sabato 17 novembre 2018

THE BALLAD OF MOTT THE HOOPLE

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     Generalmente i Mott The Hoople vengono annoverati nel glam rock per via del loro stravagante look e di quella  magnifica All The Young Dudes regalata loro dal David Bowie dell'era Ziggy Stardust. Agli inizi degli anni settanta David Bowie fu realmente un benefattore artistico, o quanto meno un salvatore di anime in depressione creativa, avendo quasi contemporaneamente rilanciato le carriere di Lou Reed e per l'appunto dei Mott The Hoople. I quali avevano già una storia alle spalle essendosi formati diversi anni prima ma agli albori del 1972 si trovavano sull'orlo di una crisi di nervi dopo le fallimentari vendite dei loro primi album ed un abortito tour in Inghilterra. Lo scioglimento era prossimo ma David Bowie tese loro una mano e li incoraggiò a continuare. Per primo gli offrì Suffragette City che non era ancora uscita sull'album Ziggy Stardust e poi scrisse appositamente per loro All The Young Dudes che divenne un successone e diede inizio alla seconda fase della carriera dei Mott. Ma la storia che racconta l'ottimo box di 6 CD  Mental Train-The Island Years ricco di inediti, out-takes, tracce live, booklet e poster annessi, è quella pionieristica degli anni tra il 1969 ed il 1971 quando accasati con la Island la loro fervida creatività musicale, una originale fusione di elementi british in un crudo e chitarristico rock n'roll americano più una malinconica vena ballad cucita attorno al piano e alla voce di Ian Hunter, profondo ammiratore di Dylan tanto da evocarne lo stile, trovò l'entusiasmo dei critici ma una debole risposta  di vendite e i Mott The Hoople rischiarono realmente di lasciare la scena prima del tempo.

