Una volta Bruce Springsteen disse che aveva imparato più da una canzone di tre minuti che da cinque anni di scuola, più modestamente potrei rispondere che ho appreso di rock n’roll più da questo libro di Steve Wynn che da decine di dischi ascoltati del genere. Non lo direi se non fosse vero, edito dai tipi di Jimenez, è un libro piacevolissimo da leggere in cui si apprendono molte cose riguardo la nostra musica, scritto con una prosa fluida e semplice ma non banale, che acchiappa il lettore come fosse un romanzo da cui non si riesce a starne lontani. Racchiude memorie di musica, vita, aneddoti, storie e soprattutto l’avventura dei Dream Syndicate, uno dei gruppi americani più importanti degli ultimi quaranta anni, fino al loro temporaneo scioglimento nel 1989 (si sarebbero poi riuniti nel 2012 per una seconda vita che dura tutt’ora). Mai come in questa occasione Steve Wynn, che sarà ad aprile in tour dalle nostre parti, si mette a nudo e con una onestà incredibile racconta un periodo importante della sua esistenza umana e artistica, dai giorni dell’infanzia, figlio unico e felice di una madre single (si era comunque sposata quattro volte, come il padre) nel distretto Pico/La Ciniega di Los Angeles negli anni sessanta, al suo approccio alla musica, prima come bambino invaghito dei filmati di Beatles, Who, Monkees, Cream, Creedence che sfrecciava con la sua bicicletta per i saliscendi di Hollywood bramoso di raggiungere il negozio di dischi più vicino e comprarsi con la paghetta l’ultimo Lp o 45 giri dei suoi beniamini. Ragazzino solitario, attorniato da nuovi fratelli avuti dai nuovi coniugi in matrimoni precedenti e dai vicini di casa, ciò che importava veramente a Steve erano i dischi, la radio e la chitarra. Da lì le prime lezioni con lo strumento, la prima canzone, la prima band. Se si considera che aveva solo dieci anni si capisce come realmente fosse un predestinato. Si fa assumere come impiegato in un negozio di dischi, il Rhino di Los Angeles, dove promuove i dischi autoprodotti dei gruppi underground locali che glieli portavano a mano, diventa musicista dilettante, vive una parentesi come giornalista di cronache sportive, specie di baseball la sua seconda grande passione, nel campus universitario dove presto abbandona gli studi, e poi il grande salto nel rock dopo essere stato fulminato da un concerto di Springsteen. Ma sono i Roxy Music, i Clash gli Stooges, i Ramones e i Talking Heads a portarlo sulla strada della musica registrata, nonché l’incontro a Memphis con uno dei suoi miti, Alex Chilton leader dei Big Star, altra sua grande passione.
Nel 1978 è all’università di Davis, località vicino San Francisco dove con Russ Tolman, Gavin Blair e Kendra Smith forma i Suspects, torna a Los Angeles e dà vita ai 15 Minutes, ma è l’incontro col batterista Dennis Duck, un veterano della scena della città, il chitarrista Karl Precoda (con cui più tardi avrà forti divergenze) e la bassista e cantante Kendra Smith a far emergere dall’underground della Città degli Angeli i Dream Syndicate. Crea l’etichetta Down There per pubblicare l’Ep d’esordio, registrato nella cantina della casa del padre, ma è la Slash, l’intraprendente label della nuova scena californiana dell’epoca, a permettere l’uscita di quel The Days of Wine and Roses che a parere del sottoscritto è il più vicino parente di White Light, White Heat dei Velvet Undergound per lungimiranza stilistica e sonora. I Dream Syndicate si imposero immediatamente in quella California desiderosa di archiviare Eagles e Fleetwood Mac e non ci volle molto affinché aggregassero ai loro concerti la fauna inquieta dei club del Sunset Boulevard .Seguono i tour, gli spostamenti da una città all’altra, da uno stato all’altro, l’euforia e i pochi soldi, le bottiglia di Bourbon scolate come fossero acqua minerale, lo speed, il plauso dei critici musicali e la nascita del Paisley Underground, il movimento che andava controcorrente rispetto al dilagare della musica sintetica ed iperprodotta degli anni 80. Ne fanno parte anche gli