giovedì 5 maggio 2011

Those Who Died Young: Lowell George


Nei primi giorni dell’agosto 1977 Lowell George assieme al gruppo di cui era leader, i Little Feat, registrava al Rainbow di Londra quello che è unanimemente considerato uno dei più grandi album live degli anni ’70 ovvero Waiting For Columbus. Neppure una settimana dopo quel concerto, dall’altra parte dell’oceano a Memphis moriva Elvis Presley, il Re del rock n’roll, colui che aveva dato inizio a tutto e grazie al quale si era arrivati a Columbus . Mi ricordo quelle date come fosse ieri. Era il 3 agosto del 1977 ed ero di passaggio a Londra sulla via di una vacanza in Irlanda, sfogliando Time Out vidi annunciate quattro serate di fila dei Little Feat al Rainbow Theatre. Rimasi a bocca aperta (nell’era senza internet le informazioni non erano così facilmente disponibili) e immediatamente in me scattò quella automatica fibrillazione per cui non devi perderti l’evento nemmeno se ci si mette di mezzo un esercito. Figuriamoci se l’ostacolo sono una fidanzata ed un paio di amici. Cercai di convincere democraticamente i miei compagni di viaggio a stravolgere i programmi della giornata per non lasciarsi sfuggire quell’occasione più unica che rara, poi all’ennesima resistenza minacciai di abbandonarli in metropolitana ed andarmene per i fatti miei tenendomi le chiavi della macchina. Alla fine si convinsero e riuscii a trascinarli al Rainbow, naturalmente sold-out, ma con uno stratagemma che solo la più strenua delle convinzioni riesce a farti immaginare riuscimmo a dribblare la security ed entrare nel teatro, in platea, senza biglietto e senza posto assegnato, balzando da un posto all’altro con nonchalance per spiazzare le maschere. Fu un concerto memorabile, una di quelle esperienze indimenticabili, perché lo show fu fantastico e perché ci registrarono quel live diventato leggenda. Ancora oggi i miei amici mi ringraziano, la fidanzata se ne è andata da un pezzo.
Lo strepitoso concerto del Rainbow fu poco dopo immortalato da Waiting For Columbus uscito nel 1978 quando ancora si credeva che la strada dei Little Feat fosse lastricata di gloria e successo. Invece per un infausto gioco del destino l’anno seguente Lowell George allungò la lista di quelli morti giovani, caduti nella rovinosa guerra degli anni settanta.