 
La loro storia inizia in Italia quando il chitarrista Mick Ralphs, il cantante Stan Tippins e il bassista Pete Overend Watts, tutti nativi dell'Herefordshire, dopo alcune esperienze locali (prima gli Anchors e poi i Soulents) nel 1966 formarono il Doc Thomas Group e nella nostra penisola trovarono un ingaggio stabile alla Bat Caverna di Riccione. Proprio in Italia pubblicarono un disco per la Interrecord e quando a loro si unì Terry Allen, uno dei primi in Inghilterra a suonare l' organo Hammond, cambiarono il nome prima in Shakedown Street e poi in Silence e andarono a registrare dei demo negli studi gallesi di Dave Edmunds, i Rockfield Studios a Monmouth. Demo che non interessarono né la Emi, né la Polydor, né tantomeno le più "libere" Immediate e Apple. Chi invece si interessò di loro fu Guy Stevens, un dj dello Scene, uno dei primi club underground londinesi, il quale possedeva una delle più notevoli collezioni di dischi del paese ed era diventato una delle figure più chiacchierate della nascente cultura mod. Personaggio eccentrico, eclettico e visionario, Stevens, nato nel 1943 a East Dulwich nella parte meridionale di Londra, fu il primo a procurarsi i dischi della Chess, della Stax e della Motown fornendo materiale a Stones, Animals, Yardbirds e Who quando ancora questi si chiamavano High Numbers. Agì da talent scout nella rivoluzionaria Island di Chris Blackwell e il primo gruppo che  mise sotto contratto furono gli Art. Seguirono gli Spooky Tooth e produsse l'opera LSD Hapshash and Coloured Coat featuring The Human Host and The Heavy Metal Kids. Ghiotto consumatore di anfetamine e alcol, mise in contatto il paroliere Keith Reid col tastierista Gary Brooker e così nacquero i Procol Harum, produsse Free, Heavy Jelly e Mighty Baby e fu il fautore della trasformazione  della Island con la messa in scuderia di Traffic, Fairport Convention, Jethro Tull e King Crimson.  Era solito dire "ci sono solo due Phil Spector nel mondo ed uno dei due sono io".  Arrestato per possesso di droga, in prigione ebbe la "visione", quella di concepire una band che fosse la stridente collisione tra il Bob Dylan elettrico e gli Stones. Trovò anche il nome, Mott The Hoople, titolo di una novella di un tale Willard Manus che aveva letto in cella. Sapendo di essere inadatto come cantante, Guy Stevens cercò un gruppo di musicisti in grado di soddisfare la sua intuizione e quando ricevette i demo da Pete Overend Watts capì di averlo trovato. Si trattava di strumentali perché momentaneamente il cantante del gruppo, tale Minus Tippins era fuori gioco per questioni di gola ma quello che lo convinse fu il suono dell'Hammond di Terry Allen, poi ribattezzatosi Verden Allen, che nel frattempo si era aggiunto a quelli che da Doc Thomas Group erano diventati Silence. Stevens cambiò immediatamente il cantante, Tippins sarebbe divenuto road manager così che davanti necessitava una figura di ben altro carisma. Lo trovò dopo un inserzione sul Melody Maker in Ian Hunter Patterson, nato nel 1939 a Shrewsbury, cantante e pianista innamorato di Jerry Lee Lewis, il quale con quell'aria enigmatica e quegli occhiali scuri aderiva proprio all'immagine che Stevens aveva in mente. La band che per il momento si faceva chiamare Savage Rose & Fixable iniziò a provare al Pied Bull nel quartiere londinese di Islington e nelle prime registrazioni si trovano le cover di Laugh At Me di Sonny Bono e At The Crossroads del Sir Douglas Quintet di Doug Sahm.  Mutato il nome in Mott The Hoople la band inizia ad esibirsi nei club e a destare curiosità proprio per l' unicità di riversare il ruvido gesto degli Stones nelle liriche ballate di Dylan, un compromesso che fu possibile grazie all'inconfondibile apporto ritmico di Overend Watts, all'uso delle due tastiere, alla cruda ed efficace tecnica chitarristica di Mick Ralphs e soprattutto alle lunari e meditabonde ballate scritte a cantate da Hunter.  Per il primo album si pensò addirittura ad un titolo come Talking Bear Mountain Picnic Massacre Disaster Dylan Blues se on fosse che Guy Stevens capì lo scarso appeal di un nome così derivativo ed incitò la band ad aggiungere qualcosa di più rock alle ballate. Cosa che immediatamente avvenne con la scrittura e l'esecuzione di Roack and Roll Queen, un anthem che puzzava di Stones e glam fino al midollo. Diviso tra graffi elettrici e ballate l'album omonimo pubblicato nel 1969 e primo CD di questo box testimonia di una band fuori dai clichè dell'epoca, da una parte la riproposizione del rock n'roll in forma schietta e decisa, ovvero come portare i Kinks a Memphis, dall'altra la sensibilità del songwriting di Hunter resa evidente nella meravigliosa versione di At The Crossroads, in Laugh At Me e in Backsliding Fearlessly, un omaggio talmente evidente a Dylan da sembrare uscito da un suo disco. Ma l'album si apre con una versione strumentale di You Really Got Me dei Kinks, riproposto nelle bonus tracks con una convulsa e arrembante full take di undici minuti ed un altro mix con la voce dello stesso Guy Stevens. Scrivono sostanzialmente in due, Mick Ralphs e Ian Hunter, tra le tracce del primo spicca oltre a Rock and Roll Queen l'epica (oltre dieci minuti) Half Moon Bay, monumentale dimostrazione della schizofrenia musicale della band, autentica anomalia nel già contradditorio paesaggio rock del 1969, contraddistinto da una molteplicità di segni, dal disastro di Altamont alla transizione di Hendrix nella Band Of Gypsies, dall'uscita di Led Zeppelin alla nascita del prog con King Crimson e Van Der Graaf Generator, dai semi punk sparsi da MC5 e Stooges al mondiale successo commerciale dei Creedence Clearwater Revival. Tra le otto bonus tracks aggiunte alle otto tracce dell'originario album Mott The Hoople vale la pena di citare due versioni di Road To Birmingham di Ian Hunter, canzone antirazzista che traccia un parallelo tra la Birmingham inglese e quella americana per gli identici problemi di accettazione ed integrazione della popolazione di colore. 

 
Con a bordo il tastierista Verden Allen ed il batterista  Dale "Buffin" Griffin, i Mott The Hoople tornarono nell'agosto del 1969 alla Batcave di Riccione prima di girare nel circuito dei club inglesi costruendosi la fama di eccitante nuovo set dal vivo, prefigurando per via del loro abbigliamento, dei loro stivali con le zeppe e della loro poca indulgenza verso gli assoli chilometrici, l'arrivodel glam. Così definì la situazione il chitarrista Mick Ralphs " non eravamo come le altre band dell'epoca, tutti quei gruppi che si prendevano troppo sul serio e si lanciavano in quegli assoli interminabili. Noi eravamo un po' più radicali, diversi ed eccitanti, anche un po' pericolosi, ma riuscimmo a costruirci una affezionata base di pubblico che ci veniva a vedere ovunque suonassimo. Dovunque andassimo provocavamo interesse e disordine".
 
