gente che fa finta di essere”. Quello di Western Stars è uno Springsteen epico, piuttosto che drammatico: un cambio di prospettiva sensibile che ricorda quel momento in cui John Grady Cole, il protagonista di Cavalli selvaggi di Cormac McCarthy “guardava il paesaggio con certi occhi incavati come se il mondo esterno fosse stato alterato o messo in dubbio da altri aspetti che aveva scorto altrove. Come se non riuscisse più a vederlo nel modo giusto. O peggio, come se lo vedesse finalmente nel modo giusto. Lo vedesse come era sempre stato e sempre sarà”. Sembra proprio il ritratto dello Springsteen di Western Stars, e il fatto di essersi affidato a un tono spogliato di ogni urgenza scorre in parallelo con i risvolti narrativi che si risolvono in struggenti sprazzi musicali o ampie orchestrazioni, e in una voce mai così curata, accorta, levigata e corretta, persino nella dizione (per non dire dell’intonazione). L’impianto sonoro è funzionale allo scopo: molte decorazioni, un sacco di strumenti stratificati uno dentro l’altro, nessuna vera funzione specifica se non quella di ricordare, con una dose letale di nostalgia, le colonne sonore di vecchi film o rendere omaggio a Roy Orbison (l’unico, valido motivo per ascoltare There Goes My Miracle ). Niente di nuovo o di sorprendente sul fronte occidentale: tanto assemblaggio e riciclaggio, ovvero molto mestiere che porta a canzoni buone per ogni stagione ( Tucson Train, Sundown, Hello Sunshine ) ma tutto sommato innocue, per quanto perfettamente inserite nel contesto di Western Stars. E nessuna sorpresa anche per le reazioni a caldo che, come già per Broadway , sono state dettate e guidate dall’emotività, fonte di una prosopopea ricca di elogi e superlativi, ma spesso del tutto priva di attinenza al merito, e alla sostanza. Il motivo è molto semplice: Western Stars è un disco di una malinconia indicibile perché è fin troppo evidente che inquadra con un’istantanea impietosa uno Springsteen che ha ancora qualcosa da dire, non sa bene come farlo, ma lo deve fare. Lo dovrà fare. E lasciamo stare l’età, che ognuno ha quella che ha. Il prossimo concept, già annunciato (a riprova che gli ingranaggi girano a tempo pieno) diventa inquietante (tour compreso): non sia mai che l’album con la E Street Band si risolva in qualcosa di simile alla reunion di Graham Parker & The Rumour: grandi (grandissimi) rock’n’roller, ormai un po’ attempati, che sfornano della buona musica, ma la scintilla, il brivido, la scossa sono ormai alle spalle. Almeno in questo, per quanto a livello inconscio, Western Stars è molto più sincero. Addio al miracolo. All’ovest, l’orizzonte è quello del declino. Ci arriveremo a tappe forzate.

 
MARCO DENTI

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43 commenti:

armando ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
lorenzo galbiati ha detto...

Io non ci vedo nessuna analisi delle canzoni, solo un punto di vista pregiudiziale di un critico musicale che per circa il 75% di questa recensione ha parlato di tutto tranne che delle canzoni del disco. Il suo interesse era solo parlare del contratto di Springsteen, della produzione e della promozione dell'album e dell'idea di California sua e di Springsteen (ovviamente giusta la sua e quella di chi suona rock, sbagliata quella di Springsteen che suona pop melodico orchestrale perché non concorde con la sua o con quella di Cormac McCarthy: come se i libri di McCarthy, che conosco bene, descrivessero davvero la California reale, e non mitizzata dall'autore).

Siamo nel pieno della recensione ideologicamente prevenuta, si arriva a criticare pure i testi perché sarebbero solo cliché e perché prima i personaggi avevano una promised land a cui pensare mentre qui sono persi senza alcuna speranza (ma lo sa Denti che The Promised Land ha compiuto 41 anni, e nel frattempo quella mitologia springsteeniana è cambiata da un pezzo, o crede che è WS il primo che la stia infrangendo?).

Ha dovuto ammettere, en passant, a... Denti stretti, che questo è un disco ben studiato, omogeneo, tipo concept come non ne faceva da anni e che i momenti melodici strumentali sono "intensi" (non ce l'ha fatta a dire belli) ma subito per dire che sono frammentari. Ecco, su questo, ossia sulla musica, e sul suono delle canzoni, si dovrebbe basare una recensione, qui la si cita solo di striscio in modo che, anche se fossero belle le canzoni, non disturbino il pregiudizio ideologico negativo con cui si inquadra tutto l'album... anzi non direi nemmeno l'album ma, visto che si parla di più del contratto, l'operazione commerciale che c'è dietro.

In conclusione, dice, Denti, le reazioni a caldo emotive positive sono dovute al fatto che non hanno badato al merito, alla sostanza: beh, lui in questa recensione del merito e della sostanza ha parlato pochissimo, del contratto, del West, di McCarthy ecc. ha parlato molto: dunque emotivo anche lui, no?

Chiudo. Non ho nessuna obiezione a leggere recensioni negative su questo disco, ma ho capito che recensioni attinenti alla musica, ossia spassionate, che non la riducono a qualche frase all'interno di un discorso ideologico sul West, o sulla musica orchestrale, o sulle scadenze contrattuali del Boss non le troverò qui. Ok.

armando ha detto...

Stimo Denti come Zambellini da tempo immemore e per quanto per certi versi questa sua lettura valga la pena leggerla, per altri non mi trovo affatto in sintonia. Amo la musica di Springsteen ma non sono uno di quelli che difende la sua opera sempre e per partito preso. La sensazione piacevole che mi sta dando questo disco non la provavo da tempo ma è pur vero che i gusti sono gusti ed ognuno ha i propri...per carità! Leggo con curiosità il discorso del contratto ma non credo che Bruce sia l'unico a dover rispettare certe clausole...anche se in cuor mio non mi sarebbe dispiaciuto vederlo come un outsider alla Earle o un testardo alla Mellencamp....ma con la Sony ci lavora lui e non io!? Ad ogni modo come dice Galbiati, non è che Bruce ha fatto un ritratto del West o della California, ha semplicemente usato un'ambientazione geografica per far muovere i suoi personaggi,quindi non riesco a trovare un nesso con le storie di McCarthy..e poi come ci sono mille Americhe, potranno pur esistere tanti modi di ritrarre la California, che può essere anche l'assoluto deserto del Mohave,lontano dal confine con Tijuana e le storie di certo Border. Ad ogni modo il discorso resta sul fatto che il disco possa o non piacere. Poi su quel che invece ci riserverà Springsteen nei prossimi mesi, non abbiamo certezza e saranno solo le prossime pubblicazioni a rivelarsi qualcosa. Con immutata stima a Denti e Zambo.

