giovedì 7 gennaio 2021

MY PLAYLIST 2020

 


Ho comprato pochi dischi ma ascoltato tanta musica. Sembra una contraddizione ma non è così. La rete lo consente, d’accordo o meno ma questa è la realtà ed anche io mi sono adattato, pur continuando a non scaricare ma ascoltando, grazie alle piattaforme e ad un buon speaker come il Marshall, dischi a valanga, la maggior parte dei quali non comprerei ma che è bene conoscere per avere il polso di cosa scrivono i recensori e farsi una panoramica di musica più ampia dei soliti gusti e dei soliti beniamini. Soldi riguardo a dischi comunque li ho spesi anche in quest’anno di merda la cui unica virtù è stata quella di veder pubblicati molti buoni e interessanti lavori. Senza acquistarli ma sfruttando internet ho apprezzato il potente live dei War On Drugs, il disco omonimo tra folk e melodie circolari di Sam Amidon, il country-rock leggermente lisergico della Rose City Band, le interessanti armonie dei Cut Worms, il rauco blues del Reverendo John Wilkins, il lunatico (nonostante il titolo) Sundowner di Kevin Morby, la varietà roots del Dave Alvin di From An Old Guitar, il folk anomalo di James Elkington, il frizzante e arruffato garage rock dei Nude Party, l'amalgama di blues e southern dei Terminal Station di Brotherhood ed il cosmico roots rock di Jonathan Wilson di Dixie Blur, lontano comunque dalle sue cose migliori. Anche una buona dose del nuovo disco di Paul McCartney è stata per me un’autentica sorpresa. Deludenti a mio modo di sentire, a parte un paio di brani davvero accattivanti, ma molto osannati dalla critica Ryan Adams con Wednesdays  e Jeff Tweedy di Love Is King. Su quest’ultimo mi sono promesso però di tornarci sopra. Troppa routine senza nessun scatto in avanti anche per i Dirty Knobs, ovvero la band del chitarrista di Tom Petty, Mike Campbell, che rimane uno dei migliori con lo strumento ma non ancora in grado di essere leader.




Nel primo lockdown sono stati un supporto importante sia il Box, che ho acquistato solo quest’anno aspettando di trovarlo cheap, di The Band, A Musical History, uscito mi sembra nel lontano 2005, un fenomenale testamento di una delle band più importanti di tutta la storia del rock che nel tempo non ha perso una briciola della propria originalità, attualissima ancora oggi. Sia il box del Cinquantesimo della Allman Brothers Band, Trouble No More, altra band che andrebbe fatta studiare a scuola perché come loro nel suonare il rock-blues non c'è più stato nessuno. Delle cosidette edizioni deluxe sempre più care e spesso sempre meno necessarie, mi sono piaciute il quadruplo Wildflowers & All The Rest di Tom Petty, d’accordo sono un suo fan accanito ma ne vale la pena e non costa troppo, Check Shirt Wizard dell’amato Rory Gallagher infuocato Live del 1977, il doppio CD (basta e avanza) di Goat’s Head Soup necessario per ogni fan delle Pietre Rotolanti grazie ad un secondo dischetto di inediti ed out-takes davvero diverse, l’ottimo Steel Wheels Live cronaca di un bellissimo show dei Rolling Stones ad Atlantic City e Welcome To The Vault della Steve Miller Band zeppo di inediti e tracce dal vivo sorprendenti. Tra gli italiani le cose che ho apprezzato maggiormente sono state Crossing, splendido viaggio tra roots, folk, boschi e rock di Enrico Cipollini con i suoi Skyhorses, l’anomalo, sghembo, plastico e coraggioso Elastic Blues del maestro Paolo Bonfanti, sentire per credere, ed il rauco urlo di blues garagista sporcato di Stones dei Dirty Hands di Bull’s Eye.