Le dieci mila copie vendute del disco indussero i Mott, dopo l'incessante serie di show, a tornare in sala di registrazione con Guy Stevens di nuovo nelle vesti di produttore ma l'incalzante follia di quest'ultimo attribuibile ad un sempre più massiccio uso delle anfetamine ed il drammatico divorzio patito da Ian Hunter, conferirono a Mad Shadows un aspetto sinistro, un pazzo esercizio sonoro nel caos e nell'oscurità. I Mott occuparono lo studio 1 degli Olympic Studios con Andy Johns e Chris Kimsey messi di fianco a Stevens, mentre nello studio 2 c'erano gli Stones a provare Brown Sugar. In quella situazione Mad Shadows fu, come affermò lo stesso Stevens, "un incubo creativo". Una delle canzoni che fotografa lo stato esistente è When My Mind's Gone di Ian Hunter la cui voce soul torturata su un pianoforte blues diventa una diretta confessione della precarietà psicologica esistente in quel momento all'interno del collettivo.  Il disco ancora oggi emana una sua bellezza e profondità amplificando la schizofrenia stilistica del primo album, da una parte gli sguaiati e crudi rock n'roll del genere di Thunderbuck Ram ( la versione nelle bonus tracks è ancora più tirata e zeppeliniana),di Threads of Iron, quasi una anticipazione heavy-metal, e di Walkin' With a Mountain,  oltre alla rabbiosa You Are One of Us, e dall'altra le ballate dylanesche di Hunter, la superba No Wheels To Ride con Ralphs in gran spolvero,una I Can Feel con Hammond alla Procol Harum ed una melodia che si pappa tutte le presunzioni prog prossime a venire, oltre alla sofferta e pianistica  When My Mind's Gone. Anche in questo caso otto bonus tracks aggiunte alle sette del disco originario. Ci sono la versione demo di No Wheels To Ride, le inedite Moonbus (Baby's Got A Down) e The Hunchback Fish e la versione studio di Keep a Knockin' di Little Richard.
La pubblicazione di Mad Shadows ebbe delle complicazioni, la foto dei musicisti con maschere d'argento e tuniche da monaco fu sostituita con una  copertina dal vago sapore satanico. Il primo tour americano dei Mott The Hoople iniziò il 29 maggio del 1970 a Detroit e raggiunse l'apoteosi  al Pop Festival di Atlanta quando il gruppo si esibì davanti a 400 mila persone. Dopo meno di un anno la loro reputazione era cresciuta a dismisura, erano una selvaggia live band che faceva della musica americana con attitudine inglese. Il nuovo disco aveva però sancito le distanze con Guy Stevens, non più il sesto Mott ma un uomo in preda ad un delirio autodistruttivo. I Mott The Hoople cessarono di essere la band di Stevens nel momento in cui Ian Hunter scrisse  When My Mind's Gone, questi era ormai la figura centrale e carismatica della band sebbene sia Ralphs che Watts sembravano indispensabili nella loro economia sonora, e così scelsero di autoprodursi andando a registrare il terzo album Wildlife tra novembre e dicembre del 1970 agli Island Studios di Londra.  La scelta dell'overdubbing piuttosto che una registrazione live accontentava le suggestioni country-rock di Mick Ralphs che con Whiskey Women dedicata alle groupie del Whisky A Go-Go di Los Angeles, con Wrong Side of The River, con l'ariosa It Must Be Love e con la cover di Melanie Lay Down sbarca in California.  I titoli di Ralphs provenivano dalle session di Mad Shadows ma rimessi a nuovo per Wildlife finirono per non accontentare sia lui che Hunter, incerti su una produzione reputata troppo diluita, troppo "per bene". Personalmente reputo Wildlife un ottimo album proprio per quell'umore pastorale e autunnale che già la foto di copertina trasmette, in linea con le copertine dei dischi del periodo di Traffic, Jethro Tull, Spooky Tooth guarda caso tutte produzioni Island. Le ballate suonano sontuose, la voce di Hunter è sofferta e melodrammatica in Waterlow, la malinconia diventa struggente in Angel of Eight Avenue, una delle più grandi New York song mai scritte, e l'autobiografica Original Mixed Up Kid arriva ad evocare il country-pub-rock dei primi Brinsley Schwartz. Dal vivo è la lunga e rovente Keep A Rockin' di Little Richard dove Hunter sciorina tutto il suo amore per Jerry Lee Lewis. Nelle bonus tracks sono riportati titoli usciti a 45 giri (The Debt, Midnight Lady, Downtown) più altro materiale tra cui gli inediti The Ballad of Billy Joe di Hunter, Growing Man Blues, Long Red  e la cover di Neil Young Downtown. Con Wildlife i Mott riescono a conservare la nostalgia di Dylan in una salsa chutney di sapore inglese e a dispetto della loro sauvagerie dal vivo, in studio riescono a declinare le immagini tipiche del rock in liriche sottilmente personali con canzoni d'amore  su passati fallimenti e quotidiani turbamenti, senza perdere il sottile umorismo british.