Armando Chiechi

armando ha detto...

Chiedo scusa per il correttore....assolato deserto* invece di assoluto e pubblicazioni a rivelarci*.

Paul ha detto...

Anch'io stimo Denti e ho definito in tempi non sospetti zambo come il miglior scriba delle favole springsteeniane. Detto questo non ci trovo niente di male a trovarmi in disaccordo, come in questi caso, sul suo/loro punto di vista.
Ho ascoltato a lungo WS e credo che, anche se non sia un capolavoro, rappresenti un progetto maturo e coerente, sicuramente con il pregio di avermi emozionato come non succedeva da parecchio con springsteen. La confezione orchestrale appesantisce i pezzi solo in un paio di casi a mio parere (lo dice uno che tendenzialmente mal sopporta gli archi ), per il resto mi sembrano assolutamente funzionali alle canzoni che finalmente ci sono e reggono per afflato e forza. (Labianca ha scritto che WS chiude la trilogia iniziata con Tom joad e proseguita con devils&dust: è un'immagine che mi piace e, seppure con tutte le differenze fra i 3 concept, un filo rosso che li tiene insieme lo vedo).
Fate questo esperimento. Ho riascoltato dopo 10 anni working on a dream perché non lo ricordavo più. Ho capito perché: è veramente un disco di merda e si arriva alla fine solo per ascoltare quella perla di The wrestler (ho riletto anche la relativa recensione del tempo di zambo e ,sempre per la storia dei punti di vista, il disco non fu affatto stroncato, ma giudicato ben assemblato e con potenzialità). Questo per dire che va bene tutto, i dischi possiamo detestarli, amarli o ritenerli trascurabili, siano essi di autori super celebrati o di outsider. Alla fine ci devono rimanere le canzoni, la poesia che evocano e il desiderio di schiacciare di nuovo play (cosa che con WS tendenzialmente direi che succede).
Il resto (come hanno già ampiamente commentato il puntuto lorenzo e il lucido armando), ovvero copertine patinate, video di cattivo gusto, promozioni commerciali, questioni contrattuali, ritratti del West non coerenti, trattati di sociologia americana poco credibili, non credo che interessino particolarmente la maggior parte degli appassionati come quelli che affollano questo beneamato blog. Rischiano invece di apparire delle supecazzole per trovare un motivo presuntamente più valido per stroncare il disco. Meglio a questo punto Paolo Vites che dice che "ogni volta che entrano gli archi è come un palo in culo" (cit.).
Un filo cruda come immagine ma sicuramente chiara e incontestabile.
Un saluto a tutti e un grazie al padrone di casa.
Paul

corrado ha detto...

Recensione molto interessante, quella di Denti, la quale, come quando si vuole creare un testo argomentativo con un'opinione differente, può essere analizzata, smontata punto per punto e verificata. Diciamo che è una buona palestra per esercitare le proprie capacità critiche, come bene hanno fatto, e con grande rispetto, i primi commentatori del post. La tentazione è forte anche per me, tuttavia ho bisogno di leggere altre argomentazioni e continuare ad ascoltare il disco senza pregiudizi, come sto facendo. Un disco che continuo ad ascoltare continuamente trovandovi immutato piacere, insieme ad altra musica diversissima uscita negli ultimi anni, fuori però dai confini musicali di questo blog.
Da rifletterci ancora

Unknown ha detto...

Unknown2. Arriveremo a 60 commenti anche qui, e nessuno si sposterà di un mm dall'idea iniziale, dal primo ascolto, che poi ci sforziamo tutti di razionalizzare affastellando argomentazioni le + disparate.
Nn sopporto i ruffiani, ma anche stavolta mi accodo a Marco Denti, che anch'io leggo da decenni (mi aveva promesso un articolone su Stephen King, una volta). Lui è anche critico letterario sul busca, normale che citi in qs caso mc carthy, no?
Poi elenca fatti inconfutabili, numeri precisi: difficile contestarli, anche se ogni lettura degli stessi è poi legittima. Ed è ovvio che x lui tutto ciò avvalora l'impressione negativa su ws, fin dal primo ascolto.

Sono un medico, e vorrei toccare un argomento ancora inedito in qs forum. Bruce da decenni combatte con la depressione, o peggio, e ovviamente qs comporta in primis l'uso di farmaci di ogni tipo. In particolare il klonopin, che lui cita sia nell'autobiografia che in broadway, è una brutta brutta brutta bestia (vedere in rete come ne parla stevie nicks, ad es).
Infinite ore di psicoterapia e montagne di farmaci, se gli possono aver ridato un equilibrio di vita, e ne siamo tutti felici, hanno sicuramente influito pesantemente sulla sua personalità. Con ogni evidenza nn è più lo Springsteen di darkness.
Il guaio è che io e i fans + stagionati siamo stati folgorati da "quello" Sp.steen, e questo, di ws et similia, lo sentiamo annacquato, confuso, velleitario.
Fermo restando, scusate se mi ripeto, l'affetto profondissimo x il fratello maggiore che nn ho avuto, nè mai conosciuto.
Blinded by the light

Luca ha detto...

Esatto. Condivido in pieno questo commento. Tra l'altro il tutto si basa su informazioni contrattuali che, a quanto mi risulta, hanno come sola conferma i famosi file wikileaks di alcuni anni or sono, e che potrebbero essere anche totalmente modificati.

Luigi ha detto...

Uno degli scopi dell' arte è anche quello di muovere le coscienze.
Fatevi una semplice domanda:
Quanti dischi film libri hanno oggi la capacita' di colpire e far discutere in questo modo?
Il punto non è ormai il giudizio bello o brutto con buona pace di fan o detrattori.
Il fatto è che Western stars è un disco IMPORTANTE che ai miei occhi vale anche più che bello o brutto e Springsteen è un artista ancora vivo
Luigi

corrado ha detto...