Il tanto tempo a casa imposto dal lockdown mi ha permesso di ritornare su diversi dischi del passato, molti dei quali in vinile. Non tutto ha retto al tempo che passa, le batterie e i sintetizzatori degli anni ottanta ne escono a pezzi ma anche molta “roba” incensata negli anni novanta come alternativa scricchiola da morire, così come certe ingenuità degli anni sessanta e primi settanta. Una band che rimane inossidabile e durante il lockdown suonavo a manetta mentre fuori dalla finestra si sentiva l’Inno di Mameli, sono i Faces, grandi, sempre e comunque. Solo quattro album ma più di una enciclopedia.

Veniamo alla mia palylist di supporti comprati e vissuti a lungo, perché internet o lo streaming non concederanno mai il tempo e la tranquillità per un ascolto approfondito. Naturalmente orientata alla classicità del rock, perché se vuoi bere un novello o un vino che fa 12 gradi accomodati pure, un bicchiere lo bevo anche io, ma continuo a preferire i rossi da 13 gradi in su. L’ordine è casuale.

LUCINDA WILLIAMS  Good Souls Better Angels. Dopo un paio di album rivolti soprattutto a ballate perse e malinconiche, la Williams ha preso la frusta e ha sfornato un signor disco di rock, umido, urbano, crudo, pennellato da qualche flash psichedelico e da chitarre davvero cattive.

CHRIS STAPLETON   Starting Over.  Ovvero come si può suonare e cantare ancora dell’americana e del country-rock senza apparire vetusto e risaputo, con in più delle ballate soul, è il caso di Cold,  che ti mettonoe addosso i brividi anche se fa caldo.


THE PRETTY THINGS Bare as Bone, Bright As Blood. I Pretty Things sono stati una delle più longeve band uscite dal British blues diventate un culto tra gli appassionati di sporcizie beat- rock-blues garagiste. Questo è un disco completamente diverso da tutto il loro passato, inciso poco prima che uno dei due fondatori Phil May morisse per un banale incidente ciclistico. Con il socio Dick Taylor dà vita ad un disco di folk e blues spettrale come la copertina, ma intenso, umano, emozionante come gli ultimi dischi di Johnny Cash. Struggente.

THELONIOUS MONK  Palo Alto. E’ jazz ma è suonato come se fosse rock ed è stato registrato nel 1968 in una scuola da un ragazzo con la compiacenza del bidello. Basta e avanza in questi mesi di scuola a distanza.

DRIVE BY TRUCKERS   The Unraveling/ The New OK. La rock band più anti-Trump d’America, per di più dell’Alabama, uno stato notoriamente not politically correct  ha sfornato due ottimi dischi nello stesso anno, sfruttando l’impossibilità di un tour. Ganci elettrici e ballate, rabbia e misericordia, avessero preso i pezzi migliori dei due dischi e li avessero assemblati in uno solo avremmo avuto un capolavoro.


MARCUS KING   El Dorado. E’ tornato di moda un soul di taglio classico, grazie a tipi che lo cantano con rispetto del passato e aperti a quello che gira intorno. Grazie anche ad un produttore come Dan Auerbach che ne coglie l’armonia e l’intrinseca sensualità. El Dorado è come un disco di country-soul registrato negli anni settanta a Muscle Shoals, cantato da una voce sabbiosa ed espressiva, bianca ma nera, un lavoro che anticipa nello stesso stile l’imminente Introducing di Aaron Frazer, più morbido e carezzevole ma ancora prodotto da Auerbach.

BRUCE SPRINGSTEEN  Letter To You. Meglio di quanto mi aspettassi, la nostalgia e la paura della vecchiaia è stata stemperata dal classic rock sound della E Street Band che lo ha di nuovo accompagnato in pista. Per il sottoscritto non è il capolavoro che si sono affrettati a scrivere prima che uscisse ma un disco del tutto dignitoso. Tre grandi canzoni del passato e altre tre del presente, per il sottoscritto Burnin’Train, Letter To You e I’ll See You In My Dreams. Quando arrivano If I Was The Priest e Song For Orphans si piange, di commozione.