E’ una storia degli anni 70 quella di Lowell George col suo carico di ineluttabile fatalità , innocenza, euforia e tragedia, una di quelle storie che drammaticamente fecero la biografia di tanti rocker. Nato il 13 aprile del 1945 sotto il segno di Hollywood grazie al padre Willard (morto quando Lowell aveva solo 10 anni) ricco pellicciaio delle star del cinema, il piccolo Lowell soffre di bulimia creativa e già in giovane età si destreggia con sassofoni, sitar (seguirà le lezioni della Kinnara School of Indian Music aperta da Ravi Shankar a L.A), armonica e con una Fender Stratocaster che sarà una specie di appendice del suo corpo. Diventa cintura marrone di karaté frequentando la Hollywood High School ma la sua passione è la musica, studia perfino il shakuhachi un flauto di legno giapponese noto per la difficoltà con cui si suona. Nell’autunno del 1963 lavora presso un distributore di benzina e stazione di servizio e la sua immaginazione si inebria delle storie romantiche dei camionisti e dei lunghi viaggi sulle strade d’America, visioni che poi riverserà in due delle sue più belle composizioni, Willin’ e Truck Stop Girl.
Nutre una passione sfrenata per il bluesman Howlin’ Wolf a cui dedicherà la lancinante versione di Forty Four Blues/How Many More Years facendosi aiutare dalla chitarra di Ry Cooder. Nel 1965 Lowell George forma The Factory il cui batterista viene scelto con un annuncio sul LA Free Press che strilla “drummer wanted. Must be freaky”. Si presenta Richie Hayward ed il gioco è fatto. The Factory è la prima rock-band di Lowell George, ma è nell’entourage di Frank Zappa che George trova la sua strada. Nel novembre del 1968 Frank Zappa lo ingaggia come cantante e secondo chitarrista delle Mothers of Invention nelle registrazioni di Weasels Ripped My Flesh ma quando questi ascolta per la prima volta la versione di Willin’ con quegli espliciti riferimenti “all’erba, alle polveri e al vino” con gentilezza invita Lowell a farsi da parte, lasciare le Mothers e mettersi in proprio. Cosa che George fa prontamente raccattando il batterista dei Factory Richie Hayward e convincendo Bill Payne, un surfista di Santa Maria appassionato di pianoforte, ad unirsi a loro. Come bassista si prende dalle Mothers of Invention Roy Estrada e i Little Feat, nome che allude ai piedi piccoli di George, sono belli che fatti. Li tiene a battesimo l’amico Russ Titelman, un tipo del giro di Jack Nitzsche (Rolling Stones, Willy De Ville, Phil Spector) il quale produce nel 1971 l’album d’esordio, una collezione di stralunati e bizzarri blues che focalizzano il surrealismo di Lowell George.
Le stesse fotografie della copertina, quattro clochard imbacuccati con cappotti, sciarpe e cappelli davanti ad un enorme pannello iperrealista nel mezzo della desolata periferia losangelena trasmettono una naivetè hippie che sembra figlia di un uso massiccio di marijuana e droghe psichedeliche. Nelle intenzioni il disco avrebbe dovuto essere la risposta west-coast a The Band, sofisticato e rootsy allo stesso tempo ma le canzoni di George erano così sballate e imprevedibili che il risultato fu di spiazzare critici e pubblico, un mosaico di ritmi e melodie che si incastravano e si spezzettavano continuamente con liriche che ereditavano una stramba mitologia della strada.
La natura di road-album è espressa da una canzone che era un puro inno on the road, l’immensa Willin’ proposta nella sua versione originaria anche se Johnny Darrell e i Seatrain l’avevano già inserita in un loro album. Willin’ riapparirà nel secondo album dei Feats, Sailin’ Shoes del 1972 meglio rifinita e con la steel guitar di Sneaky Pete al posto di Ry Cooder oltre allo splendido lavoro pianistico di Bill Payne.
Sailin’ Shoes è ancora naif e rispetta la stramberia e l’immediatezza dell’album debutto anche se viene più curato nei dettagli . La copertina è un disegno di Neon Park, l’allucinato amico-grafico che inaugura la sua galleria dell’assurdo (sarà il cartoonist ufficiale del gruppo fino alla sua morte nel 1993) con un flash colorato di improbabili paggi seicenteschi rimiranti fette di torta dalle sembianze femminili che vanno in altalena, lumache giganti, scarpette rosse svolazzanti e alberi che hanno gli occhi. E’ un trip che “disegna” la musica di Lowell George, qui in campo con una serie di canzoni memorabili, dalla magia pop di Easy To Slip al nervoso rock-funky di Cold, Cold, Cold, dall’elegiaca atmosfera di Trouble con tanto di fisarmonica all’iconoclastico A Apolitical Blues.
Il folgorante rock n’roll di Teenegae Nervous Breakdown e la sghemba e acida Texas Rose Cafè completano una umorale geografia da easy rider e da bikers persi nel deserto californiano.
Entrambi gli album, splendidi ancora oggi a quarantanni dalla loro pubblicazione, sono un vistoso flop commerciale con poco più di diecimila copie vendute. Ciò non toglie che Lowell George sia già un nome di culto nel mondo del rock e dato che mantenere tre figli e due mogli non è cosa da poco lavora in mille progetti, come sideman nei dischi di Bonnie Raitt, Linda Ronstadt, Jackson Browne, Van Dyke Parks, Carly Simon, Harry Nilsson, John Sebastian, James Taylor, i Meters, Etta James , il jazzista Chico Hamilton e come produttore in Shakedown Street dei Grateful Dead. Ma sono i Feats il suo amore e quando Roy Estrada getta la spugna per unirsi a Captain Beefheart la band viene rivoluzionata con l’arrivo da New Orleans del bassista Kenny Gradney e del percussionista Sam Clayton mentre come secondo chitarrista viene ingaggiato Paul Barrere. Il cambio è netto, quella che era una zingaresca country-blues band da tavole calde e sognanti hippies del Mojave desert diventa una rock n’roll band solida, potente, versatile, sulla falsariga degli Allman con un campionario di ritmi da far paura. La band è ora un mostruoso N’awlins funk sextet e Lowell George il leader maximo che produce nel 1973 Dixie Chicken disco che raddoppia le vendite degli album precedenti. La pazza e utopica southern California delle prime canzoni di George incontra i ritmi e i rumori che salgono dalle paludi della Louisiana, l’ammirazione di George per Allen Toussaint trova riscontro in On Your Way Down mentre Lafayette Railroad spinge i Feats verso sud-est. Lowell George scala l’Himalaia : Dixie Chicken è un instant classic, Two Trains un gospel blues che porta a New Orleans gli Stones di Let It Bleed , la lenta Roll Um Easy per pura slide e voce è una estatica visione di Delta, Fat Man In The Bathub un funky-blues colossale.
Nel 1974 i Little Feat sono la miglior rock n’roll band americana in attività e Lowell George un autore/musicista genio e sregolatezza. La cocaina è un’amica troppo frequente nella vita dell’artista e non solo per divertimento, anche per necessità visto che il nostro soffre di una forma di dissociazione bipolare, una sorta di schizofrenia che lo tiene sveglio per giorni e giorni e così la droga lo aiuta a placare i suoi demoni.
Nel 1973 durante un periodo di break del gruppo George segue il tour di Linda Ronstadt e Jackson Browne e poi si rifugia con la famiglia nel Maryland nel tentativo di sfuggire alla pressione di Los Angeles. Lì, presso i Blue Seas Studio di Hunts Valley, insieme ai Feats registra Feats Don’t Fail Me Now il disco che decreta il riconoscimento commerciale del gruppo. Pur assemblato con tracce già pubblicate (la medley di Cold,Cold, Cold/Tripe Face Boogie), prodotto per metà da Van Dyke Parks e per metà da George con una registrazione low budget il disco ottiene un successo imprevedibile e lancia nell’etere almeno due classici del songbook di George: l’immensa Spanish Moon e Rock n’ Roll Doctor.

