venerdì 4 luglio 2014

JOHN MELLENCAMP LIVE AT TOWN HALL



 C'è stato un momento che mi sono sentito preso per i fondelli da John Mellencamp nonostante fossi un suo fan dal lontano 1980, anno in cui lo scoprii con l'album Nothin' Matters and What If It Did  quando ancora si faceva chiamare John Cougar. E' successo a Vigevano qualche anno fa durante  un concerto in cui  mise in luce i suoi limiti caratteriali facendo aspettare per due ore, nel caldo e tra le zanzare,  il suo pubblico italiano (era la prima volta che calava da noi) con un film sul making of del suo nuovo disco, una scelta come minimo supponente e poco logica visto che il Dvd lo si sarebbe poi potuto vedere comodamente sul divano di casa. Anche il concerto non fu all'altezza delle mie aspettative, una parte iniziale rootsy speculare al disco in promozione No Better Than This   e poi una seconda parte all'insegna di un chiassoso rock con tanto di basso funky e chitarre metalliche. Non contento di ciò riuscì ad annullare il seguente concerto di Udine per presunte magre prevendite, lasciando attoniti i suoi estimatori del nord-est che lo aspettavano con ansia e con già il biglietto in mano. Decisi che con Mellemcamp per un po' di tempo avrei chiuso, tengo molto al rispetto che gli artisti nutrono verso il loro pubblico, per tale motivo ho una stima sovraumana di Springsteen e dei Pearl Jam e poca simpatia per Van Morrison e Ry Cooder, al di là della loro musica. Poi, come in tutte le storie d'amore, il tempo ha lenito i contrasti, le cose belle hanno preso il sopravvento sui pessimi ricordi e così oggi mi ritrovo a ri-parlar bene di un disco di Mellencamp. Scusatemi, nessuno è perfetto ed una mia caratteristica è quella di non tenere rancori, così vale la pena raccontare come è nato questo disco dal vivo, in uscita a fine luglio.  Nel 2003 l'album Trouble No More  impose una sterzata all'avventura artistica di John Mellencamp. Il suo disco precedente, Cuttin' Heads, aveva lasciato un po' l'amaro in bocca a quanti lo consideravano il miglior rappresentante dell'heartland rock dopo il graduale allontanamento dalle scene di Bob Seger, una sorta di risposta midwestern  a Tom Petty da una parte e Bruce Springsteen dall'altra. Vero è che il duetto con la cantante India Arie in Peaceful World , il singolo che aveva preceduto l'uscita dell'album,  aveva confortato  gli ascoltatori delle radio americane nei giorni immediatamente successivi all'attacco alle torri gemelle, ma musicalmente parlando era poca cosa rispetto alle asprezze rock e alle ballate con  cui il rocker dell'Indiana era entrato nei cuori degli appassionati.  Singolare il fatto che per riportare Mellencamp sulla sua strada maestra ci volle un disco non di sue canzoni ma di quelle canzoni che avevano formato lui come artista e i suoi fan come ascoltatori. Un patrimonio di canzoni estratte dagli archivi del folk, del blues e della musica popolare che avevano come comune denominatore una visione tollerante dell'America,  la varietà delle sue radici popolari e delle sue origini, il senso di un sogno comune costruito con la solidarietà e la collaborazione,  anche l'orgoglio di essere in qualche momento  "contro" e dall'altra parte della strada se fosse stato necessario dimostrare il dissenso ad una politica efferata, come lo era nei giorni del conflitto in Iraq. Come dichiarò lo stesso Mellencamp a quel tempo " quelle canzoni costituivano quel patrimonio della musica americana  con cui sono cresciuto, quella eredità che le persone intendono quando dicono di sentirsi felici di essere americani, non la politica estera americana ma la musica americana".

