martedì 26 novembre 2013

RECKLESS KELLY Long Night Moon


Sembrava che non ce l'avrebbero mai fatta ad uscire dalla serie B di americana ed invece dopo otto album i texani Reckless Kelly hanno messo a segno il loro album migliore, un album suggestivo fin dalla copertina dove si respira il senso dei grandi spazi americani, il mistero di una wilderness capace di far scrivere ballate aspre e struggenti come Long Night Moon, un pezzo che da solo è in grado di fissare un immaginario.

Si sono messi insieme a Bend nell'Oregon centrale prima di traslocare, nel 1996 ad Austin, i Reckless Kelly,  per volontà dei fratelli Cody (violino, mandolino, chitarre, voce, percussioni) e Willy Braun (voce, chitarre, armonica), i quali dopo l'esperienza con la family-band di Muzzie Braun and The Boys  hanno raccattato un paio di amici ( tra cui il batterista Jay Nazz) e per vincere la noia (e rimediare qualche ragazza) si sono messi a suonare il country sentito nei dischi del padre con l'attitudine delle giovani grunge band del nord-ovest americano. Ne è nato un country-rock bastardo, pregno di umori e rabbia punk  ma attinente con la musica di famiglia. Il loro debutto, Millican (1998), fece scalpore portandogli i favori di gente come Todd Snider, Joe Ely e Robert Earl Keen ma poi strada facendo, causa anche i continui cambi di formazione, la band ha perso smalto e originalità attestandosi su uno standard dignitoso di country-rock e honky-tonk chitarristico, una delle tante espressioni di americana, onesta, sincera, energica dal vivo ma non in grado di elevarsi sopra la media. Non hanno insomma avuto la stessa fortuna dei colleghi Drive By Truckers, per certi versi somiglianti nel mischiare energia rock e tradizione .

Il contratto nel 2010 con la Blue Rose per la distribuzione europea dei loro dischi, ha smosso le acque, prima Somewhere In Time e soprattutto adesso Long Night Moon, dicono che i Reckless Kelly non sono ancora al capolinea. Con Joe Miller al basso, il fedele Jay Nazz alla batteria e David Abeytan alla lap steel, i fratelli Braun hanno ritrovato nuova linfa e l'ispirazione per scrivere e cantare belle canzoni che si pongono a metà strada  tra la ballata evocativa e le unghiate elettriche di un rock da roadhouse, con diverse escursioni nei territori di un country-western per solitari e sognatori dove la lap steel incornicia  paesaggi  di un'America di provincia e di polvere immutata nel tempo.

Long Night Moon gode di un suono essenziale ma non semplicistico, le chitarre  trainano la diligenza, la voce di Willy Cody ricorda quella di Steve Earle, è disperata e ha la forza di raccontare un'altra storia di rabbia e malinconia, è un rock di strada arruffato ma attento alla melodia e a precisi dettagli sonori, le tastiere, quando ci sono, spingono, come in The Last Goodbye  verso la solare California dopo che un pugno di ballate dai toni ruvidi e scorbutici, scolpite nella quercia,  contrappuntate da una fisarmonica, da un violino, da una lap-steel, accompagnano l'ascoltatore nei luoghi oscuri  di un'America ben più profonda ed arcaica, legata ai riti di una notte di luna.

Inizia con Long Night Moon la cavalcata di Reckless Kelly, nome rubato al celebre fuorilegge australiano, e si conclude dopo dodici tracce (nell'edizione europea c'è la bonus track Any Direction Frm Her)  in Idaho, brano folkie con echi di gotico rurale americano, una cavalcata tra chitarre twang e roots n'roll, tra murder ballads e bachpork country rock, tra luce e buio, tra strumenti elettrici e corde acustiche, tra storie d'amore e d'amicizia non sempre felici, uno scampolo di sopravvissuto american dream senza enfasi e liturgie da vincitori

 

