lunedì 11 luglio 2022

GOV'T MULE CHIARI BLUES FESTIVAL 2022



Inizio col botto per il Chiari Blues Festival, tornato in pista dopo anni di lockdown. Non poteva esserci cartello migliore per festeggiare il ritorno della musica di qualità e anche la location è sembrata la più adatta per l’evento, una grande tettoia di legno sostenuta da colonne di cemento aperta lateralmente per fronteggiare l’implacabile caldo di quest’estate. Hanno cominciato alle 18.30 i Rusties del cantante Marco Grompi forti di una lunga avventura musicale all’insegna di Neil Young e di alcuni pregevoli dischi solisti. Meglio non poteva esserci per instaurare delle good vibrations, il loro sound è strettamente legato al folk-rock del canadese e più in generale alla scena californiana anni ’70 con iniezioni di psichedelia, ballate dolenti alla southern man ed una nostalgica aria hippie ancora presente nei cuori e nelle orecchie di tanti presenti. Grompi ha un’ugola studiata su quella di Young, le chitarre sfrigolano acide, sezione ritmica e tastiere fanno il loro dovere, come supporter sono perfetti e poi quando sul palco compare a sorpresa Warren Haynes le certezze sono due: che l’americano sia tra i personaggi più veri ancora esistenti nel rock, capace con nonchalance ed umiltà di unirsi  ad una band di sconosciuti italiani (non me ne vogliano Grompi e soci), e quello che sarà un assaggio della magica serata si chiama Cortez The Killer. Tutti accontentati,  una cavalcata selvaggia tra chitarre elettriche che si incrociano e tagliano a note ventose, il sole è ancora caldo ma ancora più calda è l’atmosfera che si crea al Chiari Blues Festival. Cambio di palco e arriva David Grissom, rinomata chitarra che fu di Joe Ely, John Mellencamp, Allman, James McMurtry e chi più ne ha ne metta. Con lui è il bravo batterista Archelao Flo Macrillò e l’ex bassista di Rocking Chairs e Ligabue, Rigo Righetti. Basta un pezzo per confermare quello che ho sempre pensato, David Grissom dà il massimo come sideman, quando la sua chitarra graffia con assoli bollenti e spietati nei dischi e nei concerti altrui, ma quando è lui il leader cede al virtuosismo della sua Paul Reed Smith, chitarra amata dai narcisisti delle sei corde, ed il suo talento va in overdose e diventa pesante e logorroico, fine a sé stesso. Può piacere a coloro che amano certo rock chitarristico piuttosto tecnico tipo Steve Vai, personalmente dopo il secondo brano mi alzo per andare a rinfrescarmi con una birra.Tutt’altra storia quando entrano in scena i giganti. Warren Haynes è dimagrito ma il suo viso dolce e serafico è un inno alla simpatia, Matt Abts bianco più di me sembra più anziano di quello che in realtà è, Danny Louis è l’alchimista dietro un muro di tastiere e Jorgen Carlsson, capelli lunghi neri pare lì quasi per caso. Sembra però, perché nelle quasi due ore di concerto mi sono accorto di trovarmi di fronte al più grande bassista che la scena rock-blues oggi offre. 


Una roba impressionante, uno stantuffo che supporta tutto il sound della band come fosse una pompa elettrica che non smette mai di imprimere velocità e dare potenza, amplificando una sezione ritmica già irrobustita dal drumming quadrato e roccioso di Matt Abts. 


I Gov’t Mule sono una band che non dà scampo, assolutamente devastante anche quando, come nel caso della serata a Chiari, opta per un set  bluesato, profondo, scuro, quasi intimo e da club, dimostrando che assistere ad un loro concerto è una esperienza sensoriale, cerebrale, spirituale e visionaria, un trip senza bisogno di additivi. Basta lasciarsi condurre dalla voce di Capitan Haynes e dai suoi strumenti di benessere, la Les Paul e la SG Gibson, e dalla sua composta ciurma di stregoni del sound. Peccato che il loro set abbia solo lambito le due ore, abituato alle loro maratone del passato, ma in quei centodieci minuti di show è sembrato raggiungere quel punto che gli Allman chiamavano hittin’ the note ovvero il momento spontaneo e naturale in cui si crea totale sinergia tra chi fa musica e chi la riceve.


 Consumata esperienza ed una  passione a 360 gradi verso il rock ed il blues, questi sono i Muli, una istituzione oggi come lo furono in passato gli Allman, i Little Feat, i Led Zeppelin, i Cream. Cominciano lenti e quasi cantautorali con Hammer and Nails, ballata che lascia spazio a Haynes di intervenire con un assolo tremendo, poi si riaffacciano i Gov’t Mule jammati, caotici ed imprevedibili di Thorazine Shuffle, accolta da un boato, prima che l’album Heavy Load Blues  porti in scena alcuni pezzi da novanta e sottolinei che questo è il suo tour. I Asked Her For Water è un blues da pesi massimi, sincopato e greve, un katerpillar sonoro, Make It Rain è spettrale e misteriosa come solo una canzone di Tom Waits può esserlo, l’unisono tra esplosioni di chitarra e coreografia di  tastiere trova il giusto teatro in una scenografia di luci notturne e noir, è uno dei momenti più emozionanti del set. Danny Louis con l’Hammond rifinisce e arrangia, il suo è un abbraccio che funzione come un’orchestra. 


L’arazzo tribale alle spalle del palco rievoca il fiammeggiante passato quando il loro heavy blues si tingeva di colori psichedelici ma a Chiari, complice un palco non faraonico, Haynes e compagni si immergono nella dimensione blues che il loro recente album giustifica. E poi è un Festival Blues, la versione rallentata di Good Morning Schoolgirl è arte dell’interpretazione, e c’è spazio per l’assolo di David Grissom, salito sul palco come invitato speciale, e così Last Clean Shirt di Leiber e Stoller. Si vorrebbe che il concerto durasse ancora un’ora ma i Muli pur lavorando sodo, hanno ridotto i tempi delle esibizioni, almeno per questo tour. Mr.Man seguita da una vivace e corale Soulshine chiude un concerto magnifico e diverso, secondo i loro standard, ossigeno puro per quanti vivono di questa musica, lontana dal marketing e dallo smargiasso avanspettacolo del nuovo e moderno. I conti sono presto fatti, 70 mila per i Maneskin e due mila per i Muli, va bene così, le rivoluzioni le hanno sempre fatte le minoranze.

 

MAURO  ZAMBELLINI       LUGLIO 2022