lunedì 25 agosto 2014

STRADE AMERICANE



 Basta guardarsi una cartina stradale e ci si rende conto di come vanno le cose specie se la geografia che ci interessa è quella americana. Tra un reticolo di highways e freeways che corrono da est a ovest, da nord e sud, c'è tutto un dedalo di strade minori che la letteratura americana ha battezzato come blue highways, termine per designare le strade secondarie  e poco frequentate tipiche dell'America interna e rurale, un tempo tracciate in blu sugli atlanti della Rand McNally, la bibbia stradale Usa. Non sono le più piccole, per quelle bisogna ricorrere a Strade Blu di William Least Heat-Moon o a qualche libro sugli Stati Uniti del nostro autorevole Mario Maffi, ma servono come riferimento culturale  per chi voglia  osservare l'America (ed il rock) in maniera orizzontale. Nel rock, almeno quello che piace a noi, c'è il mainstream e poi i percorsi alternativi, le blue highway come le chiamò Graham Parker in una sua bellissima canzone, musica estranea ai grandi laboratori di registrazione di Los Angeles e New York, strade provinciali dove il rock pulsa con quell'ardore e quel genuino entusiasmo che nei piani alti spesso evaporano. Di solito è la provincia la più prolifica in tal senso, lungi dal volere fare retorica, oggi scene musicali, anche periferiche come l'alternative country di un decennio fa,  non ne esistono, per cui bisogna accontentarsi di barcamenarsi tra le cose più valide del mainstream, troppo spesso tiepido, e qualche fiammata che arriva dalle strade minori, quando queste non ripropongono clichè triti e ritriti o semplici imitazioni.  L'estate del 2014 climaticamente parlando è stata una merda, almeno alle latitudini dove vivo io, per fortuna la produzione di rock americano ha alleviato lo spirito contro bombe d'acqua, trombe d'aria, acquazzoni tropicali, piogge autunnali. Il mainstream ha fatto il suo dovere in maniera dignitosa, sono usciti il disco di Eric Clapton, The Breeze, dedicato a J.J Cale, Hypnotic Eye di Tom Petty and The Heartbreakers, Live at Town Hall di John Mellencamp, pur essendo questo un concerto risalente al 2003, Terms of My Surrender di John Hiatt, tutti dischi apprezzabili almeno per quanto mi riguarda, e neppure le blue highway sono rimaste asciutte. Con l'immensa e spesso inutile produzione discografica è arduo districarsi nella giungla delle strade blu, la ridondante proliferazione di nomi e album che a volte brillano solo per qualche canzone, non aiuta alla selezione a meno di non avere un portafoglio gonfio al riguardo o passare la vita accanto al computer per downloading e Spotify. 



