lunedì 9 aprile 2012

Ben Howard Every Kingdom


È di moda l'indie-folk e i neo-acustici, ne parlano e ne scrivono un pò tutti. Dopo tanto rumore sono tornate le chitarre acustiche, le melodie sognanti, il romanticismo crepuscolare, le ballate in punta di piedi, le emozioni diafane, la connivenza a basso dosaggio di alcol con la psichedelia, il pop, il rock. Ci sono nomi che nel giro di neppure un anno sono diventati "culto", hanno iniziato i post-Buckley (Jeff per intenderci) alla Damien Rice, poi sono arrivati l'impossibile Joanna Newsom, Devendra Banhart, gruppi che hanno sfondato come i Fleet Foxes o hanno rimescolato le carte del folk-rock come i Midlake e i recenti Decemberists, band come i bravi Mumford & Sons che sono diventati una sorta di faro in Inghilterra per un certo giro di musicisti, casi misteriosi come Bon Iver mitizzato oltre misura. Questi sono alcuni dei nomi più noti del new acoustic movement, ma sotto c'è tutto un fermento, qualche disco è pregevole, interessante, bello, altri sono evanescenti, friabili, evaporano ad un solo raggio di sole, splendidi come antidoto per chi soffre di insonnia.
Uno degli ultimi arrivati in questo giro è Ben Howard, il suo primo album (alle spalle ha un Ep) è un piccolo gioiello elettroacustico, è un'oasi di tranquillità in un mondo rumoroso, volgare e di corsa. Vale la pena ascoltarselo in santa pace in un momento di relax, staccando la spina da tutto il resto. E' una boccata di aria fresca in una giornata con alti livelli di polveri sottili, è ameno, poetico, estatico anche se l'umore delle canzoni ha spesso a vedere con le brume autunnali, i colori invernali, le solitudini dei mari del nord. Non è noioso e ha canzoni che non ricopiano solo un unico format, come spesso succede in dischi del genere. Every Kimgdom, questo il titolo, è una perfetta sintesi di bucolica malinconia folk e intrigante melodia pop, unisce vocalizzi, strumenti a corda, percussioni, sognanti ballate sospese in una dimensione senza tempo e tensioni bluesy con tormentate divagazioni elettriche. E' acustico nello spirito ma ha pulsazioni elettriche che ogni tanto cambiano il senso della canzone, come in The Fear, dove Ben Howard dimostra di avere una tempra molto diversa da quella di tanti algidi suoi colleghi. Ci sono freschi intrecci vocali che ricordano i Fleet Foxes del primo disco, succede in The Wolves, canzoni pop (Only Love) che salgono con irresistibile intensità alla maniera di un Ray La Montagne, strambe filastrocche psycho-folk come Keep Your Head Up, suggestioni pastorali (Black Flies) e sussurri nebbiosi come Gracious che nascondono una inquietudine interiore, ci sono nenie abbandonate in un mare d'inverno come Promise dove Howard ruba visioni e poesia a Dylan Thomas e purezze folk come Old Pine dove viene fuori l'anima profondamente english della sua musica, con echi di Pink Moon all'inizio e radiosi contraccolpi nel finale.
Minimalista nei suoni, raffinato nella costruzione melodica, dotato di una voce particolare, con frequenti chiaro scuri e un intreccio di tonalità tra LaMontagne e Damien Rice, Ben Howard ha avuto la fortuna di debuttare con la prestigiosa e storica Island Records, l' etichetta dei suoi idoli Nick Drake e John Martyn, vorrà dire qualcosa?

Mauro Zambellini Aprile 2012

2 commenti:

Anonimo ha detto...

bello! Grazie!

Anonimo ha detto...

Molto bello, per me potrebbe essere il terzo capitolo di Love is Hell.