COUNTRY WESTERNS  Country Westerns. Pensavo che la foga rocknrollistica della provincia americana si fosse sopita in cantautori che dopo due ascolti li dimentichi o li metti in lista d’attesa nei giorni che sei depresso come loro. Ed invece questi Country Westerns sono un trio che tira come una locomotiva evocando i primi Replacements, senza un attimo di tregua nel rinfrescare un alternative rock che è sangue, sudore e polvere da sparo.




 THE WOOD BROTHERS   Kingdom in my Mind. Questo è il disco che se uno vi chiede, che genere fanno? Rispondete, non lo so. Ed è questo il bello perché i Wood Brothers mischiano tante cose senza farle assomigliare a niente. Stralunatezze da anni settanta, divagazioni pianistiche, accenni (ma solo accenni)prog, attitudine jam, strambe filastrocche psycho-folk, pop maleducato, cori soul, ritmi in levare e chitarrine acide come un limone. Boh, but i like it.




THE THIRD MIND  The Third Mind LSD non è più di moda ma se uno volesse tornare a voli pindarici questa è la giusta colonna sonora per il viaggio. Dave Alvin con altri tre inscena una psichedelia blues dilatata e onirica dove vengono ripresi dal passato The Dolphins di Tim Buckley, East West della Paul Butterfield Blues Band, Morning Dew dei Dead in una dimensione di nuova allucinata Super Session.

SUZANNE VEGA   New York Songs and Stories. Ogni tanto viene la malinconia della vecchia New York, quando i club erano pieni di fumo,  sui muri nel quartiere dei macelli lungo l’Hudson River troneggiavano scritte come “suck my cock, boy” e gli ultimi cantastorie del Village cercavano i loro cinque minuti di notorietà con una canzone che Dylan aveva perso per strada. Suzanne Vega con la sua eleganza, delicatezza, bravura canta la sua New York che un pò è anche nostra, anche se l’abbiamo vissuta a distanza e di cui Walk On The Wild Side rimane l'impareggiabile colonna sonora.

E’ tutto, Buon Anno. Speriamo, che la musica dal vivo torni tra noi.

MAURO ZAMBELLINI

 

 

 

 

21 commenti:

Armando Chiechi ha detto...

Grazie Mauro per le tue segnalazioni e la playlist di fine anno, che per il sottoscritto rimane sempre il modo migliore per riguardare e prendere quello che per vari motivi mi è sfuggito prima.Pochissimi anche per me i dischi acquistati in questo 2020 ma ho goduto di tanta musica andando a riascoltarmi pure vecchi vinili che avevo quasi dimenticato, dal Jim Carroll di " Catholic Boy" al primo Graham Parker, da Buddy Guy a Keith Barrett in trio live giusto per nominarne qualcuno. Tra quelli di quest'anno il più ascoltato è stato il Jonathan Wilson di " Dixie Blue" e tanto vorrei sapere da te sull' ultimo di Ryan Adams !?! Intanto ti e vi Auguro un Buon Anno e che il miglior spirito del rock ci accompagni.
Armando Chiechi

Armando Chiechi ha detto...

* Correggo Keith Jarrett ( colpa del T 9) Armando

Unknown2 ha detto...

Livio. Anch'io userò la playlist del Prof x scoprire qc di buono. E pure io, anche se so che in qs modo il mercato si deprime, uso ad libitum youtube e spotify. Il futuro è lì, il mercato si adeguerà.
I nomi sono quelli, non si scappa: Allman Bros, Tom Petty, Rory, Stones...
D'accordissimo sui Faces, grandi, e a me piace molto anche il primo Rod Stewart, prima che andasse ad annacquarsi in america. L'unplugged con Ron Wood è di gran lunga il migliore di tutta la serie 'a spine staccate'.
Riscoperta dell'anno, x me, New York di Lou Reed. Riascoltato con attenzione, anche grazie al Prof, è proprio 'na bomba, come non ne fanno più. X di + uscito alla fine dei giustamente deprecati anni '80, senza però un grammo dei difetti di quella musica.
Perfino i brani di Springsteen da preferire mi trovano in sintonia, a parte il tormentone Ghosts. E attendo felice il supercofanetto sul Darkness Tour, che non comprerò xchè ne ho già 6 su 8, e di tutto il tour, 118 date, ne possiedo credo già una quindicina su cd. Può bastare. E' importante in vista di una seria ricognizione nei 'vaults' springsteeniani.
Chris Stapleton merita tutta la ns attenzione, ho riscoperto, purtroppo in occasione del trapasso, John Prine.
Il nuovo di Lucinda a me non fa impazzire. Davvero troppo scarno, cupo, uniforme. Rimpiango i grandi chitarristi che l'hanno accompagnata in passato, e anche qualche grande canzone in +.
Sicuramente ho dimenticato qualcuno, ma ormai ho una certa
Buon 2021, e Let's spend the Rock together!