Ma questa è la serie B, prendere o lasciare, convulsa e imbottita di nomi che a volte fanno solo il verso a qualcuno di più famoso,  comunque vitale per capire cosa accada dietro le quinte e cosa bolle nel sottoscala, che idee ed entusiasmo circolano a fianco del mainstream. Tra la primavera e l'estate di questo 2014, mi è capitato di imbattermi in diversi album che hanno superato la prova del 3 ascolti filati e poi via tra gli scaffali a morire di polvere. Album magari ancora acerbi ed imperfetti ma in qualche modo portavoce di un fare rock  sincero e fresco,  dischi almeno interessanti ed in grado di scaldare quel tanto che basta i lunghi pomeriggi di questo autunno chiamato estate. Da primi sono arrivati i  Lake Street Dive che con il loro Bad Self Portraits hanno portato una ventata di aria fresca ad una stagione che non ne aveva bisogno. Quattro nerds, due ragazze e due ragazzi, incontratisi al New England Conservatory di Boston poi convertitesi al jazz grazie alle virtù canore e strumentali della cantante e contrabbassista Bridget Kearney, versione da buona borghesia bostoniana di Amy Winehouse con un pizzico della nostra brava Alessandra Cecala, infine finiti a suonare dalle parti di Brooklyn una sorta di free-country con innesti di soul, pop, jazz, gospel, old-time music. Fossimo negli anni ottanta i LSD sarebbero stati arruolati  in quella corrente di absolute beginners inglesi che movimentarono la scena pop col loro intellettualismo jazzy e i loro modi cool, ma siamo nelle blue highway americane e allora la loro musica si impolvera di radici e blues, fa venire in mente i bravi Alabama Shakes ma strizza l'occhio anche ai Mama's and Papa's e ai Beatles per via delle armonie vocali. La strumentazione è quella di un combo tra jazz e grass, più acustico che elettrico, le canzoni sono ammalianti ed hanno uno spumeggiante pop-appeal, i testi spaziano dal sesso frustrato alle confusioni affettive, le armonizzazioni vocali arrivano a lambire il doo-wop ed un antico fascino da combo folk-rock si stempera in una esecuzione sbarazzina ma non banale. I LSD,  pur avendo alle spalle un altro disco ed un video, posseggono lo stile per poter diventare un prodotto di moda caro al pubblico urbano degli happy hours, se  supportati adeguatamente dalle stazioni radio, prima che ciò avvenga procuratevi Bad Self Portraits, sentitelo un paio di volte e poi stappatevi un Prosecco D.O.C. E' la musica giusta per una euforia light. 

Più muscolari e maschili, i Reigning Sound attingono al bacino musicale di Memphis per crearsi un garage soul-rock che pur moderno e aggiornato ha il cuore delle vecchie incisioni dei Box Tops, dei dischi di Alex Chilton e dei Big Star, degli Ardent Studios. Attitudine garage per canzoni che hanno la melodia del pop inglese dei sixties ed il suono del R&B memphisiano, mica male per un'estate piovosa. Canzoni da tre minuti tre, una voce calda e armoniosa, quella di Greg Cartwright, cantante e chitarrista, un collettivo che gioca d'assieme senza gerarchie pur essendo Cartwright e l'organista/pianista Dave Amels, un piccolo Booker T., le due punte della squadra. Sono un quintetto con agganci newyorchesi (quattro facevano parte del gruppo soul di Brooklyn The Jay Vons) e alle spalle un paio di incisioni, il nuovo Shattered focalizza meglio di tutte la loro fisionomia musicale. Pop, country- soul, rock,  spruzzate acide, tastiere psycho-beat alla Doors, omaggi a oscure garage band di Memphis come Shadden and The King Lovers, i Reigning Sound non tralasciano nulla per cantare la loro ode alla città di Elvis passando per la Stax e gli Ardent Studios. Candidi a volte, sporchi altre, certo ancora acerbi in qualche traccia ma frizzanti nella loro moderna visione del r&b, i Reigning Sound cantano con voce arrendevole di cuori infranti, perdite, rimpianti, senza piagnucolare. Sono visi pallidi con il soul nelle vene, quel soul garagista che unisce Memphis con la Belfast dei Them di Van Morrison. 

Legati invece ad un contesto rurale sono la Ben Miller Band,  trio balzato all'onore delle cronache per aver supportato gli ZZ Top nel recente tour. Per produrre il loro nuovo album si è mosso Vance Powell, uno che ha lavorato con Jack White, Kings of Leon, Wanda Jackson, il quale negli studi Sputnik di Nashville ha messo a punto Any Way, Sharp or Form, titolo che fa riferimento alla loro predisposizione nell'utilizzare qualsiasi mezzo necessario per suonare e comunicare con una canzone. Sono in tre, barba, baffi e aspetto da montanari, vengono dalle lande di quel desolato e appartato Missouri che ha fatto da sfondo alla pellicola Un Gelido Inverno (Winter's Bone) ma non sono bruschi, rozzi e cattivi come i personaggi di quel film, sono dotati di ironia e piglio ribaldo e con una filosofia "fai da te" ricompongono l'intera gamma delle musiche povere del sud attraversando folk, country, hillbilly e mountain music con un approccio originale e senza pretese, di basso profilo visto che si avvalgono di strumenti inventati e costruiti da loro stessi. Uniscono lo spirito del rock n'roll da bettole all'energia frenetica del bluegrass, l'anima down-home blues del Delta allo spirito stregato della musica degli Appalachi coniando una personale ricetta che hanno soprannominato Ozark Stomp, in virtù del fatto che la loro origine è nella regione delle Ozark Mountains. 