Molto di nuovo sul fronte occidentale (1)
Gentili Mauro Zambellini, Marco Denti e tutti gli appassionati frequentatori di “Zambo’s Place”.
Ho scritto queste note cosciente del fatto che le nostre singole opinioni non sposteranno di un millimetro quelle dei nostri interlocutori. Il fatto è che, a mio avviso, “Western Stars” merita davvero una maggiore attenzione e un maggiore approfondimento e lo merita, sempre a parer mio, nella sua accezione positiva.
Ho così letto con estrema attenzione e interesse l’intervento di Marco Denti, del quale conosco l’opera sincera e appassionata già da parecchi anni, ormai. Quanto scrive merita una disamina approfondita, perché propone una serie di dati oggettivi molto pertinenti, dei quali occorre sicuramente dare conto. Allo stesso tempo il suo esame del disco, che occupa purtroppo solo una piccola parte del testo, mette in rilievo alcuni passaggi che si rivelano molto utili per un’interpretazione complessiva dell’ultima fatica springsteeniana. Ma andiamo con ordine.
Marco Denti riconosce che “Western Stars” ha una sua grande sincerità di fondo, quella sincerità che gli deriva dall’essere un’opera che fotografa un orizzonte di declino.
Questa è una verità molto profonda, il vero lascito di “Western Stars”, che Marco Denti sembra tuttavia cogliere solo parzialmente.
Nel suo ultimo lavoro Springsteen dipinge personaggi che si avviano lungo un viale del tramonto oleografico, cinematografico, epico, ma allo stesso tempo vero e intenso, perché in quel viale del tramonto, attraverso i suoi personaggi, Springsteen racconta sé stesso a settant’anni, quando il più e il meglio della sua vita è già passato. Uno Springsteen “senile”, che lotta contro il tempo, contro paure e demoni, tra queste una spietata depressione, che si infila nei meandri della mente, che scava e opera danni profondi. Si tratta di sfide che mai avrebbe pensato di dover affrontare quando era giovane, padrone dei suoi sogni e di un universo allora in piena costruzione.
L’approcciarsi al tema del tempo che trascorre lento, ma nella sua lentezza implacabile, richiede una notevole dose di coraggio, soprattutto nel prendere coscienza che le tue priorità e con esse il tuo orizzonte narrativo cambieranno per sempre.

corrado ha detto...

Molto di nuovo sul fronte occidentale (2)
Già negli anni passati Springsteen aveva cominciato a riflettere su questo tema e a modificare l’approccio alla sua scrittura, inizialmente intervenendo sui suoi vecchi materiali.
Tale modo di lavorare si inizia a intravedere con la realizzazione del box “The Promise”, in particolare quando ha scelto di riscrivere e valorizzare una vecchia idea come “Save my Love”, per collocarla magnificamente nel mondo dello Springsteen della piena maturità e dell’inizio del declino. Il video che accompagna la canzone è perfettamente rappresentativo di tutto ciò: insieme alla canzone (una bella canzone, il testo può apparire solo superficialmente “generico” e di cliché) scorrono le immagini di Bruce e della sua band negli anni della gioventù e, infine, vediamo gli stessi musicisti oggi, con degli sguardi quasi impietriti nel rivedersi come erano prima e cosa sono oggi. Il tutto propone un’immagine a mio parere ben lontana da quella di attempati e bolliti rocker che oggi tirano un po’ a campare sul loro inarrivabile passato, quanto piuttosto di persone colte nella loro piena, totale e per questo fragile umanità.
È lo Springsteen di oggi, che, nonostante tutto, appare sincero, oltre tutti i motivi economici e contrattuali puntigliosamente elencati da Marco Denti. Uno Springsteen che, pur non avendo certo particolari problemi di soldi e non essendosi trasformato in un Ebenezer Scrooge dei nostri giorni, firma un contratto da vero e proprio stakanovista del rock (ma attenzione gli album di inediti saranno 4 in 12 anni, una media “umana”), non per accumulare denaro, ma per dare un senso alla sua vita, raccontare ancora di sé, lavorare per sfuggire alla depressione, andare in tour, che per lui è la migliore medicina possibile.
Ricordiamo che oggi i dischi non si comprano più come una volta, l’importante è il tour che li accompagna: è proprio l’organizzazione del tour che rende commercialmente produttiva tutta l’operazione intorno a un disco.
Invece “Western Stars” NON avrà un tour ad esso dedicato, dunque viene un po’ a cadere la motivazione finanziaria che ci sarebbe dietro la sua realizzazione, secondo quanto proposto dai suoi detrattori. È più ragionevole pensare a questo lavoro come all’inizio di un cosciente progetto di riscrittura dei personaggi e delle situazioni springsteeniane, calate nel contesto attuale, invece che in quello dell’uomo e del musicista del tempo che fu. Naturalmente poi anche le vere e proprie vendite del disco premieranno lo sforzo, giustificandone l’investimento iniziale e sicuramente parti di “Western Stars” saranno riutilizzate nei concerti futuri, ma non mi pare questo il senso principale dell’intera operazione.

corrado ha detto...

Molto di nuovo sul fronte occidentale (3)
Per me dietro lo Springsteen di oggi c’è soprattutto il desiderio di raccontarsi da parte di un uomo coscientemente e lucidamente avviato sul viale del tramonto, ma non “a tappe forzate”, bensì a tappe desiderate, cercate, volute. In un certo senso “programmate”, sia pure dietro la spinta di un favoloso contratto con la casa discografica.
In “Western Stars” il racconto, l’uso dei personaggi sono diversi dal solito, come fa notare Marco Denti, ma non penso che ciò accada perché Springsteen non sia più in grado di focalizzare le situazioni o giustificare le scelte e i destini dei protagonisti dei suoi racconti. Che i loosers springsteeniani hanno dietro cause profonde che giustificano il loro ultimo approdo esistenziale lo sappiamo bene da decine e decine di canzoni, perché dover essere spiegazionisti a tutti i costi? In “Western Stars” il narratore non sta “accuratamente rimuovendo” queste cause, ma, più semplicemente, sta andando a descrivere lo stato d’animo finale dei personaggi, sintetizzando all’estremo quanto ha scritto chissà quante volte. A mio parere siamo qui di fronte a un’evoluzione significativa nella tecnica narrativa del Boss e credo che questo fatto debba essere opportunamente posto in rilievo, in particolar modo se leghiamo questo desiderio di sintesi agli arrangiamenti epici, da “gran finale”, che si contrappongono alle semplificate soluzioni narrative e che accostano le atmosfere di “Western Stars” a quelle di film come “Viale del tramonto”.
In sostanza, ci troviamo di fronte a un uomo che vuole sentirsi vivo, in tutta la sua fragile umanità, depressione compresa, desideroso di utilizzare tutti i canali espressivi che l’enorme popolarità e la disponibilità di mezzi e denaro gli concedono. Un uomo che desidera provare strade diverse rispetto ai cliché del passato (e ai quali accenna in “The Wayfarer”), proprio perché si vive una volta sola e vuole sondare tutte le possibilità espressive a disposizione, che siano le grandi orchestrazioni o il classico suono che lo ha caratterizzato per decenni. Tutto questo mantenendo sostanzialmente intatta la cifra stilistica di fondo del nostro.
Ecco perché apprezzo “Western Stars” e lo ascolto con meravigliata, insperata empatia e comprensione. Per me era dai tempi di “Tunnel of Love” che non mi avvicinavo al Boss con una simile partecipazione emotiva. Quell’emotività che mi pare Marco Denti non riconosca come un valore, quel valore che invece emerge, senza tanta dietrologia, nelle argomentazioni proposte da chi questo disco lo ama e lo ascolta abbandonandosi al semplice piacere di ascoltarlo. Senza pensare a cosa resterà di esso fra trenta quarant’anni.
Sicuramente lo Springsteen dei tempi d’oro è un’altra cosa, sicuramente è “meglio” se ci appassioniamo all’uomo ritratto nel momento della sua più alta e prorompente vitalità. Credo che però sia una scelta di maturità e umanità riconoscere e apprezzare anche gli umani cambiamenti dei comuni mortali.
Springsteen sta invecchiando, come tutti noi, ma non sta invecchiando “male, male, male”, come è stato recentemente sentenziato. Invecchiare e trasformarsi è nella natura delle cose. Arrivarci tutti così…

