mercoledì 31 marzo 2010

Jimi Hendrix > Valleys of Neptune


Strombazzato come evento eccezionale ed inedito, la nuova raccolta di pezzi a firma Jimi Hendrix intitolata Valleys of Neptune lascia le porte aperte a critiche ed applausi. Gli applausi sono tutti per lui, il mancino di Seattle, il più grande chitarrista della storia, grande cantante e funambolico creatore di paesaggi sonori inimmaginabili nella nostra galassia sensoriale, ancora oggi anni luce in avanti rispetto a quanti hanno esplorato le contaminazioni tra blues, rock, jazz e psichedelia. Sentirlo di nuovo con la sua Stratocaster, grazie ad una qualità audio eccellente, stravolgere le regole della musica e cavalcare con la sua chitarra e la sua voce le valli di Nettuno è un piacere che di nuovo abbaglia, stordisce, sorprende, ipnotizza, ammalia. Dodici brani “nuovi” e qui partono le critiche perché di nuovo non c’è molto se non alcune versioni alternative di titoli già noti e qualche rimixaggio fatto a posteriori nel 1987 finalizzato ad aggiungere basso e batteria a Mr.Bad Luck del 1967, all’arcinota Lover Man, brano attorno a cui hanno costruito interi album e a Crying Blue Rain del 1969.
La Experience Hendrix LLC e la Legacy Sony hanno varato un ambizioso progetto che prevede la pubblicazione del vecchio catalogo con allegati dei DVD contenenti documentari diretti da Bob Smeaton e altri “inediti” sulla falsariga di Valleys Of Neptune. Non è la prima volta che ci troviamo di fronte a progetti del genere, vi ricordate i tanti dischi usciti postumi raffazzonati in qualche modo accompagnati da dichiarazioni in pompa magna sull’esclusività del materiale… beh non siamo a quei livelli perché adesso c’è più di organizzazione nella gestione del materiale di Hendrix da quando nel 1995 la famiglia ha preso in mano l’eredità artistica del figlio mettendo ordine nelle pubblicazioni . Oggi chi presiede la fondazione è la sorellastra dell’artista e possiamo star certi che non è solo l’intento filologico il motivo delle scelte attuate perché non tutto è correttamente in linea con le dichiarazioni fatte dalla Experience Hendrix e dalla casa discografica. Ovvero se è sicuramente meglio avere poco piuttosto che niente è altrettanto vero che ogni volta non ci devono venire a dire che “questo Hendrix è di eccezionale rarità e per di più inedito” perché chi bazzica le registrazioni di Hendrix e la sua disordinata e molto piratesca discografia postuma quasi tutto Valleys Of Neptune lo conosceva già.

Detto questo Valleys Of Neptune è un signor disco, curato nella copertina e nel booklet da John McDermott, responsabile dell’archivio sonoro di Hendrix e dall’originale ingegnere del suono dell’artista, il mitico Eddie Kramer, che ha personalmente presieduto ai mixaggi.
Le valli di Nettuno regalano tredici registrazioni risalenti al 1969, un periodo di straordinaria evoluzione creativa di Hendrix dopo la pubblicazione di Electric Ladyland e nel mentre del cambiamento dagli Experience alla Band of Gypsies, con il vecchio amico Billy Cox che in diversi brani sostituisce il bassista Noel Redding, orami in rotta di collisione con il leader. Registrazioni effettuate sia agli Olympic Sudios di Londra dove Hendrix aveva lavorato con Kramer e aveva registrato i primi due dischi, sia al Record Plant di New York dove con il manager Chas Chandler orami esautorato aveva lavorato a Electric Ladyland.
Valleys Of Neptune è un disco che ha il blues nel sangue ed è il blues, seppure riveduto attraverso la personale e globale visione di Hendrix, a rendere infiammabile la materia, che sia un ripresa alquanto deviata di Bleeding Heart di Elmore James piuttosto che una versione elettrica e sporca di Hear My Train A Comin’, precedentemente immortalata nella versione acustica del video con Hendrix “sullo sgabello”, la tortuosa e potente cover di Sunshine Of Your Love dei Cream, il gruppo a cui Hendrix guardava con particolare attenzione piuttosto che l’ennesimo taglio del brano più blues di Jimi ovvero Red House.
Poi, dopo tre titoli già noti come Stone Free (versione da brivido), Fire e Lover Man ci sono le cose più oscure e appetibili per i cultori del personaggio ovvero gli strumentali Lullabye For The Summer e Crying Blue Rain, ancora all’insegna del blues, lo strepitoso Ships Passing Through The Night con la JHE in piena eruzione e il pathos elettroacustico di Valleys Of Neptune ripulita dalle sovraincisioni che ne alteravano il suono nelle versioni già bootlegate.