Pur essendo solo in tre, Ben Miller, Scott Leaper e Doug Dicharry assemblano un sound arrembante lavorando con gli arnesi della tradizionale american music, il loro contagioso stomp possiede la ruvidezza dei primi 16 Horsepower, la follia iconoclasta di Slim Cessna'Auto Club e l'energia delle band del nuovo bluegrass tipo gli Old Crow Medicine Show. Nel loro carnet c'è spazio anche per ballate e malinconia ma danno il meglio di sé nei brani tesi e scalpitanti,  Ben Miller è un dinamico chitarrista acustico, Scott Leaper suona un contrabbasso ad una sola corda ottenuto infilando un manico di scopa in un secchio di metallo (one string washtube bass), Doug Dicharry si occupa di un universo dove compaiono cucchiai, assi da lavare, rullante, tromboni, trombe, tamburi e mandolini, il loro eclettismo risalta in 23 Skidoo, esempio di come la band sappia condensare in unica traccia  la old time music di Leon Redbone, il dixieland jazz delle marching bands e la musica havaiana.


Sulle strade d'America è nata e si è muove Alynda Lee Segarra, voce di un combo di New Orleans chiamato Hurray For The Riff Raff. Lei è una ragazza portoricana cresciuta nel Bronx da una zia, diventa un riot grrrl nel Lower East Side di Manhattan e a diciassette anni se ne va di casa per saltare come un antico hobo con la sola chitarra sulle spalle sui treni merci in giro per gli Stati Uniti. Si unisce ad un gruppo di musicisti itineranti, la Dead Man Street Orchestra, con cui canta, suona il banjo e gratta l'asse dal lavare, e con loro viaggia e suona nelle strade delle città incontrate nel loro peregrinaggio. Finisce a New Orleans e lì si adopera per un nuovo progetto, conosce altri musicisti a si mette a suonare dal vivo scegliendo come nome della band quel Hurray The Riff Raff che sta un po' come viva la feccia, gli emarginati, i vagabondi, i non allineati. Dal 2007 allineano una consistente discografia, fino ad arrivare a Small Town Heroes titolo che rimanda alla discografia di John Mellencamp ma nelle intenzioni dell'autrice è una sentita dedica a New Orleans, una grande città con le caratteristiche di un piccolo paese. Il suo nuovo album costituisce una re-immaginazione femminista della canzone di protesta folk e della musica da strada americana. Il titolo fa capire quale sia l'universo di Alynda Segarra, Small Town Heroes racconta di un'America marginale e periferica con l'occhio di una ragazza orgogliosa e decisa che canta con la persuasione di una vecchia folk-singer un mondo che non è mai come lo si vorrebbe. Pregiudizi, barriere, razzismi, Alynda Segarra li combatte con la musica, il violinista della band è transgender e lei è impegnata in  difesa dei diritti degli omosessuali, attinge da una parte alle teorie femministe e a dall'altra ad un patrimonio di musica tradizionale che vede cantanti come Billie Holiday, Bessie Smith, Nina Simone accasarsi con Bob Dylan, Townes Van Zandt, Woody Guthrie. 

