martedì 15 giugno 2010

Daniele Tenca > Blues For The Working Class


Un disco di blue collar rock in Italia è cosa più unica che rara. Dedicato a quelli che si sono infortunati o hanno perso le loro vite mentre facevano il loro lavoro riporta la spartana copertina del disco, una dedica esplicita che pone l’attenzione su uno dei fenomeni sociali più amari, particolarmente di attualità oggi visto il proliferare del lavoro nero e l’indifferenza con cui l’attuale classe politica al potere tratta gli operai ed in generale i lavoratori. Una dedica ed impegno nobili quelli di Daniele Tenca, cantante, chitarrista, armonicista e tastierista, che ha deciso che i proventi di Blues for the Working Class andranno a sostenere l’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi sul Lavoro. Lo fa con un disco coerente nel tema e nella musica: dieci brani, otto inediti e due cover, in linea col sound del blue collar rock americano e testi cantati in inglese (ma nel booklet sono riportate le traduzioni) che parlano di realtà operaia, dentro e fuori la fabbrica.
Il sound deve ai modelli del genere, in primis a Bruce Springsteen di cui vengono riproposte la storica Factory, secondo chi scrive il manifesto assoluto del blue collar rock ed il traditional Eyes On The Prize ma anche a Joe Gruschecky, Bill Chinnock, al blues elettrico delle grandi città industriali, ai Marah e a tutto quel sottobosco di rock della East Coast che, negli anni settanta ed ottanta, contribuì a fornire emozioni unendo voglia di vivere, divertimento ed una sensibilità sociale che strideva con le mollezze e le vanità del grande rock mediatico.
Aiutato dal batterista Paolo Leoni, dal bassista Luca Tonani, dal chitarrista Heggy Vezzano e da uno stuolo di invitati tra cui spiccano i nomi di Marino Severini e Cesare Basile nelle parti vocali di Eyes On The Prize e Andy J.Forest con l’armonica in This Working Day Will Be Fine, Daniele Tenca dimostra di conoscere la materia e di avere cuore e rabbia per cantarla. Il messaggio è no surrender o, detta all’italiana, è bene tenere gli occhi aperti.

Le ballate sanno di ruggine e polvere, molto belle Flowers at the Gates con il tocco elegante di Sergio Cocchi al pianoforte ed il tenue laidback alla J.J Cale di He’s Working, poi c’è il blues che è come scivolasse dai banconi di un workers pub sostenuto dal ritmo di una bar-boogie band (l’esempio più compiuto è offerto da Cold Comfort) oppure sferraglia con la slide il Delta style di The Plant o usa echi hendrixiani attraverso la lap steel di Massimo Martellotta per raccontare un'altra versione del mito di John Henry, l’ uomo contro la macchina (Spare Parts) qui realisticamente posizionata nel meno leggendario e più drammatico contesto attuale delle giovani vite usate come pezzi di ricambi del sistema produttivo. Distante dalla facile retorica degli slogan anticapitalistici propria dei tanti gruppi da centro sociale antagonista che poi immancabilmente finiscono in televisione a cantare il loro rap quotidiano, Daniel Tenca non si ferma al gesto e alle movenze da artificiale ribelle del ghetto ma va in profondità con canzoni che conoscono la realtà di cui si parla e con la fantasia del rock/blues musicano un mondo che si vorrebbe nascondere o interpellare solo in campagna elettorale.
Sono piccole poesie sulla classe operaia quelle di Daniele Tenca, dodici canzoni tra blues, rock n’ roll, folk, ballate elettriche e due registrazioni live (un'altra versione di Cold Comfort e la sudata The Mills Are Closing Down) che attestano col loro bagaglio di tristezze, humour, speranze, amarezze, rabbia e dolore, l’esistenza di un’altra Italia, anche nel rock. Un disco nobile, da tutti i punti di vista.

Per richiederlo scrivete a www.danieletenca.com o a www.anmil.it.

MAURO ZAMBELLINI APRILE 2010

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