venerdì 5 marzo 2010

Bob Seger again


A furia di riparlare di Bob Seger è successo che a quelli della Hideout Records sono fischiate le orecchie e hanno pubblicato alcune registrazioni di Bob Seger risalenti al suo primo periodo. Early Seger Vol.1 si intitola questa raccolta di canzoni risalente agli anni settanta e ottanta, alcune già edite in album non propriamente famosi come Back In the 72 (1973), Seven (1974) e Smokin’OP’s (1975), altre pressoché inedite. Con la fame che c’è in giro circa il materiale nascosto di Seger queste sono briciole, robetta da aperitivo ma visto che quei vecchi vinili gracchiano inesorabilmente ben vengano anche questi stuzzichini nella speranza che presto ci sia un pranzo ben più corposo. Comunque ciò è quello che passa il convento e quindi bisogna accontentarsi, considerato il prezzo popolare (circa 7 dollari) con cui si riesce a portare a casa dalla rete Early Seger Vol.1.
Si comincia con Midnight Rider di Gregg Allman e si capisce immediatamente di quanto talento interpretativo sia capace il leone di Detroit. Versione assolutamente personale, molto diversa dalla splendida ballata originale, qui si dondola tra rock e gospel con Seger aiutato da un coro di voci femminili e da un piano che suona come fosse Leon Russell ai tempi di Mad Dogs and Englishmen. La chitarra solista è quella di J.J Cale e allora va da sè come dalla fredda Detroit Bob Seger scivoli nel profondo sud mettendo a disposizione il suo vocione operaio ad un brano che gronda negritudine e umidità. Altro autore coi fiocchi, il maudit Tim Hardin viene scomodato per una splendida versione di If I Were a Carpenter qui spogliata di qualsiasi eco folk-rock e riempita con un Hammond B3 che rimanda a quel sacro vintage sound degli anni ’70. Per tutto il disco piano e organo scorazzano come cavalli segnando in maniera inconfondibile il suono di Bob Seger, un suono pieno, grasso di energia, pulsante e viscerale che deve tanto al rock n’roll quanto al soul, al R&B, al gospel.
Rock n’roll tirato e anfetaminico quello di Get Out of Denver, uno dei primi singoli di successo del cantante, qui estratto da una registrazione del 1973 finita ad aprire un disco ormai difficile da rintracciare, Seven.
Uno dei momenti topici dell’album è Someday, toccante ed emozionante canzone d’amore per solo piano e voce ( Seger) con l’unico contrappunto di uno struggente arrangiamento d’archi. Era su Smokin OP’s ed è una delle più belle slow songs del rocker di Detroit, una ballad che trafigge il cuore con la sua dolcezza e si mangia in un sol boccone tutte le Yesterday del globo. Atmosfera notturna e bluesy con U.M.C. ovvero Upper Middle Class, un abile lavoro strumentale di sottrazione con sfumature jazzy che vede Seger dialogare con organo ed una chitarra pizzicata (Drew Abbott) in una misteriosa ambientazione swamp. Bellissima anche se già conosciuta, apriva la seconda facciata di Seven.
Ci sono i Rolling Stones in Long Song Comin’ e si sentono. Cori femminili, riff alla Richards ed un pò di Jumpin’ Jack Flash, Seger è di Detroit ma i fiati soffiano come fossero a Memphis. In verità siamo a Nashville ma di country nemmeno l’ombra, qui è uno sporco, vitale e sensuale rock/R&B che comanda. Grande pezzo. Star Tonight fa parte del lotto delle cose sconosciute ed è datata 1985, luogo di registrazione i mitici Muscle Shoals Studios dell’Alabama, patria del R&B di matrice sudista. Ballata lenta un po’ bolsa e retorica con Wayne Perkins alla chitarra e la sezione ritmica (David Hood e Roger Hawkins) della casa. Più credibile Gets Ya Pumpin’, anno 1977, altro rock/R&B sporcato di Stones coi fiati che gridano ossessi mentre il piano di David Briggs e la chitarra miagolante di Dave Doram aggiungono furore al lordo incedere della sezione ritmica. Wildfire è invece una sorta di Against The Wind in tono minore ovvero puro mainstream rock anni ‘80, arriva dalle session di Like a Rock e conta sui servigi di Russ Kunkel alla batteria e Billy Payne (Little Feat) al piano. E’ già un Bob Seger in parabola discendente ma rispetto ai pezzi di Like a Rock fa una figurona e non si capisce come possa essere stata esclusa dalla scaletta di quel disco. Chiude Days When the Rain Would Come, una ballatona dal tono crepuscolare col piano (ancora Payne) in prima linea ed un Seger che canta con la malinconia dei giorni andati dentro al cuore. Un Seger quasi intimista se non fosse che il sound è quello della Silver Bullet Band, quella vestita Armani di Like A Rock.

Trentacinque minuti di musica per dieci brani di cui molti già conosciuti, si poteva fare di più, c’è da sperare che i prossimi volumi siano più generosi ma visto la ritrosia del personaggio ci conto poco.

Mauro Zambellini Marzo 2010

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