Small Town Heroes è un disco denso di folk di strada dove c'è una interazione tra la musica di Gillian Welch, quella di John Prine e di Furry Lewis (una delle più caratteristiche tracce dell'album è la rivisitazione di San Francisco Bay Blues) ed il lascito di una letteratura al femminile (Jeanette Winterson, Sampat Pal, Audre Lord) che regala alla Segarra un marcato punto di vista critico e politico. Una delle canzoni meglio riuscite dell'album, The Body Electric, intensa e perfetta nel crescendo emotivo degli arrangiamenti, trae spunto da alcune notizie di cronaca come il crescente numero di ragazze vittime di abusi sessuali, in particolare il fattaccio successo su un autobus a Nuova Delhi dove una donna è stata violentata e uccisa. A differenza degli album precedenti di Hurray For The Riff Raff dove c'era un sacco di sperimentazione nella scrittura delle canzoni e nella registrazione, Small Town Heroes è un album diretto, asciutto, schietto, con le canzoni correlate da un unico filo conduttore, un album intenso di una giovane cantante/autrice/musicista avviata su quelle strade americane che sono di Lucinda Williams e Mary Gauthier.

MAURO  ZAMBELLINI    RAINY SUMMER of 2014




giovedì 7 agosto 2014

SACCO & VANZETTI River Cafè 1994-2014


 

 