Armando Chiechi ha detto...

Armando : Vero Livio grande band i Faces e così pure il primo Rod Stewart, dalla collaborazione con il Jeff Beck Group ad Atlantic Crossing, per me il suo ultimo bel lavoro da solista, eccezione fatta per l'amarcord dell'umplugged insieme all'ex pard Ron Wood. E per questo 2020 altri dischi che ho amato sono stati la scoperta di Albert Cummings in ambito blues, come anchelo stesso artista italoamericano
Dion con " Blues with Friends".Ancora, la mia antica fissa Neil Young con " Homegrown" anche se sarebbe dovuto uscire a suo tempo " Letter to You" di Springsteen, Jonathan Wilson ( già citato) e Chris Stapleton. Qualche altro acquisto l'ho fatto pure ma con cose più vecchie e già uscite a suo tempo. Tra queste Sam Cooke ( andando a rileggermi un bell'articolo di Zambo), più Chet Baker e Clifford Brown in ambito jazz.

corrado ha detto...

Ringrazio Zambo per la sua playlist, che è sempre stimolante e fa venire la voglia di andare ad ascoltare musicisti che ti sei perso o che magari non pensavi potessero interessarti più di tanto.
Personalmente sono maggiormente orientato su suoni e personaggi del presente e inserisco la maggior parte dei dischi menzionati in un immaginario settore "bei tempi che furono, ma che ancora scaldano il cuore".
Detto questo, ci sono effetivamente diverse vecchie glorie che ancora hanno qualcosa da dire oggi e da insegnare a qualche presuntuoso e velleitario rappresentante del mondo "The next Big Thing".
Io Lucinda Williams la amo a prescindere, con quella voce, con quella presenza, è più moderna lei di tanti giovincelli di oggi. L'ultimo disco non mi ha colpito tantissimo, ma a lei perdono qualsiasi cosa.
Jonathan Wilson e Chris Stapleton me li voglio recuperare e sui Pretty Things colpo al cuore, disco assolutamente atemporale.
Di Springsteen abbiamo detto abbondantemente, mi fa piacere che Bottazzi lo abbia rivalutato.
I War on Drugs dal vivo sono decisamente meglio che in studio: meno pallosi e si sente meno quella fastidiosa sensazione nel cantato che rimanda all'Al Stewart di "Time Passages"...
Cosa c'è di veramente nuovo da segnalare, al netto di ristampe, cofanetti riesumazioni postume? Effettivamente pochino e provo a fare qualche nome (nel bene e nel male), allegando le motivazioni.

NEL MALE:
Mantenendo le mie antenne sintonizzate verso i suoni e (possibilmente) le capacità compositive degli anni Venti del terzo millenio, ho provato a dare retta ai consigli di un caro amico e musicista e alle recensioni di riviste come "Rumore", nel suo campo ancora abbastanza autorevole.
Uno dei nomi su cui ho riscontrato entusiasmo concorde sono stati i Fontaines D.C.
Le premesse teoricamente c'erano tutte: giovani, si rifanno al sacro fuoco dei Joy Division, suoni intriganti. Ma all'ascolto ragionato... Ripetitività, modesti mezzi tecnici dei musicisti, un cantante che cerca di rifarsi al modello, ma, con tutto il rispetto, non è Ian Curtis.

