mercoledì 1 aprile 2020

THE DREAM SYNDICATE THE UNIVERSE INSIDE



Il secondo capitolo della avventura nel rock dei Dream Syndicate si è aperto lo scorso anno con These Times  anche se cronologicamente si è portati a credere che l'inizio sia avvenuto con How Did I Find Myself Here ? il disco che ha sancito nel 2017 la loro reunion. Per via di un titolo così esplicito e della musica che conteneva, quest'ultimo tracciava una linea di continuità col passato ovvero la band ricominciava dal punto in cui era rimasta elargendo un rock selvaggio ed underground costruito sullo sferragliare delle chitarre, su una sezione ritmica bollente e sulla voce di Steve Wynn che con le sue malsane ballate ricreava quel rock noir per cui il Sindacato del Sogno è giustamente amato e stimato. These Times  ha invece imposto uno scarto nei confronti del loro all guitars rock  introducendo variabili che pur non  contrastando con il loro riconosciuto stile, aprivano verso sonorità nuove dove l'elettronica, comunque ben dosata, giocava un ruolo di primo piano nel disegnare un immaginario di psichedelia in progress. Se These Times  riusciva però a mantenere un equilibrio tra il crudo hard-boiled rock del passato (Bullett Holes, Speedway, Still Here Now ad esempio suonano ancora col cuore in mano) e le innovazioni avanguardistiche, The Universe Inside è molto più radicale e drastico e dentro un concept di alterata psichedelia riflette un desiderio di sperimentazione ben più marcato che si traduce in ottanta minuti di paesaggi sonori dalle sembianze di una soundtrack da film. Un universo sonoro nel quale gli scampoli del sopravvissuto rock elettrico si fondono con oscillatori, elettronica, ritmiche concentriche, free jazz, kraut e space rock, frizioni elettriche.  Il risultato non è affatto male, per niente, basta che ognuno sia consapevole di salire a bordo di una musica più vicina ai War On Drugs o altre espressioni post-rock  piuttosto che al Medicine Show. Una volta accettato il fatto, il gioco diventa divertente, e come nei venti minuti di The Regulator ( assolutamente da ascoltare guardando il video di David Daglish) ci si sente proiettati in un viaggio panoramico (toilette comprese) nella città di New York, un trip sonnambulo, filmico e politico. Venti minuti di delirio sonico e visivo in cui Wynn lascia cavalcare tutta la sua immaginazione cinematografica e la sua galoppante curiosità musicale per dilatare i confini spazio-temporali della musica dei Dream Syndicate.
La voglia di cambiamento di Wynn era palpabile già in These Times  e la band ne è rimasta coinvolta visto che le note che accompagnano l'uscita di The Universe Inside  dicono della approfondita conoscenza della musica avantgarde europea del batterista Dennis Duck, della passione per il prog anni settanta del chitarrista Jason Victor, Soft Machine compresi, dell'esperienza del bassista Mark Walton per i collettivi di musica Southern-fried (mah), della fame di Chris Cacavas per la manipolazione dei suoni e l'amore dell' Wynn per l'electric-jazz vintage, per Miles Davis e John Coltrane. Personalmente aggiungerei anche Brian Eno e i Talking Heads di Remain In Light. Il disco si sarebbe potuto chiamare The Art of the Improvisers, in una sola session difatti la band ha registrato ottanta minuti di musica senza pause ed interruzioni, improvvisando come in una lunga ed interminabile jam." Tutto quello che abbiamo aggiunto era aria -afferma Wynn- oltre a voce, corni ed un tocco di percussioni. Ogni strumento è stato registrato in presa diretta". 
Cinque titoli della lunghezza media di nove minuti, solo The Longing dura poco più di sette minuti, una overdose sonica dove il cantato di Wynn implode nel magma sonoro, solo a tratti si percepisce il formato canzone, capita in The Longing e nella strepitosa parte finale di The Slowest Rendition. Qui la sua voce si eleva  sopra il mare di echi, oscillazioni, feedback, suggestioni free jazz, ipnosi ritmiche, riverberi e quant'altro. Una gigantesca ed in alcuni momenti solenne colonna sonora che spazia da momenti di caotico stridore metropolitano a pause estatiche e lisergiche.  Ai venti minuti di The Regulator  seguono in ordine The Longing, qui la canzone viaggia nel cosmo coi rumori siderali di un' altra galassia, Apropos of Nothing ovvero come sentire  War On Drugs rivisitare i Can sulla Luna, Dusting Off The Rust mixato col precedente in una sorta di ipnotico space-rock con le trombe e i sassofoni che rispondono alla metronomica sezione ritmica, e The Slowest Rendition, avveniristica nel suo rumorismo post-psichedelico, umanizzata dal talking ascetico di Wynn che si accompagna ad un superbo sassofono be-bop. Una chiusura maestosa in una atmosfera da Blade Runner dove comunque filtrano bagliori di estatico ottimismo.
Più che un disco di canzoni ,The Universe  Inside è un viaggio che stordisce e meraviglia in territori in cui occorre liberare l'immaginazione  e le sensibilità sensoriali, un'opera originale di ricerca musicale e libertà esecutiva dichiarata con coraggio e senza mezzi termini dai Dream Syndicate. Nessuna band tra quelle uscite agli albori degli anni ottanta ha saputo evolversi senza snaturarsi come loro. Personalmente mi ritrovo più negli equilibri tra rock e avanguardia di These Times  ma dimenticate il passato e salite a bordo dell'astronave, l' Universo Dentro oggi è questo. A meno di non guardare fuori dalla finestra ed accorgersi di essere capitati in un cupo e terribile film di fantascienza.
MAURO ZAMBELLINI  MARZO 2020
p.s  questa recensione la trovate sul numero di aprile del mensile Buscadero, una rivista che come tutti soffre  questo momento di crisi generale e  perciò invita  lettori e amanti del rock a contribuire o!lla sua tenuta, cercandola e acquistandola in edicola, dove possibile.
Il Buscadero di aprile uscirà regolarmente nelle edicole ma chi non può acquistarlo lì, può comprarlo on line al prezzo di 6 euro.