Il Sacco &Vanzetti di Concordia Sagittaria, pochi chilometri da Portogruaro, non è la solita pizzeria. Innanzitutto il nome, scegliere di chiamare Sacco & Vanzetti una pizzeria è come chiamare Kerouac una moto o Gramsci una lavatrice (sebbene loro chiamino così le loro pizze così) ma l'intento originario di uno dei fondatori del locale era proprio quello, mettere la letteratura e la storia nel piatto con la spregiudicatezza e la poesia di chi ha capito che nella vita di tutti i giorni, sensibilità, coscienza sociale e cultura vanno perfettamente d'accordo coi piaceri della vita e della gola. Chapeau, la bellezza is everywhere basta accorgersene e trovarla. Di fatto il Sacco & Vanzetti non è solo una pizzeria e nemmeno solo un ristorante e nemmeno solo un pub o un club, per questo bisognerebbe la tessera, e nemmeno un'osteria ma è un po' tutto questo insieme ed oltre, è un posto aperto a tutti ma non per tutti, dove si mangia, si beve, si ride e si scherza, si incontrano persone, si discute, si legge, si ascolta musica e a volte c'è perfino una presentazione letteraria o presunta tale. Il servizio è veloce, allegro e giovane e se non si ha voglia di parlare, le tovagliette in carta riciclata ruvida raccontano di sport, cinema, musica, letteratura, perfino politica, perché come si deduce dal nome il locale non fa mistero del proprio orientamento politico. Nicola Sacco  e Bartolomeo Vanzetti sono due anarchici italiani mandati sulla sedia elettrica  nel 1927 a Charleston, Massachusetts da un verdetto palesemente condizionato dopo essere stati accusati per l'uccisione di un contabile e di una guardia del calzaturificio Slater and Morrill.  A nulla valse la testimonianza di un detenuto portoricano che scagionava i due, l'esecuzione fu accompagnata da vibranti proteste a Boston durate dieci giorni contro quella che venne reputata una forte volontà di persecuzione degli anarchici suggerita dal ministro della giustizia Palmer.  Nel 1971 uscì un film sulla vicenda con la canzone The Ballad of Sacco & Vanzetti cantata da Joan Baez.  Detto questo l'attuale Sacco & Vanzetti River Cafè, naturalmente quel river si riferisce ad uno dei più bei dischi di Springsteen, è divenuto nel corso degli anni un luogo di riferimento anche musicale del nord-est veneto/friulano perché Valter Fiorin, uno dei fondatori assieme a Ennio, Giovanni, Dino e poi Gigi il cuoco, ha coronato il sogno della sua vita, creare un posto di benessere alimentare accompagnando pizze, fritto misto e tex mex food con la musica di suo gradimento. Non è stato facile perché non tutti i suoi pards erano d'accordo sull'operazione e fare musica in un locale privi di sponsor e sovvenzioni comporta notevoli difficoltà. Ma Valter è uno con la testa dura ed una tenacia incredibile, oltre che una buona capacità imprenditoriale, questo era uno dei suoi sogni e per questo ha cambiato lavoro, ha vissuto momenti conflittuali e depressi, ha lottato e perseguito l'obiettivo con le proprie mani e la propria testa. Ho conosciuto Valter prima che aprisse il Sacco & Vanzetti. Era il 1988, leggeva il Mucchio Selvaggio, gli piacevano le mie recensioni, i miei articoli, i miei gusti musicali. Si mise in contatto con la redazione del Mucchio, si fece dare il mio numero di telefono, mi telefonò. Parlammo, scambiammo opinioni, ci conoscemmo via phone, era poco prima del Natale di quell'anno, mi ero appena separato da mia moglie, vivevo un momento di transizione, gli chiesi, per curiosità, dove avrebbe passato le vacanze natalizie. Mi rispose che sarebbe andato in Irlanda con alcuni amici di Concordia, sfacciatamente mi proposi di unirmi a loro, in Irlanda c'ero già stato dieci anni prima, il giorno in cui morì Elvis Presley mi trovavo a Dublino, e quell'isola mi aveva affascinato per la sua musica, la sua gente, la sua birra, i suoi paesaggi, la sua malinconia. Si dimostrò lusingato della richiesta,  non ci furono difficoltà di nessun tipo, avrebbe fatto lui il biglietto aereo anche per me visto che la partenza era a Linate, mi chiese soltanto "come faccio a riconoscerti al check in dell'aeroporto ?". "Ho i baffi e porto un chiodo di pelle nera fu la mia lapidaria risposta". Fu una bellissima vacanza, a Dun Laoghaire, porto di Dublino vedemmo un magistrale concerto degli Waterboys, i quali avevano appena pubblicato Fisherman's Blues. Erano in forma strepitosa, all'apice della loro creatività, quella magica nottata finì sulle pagine di un Mucchio allora esaltante. Da allora nacque un'amicizia ed un rispetto che dura tuttora, nonostante le nostre diversità, innanzitutto lui  juventino ed io interista, lui amante dei ristorantini ricercati ed io delle trattorie, lui per  gli Eagles, io per i Black Crowes, lui la tribuna di San Siro, io il prato. Due anni dopo, nel 1990, ci rivedemmo in Irlanda in una sperduta località del sud, vicino Killarney, all'inizio della bellissima provincia del Kerry. Era luglio, pioveva, pioveva, pioveva, lui aveva affittato una casa coi suoi amici di Concordia, io ero in viaggio con un amico. Ci trovammo qualche giorno in questa casa, mangiavamo salmone a colazione, pranzo e cena, bevendo Guinness e Tocai che loro avevano portato dal Veneto, naturalmente col sottofondo della musica a quel tempo ancora in cassette C60 e C90. I cellulari non esistevano, la casa non aveva telefono, ci demmo appuntamento all' ufficio postale del paese, ci eravamo messi d'accordo ancora prima dei rispettivi viaggi. Quando si dice l'importanza della parola e tra me e Valter la parola è sempre stata importante. Con gli anni ci siamo visti tantissime volte sebbene abiti a più di 400 km da Concordia, almeno tre/quattro volte all'anno passo e mangio al Sacco & Vanzetti, e Concordia Sagittaria con la sua frazione  Cavanella sono diventati luoghi del mio cuore e delle mie bevute. Insieme a Valter sono stato a tanti concerti, Springsteen a Milano e Praga, Dylan, Neil Young e via dicendo. Mi ricordo un mitico concerto di Bruce al Forum negli anni duemila, l'uscita di corsa non appena finito lo show, la sosta nel più vicino autogrill a mangiare a mezza notte e mezza sul cofano della macchina le sarde in saor fatte da sua zia (o nonna ?) portate da Concordia per l'occasione con un paio di bottiglie di Refosco. Il coronamento di un concerto strepitoso,
sulla strada con le sarde e il rock n'roll.
 

