martedì 19 marzo 2019

KEITH RICHARDS TALK IS CHEAP

 
Talk is Cheap , il primo disco solista di Keith Richards dopo un quarto di secolo coi Rolling Stones, nasce nel momento in cui la band è su un binario morto. Mick Jagger è impegnato nei suoi dischi solisti e l'ultimo lavoro della band, pubblicato nel 1986, ovvero Dirty Work  ha lasciato l'amaro in bocca ai fans che poco ritrovano dell'antico graffio dei Rolling Stones e soprattutto non vedono nessun progetto di tour in corso. A tale proposito Keith Richards affermò "ho fatto Dirty Work nello stesso modo in cui ho fatto Some Girls, cioè con la precisa idea di portarlo in tour, quindi quando abbiamo finito il disco.....diciamo che ci sono state delle forze avverse, mettiamola così, che hanno comportato che all'improvviso non saremmo andati in tour. La band è stata piantata in asso, perché se non vai in tour dopo un album, hai fatto solo metà del lavoro". Le forze avverse sono da ricondurre alla morte di Ian Stewart, un duro colpo specie per Richards, e soprattutto a Mick Jagger, in quei giorni completamente coinvolto nella promozione del suo secondo disco solista Private Cool e voglioso di mettersi in competizione con gli artisti da hit parade come George Michael, Prince, Terence Trent D'Arby, Madonna, Michael Jackson, Duran Duran. Pensava, al tempo, che i Rolling Stones fossero una cosa del passato ma il suo disco fu un fiasco e la storia sappiamo come è andata. Richards, preso atto della situazione, si mette a fare cose diverse, cose che se fosse stato coi Rolling Stones sarebbero state troppo complicate.