armando ha detto...

Che dire ancora ? Non credo molto altro, perché mai come in questo caso un album di Springsteen ha diviso come questo Western Stars.Personalmente alla fine sarà il tempo e la percezione del disco a distanza,forse a fornirci una visione più lucida e forse definitiva.Ad ogni modo non mi sento tradito da Springsteen e la Sony,come da Zambo o Denti solo perché il loro giudizio stavolta non combacia con il mio, cosi come non santifico Earle o Mellencamp o Maddock, per essere l'outsider di turno l'uno,il ribelle l'altro e l'artista che ti piace perchè suona nel pub sotto casa.Un disco come un'artista possono trasmettere emozioni o meno a prescindere se tu possa o meno sapere quanto ha stipulato con la casa discografica, oppure se non ha guadagnato un fico secco non è che il giudizio finale può cambiare....perché le canzoni vivono d'altro.Neil Young ha conosciuto una decade di brutti dischi ma non per questo mi son sentito tradito o contrariamente giustificato il suo operato, solo perché provocariamente voleva staccarsi da Geffen? Semplicemente ho smesso di comprare i suoi dischi e ho ripreso a farlo solo quando certi suoi lavori Han ripreso a trasmetterci certe buone vibrazioni. Pretendere capolavori da gente che ha 70 e più anni è contronatura ma mi rendo conto che il loro lavoro è quello e pretendere una purezza che si ha quando si hanno venti o trenta anni è impossibile.Il rock era business anche ai tempi dei Beatles, con la sola differenza che nelle case discografiche c'era gente che amava la musica. Springsteen non é il diavolo e nemneno l'acqua santa,non é l'unico artista che ascolto ( non avrei frequentato queste pagine) ma come tanti altri artisti é stato e a volte continua ad essere un compagno di viaggio esattamente come gli scritti di Zambellini,che conservo e salvo sul mio pc quando ho da recuperare dischi che ho perso. Siamo tutti esseri umani e fallibili, l'importante che sia la musica a farci compagnia e ad alleviare una vita che diventa sempre più dura. Poi potrà essere per l'uno un disco di Bruce,per l'altro quello di Little Steven o per altri ancora tutti e due....ma che importa. A me fa più paura immaginare che un giorno...tutto questo dovrà finire !?

Armando Chiechi

Unknown ha detto...

Veramente notevoli tutti i commenti.Bruce ha vinto.Ha vinto perchè il dibattito sviluppatosi intorno a WS è appassionato e appassionante sia che lo si apprezzi o meno.N on è poco di questi tempi.Tengo per buono i risvolti contrattuali come li ha presentati Denti.Anche se faccio fatica a comprendere come le parti firmatarie riescano a programmare fino al 2027 neanche Springsteen avesse 20 anni e non 70.Boh è un mio limite.Più che il mondo di Springsteen è il nostro mondo.I personaggi e i paesaggi di Mc Carty li immagino nella mia mente esattamente come riesce Bruce.E per quanto mi riguarda sono veri entrambi come li costruisco con la mia immaginazione.inoltre le melodie e la voce sono veramente belle.È vero non c'è nessuna rivoluzione c'è forse smarrimento in WS.Ma voi la rivoluzione, il riscatto la vedete in Little steven?O nei Dream Syndicate?o nella Tedeschi Trucks band?Max60




Flavio ha detto...

Perfettamente d accordo con la recensione/approfondimento..del sig.Denti..preciso e lucido come sempre..si aspetta sempre con una punta di ansia l'uscita di questi eterni senatori della musica mondiale..di cui Springsteen e un ottimo..esponente uno dei più scaltri e in forma.io il disco lo ascoltato..lo ascolto..non con voracità..ma con gusto anche per motivi.sentimentali.ho le mie canzoni preferite come deve essere giusto per chi ragiona ancora per dischi sono contento del successo che sta avendo ma lo so benissimo che non c e urgenza non c e fotta non c e cazzimma come dicono gli amici napoletani. E solo un disco maturo affascinante di uno dei miei eroi di gioventù di cui sono contento di avere ancora la sua presenza tra noi.e uno dei migliori cantanti in circolazione..non dimentichiamocelo grazie..per la vostra attenzione..

Massimo Giuliani ha detto...

Bel dibattito, sì.
Io ho l'impressione che un disco così ponga più di un problema di prospettiva. Ho trovato infelice la promozione con le anticipazioni di "singoli" che peraltro erano i pezzi meno rappresentativi dell'album e che hanno abbondantemente falsato le aspettative. In rete e sulle riviste si commentava "There goes my miracle" continuando a far riferimento a Burt Bacharach e a Glen Campbell, quando quelle canzoni che abbiamo ascoltato da aprile (la seconda e la terza, almeno) erano quanto di più distante dai modelli annunciati.
Un po' per questa incomprensibile campagna promozionale, molto per la sua natura, a me sembra che Western Stars sia, per molti aspetti, un disco che spiazza. Ho letto critiche che insistono sull'invadenza dei violini. Che è una critica curiosa, dal momento che l'album è stato abbondamntemente annunciato come un disco orchestrale.
Trovo che Marco Denti, che pure dice cose ragionevoli, centri la sua critica su elementi esterni al disco e proceda in modo da confermare la tesi da cui parte. "Un argomento di cui è vietato parlare, ma che ha un peso specifico non relativo sull’esistenza di Western Stars". E perché è vietato parlarne? Chi lo vieta? Ed è un dato di fatto, che l'argomento eserciti "un peso specifico non relativo" sull'album, o è una ipotesi?
Io trovo che una chiave di lettura di quello che Bruce fa da un po' di tempo a questa parte sua il passaggio del concerto di Broadway in cui confessa che è tutta invenzione. Che lui è l'uomo che ha scritto Born to Run e oggi vive a dieci minuti da dove è nato; che ha cantato la fabbrica senza averci mai messo piede. La mia impressione è che stia premendo sul pedale della finzione, che da tempo ogni suo disco sia una rappresentazione diversa, e che intenda lasciare il palco dopo aver detto la sua su ogni genere musicale possibile. Questa è la volta di un nuovo genere: quello cinematografico, quello epico dei film di un tempo.
Certo che non è più il Bruce di Darkness: ma non per la terapia e i farmaci (sfido chiunque, anche senza terapia e farmaci, ad essere a settanta anni quello che era a venticinque). Non lo è più, non può esserlo, perché ci ha svelato di essere un "personaggio"; che è tutto inventato. E io credo che con quel senso di tradimento che avvertiamo facciamo i conti quando ascoltiamo questo nuovo album.
Poi alla fine la questione vera è che a me piace un bel po'. Mi piace nel suo complesso almeno quanto detesto due di quei tre singoli.
Grazie Zambellini, grazie Denti.