Ma veniamo all'oggi, dopo ventanni di attività, Valter ha celebrato il 29 luglio scorso la completa maturità del Sacco & Vanzetti. Gli hanno dato una mano in tanti,  i ragazzi del S&V ma anche semplici amici, conoscenti, volontari ma l'idea è stata sua. Non sono tante le "società°" che durano 20 anni in Italia e nel mondo, nemmeno i Beatles sono durati tanto, specie se il sodalizio prevede più teste pensanti, il Sacco & Vanzetti ci è riuscito, di nuovo chapeau. Per festeggiare è stata organizzata una grande festa di piazza con cibo, vino e birra e naturalmente musica, un concerto durato tre ore spostato all'ultimo istante nell'attiguo Teatro Comunale di Concordia,  per via della pioggia battente. Tutto gratis o quasi, naturalmente, tanta gente, tanti putei e putee, gran divertimento e partecipazione, ed un po' di commozione quando Valter dal palco ha ricordato uno dei fondatori del S&V, Ennio, morto qualche anno fa per uno stupido incidente motociclistico. Negli anni al Sacco &Vanzetti si sono succeduti alcuni tra i migliori set di rock e folk alternativo in Italia. Graziano Romani è stato il primo a suonarci quando ancora stava coi Rocking Chairs, addirittura suonò a Concordia il 19 febbraio del 1988, e poi ha sempre risposto agli inviti di Valter tornandoci decine di volte sempre per piacere e stima, poi sono arrivati i Cheap Wine, Red Wine Serenaders, Cesare Carugi, Michele Gazich, i Rusties, Miami and The Groovers, Arianna Antinori & Turtle Blues, Luigi Maieron, Micky Martina, Massimo Priviero e tanti altri. Chi entra al Sacco &Vanzetti può vedere degli enormi pannelli grafici dove sono ricordati tutti questi show assieme a copertine di dischi, biglietti di concerti, stralci di riviste e giornali, foto e quant'altro, cuciti a collage come un enorme memorandum sui nostri miti e la nostra musica. Sul palco del 20th Sacco & Vanzetti Celebration Party si sono avvicendati tre band significative per la storia del locale. Ha aperto il Mellencamp del Tarvisio, Micky Martina che col tastierista Francesco Piussi ha cantato le sue storie di confine tra folk furlano e Woody Guthrie per poi chiudere a tutto rock con l'innesto di Frank Get e i Ressell Brothers, prossimi al loro primo disco. Il secondo set ha visto in scena un anomalo ed inusuale trio voluto espressamente da Valter, ovvero il violinista folk Michele Gazich con il cantante e chitarrista Graziano Romani ed il tastierista dei Groovers e dei Cheap Wine Alessio Raffaelli. Grande musica, grande pathos, pubblico rapito dalla voce di Graziano e dal violino di Gazich col tappeto sonoro raffinato di Raffaelli. Versione splendida e originalmente folkie-soul di Drive All Night, poi Caravan, I Shall Be Realesed e Like a Rolling Stone. In apertura una drammatica versione a due, Romani e Raffaelli di Hate and Love Revisited  dei Rocking Chairs. Dopo tanta enfasi logico aspettarsi una cavalcata a briglia sciolta, chi se non Arianna Antinori coi suoi Turtle Blues in formazione tipo, poteva arroventare la serata con un mix di Zeppelin, Joplin, soul e rock n'roll cantato con l'anima. Fuoco e fiamme ed una straripante jam finale con tutti sul palco ad eseguire  Stand By Me e Knockin On Heaven's Door.  Una serata di gala, un gala roots-rock ruspante come piace a noi ed un riconoscimento ad un piccolo miracolo della provincia italiana, solo un locale, il Sacco & Vanzetti, che ha però fatto conoscere in giro per l'Italia, Concordia Sagittaria più dei suoi reperti archeologici romani. di quando era conosciuta come Iulia Concordia. Merito della pizza, del rock n'roll o di Valter?.

MAURO ZAMBELLINI   AGOSTO 2014