mercoledì 2 marzo 2016

TEDESCHI TRUCKS BAND Let Me Get By

 
C'è un titolo di un disco di Lou Reed che esemplifica la maturazione  di un'artista o di una band sul campo, growing up in public, ovvero la capacità di un musicista o di un collettivo di musicisti di assorbire dal contatto col pubblico e dall'esperienza live ciò che serve per la propria evoluzione, la propria crescita, definire il proprio suono imparando l'arte dell'esibirsi migliorando il proprio livello espressivo. E' quello che è successo alla Tedeschi Trucks Band il collettivo nato dal matrimonio fisico e artistico tra la cantante e chitarrista Susan Tedeschi e Derek Trucks, uno dei chitarristi emergenti più personali e creativi della scena americana. Sebbene in pista da diversi anni, da quando alla fine del 2009 le loro rispettive band si dissolsero lasciando spazio alla nuova unione, la Tedeschi Trucks Band ha progressivamente maturato un' amalgama da family band con un organico che è passato da otto a dodici elementi e grazie ad una incessante attività live ha costruito i presupposti per un disco,  Let Me Get By,  che finalmente ha tradotto in studio le loro potenzialità.

 Un percorso iniziato con Revelator  nel 2011 dopo che marito e moglie avevano già accumulato ognuno parecchia esperienza. Alle spalle i due lasciavano una illustre e significativa gavetta e parecchi dischi, Derek Trucks con la sua band poteva contare su  una discografia di almeno dieci titoli tra quelli realizzati in studio e i live, alcuni e mi va di ricordare Songlines  e Already Free  tra i primi e Live  at  Georgia  Theatre  e Roadsongs  tra i secondi davvero notevoli, la bella Susan da par suo come solista almeno sette titoli, tra cui il "nominato grammy" Back To The River. A ciò bisogna aggiungere un tour come Soul Stew Revival dove i due avevano mischiato le loro forze in una serie di esibizioni prima di creare la vera TTB. Se ciò non bastasse aggiungete la straordinaria militanza di Derek nella Allman Brothers Band, di cui lo zio Butch fu tra i fondatori, iniziata ufficialmente nel 1999 e conclusasi col concerto finale il 28 ottobre del 2014 al Beacon Theatre di New York. Con un pedigree simile è facile immaginare quali fossero le aspettative di una simile  fusione, due personalità musicali così importanti e diverse tali da offrire una succosa proposta in merito ma come accade  spesso nell'arte (e nello sport) l'unione degli addendi non sempre è pari alla somma e nel caso della TTB si è dovuto attendere tre dischi ( in studio) e diversi anni on the road prima di vederne i risultati. Né Revelator, ancora acerbo nella composizione delle canzoni e piuttosto monotono nelle parti vocali,  né il seguente Made Up Mind  del 2013 con tutti quei versi sulla salvazione, l' amore e la fede religiosa ma di nuovo sofferente nelle canzoni , avevano soddisfatto le aspettative ed appagato  il gusto dei tanti cultori di quel sound che dal southern rock si espande verso il soul, il blues, il rhythm and blues,  e nel caso della TTB anche il jazz modale, il gospel e la musica indiana. La parziale delusione era stata mitigata dai live, il disco Everybody's Talkin del 2012 aveva messo un po' di benzina nelle canzoni di Revelator  e sfoggiato un ampio raggio d'azione in termini di cover, spaziando dal folk di Fred Neil (Everybody's Talkin') al blues di Muddy Waters (Rollin' and Tumblin'), dal soul di Sam Cooke (Wade in the Water) al folk-rock dei Lovin' Spoonful (una magnifica resa di Darling Be Home Soon), dal rhythm and blues di Stevie Wonder (Uptight) al funky-blues di Bobby Bland ( That Did It). Dimostrazione di una band, ma sarebbe più logico definirla un'orchestra soul-blues, che non pone limiti alla propria verve interpretativa e dal vivo è un insieme di energia, coesione, tecnica e conoscenza. Della musica americana innanzitutto ma soprattutto di quel triangolo sonoro che fa capo a Memphis, Muscle Shoals e New Orleans, con tutte le derive sudiste che ne conseguono. 
 