Dal coguaro ribelle ed irascibile degli anni di gioventù, ai doveri di padre e alle malinconie dell'uomo adulto dell'età di mezzo, fino all'artista coscientemente critico degli anni duemila, il cammino di John Mellencamp nel rock e nella vita ebbe  con Trouble No More  un sostanziale riposizionamento,  una naturale evoluzione, una ulteriore maturazione intellettuale e stilistica che permise poi quel fenomenale quadro d'assieme che è il box On The Rural Route.  Naturalmente in Trouble No More  c'era il passato dell'America ovvero Woody Guthrie, Robert Johnson, Son House, Memphis Minnie, Willie Dixon ma la verve di gagliardo folk n' roll con cui Mellencamp e la sua band interpretavano quel materiale, l'asciuttezza delle versioni, il preservare lo spirito piuttosto che lo stile,  faceva sì che il disco risuonasse fresco, affatto nostalgico e fosse il naturale esito della musica di Mellencamp alla luce di una consapevolezza sociale mai così schietta. Trouble No More  venne registrato in giorni di neve e di freddo polare nel febbraio del 2003 al Belmont Mall Studio a Nashville nell'Indiana, poche miglia da Bloomington città natale di Mellencamp e portato in tour, mesi dopo, nella calura di fine luglio alla Royce Hall dell'UCLA di Los Angeles e alla Town Hall di New York. La scelta di una università e della venue newyorchese non furono dettate dal caso ma del tutto coerenti coi temi anti-governativi presenti nel disco, in particolare contro Bush e contro la politica estera americana, in quel momento impaludata nella guerra in' Iraq. La Town Hall di NYC è una location storica per il folk, il blues, il jazz e la canzone di protesta, di fatto una sala concerti anti-establishment in antitesi alla Carnegie Hall, un luogo dove sono passati Leadbelly, Nina Simone, Pete Seeger, Odetta e i grandi del jazz.  Lì,  John Mellencamp con la band con cui aveva registrato Trouble No More ovvero Mike Wanchic e Andy York alle chitarre, Miriam Sturm al violino, Dane Clark alla batteria, John Gunnell al basso e Michael Ramos alle tastiere, portò il nuovo disco in un concerto oggi ricordato da Live at Town Hall - July 31 2003.  Un live splendido che ripropone l'umore ed il sound countrypolitan  del disco che lo ha generato, un sound ed una performance che mostrano un artista concentrato, motivato, impegnato a ricreare storie di ramblers, fuorilegge, tempi duri e delusioni con la compostezza di un folksinger che ha sostituito la chitarra acustica con una rock n'roll band. Mellencamp e i suoi suonano un roots-rock permeato di folk con la stringatezza del punk e l'immediatezza del blues, non gli interessa imitare  gli stili del passato ma adattarne lo spirito alle nuove rabbie, al nuovo urlo di dolore, alla consapevolezza di un mondo cambiato ma sempre identico nei soprusi, nelle prepotenze, nelle ingiustizie, dove la povera gente continua a subire e i potenti a dettare leggi e menzogne. Mellencamp  veste i panni di un moderno hobo rurale e metropolitano, polemico e non allineato, adattando la lezione di Woody Guthrie e Leadbelly al nuovo ordine mondiale. E la performance dal vivo alla Town Hall non fa che esaltare e dare più forza ai temi e alle canzoni di Trouble No More  che qui suonano ancor più crude e drammatiche nei loro significati, non sono le copie delle antecedenti ma sono animate da quell'ardore rock n'roll che Mellencamp ha sempre avuto nel sangue.  Il suono è quello che fa da collante ai dischi di On The Rural Route  ma ancora più rabbioso, teso, down-home, ricco ugualmente di sfumature, dettagli, sovrapposizione di suoni acustici ed elettrici, drumming misurato e violini evocativi, con la voce in primo piano ruvida, caustica, accusatoria.  L'eccitazione del pubblico è palpabile e non può essere diversamente perché qui c'è una delle migliori lezione sulle origini del rock n'roll americano. Mellencamp va alla fonte, l'agra versione di Stones In My Passway  di Robert Johnson con una slide che morde come un cane randagio, cantata con fervore fatalistico, il singhiozzo lamentoso di Death Letter di Son House, il viraggio celtic-folk di Joliet Bound di Memphis Minnie, la fusione di gospel e blues in John The Revelator  e l'illuminante intreccio di violino e chitarre in Down In The Bottom scritta da Willie Dixon per Howlin' Wolf,  iniettano la polvere del Delta negli ingranaggi del vecchio blues così da renderlo ancor più lacerato, terreo, autentico, moderno. Da parte loro la rilettura di Johnny Hart  di Woody Guthrie, addirittura commovente, di To Washington originario brano della Carter Family poi arrivato in mano a Woody Guthrie ed infine rivisitata nel testo da Mellencamp per commentare sarcasticamente l'elezione di Bush/Cheney nel 2000, l'altro traditional Diamond Joe e la spiritata versione di Lafayette di Lucinda Williams coprono la parte più specificatamente folk di questo viaggio nelle roots della democrazia musicale americana, lasciando alla intima e melodica resa di Baltimore Oriole , una delle vette del disco con quell' intreccio di chitarra acustica, violino e fisarmonica e alla corale Teardrops Will Fall, pescato dagli archivi dei gruppi vocali degli anni cinquanta, il compito di ricordare da dove provengono le melodie e le armonie nella musica di Mellencamp. Proprio in Teardrops Will Fall, come pure in Diamond Joe e in Paper In Fire, uno dei tre brani estratti dal proprio repertorio e riproposti dal vivo, Mellencamp rimette in circolo quell' intreccio di radici celtiche, folk degli Appalachi e armonie swinganti che furono il prelibato distillato di The Lonesome Jubilee  mentre ancora da più lontano arrivano  la polemica Pink House anche questa messa a bagno in The Lonesome Jubilee  ed una rallentata, spettrale, emozionante rivisitazione di Small Town.