Nel giugno del 1987 stipula un contratto con la Virgin Records per la realizzazione di due dischi solisti. L'unica condizione che impone è quella di non subire nessuna interferenza esterna fino al completamento dei lavori.  Su esortazione dell''amico Steve Jordan, il batterista con cui nel 1986 aveva lavorato per il film di Chuck Berry Hail Hail Rock n' Roll, accetta la sfida e si lascia trascinare in uno studio di registrazione per realizzare quello che solo fino qualche mese prima riteneva impensabile : un album solista. " Sentivo che negli Stones avevo il mezzo perfetto per quello che volevo fare, non immaginavo però che mettere insieme qualcos'altro sarebbe stato altrettanto appagante" . Già a Parigi durante le registrazioni di Dirty Work  si era saldata l'amicizia con Steve Jordan, i due continuarono a vedersi a New York e cominciarono a scrivere canzoni insieme, per poi finire a suonare delle jam session a casa di Ron Wood. E' con Jordan che viene definito il nucleo degli X-Pensive Winos, chiamati così quando in studio comparve una bottiglia di Chateau Lafitte-Rotschild, e la prima scelta cade sul chitarrista Waddy Wachtel che Richards conosceva fin dagli anni settanta per aver lavorato con Linda Ronstadt, Warren Zevon e Stevie Nicks. Ne apprezzava il suo gusto ed il suo orecchio ed il fatto che non c'era bisogno di spiegarsi nulla quando si suonava insieme. "Aveva suonato con band femminili ma sapevo che voleva fare del rock perciò lo chiamai e dissi semplicemente, sto mettendo insieme una band e tu ne fai parte". Lo stesso Steve Jordan fu d'accordo, così come trovarono sintonia nel bassista Charley Drayton e nel pianista Ivan Neville della famiglia di Aaron Neville di New Orleans. Non fu necessaria  nessuna audizione, gli Winos vennero fuori così in modo naturale e fin dai primi accordi decollarono come un razzo. "Ho trovato qualcun altro con cui lavorare, rivelò Keith Richards, il lavoro di gruppo per me è fondamentale. La gioia di fare del rock n'roll è nella interazione tra chi suona, e cercare di trasferire questa interazione su nastro. Ho bisogno dell'entusiasmo degli altri e questi ragazzi me ne hanno dato tantissimo. Non mi hanno mai permesso di accontentarmi ". Come fonico fu preso Dan Smith che si era fatto le ossa alla Stax di Memphis e aveva lavorato con Don Nix e Johnnie Taylor, uno dei primi eroi di Richards. Dan Smith amava la musica, in particolare quella del Sud degli Stati Uniti dove aveva bazzicato i juke joint  con Furry Lewis e così parve subito l'uomo adatto per le registrazioni, inizialmente ubicate a Le Studio in una località appartata nei pressi di Montreal in Canada e poi trasferite a Montserrat nelle Bermude.
Fin dall'inizio le session di Talk Is Cheap  furono intuitive e spontanee ed in meno di dieci giorni vennero registrate sette canzoni. Richards arrivò a "sognare" le canzoni. Una notte si svegliò, prese la chitarra e suonò Make No Mistake nel registratore a cassette, poi la mattina dopo iniziò a cantarla.  Durante quelle session Richards sviluppò un nuovo modo di scrivere i brani, "quando tu sei in una band come i Rolling Stones ti senti come fossi in una tua capsula e qualsiasi cosa succede all'esterno non conta, puoi vivere comodamente in quella capsula ma perdi delle opportunità per scoprire cos'altro sta succedendo. Steve Jordan fu di grande aiuto perché mi fece scoprire dei tipi diversi con cui lavorare in modo differente. Una volta iniziato mi sentii subito a mio agio perché mi resi conto che potevo muovermi in modo leggermente diverso. Iniziammo a lavorare insieme tra febbraio e marzo del 1987, solo con chitarra e batteria, buttando giù del materiale da portare e sottoporre agli altri. Scrissi almeno trenta canzoni, ma ad un certo punto dissi a Steve che non sapevo come continuare, e allora lui mi rispose, quando hai dei dubbi, scrivi di Mick, e così venne fuori You Don't Move Me". Quel brano fa parte degli undici titoli che compongono l'originale Talk Is Cheap ed evoca gli Stones non solo nel sound tagliente della chitarra e nel ritmo dondolante dove spicca l'ottimo lavoro di Jordan con le percussioni ma anche nell'argomento principale, ovvero Mick Jagger, dove Keith sfoga la rabbia e l'amarezza per il mancato tour di Dirty Work e  rimprovera "il boss" per il fallimento commerciale dei suoi album She's the Boss e Primitive Cool, nell'esplicito verso " vuoi tirare il dado/ ma hai già fatto schifo due volte".
 

Il chitarrista Waddy Wachtel  fu ancora più esplicito sul concetto di composizione di Richards, " in effetti la cosa era molto divertente, Keith diceva, sistemate dei microfoni, e poi via, ok  cantiamo. Cantiamo cosa ? dicevo io, non abbiamo niente, e lui rispondeva, si ok, facciamo finta, facciamo qualcosa. Questa era la routine, poi veniva fuori qualcosa, e lui mormorava, si, cazzo questa suona bene".  Lo si deve a Steve Jordan, che produsse il disco insieme a Keef, il cambiamento nel modo di lavorare di Richards, il quale  fu felice di adeguarsi anche perché non stava scrivendo canzoni per Mick Jagger ma per se. Mise le canzoni in una tonalità più bassa per permettere alla sua voce di attraversare note quasi in falsetto, più adatte al suo stile. "Dan Smith sistemò i microfoni e i compressori in modo che sentissi più alto in cuffia, il che significava che non potevo cantare forte e urlare, che era quello che facevo di solito , e mi trovai a scrivere canzoni più tranquille, ballate, canzoni d'amore. Canzoni che venivano dal cuore".

