sabato 25 luglio 2020

 
 Considerato da molti il miglior album dei Fleetwood Mac della prima epoca, Then Play On  pubblicato originariamente il 19 settembre del 1969 dalla Warner/Reprise, si colloca a metà strada tra i rigorosi Mac del periodo blues e i miliardari Mac del periodo californiano, più orientati verso un soft-rock dalle colorazioni west-coast. Then Play On , il cui titolo trae spunto dal primo verso de La Dodicesima Notte  di Shakespeare, fu registrato a Londra con l'innesto di un terzo chitarrista, Danny Kirwan, a fianco di Peter Green e Jeremy Spencer. Apparentemente è un disco di passaggio visto che, prima della trasformazione californiana, ci furono diversi cambiamenti in formazione. E' l'ultimo album  con Peter Green, non ancora inghiottito nei  vortici mentali indotti dall'uso del LSD, il quale lascerà le chitarre in mano a Jeremy Spencer, se ne andrà di lì a poco nei Bambini di Dio, a Kirwan, e poi a Bob Welch e Bob Weston, fino a quando non arriverà Lindsay Buckingham, ed è  un disco estremamente importante perché segna un cambiamento radicale rispetto al rigoroso blues originario del gruppo, ampliando il  linguaggio verso una forma rock che teneva conto del sempre più impellente bisogno di improvvisazione che la band stava sperimentando in quell'anno, con concerti, in particolare quelli al Boston Tea Party che non avevano nulla da invidiare ai Grateful Dead, ai Quicksilver M.S e alla Allman Brothers Band.
 



I prodromi di quelle jam (raccomando l'acquisto del triplo The Boston Box  se ancora reperibile) sono proprio contenute in Then Play On , in titoli divenuti dei piece de resistence dei loro show come la devastante Rattlesnake Shake, come Underway, Coming Your Way e come Oh Well uscita originariamente su singolo divisa in una parte A e una Parte B e poi inclusa nell'album per la durata di quasi nove minuti. Nelle session di registrazione si affaccerà anche  Christine Perfect proveniente dagli Chicken Shack , futura moglie del bassista John McVie e futura tastierista dei Fleetwood Mac. Detto senza mezzi termini, Then Play On  è un album grandioso, un cinque stelle a tutti gli effetti, un lavoro di innovazione sonora sorprendente con Peter Green all'apice della sua ispirazione, capace con la sua Gibson di creare atmosfere dilatate e sognanti grazie all'uso frequente di fraseggi acustici. L'arrivo di Danny Kirwan, compositore ispirato e prolifico, innesta  sonorità melodiche sul ceppo blues del gruppo, e smussa l'incomunicabilità venutasi a creare tra Green e Spencer, le tre chitarre sono complementari e si intrecciano in modo proficuo. La rilassata My Dream per chitarra solista e chitarre ritmiche, è composta da Kirwan, autore di altri sei brani tra cui la tambureggiante (Mick Fleetwood fa sfoggio delle sue passioni africane) Coming Your Way, l'estatica e dolce Although The Sun Is Shining  e Like Crying,  il cui tema si basa sul contrastato amore tra due donne. Ma il pilastro attorno a cui è costruito Then Play On  è costituito dalle canzoni di Green : le dirompenti Show-Biz Blues e Rattlesnake Shake dove la tensione esplode in tutta la sua energia e dal vivo diventano delle cavalcate di rock/blues psichedelico, la delicata Closing My Eyes  frutto di un nuovo sforzo nel songwriting, i riferimenti hendrixiani e spaziali dello strumentale Underway, la travolgente Oh Well, immagine dell'ampliamento stilistico dei Fleetwood Mac tra incalzanti drive di chitarra e rilassate pause acustiche con tanto di flauto bucolico, ed infine Before The Beginning un cupo  blues per chitarra e timpani. A McVie e Mick Fleetwood si devono  invece Searching For Madge e Fighting For Madge brani strumentali gemelli, dominati dai ritmi di basso e batteria. Pubblicato dopo il successo dello strumentale Albatross, Then Play On  ebbe al tempo recensioni contrastanti, Rolling Stone lo stroncò per poi, in tempi recenti, ricredersi, Robert Christgau fu positivo descrivendolo come un mix di languide ballate e ritmi latini, altri lo definirono una odissea di blues psichedelico espanso, e mi pare una azzeccata definizione.  La nuova ristampa del disco non aggiunge molto, per non intaccare un concept già così elevato, ma recupera cose che erano andate perse : il blues One Sunny Day e la rallentata e sensuale Without You con quella chitarra (Green) che fa accapponare la pelle, omessi nell'edizione americana del Lp e poi inclusi nella compilation English Rose , e Oh Well  ripristinato nella sua doppia versione, Part 1 e Part 2 cosi come era uscita su singolo. Non so quanto gli giovi visto che i nove minuti interi del Lp facevano un bell'effetto, intelligente invece, visto l'uniformità stilistica tra il brano e l'intero album, è l'inclusione di The Green Manalishi, altro titolo destinato a far furore dal vivo al Boston Tea Party tra jam ed esplosioni strumentali, uscito come singolo durante il tour americano del 1970 ed ultima traccia con Peter Green in formazione. Un addio lancinante da parte di uno dei più grandi chitarristi del blues bianco. Then Play On  chiuse un'era d'oro per i Mac, i capitoli seguenti fanno parte di un altro libro, gli amanti del blues li abbandonarono (già con Then Play On avevano cominciato a storcere il naso), per quanto mi riguarda anche se i Mac californiani furono "un' altra band" non posso negare che album come l'omonimo del 1975, Rumours  e Tusk  siano quanto di più intrigante abbia espresso il soft-rock californiano dei settanta impolverato di cocaina.
 