In tutto questo guardarsi alle spalle per sopravvivere al presente non poteva mancare colui che questo viaggio lo aveva percorso quarant'anni prima con lucida lungimiranza e poca voglia di indicare la strada, ovvero Dylan,  uno dei maestri del piccolo bastardo dell'Indiana. Highway 61 Revisited  è sangue, sudore e polvere da sparo sulle strade di un'America che non ha ancora finito di guardarsi dentro. Live At Town Hall  è il primo ed unico disco dal vivo ufficiale (a parte il mini live Life Death Live and Freedom)  di John Mellencamp e pur non essendo l'apoteosi del rock spettacolare e romantico che ci si aspetta da un concerto, basta e avanza per scaldare il cuore e tenere lucida la mente.

MAURO ZAMBELLINI


7 commenti:

Bartolo Federico ha detto...

la nostra storia passa da qui. ciao zambo

Marco Denti ha detto...

Gran bei dischi (Trouble No More e il suo live), ottima sintesi e bella storia, proprio Plainspeak, come dice il prossimo disco di John Mellencamp.

Anonimo ha detto...

"Trouble no more" è un disco che spesso riprendo ad ascoltare e insieme a"The Seeger session"e i vecchi episodi acustici diDylan "Good as been to you" soprattutto e il Dave Alvin di "Public Domain"mi ricordano di cosa sono capaci certi artisti Americani,quando perdono un po' la bussola.! Seguirò il tuo consiglio, sperando che prima o poi Mr. Springsteen segua nuovamente questa stessa strada.Armando Chiechi

Andrea66 ha detto...

Pensa Zambo che io c'ero. Dovevo andare a ny per lavoro e comprai 2 biglietti su internet da un bagarino al doppio del prezzo reale. Gran concerto, anche perché trouble no more e' un gran bel disco. Grande acustica del town hall. Il concerto e' durato si e no 1 ora e 10, col simpatico mellencamp che non ha detto una parola, ha fumato sul palco 4/5 sigarette ( in America e' considerato un sacrilegio) e se ne e' andato senza un bis senza dire niente, lasciando un po' di amaro in bocca per la brevità . Prendere o lasciare , luci ed ombre di uno dei più grandi artisti della nostra musica

Zambo ha detto...

Hai ragione Andrea, grande concerto e artista tanto bravo quanto stronzo

Anonimo ha detto...

sintesi perfetta del personaggio Mellencamp (c'ero anch'io a Vigevano...concerto deludente) e del musicista Mellencamp.

silvio ha detto...

Siete gia stati fortunati, io ero a Roma e in una cavea piena di aspettitive ed entusiamo è riuscito a irritare tutti con un film di due ore e un concerto di 75' senza bis e senza un minimo saluto al pubblico, uscendo tra una bordata di fischi strameritati...Secondo molti aveva fretta di andare a cena con la sua nuova fiamma Meg Ryan bella ingioiellata in prima fila!!