 
A causa della tiepida accoglienza ricevuta da Wildlife, i Mott tentano la carta del singolo da classifica, si fanno aiutare dal produttore dei Vanilla Fudge George "shadow" Morton e a metà del 1971 pubblicano Midnight Lady ( bonus nel terzo CD) guadagnandosi un passaggio a Top of the Pops. Il retro del singolo è occupata da un'altra bonus qui riportata, ed è l'ennesima ballata firmata da Hunter, The Debt. Ma il punto climax dei loro anni con la Island, almeno per quanto riguarda le esibizioni, è il concerto alla Royal Albert Hall di Londra nel secondo anniversario della loro esistenza. Un concerto pazzesco iniziato in sordina  con cinque brani lenti tra cui la versione di Like a Rolling Stone e poi impennato a tal punto da generare una risposta di pubblico ed un caos pari alla Beatlemania. Sedie rotte, danni al locale, l'entusiasmo dei presenti debordò fino a mettere a dura prova lo storico teatro londinese a testimonianza di quanto fossero trascinanti i Mott in concerto e quanto fosse travolgente ed eccitante il loro show. "Facevamo ogni cosa contro le convenzioni-ha detto lo scomparso Mick Ralphs-era l'attitudine punk in un'era pre-punk, portavamo la gente al delirio e la loro reazione poteva essere incontrollata tale da causare danni all'edificio. Ma non facevamo nulla affinché le persone si mettessero le une contro le altre, solo eccitazione ed entusiasmo con la musica".

Sapendo che il contratto con la Island era ormai in scadenza, i Mott tentarono col nuovo album di recuperare la primitiva energia degli esordi. Guy Stevens in uno dei suoi momenti di lucidità obbligò la band a riregistrare live e a rinominare alcuni brani che avevano gi inciso. Così How Long divenne Death May Be Your Santa Claus, compare One of The Boys che sarà pubblicato come singolo solo nel 1972, e Mental Train fu reinventato come The Moon Upstairs. Nel lotto entrarono una canzone di Dion sulle dipendenze, Your Own Backyard ed un personale rifacimento di Darkness, Darkness degli Youngbloods. Anche Verden Allen si mette a scrivere, nella sua Second Love si sentono perfino delle trombe dal vago sapore mariachi ed in Mental Train il suo moog apre a sonorità progressive. Ma pur spostando di poco il loro baricentro verso il montante hard-rock, i Mott non snaturano la loro indole e la devastante ballata The Journey stabilisce le coordinate della loro musica e l'abilità di Ian Hunter nello scrivere e cantare canzoni che lacerano il cuore. Quello che avrebbe dovuto intitolarsi prima come Brain Damage e poi Bizarre Capers esce come Brian Capers, ultimo album di una storia ancora lunga ma completamente diversa, il cui secondo capitolo sarebbe iniziato di lì a poco con All The Young Dudes.
Brian Capers uscì nell'agosto del 1971 e Guy Stevens lo volle dedicare a James Dean nel significato di ribelli con una causa da perseguire che furono i Mott The Hoople tra il 1969 ed il 1971. Il mese seguente la band si esibì in un trascinante concerto al Fairfield Hall di Croydon dove misero in campo i furiosi nove minuti di You Really Got Me, una medley tra la loro No Wheels To Ride e Hey Jude dei Beatles, una versione punk-rock di Keep a Knockin' di Little Richard, i loro due cavalli di battaglia Rock and Roll Queen e Thunderback Ram e pure Ohio di Crosby,Stills, Nash & Young. Tutto ciò viene documentato nel sesto CD del box Mentail Train, compresa la registrazione live effettuata per Radio 1 della BBC nel dicembre di quell'anno con The Moon Upstairs/Whiskey Women/Your Own Backyard/ Darkness,Darkness/The Journey e The Death May Be Your Santa Claus. Ma è il possibile canto del cigno, all'inizio del 1972 la band è percorsa da tensioni interne e non basta la registrazione di Black Scorpio e Ride on the Sun per un  nuovo album per rimettere in sesto la situazione. Ci penserà David Bowie, ma in quei due anni a cavallo di due decadi i Mott The Hoople furono davvero un'esplosione di caos controllato, lucida pazzia e ballate disperate in grado di lasciare un impronta futura nel rock, sia si tratti di glam o di punk e di quello che poi sarà definito americana. Tanti i loro sostenitori, a cominciare da Jeff Tweedy e Joe Strummer, come disse Mick Jones " se non fosse stato per loro non ci sarebbero stati nemmeno i Clash".
Il quinto CD di Mental Train, assemblato per l'occasione riassume dodici ballate dei Mott con un frammento di Like A Rolling Stone e diversi inediti, ulteriore celebrazione di una band che con la sua musica aveva costruito un ponte tra le due sponde dell'Atlantico.
 
MAURO  ZAMBELLINI        OTTOBRE 2018
 

 

 

 
 
 

 

 

2 commenti:

armando ha detto...

M'è venuta voglia di fare un ripasso,questa retrospettiva di cui parli promette bene.
Armando

bobrock ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.