In particolare, Talk Is Cheap contiene due tra le più belle ballate scritte da Richards : Make No Mistake è una languida soul-ballad che pare estratta dal repertorio di Al Green impreziosita dalla voce di Sarah Dash e dai fiati dei Memphis Horns diretti da Willie Mitchell, mentre Locked Away  ha un sapore tutto cajun dovuto al violino di Michael Doucet e alla fisarmonica di Stanley "Buckwheat" Dural. In realtà Talk Is Cheap non è solo lo sforzo degli X-Pensive Winos perché per Make No Mistake  Richards e Jordan andarono a Memphis negli studi dove Willie Mitchell aveva lavorato ai dischi di Al Green e gli chiesero l'arrangiamento dei fiati per la canzone, e per Locked Away furono basilari sia i colori della Louisiana pennellati da Doucet e "Buckwheat" Dural, sia l'influenza della musica sudafricana. In quel periodo difatti  Richards stava ascoltando con particolare interesse quel folk agro e quel beat non troppo distanti dal blues rurale afroamericano che arrivavano da Soweto. Altre presenze importanti nel disco sono il bassista Joey Spampinato, il pianista Johnnie Johnson, l'organista Chuck Leavell, il chitarrista Mick Taylor ed il sassofonista Bobby Keys,  tutti coinvolti nel rockabilly di I Could Have Stood You Up , ancora Bobby Keys con Patti Scialfa nella nervosa Whip It Up, brano che non avrebbe sfigurato in Some Girls , il bassista "Bootsy" Collins e l'alto-sassofonista Maceo Parker nel funk di Big Enough, e ancora Spampinato e Dural con il tastierista Bernie Warrell più un nutrito coro (Sarah Dash, Sam Butler e Charley Drayton) nel torbido mezzo tempo sudista di Rockawhile dove si fanno notare sia la slide di Wachtel che la inconfondibile batteria di Jordan. Gli Winos nella loro line-up essenziale determinano il sound della sincopata e funkeggiante It Means A Lot  nella quale Richards vocifera contrapponendosi alle risposte di Jordan, della più ariosa How I Wish, una sorta di riedizione di Happy,  di Take It So Hard  il brano che spiega in modo sbrigativo perché Richards è definito il riff umano, l'archetipo del soul-rock moderno pur con la voce di un cantante tanto arruffato quanto di carattere, e della sporca Struggle altro banco di prova dei riff di Richards con la sezione ritmica impegnata a non concedere un grammo di grasso talmente ossuta, secca, tesa.
 

Talk Is Cheap venne pubblicato il 4 ottobre del 1988 ed entrò nelle classifiche americane al 75mo posto per starci ventiquattro settimane, raggiungendo il 24esimo posto e vendendo un milione di copie, una cifra considerevole viste le poche aspettative di partenza. Le recensioni furono generalmente positive, decisamente migliori rispetto al disco solista di Jagger, la rivista Guitar World lo definì " il miglior album dei Rolling Stones da 17 anni a questa parte". Il tour americano di Jagger fu cancellato per le misere prevendite, Richards andò in tour con gli X-Penisve Winos suonando nei teatri di quattordici città americane,  tutti esauriti e con l'immancabile standing ovation.  "Alla fine né Mick né io vendemmo molte copie dei nostri dischi solisti perché la gente voleva gli stramaledetti Rolling Stones, giusto? Se non altro io ne tirai fuori due grandi dischi di rock n' roll ed una credibilità mentre Mick andò là fuori a cercare di fare la pop star per conto suo, andò là fuori, cercò di issare la sua bandiera e dovette tirarla giù". Nemmeno un anno dopo, nell'agosto del 1989 iniziava il tour di Steel Wheels, il circo più grosso che i Rolling Stones avevano messo in piedi fino a quel momento,  Keith Richards e Mick Jagger si trovavano di fronte ad altri trenta anni di tour insieme.
 