armando ha detto...
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armando ha detto...

Interessante la considerazione fatta da Massimo a cui mi permetto di aggiungere qualche punto. Hai ragione a dire di alcune forzature fatte in merito a certe influenze, soprattutto con Bacharach che se c'è ad ogni modo non è in There Goes my Miracles.La presenza di Glenn Campbell invece è secondo me ben posizionata sia in Hello Sunshine che in altri brani dell'album....e in merito a questo autore sarebbe interessante recuperare il docufilm uscito sullo stesso e con interventi dello stesso Springsteen,più che altro per capire qualcosa in più sulla genesi di Western Stars. Sullo smontaggio del personaggio, credo invece che Springsteen abbia voluto di proposito giocarci su, sicuramente perché stanco del suo stesso mito, un po' come a suo tempo fece Dylan con la sua stessa figura e con il suo stesso songbook.E' vero quel che dice di Born to Run che tu citi su ma è altrettanto vero che Springsteen ha raccontato attraverso i suoi personaggi un mondo che lui conosceva perché a lui molto vicino.Lui ha raccontato se stesso in relazione a certi ambienti....i suoi stessi personaggi erano lo specchio delle esistenze senza futuro dei suoi stessi familiari e amici.Poi è chiaro che il voler distruggere e riderci su,abbia fatto parte del copione di quegli show, criticabili più per il formato scelto in seno alla pubblicazione. Western Stars invece credo rifletta il suo lato oscuro, nello stesso modo e con le dovute differenze che diedero alle stampe un lavoro come Nebraska. Staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro...?

Armando

Unknown ha detto...

Unknown2. Ha anche svelato di aver composto elegie automobilistiche quando non aveva manco la patente, se è per questo. È prprio qs sadomasochismo demistificatorio che trovo innaturale. Ovvio che nessuno a 70anni è un 25enne, ma perchè abiurare, rinnegare tutti i sogni che lo (ci) hanno aiutato a sopravvivere? È qs che nn capisco, che forse semplicemente nn voglio accettare, attribuendolo magari ad interventi e sostanze esogene.
Credo che noi, normal people, siamo invece affezionatissimi alle illusioni/utopie/sogni della ns gioventù. Forse lui è arrivato a detestarli xchè li ha resi pubblici, nn sono + "suoi".
Traslando, magari sta facendo lo stesso anche con la musica. Lascia la via vecchia(logora?) per cercare la nuova.
A me non piace. Beati voi, cui piace.
Darkness on the edge of town

armando ha detto...

No...non credo voglia rinnegare niente,piuttosto fare ironia su dei simboli che ad un certo punto possono diventare ingombranti. Ce lo ha insegnato Dylan ma anche Waits che ad un certo punto non voleva essere confuso con i suoi personaggi. E' la regola e la funzione dell'arte e vale per tutti, Springsteen compreso.

Armando

gggg ha detto...

Alacciandomi a cio' che ha scritto Massimo, Armando e Unknown Puo' essere inconsciamente e superficialmente che lui, con quelle affermqzioni seppur ironiche in Broadway, abbia preso le distanze da quei sogni che avevano alimentato le nostre illusioni giovanili e come conseguenza alcuni di noi delusi, siano molto più critici nei suoi confronti. A Cominciare dalla musica.....io alcuni album di glen campbell li ho e prima di fare la recensione li ho ascoltati nella loro interezza ma a parte quqlche canzone magnifica ho fatto fatica ad arrivare in fondo cosi soporifero e melodioso (non uso orchestrato se no si ricomincia da capo). ma siete sicuri che quelli, non parlo di coloro che stanno in questo blog, che si sperticano in lodi per WS possano essere stati almeno una volta nella vita grandi estimatori di campbell? e perché gli stessi non sono andati in giuggiole con i dischi di neil diamond? solo pochi anni fa quando springsteen suoanva rock o folk gli stessi uno come glen campbell l'avrebbero buttato fuori dalla finestra, oltre a non conoscerlo. adesso é diventato quqsi un punto di riferimento perché é stato citato dal Boss. tant cose strane, come i miei tanti errori ortografici ma sto scrivendo con una tastiera francese e i francesi sono spesso diversi

paolo ha detto...

Mi chiamo Paolo, sono di Milano, e nei primi anni 80 lavoravo presso un'azienda grafica che aveva tra i clienti proprio Carù Dischi, e quindi leggevo e trascrivevo tutti gli articoli dell'Ultimo Buscadero in quella che al tempo si chiamava fotocomposizione. Rivista che al tempo era "innamorata" follemente di Springsteen. Leggevo dai redattori del Buscadero, articoli di un tale amore per il nostro... Certo si parlava di The River, di Nebraska. Ora ho letto questa recensione, ma mi lascia francamente un po' freddo. In realtà ci dobbiamo confrontare prima di tutto con il disco, con la musica. E io che sono stato ferocemente critico negli anni in cui Springsteen si è separato dalla E Strett, ritrovo ora una ispirazione che non avrei mai immaginato. Grande disco, grande coraggio da parte del nostro. Tutto il resto, seppur corredato di grandi riferimenti e approfondite analisi, lascia per me il tempo che trova.

armando ha detto...
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armando ha detto...

Comunque quel che dice Mauro fa riflettere a prescindere dai singoli e possibili schieramenti.Sicuramente Glenn Campbell immagino abbia girato meno sui nostri piatti o lettori rispetto ad un Willie Nelson o a un Johnny Cash.Credo comunque Springsteen si sia ispirato non trascurando per fortuna il suo stile e la sua sensibilità. Poi quel che ci riserverà in futuro lo vedremo.