MAURO ZAMBELLINI   NOVEMBRE 2013

venerdì 15 novembre 2013

the Waterboys FISHERMAN'S BOX


Era bello allora quando uscì nel 1988 ed è ancora più bello adesso, nella estesa edizione in Box Set con sei CD che testimoniano tutto il processo creativo che ha portato a Fiaherman's Blues, capolavoro della discografia degli Waterboys ed uno dei dischi cardini della contaminazione tra rock, folk celtico e musica americana. Quando uscì quell'album ci rendemmo subito conto che pur essendo un disco bellissimo, si era ancora in un'epoca di vinili, non era assolutamente sufficiente a raccontare quell'amore e quel feeling incredibile tra Irlanda e America, che almeno sarebbe stato necessario un altro disco, da accompagnare l'originale in uno di quei double album che hanno fatto la storia del rock, tipo il White Album, Blonde on Blonde, Exile On Main Street, The River, London Calling. Non dischi dal vivo ma doppi album in studio che colgono e raccontano un momento creativo irripetibile, capace di lasciare un segno eterno nella storia del rock. Fu una occasione mancata, anche perché nel seguente, più pallido, Room to Roam trovarono posto brani precedentemente concepiti per Fisherman's Blues e lasciati orfani. La storia non la si può cambiare, è andata così, dello sbaglio se ne devono essere accorti anche i protagonisti, in primis Mike Scott che con il sassofonista Anto Thistelthwaite ed il violinista Steve Wickham venticinque anni dopo hanno pensato bene di allestire un tour (la prossima settimana saranno da noi) con cui onorare quello strepitoso disco.

Fisherman's Blues uscì dopo che un altro gruppo irlandese, gli U2, al tempo il gruppo all'apice del rock, avevano conquistato l'America con Joshua Tree e Rattle and Hum varcando l'Atlantico e andando ad abbeverarsi alla fonte della musica americana, al blues di B.B King, al country di Gram Parsons, al jazz di Billie Holiday e rendendo esplicito quello che era sempre stato ovvero che il country ha un cuore irlandese trapiantato sui Monti Appalchi ed il rock n'roll, bastardo ibrido di hillbilly bianco e blues nero, qualcosa ( e tanto) lo deve al fardello di un irishman sbarcato ad Ellis Island col suo violino in cerca di una vita migliore. Ma se gli U2 furono i nuovi (e famosi) pellegrini di una migrazione ad Ovest, gli Waterboys dello scozzese Mike Scott fecero ancora di più, portarono l'America in Irlanda, portarono Bob Dylan, Hank Williams, la Carter Family e Woody Guthrie in uno stufato di musica celtica fatta di gighe e di reel, di folk cucinato al pub e di ballate pregne di rimpianto e nostalgia, di ritmi alla birra e di violini limpidi come un cielo del Connemara. Fecero il cammino inverso dei tanti irlandesi arrivati negli Stati Uniti, riportarono a casa la loro musica, quelle ballate, quelle storie, spesso tristi e zeppe di malinconia, con cui i loro avi avevano creato o almeno contaminato e reso più ricca e coinvolgente la musica americana. Il risultato fu grandioso, gli Waterboys scrissero con Fisherman's Blue una pagina esaltante, corale e commovente di musica senza barriere, un folk-rock in cui sembrano sfumare i confini tra musica a stelle e strisce e melodie della vecchia Europa, un disco di una forza evocativa impressionante, un ensemble di musicisti colti nel momento massimo della loro ispirazione e del loro coinvolgimento collettivo, una trascendenza pari ai migliori dischi di Bob Dylan, quello di Blonde On Blonde, un abbandono emotivo degno della Patti Smith di Easter e Set Me Free, un lirismo che fa a gara col miglior Van Morrison di Astral Weeks, Moondance, Into The Music.