amici Green On Red, gli X, Thin White Rope, Long Raiders, Rain Parade e a margine, pubblicati dalla stessa Slash, anche Los Lobos e Blasters. Un paradiso per le orecchie di chi non voleva saperne di Culture Club, Duran Duran, Spandau Ballett e robaccia del genere. Wynn racconta nel libro senza nascondere nulla, compreso vizi e peccati, neppure la delusione per le vendite non sempre pari all’impegno e alla tenacia dei musicisti, oltre ai problemi interni al gruppo creatisi nello studio di San Francisco col produttore Sandy Pearlman (uno che aveva lavorato con Clash e Blue Oyster Cult) e col chitarrista ed ex-amico Karl Precoda nella realizzazione di Medicine Show, pubblicato nel 1984 e caposaldo del rock americano di quel decennio, e non solo. E’ Wynn a liquidare Precoda, nonostante quello che si è sempre narrato mentre Kendra Smith se ne va di sua volontà per formare gli Opal, sostituita da Dave Prevost. Entra in scena il nuovo chitarrista Paul Cutler che già era nel giro dei Dream Syndicate al momento del loro esordio come ingegnere del suono, il nuovo lavoro Out of The Grey non è all’altezza dei due precedenti e anche Wynn ammette con schiettezza il calo d’ispirazione e soprattutto un suono troppo mainstream per la loro natura outsider. Ma per chi scrive contiene almeno tre brani, Boston, Now I Ride Alone e 50 in a 25 Zone che sarebbero in tanti a fare carte false per averle scritte loro. Wynn racconta il momento di sbando ma anche la crescente popolarità in Europa, in Scandinavia, in Spagna e in Italia dove passano più volte, anche le dinamiche cambiate dei promoter nell’organizzare concerti ed in generale il circo della musica. Il gruppo vive un calo di consensi anche tra il pubblico, Wynn si sente appartenente ad un’altra era del rock, più eroica e spontanea, intuisce che il paesaggio è cambiato e comincia a pensare a una carriera solista, esibendosi talvolta da solo o con qualche sparuto accompagnatore. Ma nel 1988 c’è ancora tempo per un grande disco dei Dream Syndicate prodotto da Elliott Mazer (uno che con Young, Dylan e The Band ha esplorato tutto l’universo della ballata elettrica) ed è Ghost Stories . Dice l’autore del libro “ quando ci siamo formati nel 1982, è stato soprattutto perché volevamo fare quel tipo di musica che all’epoca non si sentiva da nessun’altra parte. Stavamo riempiendo un vuoto per noi stessi, e abbiamo scoperto rapidamente che stavamo riempiendo un vuoto anche per un gruppo selezionato di altri appassionati di musica, siamo diventati la band che forse avevamo sognato di essere. Eravamo una band che probabilmente sarebbe stata la nostra band preferita nel 1982”. Ma con lo scenario cambiato i Dream Syndicate non volevano diventare un fenomeno patetico dopo essere stati i pionieri di un certo tipo di rock underground. Wynn si è ormai accasato e ripulito e con consapevolezza, nello stesso modo in cui faranno qualche anno più tardi gli amici REM, per decisione comune i Dream Syndicate staccano la spina dopo aver dato alle stampe il glorioso Live at Raji’s.
Wynn se ne andrà per una fortunata avventura solista e
tante invenzioni musicali, con Danny&Dusty (di cui è raccontata la
simpatica vicenda, specchio dei glory days di un tempo che fu) con i
Gutterball, i Miracle 3 e il Baseball Project, per poi riunire nel 2012 la vecchia band e far uscire cinque anni dopo How
Did I Find Myself Here, primo album dell'avvenuta rinascita. Ma questa è un’altra storia che l’autore racconterà nel volume
2 di Non
lo direi se non fosse vero. Libro che si chiude con questa confessione:
“Alla fine dei conti posso guardare indietro alle
migliaia di concerti che ho fatto, alle diverse decine di dischi che ho inciso,
agli amici che ho incontrato lungo la strada, ai pasti che ho consumato, alle
storie che ho imparato, vissuto e ripetuto, e non cambierei nulla, nemmeno un
singolo momento. Tutto ciò che so è che quando sto compilando un modulo e vedo
uno spazio vuoto per ‘occupazione’, posso scrivere onestamente e con orgoglio
‘musicista’. E questo mi basta” .