NEL BENINO
Sinceramente mi sono sentito sempre un po' scemo a non riuscire ad apprezzare Parker e i suoi progetti sonori, nonostante le lodi che il gruppo riceve costantemente. Così mi sono messo ad ascoltare metodicamente l'ultimo "The Slow Rush". Al mattino mentre mi facevo la barba, in auto, nel tempo libero. Quella sensazione di totale inutilità che il disco emanava durante i primi ascolti ha pian piano lasciato posto ad altre in cui il disco si è rivelato effettivamente interessante e a suo modo appassionante. Mi sembra la prova che spesso il problema siamo noi "vecchietti" che non abbiamo voglia, tempo, testa per apprezzare cose diverse da quelle con le quali siamo cresciuti, e io sono effettivamente molto, molto legato alla musica dei miei vent'anni.

NEL BENE
Non ho mai ascoltato i National, anzi, li ho sempre confusi per qualche strana assonanza con roba tipo Interpol o gli orrendi Strokes.
Quando è uscito il disco solista del loro cantante, Matt Berninger, mi sono proposto risolutamente di non ascoltarlo, ritenendo il personaggio il solito sbruffone modaiolo portato avanti da certa stampa musicale.
E invece no. Un giorno sono capitato sul video di "One more second" e sono rimasto immediatamente attratto dall'atmosfera, dalla voce, dalla qualità compositiva del brano. Poi nel video è comparso Booker T alle tastiere e mi sono incollato al video. Ho cercato altre canzoni dall'album e il piacere è aumentato. Questo disco, con la produzione dello stesso Booker T, appaga il mio desiderio di mantenere un legame con la tradizione e allo stesso tempo di sentirmi uomo del XXI secolo.
Per il resto, credo che sia proprio il caso di ascoltare alcuni dischi interessanti suggeriti dal nostro padrone di casa. Grazie a tutti e buon anno

Armando Chiechi ha detto...

Interessanti le tue considerazioni Corrado e credo anche io che con il trascorrere del tempo, rimane più difficile entusiasmarsi come un tempo per le nuove uscite. Ad ogni modo però questi anni zero ci hanno pure regalato tanto, soprattutto dal versante Americano. Lucinda Williams ad esempio è uno di quei nomi che tu fai, che hanno saputo rinfrescare e rinnovare e perché no, allargare il modo di fare songwriting.Nulla di nuovo certo, ma è anche vero che ancora di più certo rock delle radici si sta contaminando come mai aveva fatto prima. Certo poi, che non è l'unica e ci sarebbero pure i Drive by Truckers giusto per fare qualche nome. Piuttosto mi fa tristezza che certa musica sia rimasta solo a noi più anziani e credo siano pochi i ragazzi realmente incuriositi da questo mondo,eppure spero che da qualche parte ci siano ? Poi magari mentre noi scriviamo da qualche parte un nuovo Frank Zappa,magari sarà lì a trovare una nuova via ?
Happy New Year

Armando Chiechi

corrado ha detto...

Per intanto nei prossimi giorni mio fratello mi passa Jonathan Wilson, per lui disco dell'anno. Ma che voglia di andare a vedere qualche concerto...

Paul ha detto...

Buon anno a tutte le zambo's heads e buona vita al nostro capitano.
Volendo vedere necessariamente il bicchiere mezzo pieno, il nefasto anno che ci mettiamo alle spalle ci lascia comunque in eredità almeno 3 uscite dei "giganti" che hanno dato ossigeno ai loro/noi assetati fans: Springsteen, Dylan e PJ.
Sul notevole lavoro del boss non mi dilungo, troppo si è detto.
Su Dylan, al netto delle pertinenti osservazioni di Zambo sullo squilibrio fra il peso e la cura dei testi rispetto alla musica, è stato comunque confortante risentire il menestrello spogliato finalmente dalle vesti di poco credibile crooner.
Sui PJ invece forse si raccolgono le maggiori ombre rispetto alle luci (tra l'altro mi è scappato il parere a riguardo del padrone di casa e dei coinquilini a riguardo): ancora riascoltandolo convivono le sensazioni di arrangiamenti non sempre convincenti, pezzi forse non indimenticabili ma anche di alcuni graffi brucianti che solo loro (Eddie?)sanno procurare.
Ancora meglio il responso delle uscite meno altisonanti ma forse più care a noi music addicted: su tutti Stepleton (in continuo crescendo) Isbell (per me piacevole scoperta), Wilson (ma ho nostalgia della visionaria magia di Fanfare), Lamontagne (bentornato a casa), Marcus King (il futuro è tutto tuo).
Ultime segnalazioni per la pubblicazione di Homegrown di Young (never too late per dischi cosi') e per la ristampa dell'immenso Fade away diamond time del mai troppo celebrato Neal Casal.
Un caro saluto a Zambo e agli amici del blog, a presto speriamo sotto un palco.
Paul