Non fu lineare il cammino degli Waterboys, gruppo nato attorno alla personalità complessa, introversa, inquieta di Mike Scott, figlio di un insegnante di inglese in Scozia (già di per sé un conflitto), vorace divoratore e collezionista di libri, appassionato di W.B Yeats, Joyce, Eliot, Baudelaire e Rimbaud. Un background da "maledetto", come quello di Jim Morrison, ma è come giornalista freelance che muove i primi passi nella musica fondando la fanzine Jungleland ( ma vah....) con cui intervista Clash e Sex Pistols. Mette insieme gli Another Pretty Face e scrive una canzone dedicata a Patti Smith, A Girla Called Johnny. Quando trova sulla sua strada Anto Thistlethwaite, un sassofonista che suona il sax come usavano fare i Roxy Music e gli Audience, il batterista Kevin Wilkinson ed il tastierista Karl Wallinger, nascono gli Waterboys. "Uso l'acqua nelle mie canzoni perché serve alle mie liriche ma non ho assolutamente una teoria al riguardo. Ho vissuto negli anni della mia gioventù ad Ayr nella Scozia occidentale, è una cittadina sul mare, ho sempre amato il mare e ho sognato parecchio su esso. Freud direbbe che tali sogni rappresentano un ritorno al grembo materno ed una immersione nel liquido amniotico. Non so molto al riguardo, so che Freud è stato utile ma penso che oggi sia sorpassato".

Così Mike Scott liquida la genesi del nome del gruppo, gruppo che si ritaglia un posto di primo piano in quella che viene sommariamente definita dai giornalisti Big Music, con U2, Big Country,Hot House Flowers, Simple Minds, un rock epico e romantico, orchestrato con un forte senso del dramma. Siamo a metà anni ottanta, escono The Waterboys, A Pagan Place ed il superbo This Is The Sea, melodie imponenti come un mare in tempesta, canzoni visionarie, diffuso intreccio tra i suoni dei fiati, tromba e sax, tastiere (ultima apparizione di Karl Wallinger) e la voce messianica di Scott.
Il quale emigra a Dublino e lontano dalle pressioni londinesi inizia a lavorare al nuovo disco trovando ispirazione nel contatto con la gente irlandese, con l'ordinario quotidiano della vita di tutti i giorni al pub, i cui musicisti lo avvicinano agli idiomi tradizionali locali come il folk, la musica gaelica, le melodie celtiche, anche il country. Assieme a Thistletwhaite, Wickham, al bassista Trevor Hutchinson, al batterista Peter McKinney si rintana prima ai Windmill Lane Studios di Dublino e poi per avere un contatto ancor più diretto con la cultura gaelica negli studi di Spiddal a Galway, coinvolgendo musicisti tradizionali col bouzouki, le fisarmoniche, il mandolino, violini, le chitarre acustiche. Il ruolo di trombe e tastiere che aveva marchiato il sound maestoso di This Is The Sea e A Pagan Place viene ridimensionato in favore di un suono più spartano e ruvido, via di mezzo tra folk, rock e musica celtica, dove Irlanda e America si fondono in una nazione sonora unica portando a galla spirito epico, romanticismo, senso della storia, lirismo da brividi (si senta a proposito We Will Not Be Lovers in tutte le sue versioni). Musica orizzontale tra le due sponde di uno stesso oceano, luogo di incontro tra genti e culture, musica da capogiro e da delirio d'amore, oggi resa nella sua veste definitiva da questo Box Set di 6CD  dove tra prototipi, ripetizioni, abbozzi, stesure definitive, out-takes, jam alla Guinness, deliri improvvisi, canzoni finite, strumentali, cover, tante cover ( Dylan, Hank Williams, Woody Guthrie, Beatles, Van Morrison, Ray Charles, Carter Family, traditionals,Merle Haggard), viene documentato l'intero processo creativo di Fisherman's Blues iniziato nel gennaio del 1986 e concluso nel giugno del 1988, comprese le inedite session americane a Berkeley in California con John Patitucci al basso e Jim Keltner alla batteria.
 
Fisherman's Box non è l'ennesima  ristampa e nemmeno una furba operazione commerciale ( tra l'altro costa "solo" 26 euro) bollata come deluxe edition, ma l'iter completo in tutte le sue parti e sfaccettature di un'opera magnifica dedicata ad uno dei dischi più illuminanti degli ultimi venticinque anni. Dopo quel disco gli Waterboys non saranno più gli stessi, Mike Scott terrà insieme il "marchio" ma i dischi seguenti saranno un pallido ricordo di quella sinfonia di musica, visioni e cuore.
 
MAURO ZAMBELLINI