Nel passare da otto elementi a dodici musicisti che suonano e viaggiano insieme ( e non è facile mettere d'accordo dodici musicisti ma basta  guardare la fotografia interna del loro recente album con quella posa da family band unita e sorridente che rimanda alla comune allmaniana di Brothers and Sisters, ) le varie parti si sono incastrate alla perfezione, ognuno dei nuovi ha portato qualcosa e aggiunto idee ad un sound che si è ampliato e  approfondito.  La differenza con altre band del settore è proprio la chimica che si è sviluppata all'interno,  la disinvoltura con cui suonano e la capacità di ognuno di cambiare al momento la direzione della musica, la leggerezza delle melodie e l'ariosità delle armonie tanto da trovarsi di fronte, come nella traccia iniziale del nuovo disco, Anyhow, a ballate che sembrano arrivare dalla West-Coast più che dal sud. Oltre ad una sopraffina tecnica strumentale, in primis quella di Derek Trucks chitarrista che sa evocare i toni celestiali del maestro Duane Allman e nel contempo mettersi a disposizione degli altri,  la potenza non esibita ma sostanziale di una sezione ritmica (i due batteristi J.J Johnson e Tyler Greenwell, il bassista jazz Tim Lefebvre) che ha negli Allman e nei Little Feat i progenitori, oltre alla pienezza con cui tastiere di vario genere (il bravo Kofi Burbridge) e fiati (tromba, trombone, sax e flauto) riempiono gli interstizi e si prodigano in arrangiamenti originali, esotici in qualche frangente.  E poi c'è la voce di Susan Tedeschi, che nei dischi precedenti a Let Me Get By  aveva suscitato qualche perplessità,  troppo monocorde, melodiosa ma al tempo stesso tediosa, una cantante che è stata paragonata, a torto, a Janis Joplin e Bonnie Raitt ma sarebbe più appropriato accostare a Bonnie Bramlett, per via che la  TTB è un po' la riproduzione della comune viaggiante di  Delaney and Bonnie and Friends. E proprio come loro danno il meglio di sé quando salgono su un palco e allora le raffinatezze si mischiano alla potenza, all'energia e all'improvvisazione. Provate ad esempio a rintracciare l'esibizione della TTB al Mountain Jam di Hunter Valley, NY del giugno 2014 per averne un assaggio oppure recuperare l'esibizione che la band fece nel 2015 al Lockin' Festival quando vennero raggiunti in scena da Leon Russell, Chris Stainton e Rita Coolidge  per omaggiare l'intero Mad Dogs and Englishmen di Joe Cocker.
 

Ma è con Let Me Get By  che la TTB  ha fatto il grande salto e mostra un' anima che prima veniva fuori a tratti. Registrato nelle pause del tour del 2015 nell'home studio di Jacksonville in Florida, un luogo rilassante proprio a ridosso delle paludi e di cui c'è testimonianza nella lunga e meditativa Cryng Over You quando la porta dello studio venne tenuta aperta e i rumori della fauna locale sottolinearono la coda Swamp Raga For Holzapfel, il disco è frutto di un lavoro collettivo sia nella creazione delle canzoni che nella registrazione, ed un ruolo di primo piano lo ha avuto il tastierista Kofi Burbridge, che in uno dei tanti sound-check ha cominciato a giocare con un riff che poi ha coinvolto tutti gli altri e indotto Susan Tedeschi e Mike Mattison a scriverne il testo, diventando così Let Me Get By, il titolo dell'album. Riff, liriche e ritmiche sono nate attraverso il collaborative recording tra i dodici e come già accaduto per Made Up Mind anche Doyle Bramhall II, chitarrista molto richiesto in dischi di questo orientamento, è stato della partita lasciando la firma in più parti. Oltre alla splendida Anyhow, nel morbido blues di Just As Strange, nella melodiosa Hear Me dove paiono i Fleetwood Mac californiani fusi dentro il clima pastorale delle ballate country degli Allman e nella lunga I Want More, un pezzo che parte quasi banale, poi si carica di un incalzante ritmo Stax e infine diventa una dilatazione psichedelica degna di Chris Robinson Brotherood con flauto (Kofi Burbridge) e chitarre che dialogano nel cosmo.
 