Robred ha detto...

Sono forse l'unico ad avere trovato irresistibile il lavoro di Eileen Rose, da me il più ascoltato dell'anno. Semplice, diretto, sincero, per questo infine toccante.

Unknown2 ha detto...

Livio. Interessanti i vs suggerimenti. Cercherò di farne tesoro, anche se sono il più passatista del gruppo. Preferisco il nome sicuro, con tutti i suoi pregi e difetti che già ben conosco, all'avventura di un artista nuovo che sempre più raramente riesce a 'prendermi'. Sarà che, se va bene, ha la metà dei miei anni, e fatico un po' mettermi in sintonia... Pigro.
Stamane al gr1 ho sentito che, nel mondo, un pezzo su tre scaricato è rap\hip-hop, e qs vale anche in Italia. I protagonisti del genere vantano miliardi di download e sono nettamente in testa alle classifiche. Tenendo conto che x me risultano semplicemente inascoltabili credo purtroppo che la 'mia' musica sia destinata all'estinzione. Altro che rock will never die...
Lucinda: vorrei chiarire che anche x me è un vertice assoluto. Possiedo tutta la sua discografia, a parte i primi due, '79 e '80, decisamente acerbi. A mio parere l'ultimo è un po' troppo cupo, monocorde, poco 'prodotto' (il suo guitar rock necessita di manici di qualità. Mi mancano Greg Leisz, Doug Pettybone, ospiti illustri come Bill Frisell, senza nulla togliere all'onesto S. Mathis). Anche il suono pare poco curato, pastoso. E, almeno a me, nessuna canzone resta stampata in testa e nel cuore. Un disco meno grande degli altri, ecco. Parere del tutto personale.
Auspicio x il 2021: la riscoperta di Alvin Lee e dei suoi Ten Years After. Credo non abbiano troppo da invidiare al grande Rory e siano invece ingiustamente dimenticati.
Spero anch'io nel ritorno dei live gigs, ma x come vanno le cose ora, tra pandemia e vaccini, temo seriamente che dovremo andare direttamente al 2022....

Armando Chiechi ha detto...

Agganciandomi a quanto già da me e da voi detto,tra i dischi del 2020 mi è piaciuto molto anche l'ultimo dei Pretenders " Hate for Sale", nulla per cui strapparsi i capelli per carità, ma ad ogni modo un disco sincero e diretto. Chrissie dimostra ancora di essere una tosta..artista lucida e combattiva. Fa' piacere averla ritrovata.

Armando

Unknown2 ha detto...

Livio. Oggi PUBBLICITA' PROGRESSO
PP1 Bello il nuovo Buscadero! Rinnovato, accattivante, ma sempre con le benedette (quasi 40pagine di recensioni.
PP2 ADMR web rock radio. Il mercoledì ore 21: 1h con Southside, la musica di Mauro Zambellini.
In replica la domenica h 14 e il lunedì mattina h 2
PP3 Fluviale il Neil Young Archives vol 2, fra chicche imperdibili e imperdonabili ripetizioni (3 cd su 10).
Comunque sempre grandissimo e imperdibile, quando uscirà, forse il 1° marzo. Speriamo

bobrock ha detto...