Al di là di tutto Valleys Of Neptune testimonia di un periodo cruciale nella vita di Hendrix e dei nuovi spazi in cui la sua musica stava dirigendosi, verso quel progetto totale che avrebbe dovuto coinvolgere Miles Davis e Gil Evans. Così non è stato e così Valleys Of Neptune lascia solo un poco immaginare cosa sarebbe potuto essere la musica moderna se il 18 settembre 1970 il voodoo chile non se ne fosse andato per sempre.

(Mauro Zambellini)

5 commenti:

stefano ha detto...

Bell'articolo e disco più che dignitoso per il - come hai correttamente detto - 'più grande chitarrista della storia'. E' anche vero che la prima è strettamente legata alla seconda e il livello mediocre di certe incisioni postume dipendeva in prevalenza dai mezzi di fortuna utilizzati per registrarle (o inciderle), o alla 'Purple Haze' portata ad eccessivi livelli di 'Haze'. Quello che io ritengo un difetto di questo e di tutti i dischi postumi di Jimi (eccezion fatta per i 'live') è la loro scarsa omogeneità. E' un pò come mettere assieme nella stessa squadra dei giocatori di alto livello: non sempre ne esce qualcosa di buono. Al contrario, ascoltando i 3 poderosi album ufficiali da studio si ha l'impressione di cogliere Jimi in un preciso, compatto, momento della sua maturazione artistica. Poi mi disturba sempre il fatto che lui non avrebbe mai fatto uscire degli album così e, a dirla tutta, nemmeno se ne sentiva il bisogno: è sufficiente una facciata di uno qualsiasi dei tre album da studio per riempire mezza giornata, far impallidire - non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello compositivo - il 90% degli artisti, far rimettere la chitarra nella custodia al rimanente 10% a 40 anni dalla sua definitiva partenza.

P.S.: comunque sia, Valleys of Neptune me lo tengo spesso a mano, ultimamente.

P.S.': hanno mai ristampato il live 'In the West'? ...

Bye

Blue Bottazzi ha detto...

Non ho mai comprato un disco postumo di Hendrix, ma questo Valley è molto bello. Ben registrato, potente, è molto vicino ad essere il quarto disco della Experience, con il vantaggio di essere suonato in modo molto rilassato e poco "prodotto".
Più bello dei Gov't Mule che abbiamo incensato come best record del 2009...

stefano ha detto...
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stefano ha detto...
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stefano ha detto...

Un'altra cosa che ho condiviso nel leggere l'articolo è la posizione centrale attribuita al blues che, personalmente, non limito al solo album in questione ma a tutta la produzione di Jimi Hendrix (compresi i pezzi apparentemente più lontani dalle twelve bars): nel blues Jimi dava veramente il massimo: basta 'Hear my train a comin', in qualsiasi versione, compresa quella citata, sullo sgabello, con la dodici corde accordata un tono sotto... Il più grande a far vibrare le corde. Faccio mente locale su queste quattro cose e vedo sgretolarsi in una frazione di secondo la scena rock attuale. Tutta.