Il pregio di Let Me Get By  è l'equilibrio tra groove e struttura delle canzoni, scorrevoli e svettanti al tempo stesso, aperte all'improvvisazione, all'inclusione di sfumature esotiche, ai cori gospel che fanno tanto chiesa pentecostale e a quel miscuglio sudista  che frulla Bill Withers e B.B King, Muddy Waters e Allman Bros. Band, Delaney and Bonnie e Muscle Shoals.  L' estroversa chitarra di Derek Trucks  viaggia tra le crudezze della slide, il fraseggio jazz, l'arpeggio acustico, la sinuosità del sitar, il ribollente urlo dell'assolo blues, ma è anche la voce di Susan Tedeschi ad essere stata usata meglio nel disco, dosata con gli interventi di Mike Mattison, fondamentale cantante e paroliere della Derek Trucks Band trasmigrato nella nuova band e artefice della lunga estatica  Crying Over You/Swamp Raga, una delle vette dell'album,  e di Right On Time  specie di marcetta avvolta in una calda atmosfera brass band di New Orleans.

Pochi dischi come Let Me Get By, almeno nell'ultimo periodo, riescono a trasmettere un senso di pace, di serenità, di piacere che è l'altra faccia del rock. Terapeutico.

MAURO  ZAMBELLINI     

 

 

 

 

 

 

 







5 commenti:

armando ha detto...

Recensione utile per il prossimo acquisto!!!

Armando Chiechi

armando ha detto...

L'ho preso stamane perchè non sono riuscito a pazientare qualche altro giorno. La tua recensione mi ha trasmesso un entusiasmo che si è concrettizzato a partire dalla prima traccia,appena questo dischetto ha trovato il suo ingresso nel lettore. E' vero come tu dici sopra e questo lavoro conferma appieno la maturità compositiva della coppia Derek-Susan. Le canzoni hanno una consistenza di cui mancavano i precedenti lavori e finalmente il lato strumentale ben si sposa alle liriche e le melodie per nulla ripetitive come accadeva in"Revelator".Con le dovute differenze, mi ha entusiasmato come fece a suo tempo "Already Free" del solo Derek. Potrebbe essere tra i favoriti dell'anno in corso e se queste sono le premesse il 2016 dovrebbe far l'occhiolino al 2014. Thanks Mauro.

Armando Chiechi

Paul ha detto...

Disco godibilissimo, maturo e sfaccettato. Per chi ha nostalgia di Delaney & Bonnie o dei Mad Dogs è una meraviglia!!!!
Il dischetto live compreso nella deluxe ediction conferma (se ce ne fosse stato bisogno) il potenziale dal vivo di questo combo di talentuosi musicisti. Speriamo siano brevi i tempi per una loro apparizione in terra italica (già fui entusiasta della Derek trucks Band a Faenza ai tempi dell'eccellente Already Free ma ora siamo saliti ad un altro livello).
In loro attesa trepidiamo per la discesa della Brotherhood di Chris Robinson dopodomani a Milano. Musica cosmica e vibrazioni californiane ci attendono. Io non mancherò.
Paul

Paul ha detto...

Non so quante zambo's heads fossero ieri sera al Fabrique di Milano (finalmente un posto adatto per la musica, altro che Magazzini Generali, Bloom e altri tuguri)ma io, cazzo, mi sono emozionato!!!
Un Chris Robinson diverso, non istrione o front-man trascinatore, ha guidato con la sua voce(questa volta al servizio delle canzoni e sopratutto del sound)un combo magnifico di musicisti ispirati, mai eccessivi o autoreferenziali, aprendo la "porta magica" al cosmico "rituale della grande luna" e facendoci godere dei frutti del "raccolto fosforescente". Per chi, come me, non ha mai avuto la possibilità di vedere dal vivo Dead, Allman o Quicksilver credeo sia stato un modo assolutamente credibile per lasciarsi trasportare dalle vibrazioni californiane e dal fluido suond jammato che la "Brotherhood" ha saputo regalare per quasi 3 ore.
Dischi come quelli della Tedeschi/Trucks Band e concerti come questo riconciliano con il grigiore e la miseria culturale che spesso affligge questo paese. Teniamoceli stretti.
Paul

bobrock ha detto...
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