Sigma oasis dei Phish disco dell’anno .tra parentesi è anche reperibile in cd nonostante alcuni siti dicano il contrario .
Anche Costello ha pubblicato un disco interessante.
L’uscita degli EELS mi ha lasciato piuttosto tiepido .
Segnalo anche il live degli Snarky puppy jazz rock di grande livello .
Per il resto un mare di ristampe spesso decisamente care.
Mi incuriosisce il disco dei wood brothers dopo quanto detto da Zambellini; ho anche preso pretty things e l’ho trovato superiore alle aspettative.
L’anno è cominciato quasi bene ....se non fosse per i cinque morti a Washington.
Comunque Trump è andato a casa e anche il senato è in mano ai democratici ...
speriamo bene anche X il nostro paese ....the future is unwritten diceva Joe strummer .

corrado ha detto...

Io metterei anche Alphabetland degli X, primo disco di inediti dopo 30 anni, con il grande Billy Zoom sempre sugli scudi: adoro il suo modo di suonare, punk ma tecnico con una grande preparazione rock'n roll (suonò nella band di Gene Vincent).
Dalle ceneri di Sherwater e Okkerville river (di cui ricordo il bel disco con Rocky Ericksson qualche anno fa) sono venuti fuori i Loma, molto distanti dai nostri suoni, ma bravissimi.
E a proposito di suoni diversi, se proprio devo tornare ad ascoltare post punk, mollo come detto Fontaines D,. C. e Idles e suggerisco i Bielorussi Molcha Doma, che almeno sono sinceri.
Sono convinto che esista un filo rosso che unisce il New Jersey di Springsteen del 1978, con la Manchester dei Joy Division; la Pesaro dei Cheap Wine con la Minsk appunto dei Molcha Doma: malessere, voglia di reagire a un mondo che non si sente proprio e non rappresenta. Declinato in suoni e maniere diverse, certo, ma che parte da una stessa base. Poi io alla fine torno sempre a una musica più solare, come il rock classico e chitarristico, per quanto non privo della sua dose di disperazione. Rivaluterei in questa sede il disco dei Dream Syndicate, che è cresciuto con gli ascolti.
Perdonate la tortuosità dei percorsi proposti, ciao a tutti!

Zambo ha detto...

D'accordo con te Unknown, Hate For Sale dei Pretenders non è la rivoluzione ma è un disco ultra dignitoso che si ascolta volentieri. Mi piacciono gli esperimenti ma i dischi che prediligo sono quelli che ascolto e ascolto e ascolto. La maggior parte dei siti e delle riviste hanno votato disco dell'anno quello di Dylan. Senza togliere nulla al vecchio che rimane il numero UNO, ma vorrei sapere quanti di quelli che l'hanno votato ha ascoltato più di tre volte il suo ultimo disco. Album letterario, poetico, biblico, visionario quel cazzo che si vuole ma i dischi sono fatti per essere ascoltati

Unknown2 ha detto...

Livio. -Fra le cose da salvare del 2020, l'ultimo Grant Lee Phillips (Lightning show...). Ha saputo evolversi dai G.L.Buffalo verso un suono cantautorale e rarefatto, ricco di suggestioni. Da ascoltare anche (e soprattutto) i suoi precedenti lavori solisti.
X la nostalgia il Wildflowers deluxe: un po' di Tom Petty ci vuole sempre, come il peperoncino.
-Bene che Springsteen compaia fra i musicisti che festeggeranno l'insediamento di Biden-Harris. Lui dice sempre che non si occupa di politica, ma di persone. Eppure è stato, negli anni, forse il + costante nel prendere le distanze da certo estremismo filo repubblicano.
-Se giustamente classifichiamo Letter to you come buono ma non certo eccelso, non vedo perchè non dovremmo dire che anche Dylan ultimamente non ha certo espresso il meglio. Tra Sinatra e talking biblici c'è pochino da ascoltare x sempre. Nonostante ciò resta il n.1 di tutti e forever, ma faremmo torto al suo genio osannandolo solo x la firma, no?