Armando

lorenzo galbiati ha detto...

Vorrei rispondere al commento di Zambo.

Fidati dell'arte ma non dell'artista. L'ha detto Bruce, tanti anni fa. Così come, anno 1995, intervistato da Massarini Bruce disse che narrare certe storie è questione di sensibilità, non di esperienza diretta (Ghost of Tom Joad). Quindi, non cerchiamo di ricavare info sulla vita di Bruce o sulla sua ideologia dalle storie che scrive. In parole povere: se Bruce in questo disco scrive di disperati, non significa che lui abbia perso la speranza, i sogni, si sia arreso, non veda più una promised land, significa che questa è la sua ispirazione adesso, ed è abbastanza chiaro che un miliardario, per quanto depresso o bipolare come lui, non si senta come il protagonista dell'ultima canzone.

Altro punto, io come Drugo preferisco i CCR agli EAGLES (anche se non posso dire di non sopportare Le Aquile), e di certo Bruce è cresciuto con Fogerty più che con le melodie e il rock rilassante degli Eagles. Ebbene, quando ho sentito che voleva fare un album di pop orchestrale californiano ho detto Ussignur! Glen Campbell non lo reggo più di tanto. Ho ascoltato la sua Wichita Lineman e ok, è carina ma due o tre così, poi getto la spugna. Meglio quella di Johnny Cash in Unearthed, quella sì è in stile vecchio Springsteen. Ma non del nuovo. Ebbene, se sento affinità tra WS e il Campbell di Wichita Lineman le sento in Hello Sunshine, e poco altro, non certo in Western Stars o Wild Horses o Drive Fast o Stones o Wayferer: queste 5 canzoni fanno parte dello Springsteen maggiore e hanno poco a che fare con Campbell (a queste poi vanno aggiunte Miracle e Motel, e fanno già 7 canzoni tra il grandioso e il più che buono). Gli archi di Western Stars e Chasing Wild Horses sono degni non dei film con John Wayne (prego citatemene uno con delle melodie e orchestrazioni così belle ed epiche e raffinate) ma semmai di uno dei film dove John Williams ha vinto l'Oscar o Morricono avrebbe dovuto vincerlo.
Per inciso, la citazione di John Wayne, alla quale i detrattori come Zambo e Denti hanno dato tanto importanza da usarla per associargli la musica di questo album, è una citazione al contrario: non si inneggia all'America di John Wayne, si cita uno che da Wayne è stato ammazzato sul set e che in pratica ha perso tutto anche nella vita. Non vedo come si possa associare le liriche di Bruce e le sceneggiature dei film con Wayne per poi arrivare a dire che disegnano lo stesso West stereotipato: disegnano un West opposto!
Tornando a Campbell: coi suoi archi sembra un discreto artigiano senza però grande spessore, queste canzoni sono tre spanne superiori, sono canzoni di un artista con grande spessore, basta ascoltare la voce e come la usa per vedere un abisso tra lui e Campbell. Certo non sono arrangiate come ha fatto Cash, ma semmai come ha fatto Webb, l'autore di Wichita Lineman nel suo disco del 1996 dove ha rifatto il pezzo con un arrangiamento da vero artista. Lì si vede l'artista con arrangiamento raffinato. Così come si vede in WS. E si vede in Cash che preferisce l'arrangiamento spoglio, dando però meno piacere all'ascolto puramente musicale. Campbell è un artigiano. Di Webbe e Campbell e del pop rilassato californiano in fin dei conti, tolta Hello Sunshine (che a me per rilassatezza ricorda anche Tequila Sunrise) c'è ben poco in WS. C'è molto di più del folk di Ghost of Tom Joad, ma questo album è melodicamente e musicalmente molto superiore a Ghost il quale, tolte 4 (Ghost, la seconda, Youngstown, Across the Border) ha tutti pezzi voce e chitarra e tastiere del tutto narrati, senza memorabili melodie o cantati, che sono davvero monotoni e poca cosa (a parte Highway 31 e New Order che sono molto buoni), musicalmente, senza contare che tutto il suono è come offuscato, sfuocato.
Quindi, tornando alle canzoni, Western Stars e Horses hanno strofe atmosferiche (la seconda più folk) e poi pezzi strumentali melodici ed epici bellissimi da Oscar del cinema. Come derivazione, Campbell c'entra ben poco, Ghost of Tom Joad e semmai Tunnel of Love di più.
CONTINUA

lorenzo galbiati ha detto...

CONTINUA

(Al contrario di Labianca non cito Devils and Dust che considero il peggiore album di Bruce, tutto fatto da scarti già sentiti (ok alcuni buoni come Devils, Reno e Matamaros ma sono pari pari come Ghost o Tunnel, senza nessuna novità di arrangiamento) e da alcune canzoni imbarazzanti (Maria's Bed, Leah, It' All i'm thinking about sono forse le tre peggiori canzoni della discografia di Bruce, sentite anche dal vivo con lui solo al Palaforum di Assago mi hanno messo un disagio addosso pazzesco)

Drive Fast e Stones sono ottime ballate, solide, che funzionerebbero anche con un arrangiamento rock: il bello è come sono state arrangiate qui.

Wayferer e Miracle sono ottime e forse insieme a Hello Sunshine (che considero carina e raffinata ma niente di più) sono quelle più "nuove" nel repertorio di Bruce. Motel e Memphis sono quelle più legate alla sua produzione folk, bella ma non decolla la prima, prescindibile perché troppo corta l'altra.

Restano altre tre canzoni, discrete canzoni minori, che nel loro ruolo gregario fungono da collegamento alle maggiori in egregio modo, creando quel continuum di suono e arrangiamenti che fa di questo album il migliore dai tempi di The Rising.

Opinione mia, certo.
Che non mi aspetto sia condivisa da tutti.
Ma che di Campbell e di quel pop orchestrale californiano ci sia ben poco, oltre che sul fatto che lo spessore di Bruce è infinitamente maggiore, io credo dovremmo essere d'accordo tutti.

hag ha detto...