Talk Is Cheap è probabilmente, secondo chi scrive, il miglior lavoro solista di Richards per via di una amalgama equilibrata di rock n'roll, soul, r&b, ballads con una veste sonora che da una parte contrasta nettamente coi trend supervitaminizzati degli anni ottanta e dall'altra non scompone l'idea che ci si è fatta di Richards ovvero quella del musicista che ama più le pieghe che l'ufficialità, un artista con l'anima profonda del blues. Che qui appare solo marginalmente ma che le tracce aggiunte della nuova edizione  rivelano compiutamente fin dall'iniziale Blues Jam, una jam strumentale di oltre quattro minuti dove le chitarre, qui in un solido e scorbutico Chicago style, dialogano col fluido pianoforte di Johnnie Johnson, pianista che ha suonato con Muddy Waters, Little Walter, Eric Clapton, Buddy Guy, Chuck Berry, John Lee Hooker, Bo Diddley, qui mattatore al pari di Richards del pezzo. Non sono da meno i dieci e passa minuti di Slim, ancora in gran spolvero Johnnie Johnson in una sorta di boogie-woogie jammato e ritmato da una sezione che pulsa attorno alle linee jazzate della chitarra, il tutto dentro un insieme rilassato e divertito nonché improvvisato, dove si sentono le risate e le voci dei protagonisti rapiti da tanto benessere sonoro. Anche un accenno seminascosto di Tequila nel finale per brindare a questo combo di maghi della musica. Non sono tutti strumentali i sei brani della nuova ristampa disponibile in Regular, Deluxe e Super Deluxe Edition, Big Town Playboy è difatti la riproposizione di un brano di Eddie Taylor smagrito a dovere dalla voce flebile ma amabile di Richards, sporcato da una chitarra bluesy e punteggiato da un pianoforte di prim'ordine. Mark On Me è la bonus tracks che più sconta gli anni ottanta con quel drumming quadrato e le tastiere synth, Brut Force (with Bootsy) è ancora strumentale e serve a "Bootsy" Collins per sfoggiare il suo basso tra electro-funk e jazz-rock, mentre My Baby  è la superba rivisitazione in chiave fifties e jazzy del pezzo scritto da Willie Dixon per Little Walter  tra spazzole, contrabbasso, pianoforte ed una voce che sembra singhiozzare una preghiera d'amore da lasciare senza parole. Mai titolo di disco fu più adatto per questa opera di Keith Richards, le parole non servono a niente oppure sono di poche parole  sembra suggerire Keef con Talk Is Cheap, un lavoro che passa indenne attraverso la nostalgia ,oltre a regalare una manciata di rock-soul-blues apparentemente straccioni ma talmente lungimiranti  da aver sconfitto l'età e risultare ancora oggi freschi e godibilissimi.

 

MAURO ZAMBELLINI    

p.s le affermazioni dei protagonisti sono tratte da Life (Keith Richards, Feltrinelli) e Keith Richards, The Biography (Victor Bockris, Poseidon)









venerdì 1 marzo 2019

GARY CLARK Jr. THIS LAND

 
Esiste una dicotomia nella produzione discografica di Gary Clark Jr., astro emergente della chitarra, tra le testimonianze live dei suoi concerti, improntati ad una feroce e veemente riproposizione del rock-blues, e gli album in studio disposti ad una più ampia sperimentazione sonora e inglobanti elementi funk, hip-hop ed elettronici. Così i puristi dovrebbero prendersi le dovute precauzioni nell'approcciarsi a This Land  perché non è il blues come usualmente lo conosciamo l'argomento del disco, ma  un convulso, complesso, caotico, paranoico universo sonoro dove un sound saturo  si riempie di trucchi elettronici, di sintetizzatori, di sperimentalismi sonici , di campionamenti offrendo , quello si, una visione moderna, eretica ed incazzata del blues come fosse l'espressione dei sentimenti di una società tormentata nella quale regnano rabbia, intolleranza, frustrazione. Quelli che erano stati i limiti di sovrabbondanza di Story of  Sonny Boy  Slim vengono riaggiustati nel nuovo disco così da creare una sorta di documento approfondito di ciò che l'artista avverte come un inquieto state of mind serpeggiante nell'America di oggi, la versione 2019 di un blues che sconfina dalle dodici battute del Delta abbracciando un eclettismo sonoro dove c'è  posto per il funk, un metallico R&B, schegge di hip-hop, il punk ed il reggae dentro un caleidoscopio di sensazioni che è un vero maremoto emotivo. Ondate sonore e cruenti assalti sensoriali, tempeste rumoriste e limpidi assolo di chitarre, ballate soul ed improvvise accelerazioni , This Land è un disco che non lascia indifferenti e accomodati nel docile sentire blues, è un disco coraggioso e ardito che divide e fa discutere, e già questo è un risultato positivo, l'opera più ambiziosa e, secondo chi scrive migliore, dei lavori in studio del texano. Un lavoro anche difficile, provocatorio e forse eccessivamente lungo considerate le due bonus tracks, ma di sicuro l'attestato di un artista impegnato a studiare nuove possibilità creative, ricercando e sperimentando in studio, indicando nuove strade, magari a discapito della sua fama di animale tout court della chitarra rock-blues.