Unknown2 ha detto...

Livio. PS: Condivido la soddisfazione x L'Alligatore, noir in salsa veneta. Fedele ai libri di Massimo Carlotto.
Sempre in Rai, ottimo anche Rocco Schiavone, vicequestore romano in punizione ad Aosta. Anche qui all'altezza del cartaceo di Antonio Manzini.
A quando un convincente noir tv meneghino dai libri di Alessandro Robecchi? Sperare è sempre lecito, no?

bobrock ha detto...

Io comprerò anche il col.2 però anche Neil ha la faccia come il culo . Come si fa ad inserire tre dischi già editi !! E lo aveva fatto anche per il primo volume !!!! Senza vergogna

Ste4ano ha detto...
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Ste4ano ha detto...

E niente: quando cerco un suggerimento serio sulla musica da ascoltare finisco sempre qui, al posto di Zambo. A metà anni Novanta ho venduto piatto e vinili, e quello che restava dello stereo si è fuso poco tempo dopo, probabilmente per il dolore; ora ascolto musica dallo smartphone: squallido, se penso oltretutto che per l'Hi-fi avevo speso 2 milioni e mezzo di lire, praticamente due stipendi, e chiaramente quel suono lì non l'ho mai più sentito, e oltretutto ho sempre trovato piuttosto misero il suono digitale. Mi rimane il ricordo della musica ascoltata allora, ma anche di quella divorata dalle pagine del Mucchio, con grandi entusiasmi (Violent Femmes, Fleshtones, Slickee Boys, Barracudas, X, il 1° Alarm, Green On Red, ecc. – e un posto particolare riservato ad ‘Happy Trails’) e qualche cocente delusione (Alan Vega, Saturn Strip). Qualcosa di quel passato l’ho salvato e qualcosa ho ricomprato su ebay in qualche momento di vuoto, come il numero 59/’82 del Mucchio con quello che per il sottoscritto rimane il più bel poster del Rock: Springsteen sul palco, tra la sua gente, in un fosco bianco e nero di Laura Levine. Non compro più nulla, dicevo e del nuovo non mi piace quasi niente. Ce n'è di gente brava in giro, assolutamente, musica gradevole anche, ma mi scivola addosso, quasi volesse scappare da me, come pioggia sull'impermeabile, e finisco puntualmente a chiedermi se la causa sono ‘loro’ o sono io. Forse di entrambi: io sono a metà strada tra i cinquanta e i sessanta, mentre i presupposti della ‘loro’ musica sono alquanto cambiati rispetto a quelli di bands e songwriters degli anni Settanta o giù di lì. Troppo cambiati. Per molti di essi la Bay Area e il Merseyside hanno qualcosa a che vedere con la geografia, ma nulla più, ma nessuno gliene fa una colpa. Non trovo alcun senso - se non commerciale - in ristampe, bonus tracks e cofanetti e trovo assurdo che lo stesso album venga riproposto a prezzi scandalosi ogni tot anni con il pretesto di un nuovo missaggio o rimasterizzazione, come se la ricerca della perfezione sonora presupponesse un prodotto migliore dell’originale. E così mi taglio fuori dal giro. Però non rinuncio a fare un salto da queste parti, per rileggere alcuni nomi che da soli bastano: Bob Dylan, The Band, Allman Brothers, John Hiatt, Lou Reed o Tom Waits. O molti altri. E così, ripesco un loro album (lo splendido live di Monk a Palo Alto, in questa occasione) lo ascolto o riascolto per l’ennesima volta, pensando che tutto sommato non serve molto di più. Forse un buon bicchiere di vino, e anche su questo concordo con il padrone di casa. Ste4ano S.

Ste4ano ha detto...

P.S.: certo, se le ristampe servissero a mettere in circolazione scarti come Blind Willie mcTell dalle sessioni di Infidels ben vengano, ma a parte Zimmerman, chi mai al mondo scarterebbe un pezzo di una qualità che la maggior parte degli autori non è in grado di raggiungere nell'arco di tutta la carriera? S.S.