Lo ho ascoltato attentamente più volte e confermo che mi piace inclusi i tre vituperati singoli. Lo considero il miglior disco di inediti da una quindicina di anni a questa parte (non che ci volesse molto) e finalmente qualcosa che mi va di ascoltare nelle sua interezza . Disco compatto, per me coerente e arrangiato, nel suo genere, benissimo.
Capisco e rispetto chi non ama il disco e le sue sonorità ma per me una boccata di aria fresca da parte di un artista che consideravo sepolto e in decomposizione.
La roba sulla credibilità o falsità nel cantare certe storie invece non la capisco , springsteen è sempre stato bravo a creare canzoni che fossero piccoli film o storie di vita ma a parte una quota autobiografica trattasi appunto di storie, di piccole sceneggiature inventate a meno che non si pensi che conosceva uno a cui hanno dato 99 anni carcere per omicidio o lavorava col martello a pneumatico incatenato in una roadgang etc . Insomma non è che se springsteen nell’84 non era stato licenziato dalla falegnameria e non aveva lavorato al lavaggio macchina downbonud train non era credibile

Unknown ha detto...

Lorenzo Galbiati da applausi. Max60

Paul ha detto...

Si può dire incontestabilmente che WS ha diviso critici, die-hard fans, appassionati springsteeniani e semplici ascoltatori. Va bene così, credo sia già un risultato. Mi viene da pensare però....chi lo ha criticato cosa si aspettava (al di là del fatto che springsteen lo aveva già preannunciato) ???
Darkness 2.0 ????
Un aktro disco di standard boombastic rock con gli interventi inascoltabili di Tom Morello???
Un disco di world music?
Non devo certo difendere io le scelte di springsteen, basta una pluri 40ennale carriera fatta di alti e bassi (come Stones, Dylan, Young peraltro) ma conservando comunque una integrità e una coerenza che vedo in pochi altri. Continuo a pensare che questo sia fondamentalmente un disco di buone canzoni, confezionate in modo non tradizionalmente springsteeniano( era ora) dove, per buona pace di chi sente solo i violini, io apprezzo i contributi dei fiati, del banjo, della fisarmonica e di tutto il resto che a me pare stare in un equilibrio delicato ma riuscito.
Sulla storia della credibilità dei testi l'ultimo intervento di Hag mi sembra centralissimo e sulla storia degli psicofarmaci mi limito a sorridere.
Per quelli che come me hanno apprezzato il disco condivido il rammarico di non poter vedere un tour dedicato con magari un combo di musicisti ben selezionati e una scelta mirata sui suoi dischi solisti, qualche perla poco valorizzata (tipo the wrestler) o qualche classico che si presta (street of Philadelphia, meeting across the river tra le altre).
Sicuramente più stimolante che l'ennesimo tour con la E street band (bello, per carità...) e con la sezione karaoke coi cartelloni.
Ma non sarà così.....

Unknown ha detto...

Unknown2. Intanto il disco debutta al 2° posto billboard chart, e le recensioni sono x la magg parte positive(vedere backstreets.com news, sito principe x springsteeniani). Mi inchino alla maggioranza, ma non mi piego. Resto uno dei pochi cui ws continua a non piacere. Magari il tempo aiuterà.
Non ho mai detto di volere un darkness2, piuttosto una produzione sobria e rispettosa del suo glorioso passato e della sua stupenda voce, che migliora di anno in anno.
E gli ultimi dischi rock, a parte high h., pur deludenti, avevano anche qualche guizzo del vecchio Bruce, così come i tour non sono stati solo karaoke. Andate a risentirvi le versioni di something in t.n., incident on 57, for yoy, racing, nyc serenade....
Cerco solo di portare qualche elemento che aiuti a non cadere nel paradosso x cui ws è il masterpiece del millennio e tutto il resto è m.... Arrivare ad augurarsi che non ci siano più concerti e dischi con la e-street mi pare francamente eccessivo.
Sugli psicofarmaci tutto farei fuorchè sorridere, purtroppo...
Sempre nel max rispetto delle opinioni altrui, e felice x il livello d'eccellenza che qs forum mantiene, nonostante la vexata quaestio stia parecchio a cuore a tutti noi.
Hungry heart

Paul ha detto...

Facciamo a capirci.
1) non ho scritto (e non lo ha fatto nessuno) che WS è un masterpiece (capolavori sono quei 3 dischi la' che nemmeno nomino) ma un disco coerente e maturo, eccentrico rispetto alla tradizione springsteeniana ma fatto di canzoni che, secondo me, funzionano ed emozionano;
2) quante volte riascolti volentieri Magic, WOAD, wrecking ball (forse..)
o HH? Se conti da the rising sono passati 18 anni.....non sarà merda ma robe meritevoli ne vedo poche (sarà un caso che dal vivo ne ripesca sporadicamente qualche pezzo???)
3) come performer live è il numero 1. Incontestabile.
Quando torna dalle nostre parti ci lamentiamo del caro biglietti e del secondary ticketing ma alla fine ci caschiamo (me compreso) e siamo la' nel prato. Incontestabile. Gli vogliamo un bene assoluto ma è possibile auspicare ogni tanto ad uno show diverso, in venue diverse con combo di musicisti diversi? (Seeger session tour vedasi)
4) sugli psicofarmaci non sorrido, dubito solamente che siano il motivo della scarsa ispirazione artistica (???). Faceva per caso uso degli stessi quando è uscita quella boiata di human touch nei primi novanta??? Non mi pare, altrimenti dovremmo pensare che anche Clapton, Dylan o young abbiano avuto questi problemi, soprattutto negli 80.....ci sono momenti in cui uno ha le canzoni e le idee buone e altri in cui non le ha. Punto. Senza troppe pippe mentali.
It's only rock&roll

Unknown ha detto...

Unknown2. Ringrazio x le precisazioni, che condivido largamente.
Per me magic nn era malaccio e piuttosto che rising metterei in alto le seeger sess(in accordo con te). All'arena di vr ho visto un bruce e una nuova band in formissima, ma certo sono passati comunque tanti anni.

Ws lo riascolto di continuo. Hitch h, ws e moonlight m... ok. Nell'ottica"coraggio di cambiare", etc può starmi anche bene. Vediamo il prosieguo.
Sulla dimensione live sfondi una porta aperta, anche se dai primi novanta in poi vedo davanti Tom Petty(troppo ci manca e mancherà) & Heartbreakers. Il decennio perduto in california da springsteen grida vendetta.