Nel gennaio del 1975 la WB manda la band in Europa in tour coi Doobie Brothers ma quando ritorna negli Stati Uniti il comportamento di George è deteriorato. L’ iniziale incoraggiamento verso Bill Payne e Paul Barrere a scrivere canzoni non si traduce in una positiva collaborazione, spesso George rifiuta di cantare il materiale degli altri e più il gruppo diventa popolare più lui si isola e si sente scontento. Si rifugia in sé stesso e l’indecisione lo porta in un tunnel autodistruttivo. Per il nuovo disco Time Loves A Hero scrive solo il macho-funky-rock Rocket In My Pocket e co-scrive con Paul Barrere Keepin’ Up With The Joneses, è distante dagli altri e quando per la prima volta sente lo strumentale A Day At The Dog Races trasale e sbotta “cos’è questo, un pezzo degli Weather Report?”. Apatico e svogliato si rifiuta di suonare gli assoli del disco, solo dopo le continue esortazioni del produttore Ted Templeman si muove dalla sua camera e si presenta nello studio in pigiama a fare il suo sporco lavoro.
La pubblicazione dell’immenso Waiting For Columbus maschera una situazione di fatto compromessa. Nell’ultimo suo anno di vita Lowell George lavora al nuovo disco dei Feats (Down On The Farm) che vedrà la luce solo dopo la sua morte e porta a termine il suo disco solista (Thanks I’ll Eat It Here) un progetto ambizioso con 45 musicisti accreditati, uscito nell’aprile del 1979 dopo che i Feats si erano sciolti.
Disco singolare Thanks I’ll Eat It Here vede George alle prese con una serie di canzoni (Jimmy Webb, Allen Toussaint, Ann Peebles) di largo consumo radiofonico, con una bella cover di Easy Money della emergente Ricky Lee Jones (è lui a portarla alla Warner Bros.) e con un pugno di brani originali tra cui la ripresa di Two Trains dei Feats. Non c’è solo rock nel disco ma anche pop e diverse citazioni del sound di New Orleans oltre ai riferimenti figurati (presenti nella copertina) di personaggi quali Allen Ginsberg, Bob Dylan , Fidel Castro, Marlene Dietricht ritratti in un disegno-parodia del celebre Dejeneur sur l’herbe di Claude Monet.
Lowell George il 15 giugno del 1979 parte per un tour di tre settimane assieme al chitarrista Fred Tackett. Il 28 giugno suona a Lisner in DC, Tackett afferma che quel giorno Lowell George telefonò a Richie Hayward, Sam Clayton e Kenny Gradney assicurandoli che una volta rientrato a Los Angeles avrebbe rimesso in pista i Feats. Dopo lo show George e gli altri andarono ad un party a casa di qualcuno, poi verso le sette del mattino la band raggiunse il Marriott Hotel di Arlington in Virginia mentre George andò a dormire verso le otto. Ebbe problemi respiratori, la moglie Elizabeth ed il road manager Gene Vano cercarono di scuoterlo e per un breve periodo il respiro tornò normale, poi qualcosa andò storto e Lowell George cessò di respirare. Arrivarono i poliziotti ma non trovarono nulla di sospetto, fu diagnosticata la morte per attacco cardiaco. La moglie disse che erano stati i medicinali che Lowell prendeva in combinazione mischiati con l’alcol a causare l’incidente.
Quando si resero conto che Elizabeth George ed i figli non avevano nessuna assicurazione, Bill Payne e gli altri Feats organizzarono per sostenerli il 4 agosto del ’79 un concerto al Forum di Los Angeles. Parteciparono 20 mila persone tra cui il Governatore della California, Linda Ronstadt, Bonnie Raitt, Jackson Browne, Emmylou Harris e Nicolette Larson. Alla fine tutti cantarono Dixie Chicken.

MAURO ZAMBELLINI

10 commenti:

Blue Bottazzi ha detto...

Bella storia, Zambo!

