sabato 24 marzo 2018

RORY GALLAGHER working man blues


Continua a vivere Rory Gallagher, nel ricordo dei tanti estimatori sparsi in tutto il mondo, nelle centinaia di band che suonano imitando il suo sound e i suoi assoli, nei festival che ogni anno, in primis quello di Ballyshannon, rievocano le sue gesta, la sua musica, la sua onestà, la sua indipendenza. Un bluesman fuori dagli schemi, amato dal pubblico, spesso trascurato dalla letteratura ufficiale del rock, un artista che ha dedicato tutta la sua vita alla musica in modo totale e completo, fino alla prematura morte nel 1995. Non si sposò mai e non ebbe figli, visse in solitario e con l'umiltà, l'orgoglio e la tenacia di un working class man,  trascorse la vita sui palchi, in tour e nelle sale d'incisione forgiando una personalissima contaminazione tra blues, rock e folk, uno stile che grazie all'enorme talento chitarristico ed una voce dolce e sofferente, diventerà l'archetipo dell'irish rock/blues, uno stile differente dal classico american blues da cui traeva influenze, in primis Muddy Waters e Big Billy Broonzy, e dal British blues che lo circondava.  Irlandese del Donegal, è nato a Ballyshannon il 2 marzo del 1948, William Rory Gallagher concentra in sé la purezza del bluesman autentico e la tenacia del rocker, l'intensità della birra scura irlandese e del whiskey, di cui fu fervente ammiratore, ed il cuore di un popolo temprato alle ingiustizie, alle sofferenze e all'emigrazione. Nei suoi quarantasette anni di esistenza Gallagher ha portato l'irish stout blues in giro per il mondo nonostante la paura di volare, ha venduto oltre venti milioni di dischi, si è esibito nei giorni difficili e pericolosi del conflitto nord-irlandese quando gli altri si tenevano alla larga da Belfast e Londonderry, e già visibilmente malato ha continuato da vero celtic warrior il suo never ending tour  fino a collassare a Rotterdam in Olanda nel gennaio del 1995,  nell'ultimo suo show.  Ospedalizzato a Londra venne sottoposto, due mesi dopo, al trapianto di fegato, danneggiato dalla combinazione di alcol e sedativi che l'artista assumeva per vincere la sua fobia di volare. Tredici settimane di cure intensive sembrarono aprire uno spiraglio di luce ma una infezione improvvisa  peggiorò irrimediabilmente il suo già precario stato di salute ed il 14 giugno del 1995  Rory Gallagher se ne andò per sempre. Quindici mila persone invasero le strade di Cork nel giorno del suo funerale, ancora oggi un annuale festival a Ballyshannon celebra la sua figura di uomo e musicista, una icona della cultura popolare irlandese, un musicista indipendente mai compromesso col business .
 

 

Capelli lunghi,  basette pronunciate,  sguardo dolce, l'immancabile camicia a quadri ed il giubbetto jeans, e soprattutto la sua amata Sunburst Fender Stratocaster del 1961 con la cassa scrostata dal sudore di migliaia di esibizioni, assurta a totem del suo incendiario rock-blues, sono gli elementi distintivi di un grande musicista, un  autodidatta che inventò uno stile chitarristico asciutto, appassionato, nervoso e lirico, rimanendo un tipo semplice e alla mano anche nel momento del più grande riconoscimento. La sua devozione al genere gli regalò riconoscimenti e stima da tutti i più grandi, Eric Clapton lo citò come uno dei responsabili del suo ritorno al blues, i Rolling Stones tentarono di ingaggiarlo per sostituire Mick Taylor, fu una influenza fondamentale su diverse generazioni di chitarristi, il classico  enfant prodige che a nove anni ha già in mano la chitarra e si destreggia con l'ukulele. Una storia lunga comprendente un periodo glorioso coi Taste, un trio nato sull'onda dei Cream e della Jimi Hendrix Experience (a proposito, quando a Wight nel 1970 un giornalista chiese a Hendrix come si sentisse ad essere il più grande chitarrista in circolazione, lui rispose di rivolgersi nel camerino a fianco dove c'era Rory Gallagher) ma che qui tratta esclusivamente il suo periodo solista visto che in questi giorni 17 suoi dischi sono ristampati rimasterizzati in CD ed in vinile ad un prezzo davvero economico. Un motivo per fare un po' di luce sulla sua discografia. 