Disagio psichico & psicofarmaci:
è stato lui stesso a fare outing su qs argomento. Grande coraggio, e stima immensa da parte mia, insieme a un rinnovato affetto.
L'autobiografia è uno dei libri + tristi che ho letto, forse xchè mi aspettavo invece un approfondimento dell'eccellente "born to run" di dave marsh(epocale, x me, e consigliatissimo sul tema "nascita di un mito". Sarà anche romanzato e filtrato dall'entusiasmo del fan, ma è perfetto. Meno eccitante "glory days" su busa e dintorni).
E che dire dell'operazione on broadway, centinaia di concerti con la stessa scaletta, pezzi acustici intervallati da lunghi monologhi sempre uguali anch'essi in cui scortica la sua vita e la sua arte?
Ripeto, x motivi professionali(ma non da specialista) ho avuto contatti con pazienti psichiatrici e farmacologia connessa. Dirò solo che la personalità ne viene grandemente modificata. In meglio? In peggio? Non c'è riprova, chi può dirlo?
Ammetto però che non essendomi piaciuto ws(istinto, cuore, pancia, cervello... chiamala come vuoi. La sensazione netta è quella) ho ceduto alla tentazione di razionalizzare un sentimento, cercando motivi al mio scontento. Forse la deformazione professionale mi ha portato ad adombrare l'argomento psicofarmaci. Naturalmente è solo una mia illazione assolutamente non avvalorata da alcun fatto, e sarei felicissimo di essermi sbagliato.
It's only r&r, BUT I LIKE IT

armando ha detto...

Non ritorno su Western Stars perché mi sono già espresso ( positivamente) e un po' perché potrebbero cominciare a tremare i muri di questo blog. Piuttosto mi piacerebbe una disamina di Zambo sui dischi di Bruce da The Rising in poi. Certo lo so ché è più emozionante parlare dei 70 e primi anni 80 ( un po' come ha fatto con i dischi di Waits) ma al di là dei risultati e della considerazione non proprio esaltante dei suoi anni 2000,credo comunque che questi lavori meritino una rilettura anche in chiave politica,musicale,poetica e altro. Non lo aspetto che lo faccia subito....magari nei prossimi mesi,quando tutta sta' bagarre sarà finita e le acque saranno più calme.
Armando

bobrock ha detto...
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armando ha detto...

Bisogna prima capire quante outtakes sono rimaste fuori da Nebraska e Born in the U.S.A. Ad ogni modo sarebbe stato bello seguire un percorso simile a quello di Dylan o Young. Concerti da pubblicare più che on line, in formato (cd o vinile)....li si che ci sarebbe tanta roba per tutti i palati.Oppure un Tracks 2 fatto con la stessa logica del primo ( e c'è ancora tanto dei 70's e 80's) non sarebbe male anche in presenza di covers tenute fuori...tra Dylan,Byrds,Animals,Ronettes,CCR.....

Armando

Unknown ha detto...

Unknown2. Sogni di fan sfegatati.
Materiale ce n'è a bizzeffe. Io ho + di 250 boot in cd. Fatemi ricordare almeno le italiane E-street rec.(definitive outtakes), great dane(i migliori concerti dal 75 al 78), templar(il box all those years), i cofanetti della winged wheel, i 21 cd dei lost masters(labour of love rec.), gli svedesi di crystal cat(+ di 300 concerti, la magg. parte soundboard).
Ed è tutta roba clandestina: immaginate gli archivi "ufficiali". Solo coi live si potrebbe emulare la strepitosa serie from the vault degli Stones.
Covers? Aggiungi Elvis, Jerry Lee, Them, J.Cliff, j.l. hooker, stones, yardbirds, t.waits, southside, o.redding, l.richard, ch.berry, clash, j.cash, b.diddley, n.young, b.seger, beatles, e decine di standard r'n'r, r&b, soul....
Però: problemi di diritti, poi il fatto che Bruce nn pare aver voglia di seppellirsi in archivio(bene!). Certo, chi di noi non andrebbe gratis a scandagliare nastri? Ci vorrebbe non solo passione, ma anche competenza e rigore. Da evitare ritocchi posticci ad incisioni di decenni fa: di lui amiamo anche i difetti. Magari ci si dedicasse toby scott, o chuck plotkin, o bob clearmontain...
Sogni di una mattina di mezza estate...

bobrock ha detto...
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corrado ha detto...

Troppa dietrologia: aveva i nastri più o meno pronti e non ha ritenuto di pubblicarli per sua insindacabile valutazione, che risentirà di mille variabili da considerarsi. Certo, ci avrebbe fatto piacere poter sentire come si deve molti di quei nastri, ma direi che va bene anche così.
Comunque, anche i dischi più mediocri hanno sempre qualcosa dentro per cui riflettere, basta pensare alla stretta attualità di "Matamoros Banks"

armando ha detto...

Rispondo a Bobrock...Certo hai ragione riguardo Zambellini ( infatti il mio era solo un desiderio legato a retrospettive che ho visto negli anni pubblicate sulle stesse pagine del Buscadero),riguardo ai bootlegs ne abbiamo tanti e tutti noi ma vederli ufficializzati ed in fisico formato come fa Young o Dylan sarebbe un modo per dare una continuità o un'alternativa. Poi Bruce, quel che vuol fare faccia.

Armando

Unknown ha detto...

Unknown2. Ammettiamo che le uscite ufficiali non sempre sono state all'altezza del miglior live performer di sempre, e della best r'n'r band in the world x almeno un quindicennio.
L'operazione live 75-85 è piuttosto discutibile, x non dire del concerto di Tempe, AZ, 5 nov 80, giorno dell'elezione di r.reagan, incluso nel mega box ties t. b., massacrato di ben 11pezzi su 34. E non canzoncine: darkness, independence, factory, racing, candy's, (here she c.), ties, stolen, wreck, point, backstreets. Non ho mai trovato spiegazioni in merito(nastri rovinati? Boh).

Sui boot si può parafrasare George Best: "ho speso un sacco di soldi in bootleg di Bruce. Il resto... li ho sprecati". Mi hanno dato gioia, mi hanno fatto stare bene: ne è valsa la pena. La difficoltà di procurarseli, il brivido del proibito. Quando arrivava il sospirato pacchetto era un momento speciale.
Fire

Unknown ha detto...

Sono intervenuto 3 altre volte questa è la 4.E dopo un mese dalla recensione di M. Z. Confermo la mia prima impressione:il disco mi piace e al di là di tutti i notevoli interventi non mi annoia ed anzi ad ogni nuovo ascolto aggiungo qualcosa che mi era sfuggito. Mi rimane un senso di malinconia e spero che il raggio di sole rimanga per allontanare lo smarrimento che i testi mi lasciano. E questo è blues è rock. Max60

bobrock ha detto...
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Unknown ha detto...

Unknown2. No, dài, mi pare che nessuno di noi sia monomaniaco. Io ho devoluto cospicue donazioni anche ai bootleggers di j.cougar, t.petty, rem, csny, black crowes, lynyrd s., allman bros e tanti altri...
Certo bruce è il maggior beneficiario, ma qs forum resta pacato, civile, leggibile. Merito di zambo (+ Denti) e anche di tutti voi/noi