L'odierna ristampa esce il 18 settembre in CD e in vinile, completata da un book di 16 pagine con le note di copertina del biografo della band Anthony Bozza ed una introduzione di Mick Fleetwood. Chi non l'avesse non se lo lasci scappare.

 

MAURO ZAMBELLINI  LUGLIO 2020






giovedì 2 luglio 2020

New breeze from deep America: Country Westerns




Aspettatevi di tutto da questo disco tranne del country and western, a meno che non ne vogliate un dosaggio alla Jason and The Scorchers. Furiosi, veementi, chitarristici fino allo spasimo, i  Country Westerns macinano un heartland rock con l'attitudine del punk, picchiando come dei martelli una musica che ancora una volta testimonia la vitalità della provincia americana e l'entusiasmo di band che se ne infischiano del trend del momento preferendo usare la musica come un' ancora di salvezza, per non affogare nella noia, nell'anonimato, in una vita piatta come il Midwest. Che poi riescano nel loro sogno, è tutto da vedere visto che il music business, come il resto della società globalizzata, non fa sconti e nemmeno si dimostra benevolo coi volenterosi, a meno che questi non abbiano santi in Paradiso. Ma tant'è, i Country Westerns ci provano con questo primo album registrato tra Nashville e New York. Racconta la storia che il batterista Brian Kotzur, transfugo dai Silver Jews, abbia incontrato il chitarrista e songwriter Joseph Plunket, membro di The Weight, gruppo di Brooklyn, il quale una decina di anni fa si era trasferito a Nashville per aprire un bar. Proprio nella Music City inizia la loro avventura, nel 2016 Plunket e Kotzur si imbucano nel garage di quest'ultimo  per mettere a punto un pugno di canzoni, incoraggiati dagli amici, cambiando spesso line-up, fino a fare la conoscenza di Sabrina Rush, fervente rocker ma violinista nella band di Louisville degli State Champion. Passare al basso per la Rush è stato un atto quasi naturale, e le sue linee armoniche sono diventate essenziali per la musica degli altri due che, con lei, hanno chiuso il cerchio e dato il via alle prime registrazioni semi-professionali assieme all'ingegnere del suono Andrija Tokic. Ma un paio di loro canzoni hanno colpito l'attenzione del produttore Matt Sweeny che li ha convocati nei Strange Weather Studios di Brooklyn, a New York, dove hanno realizzato il disco e guadagnato un contratto con la Fat Possum Records, etichetta sempre più intenzionata ad allargare il proprio catalogo anche al di fuori del Delta e Hills Country Blues.
 

Il risultato è qui da sentire, Plunket urla con voce roca un rock graffiante che in ugual misura si alimenta di frustate punk e di melodici abbandoni stradaioli, dove l'urgenza espressiva assume i toni di una questione di vita o di morte, e le chitarre grondano riff come un diluvio elettrico. Da parte loro Kotzur e la Rush non mollano un attimo, bravi nel costruire le fondamenta delle canzoni con rocciosa solidità, dando dinamismo e ritmo e creando un sound che si fa fatica a credere sia il frutto di un trio. Undici titoli che viaggiano sulle strade dell'heartland rock con puntate verso la Nashville più dura e quel tipo di americana che porta il southern rock nei bassifondi urbani. In diverse tracce il pensiero va anche a certe band "minori" del passato, qualcuno magari si ricorderà dei Jolene, di Slobberbone e Dashboard Saviors. L'album si apre all'insegna della velocità, i tre Country Westerns infilano in sequenza Anytime, It's Not Easy e Guest Checks, qui le chitarre se la sparano alla grande ed il ritmo è da cardiopalma,  e poi quando c'è bisogno di un attimo di pausa o di riflessione, il twangin' delle chitarre è lì a ricordare che Nashville non è solo la città di Lefty Frizell ma di una miriade di songwriter che hanno saputo maneggiare con mestiere l'acustico con l'elettrico. Se I'm Not Ready è un'altra fucilata che arriva dritta all'obiettivo e vomita una tale massa di foga ed attitudine da resuscitare i primi Replacements, Gentle Soul è quello che si diceva sopra, ovvero i Country Westerns delle marce basse, una sorta di ballata rock, con uno strato di chitarre acustiche ed un orizzonte rubato agli Hold Steady. Della stessa pasta è It's On Me se non fosse che a metà Plunket ci aggiunge un ghirigori da chitarrista hard-fusion, ma è il vizio del debuttante perché la sua voce è tutto fuorché leziosa, e quando arriva Times To Tunnels,  forse il momento più melodrammatico dell'album, con i tre impegnati in una armonizzazione vocale, la sensazione è che anche i Country Westerns abbiano un cuore disposto a sciogliersi. Un attimo, perché TV Light  ritorna alle vecchie abitudini, Close To Me  è solida pur non tirando pugni e Slow Nights  possiede quel tocco romantico che affiora dagli asfalti lucidi della notte e nelle ballate che ti fanno chiudere gli occhi. Come dire che i Country Westerns non sono solo muscoli e rabbia ma un trio capace di suonare un rock n'roll senza trucchi e artifiz, verace, onesto e pieno di energia, pur non essendo nulla di nuovo. Il classico rock delle strade blu.

MAURO ZAMBELLINI   
p.s questa recensione è apparsa nel numero di maggio del mensile Buscadero