Lo hanno aiutato in questo edificio sonoro i batteristi Brannen Temple e  JJ Johnson, la percussionista Sheil E ( al tempo con Prince), il bassista Mike Elizondo e lo stesso Clark è accreditato in molte tracce al basso, alle tastiere e al programming delle  percussioni. La presenza di Sheila E. suggerisce l'accostamento negli occasionali falsetto vocali di Clark a  Prince, succede in I Walk Alone ed in parte in Pearl Cadillac,  mentre nel messaggio sociale di Feed The Babies è evidente lo stile di Curtis Mayfield.  Innumerevoli sono comunque i rimandi al blues : I Got My Eyes On You (locked&loaded) è un blues torturato che dà modo alla chitarra di Gary Clark Jr. di mostrare le sue virtù con un assolo tanto bruciante quanto eloquente, Low Down Rolling Stone sceglie la crudezza di un distorto hard-blues-rock chitarristico per raccontare l'orrore di un uomo che scopre di aver raggiunto un punto in cui l'oscurità è l'unica sua zona di conforto, The Governor è un blues spogliato con una slide vecchi tempi e tanto fascino "sudista", Dirty Dishes Blues un bell' esercizio di Delta blues in solitario, leggermente più pulito del precedente, e Did Dat  (una delle due bonus tracks) una ballata che sfocia in uno di quegli assolo dove il blues è lirica sublime. Ma se questi sono i momenti più ascrivibili alla tradizione del genere, il rimanente This Land  è un vulcano in eruzione, fotografia di cosa sia l'arte musicale di Gary Clark Jr. oggi. Già l'inizio di This Land mette a fuoco le cose, il Woody Guthrie accreditato tra gli autori viene rivoltato da un noise di tastiere prima che Clark "tiri" uno sporco link di blues e si metta a cantare puntando il dito contro il razzismo ancora strisciante negli stati del Sud, inseguito da un battere di reggae elettronico. Il video è magnifico, coglie uno dei temi dell'album sia nella denuncia che nella risposta, coi bimbi neri che nella scena finale calpestano ed incendiano la bandiera confederata.
 

What About Us è un'altra dichiarazione che le cose devono cambiare, la chitarra si insinua nel disordine electro-funk per suggerire una via di salvezza, Feelin' Like A Million è invece un reggae dancehall che porterebbe in pista l'intero Caraibi, non privata però dell' acido graffio della chitarra. Di stampo differente è Gotta Get Into Something , una corsa impazzita tra  punk, rock n'roll e Clash, che contrasta con la morbida soul ballad Pearl Cadillac in cui un falsetto tra Prince e Mayfield viene strapazzato nel da un micidiale assolo di chitarra.

The Guitar Man a dispetto del titolo è la traccia più pop dell'album, ma l' inciso finale di chitarra in stile Mick Taylor è una chicca e Don't Wait Tilt Tomorrow una dolente ballad con infiltrazioni elettroniche anni 80 che mostra il Clark più sornione e romantico.  Il musicista texano ha tradotto con This Land  il turbamento dei tempi in cui viviamo in un sound inquieto e sfaccettato, non ha reso un omaggio politicamente corretto al blues ma ne ha esplorato i margini e le frizioni, offrendo la sua moderna, diversa e contraddittoria visione del genere e regalando uno dei dischi più importanti dell'anno.

 

MAURO   ZAMBELLINI