Renato ha detto...

Zambo, ti invidio.

Alle registrazioni di Columbus...

Io ero in UK in vacanza, lo seppi all'ultimo momento e partii un paio di giorni prima. Un grande rimpianto. Ma ero giovane.

Erano tra l'altro i giorni del punk, a Londra.

Luca Mathmos ha detto...

ero a fare il servizio militare nel momento in cui tu a Londra vedevi i Litlle Feat...io ricordo la morte di Elvis ma il gruppo non lo conoscevo ancora, probabilmente lo introducesti tu nella nostra cerchia di amici, infatti li scoprii l'anno seguente a casa di un comune amico che abitava vicino a casa tua, dove abbiamo passato serate meravigliose, in un tempo in cui, per apprezzare la buona musica occorrevano svariati ascolti, in silenzio e in concentrazione; e non come ahimè oggi, dove la musica (per molti) è un mero contorno di distratti ascolti di sottofondo a banali attività quotidiane.... cheers mate!

max allegri ha detto...

caro Zambo,

spero di leggere quanto prima (sul “Buscadero”, o qui) la tua recensione sul live del futuro Boss al Main Point di Bryn Mawr (Philadelphia), febbraio 1975 (quindi pre-“Born to Run”… 8 mesi ca.), uscito l’altra settimana.
trattandosi, di fatto, di un bootleg (per quanto ora “legalizzato”) non ci sono indicazioni “precise e sicure” sullo schieramento della E Street Band di quella sera… il libretto parla dell’arrivo nella band di Max Weinberg, batt. e del prof. Bittan, tast., nonché della presenza per 6 mesi del violinista Suki Lahav, e annota che Little Steven sarebbe rientrato solo un mese dopo quella serata.
però, dilettantescamente, non ne specifica la formazione completa: dalle foto direi che c’erano pure Federici e Big Man (però una gigantesca ombra “nera” che suona il sax non è una prova sufficiente),
però erano tutti così giovani che non sono certo di riconoscerli.

ma tu sicuramente le conosci tutte ‘ste cose…

ti saluto

Blue Bottazzi ha detto...

@max allegri:

http://www.killerinthesun.com/index.php?option=com_content&task=view&id=425&Itemid=33

max allegri ha detto...

grazie.

però non ho risolto la mia (e di mia figlia) "fame" di conoscere l'esatta line-up della E Street Band nell'occasione.

max

Blue Bottazzi ha detto...

http://en.wikipedia.org/wiki/E_Street_Band


In February 1974, Lopez was asked to resign, and was briefly replaced by Ernest "Boom" Carter. A few months later, in August 1974, Sancious and Carter left to form their own jazz fusion band called Tone. They were replaced in September 1974 by Roy Bittan (keyboards) and Max Weinberg (drums). Violinist Suki Lahav was briefly a member of the band before leaving in March 1975 to emigrate to Israel (where she would later find success as a songwriter and novelist). Steven Van Zandt (guitar, vocals), who'd long been associated with Springsteen and had played in previous bands with him, officially joined the band in July 1975.

Blue Bottazzi ha detto...

Bruce Springsteen - lead vocals, guitar, harmonica
Roy Bittan - piano, electric piano, backing vocals
Clarence Clemons - tenor, baritone and soprano saxophones, backing vocals, percussion
Danny Federici - organ, accordion, glockenspiel, backing vocals
Suki Lahav - violin, backing vocals
Garry Tallent - bass, tuba
Max Weinberg - drums

Anonimo ha detto...

grazie zambo per storie come queste, fa' piacere sentirne, di questa, come del vecchio willy, delle pietre, del boss del 75 ...., ritorno alla mente quando una trentina di anni fa correvo all'edicola a vedere se era uscito il mucchio, ai castelli romani non era facile trovarne, le edicole ne avevano solamente 3-4 copie, cosi' mi catapultavo con l'autobus a roma ...., lo divoravo il mucchio, c'eri tu li con storie come queste, c'era guglielmi, c'era max, ho scoperto cosi' il boss e tanti altri, tanti e buoni. il mucchio l'ho smesso da un pezzo (che roba che e'divantato ...!!), parecchi dischi dell'epoca li ho regalati a mio nipote (se li merita), me ne sono tenuti una decina per me e me li ascolto in macchina nei lunghi viaggi di lavoro (rm-bo-ve), e c'e' ancora nebraska, c'e' le chat bleu, c'e' exile, i velvet, waits, crazy mama, e fanno un tutt'uno appunto con storie come queste, le leggi e le senti, le senti e le vivi. grazie zambo. ciao / rob_

zambo ha detto...

grandi tempi, innocenti e pieni di rock n'roll. anche l'essere più giovani contava e come se però un nipote sente i tuoi vecchi dischi vuol dire che la storia continua e long live rock n'roll