7 commenti:
Giusto per ricordare che Steve Wynn è stato grande anche da solista (e grande lo è tuttora), voglio citare due dischi memorabili:
L'agreste, malinconico, illuminato "Fluorescent" e il teso, dolente, cupo, ispirato "Melting in the Dark".
Sono due dischi al livello dei primi due dei Syndicate prima versione e dei primi due Syndicate seconda versione.
Contando Danny & Dust, quest'uomo ha sfornato almeno sette capolavori che entrano di diritto e alla grande nella storia del rock.
Si, anche "Ghost Stories", ma già all'epoca mi sembrava un po' troppo standard nelle soluzioni compositive e sonore. Certo Paul Cutler era bravissimo (splendido nella versione Live at Raj's di "Merritville"), ma un po' troppo standard e meno geniale di Karl Precoda.
Stiamo comunque parlando di dischi splendidi.
Il calo di ispirazione riguarda piuttosto il periodo 1996, ma con importanti eccezioni, vedi il disco ambientato nei balcani e la bella rilettura di Psycho nel progetto Universal Daughters, promosso proprio qui da noi da alcuni musicisti italiani.
È amico di Manuel Agnelli, dunque nessuno è perfetto, ma questa amicizia ha dato lo spunto al finto Rocker nostrano di costruire la personalità dei Maneskin rubando letteralmente certe cose di Steve Wynn per appiccicarle a sputo su quel gruppo di burini
Livio. Syndicate e Green on Red grandissimi, due fari dei miei eighties, e anche il semi-divertissement Danny e Dusty, di conseguenza, piacevolissimo. E tutti i dischi dei DS anche x me degnissimi e sempre con qualche brano di grana superiore, nonostante i cambi di organico.
Come sempre nel max rispetto x le opinioni altrui, non trovo, nei lavori solisti di S.Wynn, lo stesso fuoco, ma ci sta: gusti personali.
Invece il personaggio che emerge dall'autobio e dalla coinvolgente recensione del Prof pare davvero positivo, ottimista, "solare", direbbero i modaioli. Finalmente un po' di vita, fra i tanti belli\maledetti della storiografia rock.
Libro da leggere e da far leggere, allora!
PS: purtroppo, x motivi di sicurezza, Neil Young ha dovuto rinunciare al free concert in Ucraina. Il teppista\putin e il bulletto\donald hanno vinto. Per ora
Personalmente del Wynn solista adoro "Kerosene Man" e il desertico " Here Comes The Miracle" seppure anche su questo versante c'è tanto da scegliere. Non ho preso ancora il libro ma sotto il profilo umano Steve Wynn mi ha sempre trasmesso una sana simpatia e fiducia.
PS : Ultimamente da queste parti non si affaccia Bob. Spero vada tutto bene..
Livio. Sì, Tears won't help, da KeroseneMan, ce l'ho anch'io in tracklist
Armando ci sono 😌 sto risolvendo i miei casini con la schiena . Inizio a vedere la fine del tunnel.
Riguardo Steve Wynn banalmente adoravo i DS frase non molto originale ma gruppo veramente importante almeno per il sottoscritto. La carriera di Wynn l’ho seguita all’inizio per i primi due album poi dio solo sa perché l’ho perso per strada.
Non c’è un motivo vero e proprio . A memoria anche le recensioni dei suoi dischi non mi colpivano più di tanto o forse ero io che ero distratto da altro .
Ci sono stati molti anni in cui pensavo soltanto al santo patrono e la mia visione era un po’ mono oculare.
Wynn è un personaggio che avrebbe meritato una carriera differente e un successo ben più ampio . L’ultima volta che vidi i Ds a Milano in un posto veramente misero in poche centinaia di persone mi chiesi che senso avesse per lui dopo una vita sulla strada suonare di fronte a 500 persone. Alcuni portano a casa successi oceanici altri arrancano con dignità . Wynn è un fuoriclasse mancato e questo mi spiace molto . Ma gli album dei Ds sono lì a testimoniarne quanta bellezza avevano prodotto .
Per me il contrario: gli anni solisti più belli sono stati fra il 94 e il 99, quando il santo patrono lo seguivo poco, a parte Tom Joad.
Steve Wynn ha avuto alti e bassi, ma è un piacere addentrarsi nella sua discografia tra un lavoro e l'altro
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