 

l suo esordio solista risale al 1971,  l'omonimo Rory Gallagher primo disco di questo lotto d ristampe. Copertina nera come il disco esordio di Johnny Winter,  l'album  è un ottimo biglietto da visita. Ci sono classici del suo guitar riff, ereditati dal periodo coi Taste ma rivolti a nuovi orizzonti. Sono Hands Up e Sinner Boy cavalli di battaglia dei suoi live show, e Laundramat che racconta il periodo in cui i tre Taste abitavano in un monolocale a Earls Court a Londra nel cui seminterrato si trovava una lavanderia. Ma altrettanto significative sono la introspettiva I Fall Apart con la Fender in gran spolvero,  Wayne Myself Goodbye altro tour de force acustico con il pianoforte di Vincent Crane (Atomic Rooster, Arthur Brown, Dexy's Midnight Runners) che strimpella alla New Orleans, e It's You, venata di country dal mandolino e dalla pedal steel, un rimando  a Lonnie Donegan e allo skiffle degli esordi.  Completano il quadro gli omaggi ai suoi miti Muddy Waters, con il quale registrerà l'anno dopo London Session,  e Otis Rush attraverso Gypsy Woman e It Takes Time. Il suggestivo episodio acustico di Just Smile risente dell' influenza del folk inglese (in primis i Pentangle) degli anni 60 e 70.  Per concludere Can't Believe It's True è uno sguardo verso il jazz, qui Gallagher è alle prese col sassofono, uno strumento che solo occasionalmente sarà usato nelle sue registrazioni.
 
 Il secondo capitolo della sua avventure  si intitola Duece ed è un altro must. Registrato ai Tangerine Studios di Dalton, nella parte settentrionale di Londra, fondati dal leggendario Jon Meek, vede all'opera gli stessi musicisti dell'esordio ovvero l'esuberante bassista Gerry McAvoy, vero alter-ego di Rory, ed il batterista Wilgar Campbell in un trio che non fa sconti e cerca di tradurre in studio il feeling e la forza espressi nei live show. Come si vede il format a tre è simile a quello dei Taste ma Gallagher è libero di agire come vuole usando chitarra, slide e mandolino, passando dall'elettrico all'acustico, dal blues al folk senza rendere conto a nessuno. L' album inizia in modo superbo con le confessioni di un troubadour in perenne viaggio con la musica, nelle stanze degli hotel di I'm Not Awake Yet, una sorta di ballata venata di nostalgia dove spicca la voce abbandonata e la chitarra acustica in chiave folk. In Used To Me le linee di chitarra compongono un'atmosfera spagnoleggiante mentre la magnifica There's A Light , mostra ancora influenze jazz e l'interesse per Charlie Christian. Should've Learnt My Lesson è puro Chicago blues alla maniera di Buddy Guy, In Your Town ha strette parentele con i Thin Lizzy e la loro Jailbreak, Crest of A Wave è uno strepitoso esercizio di slide e Out Of Mind è un affondo acustico nei paesaggi della musica degli Appalachi di Doc Watson. Registrato in modo da esaltare il carattere ruvido e terreo degli spettacoli dal vivo, Deuce vende 17 mila copie, una cifra considerevole che però lascia deluso l'artista. Andrà molto meglio  Live In Europe , primo disco ad entrare nella top ten e ultimo disco con l'iniziale formazione a tre con McAvoy e Campbell. Raccoglie registrazioni effettuate durante un tour effettuato nel febbraio e nel marzo del 1972 in Germania, Belgio e Olanda e cattura l'essenza delle loro live performance. Molto amato dai fans al pari di Irish Tour 74 il disco venne pubblicato nello stesso anno del tour. L'album si apre con un grande omaggio al blues, Messin' With A Kid di Mel London è una delle registrazioni targate Chicago di Buddy Guy mentre al polo opposto I Could've Had Religion  rievoca lo stile primordiale dei Reverendi Robert Wilkins e Gary Davis con una morbida introduzione di chitarra e armonica ed un  lento andamento delle dodici battute. Anni più tardi Bob Dylan mostrerà interessamento verso questa canzone credendola un blues tradizionale ed ignorando il vero autore, Rory Gallagher. In Going My Hometown l'autore cita la famosa casa automobilistica Ford, allora presente con le sue fabbriche nell'amata Cork, Pistol Slapper Blues è un altro dei suoi stupendi ed innumerevoli country-blues acustici mentre Bullfrog Blues e Laundromat  sono due dei  cavalli di battaglia del suo set dal vivo.

Le cose cambiano col terzo album in studio, Blueprint registrato in sole due settimane e pubblicato all'inizio del 1973. Assieme a Gallagher e Mc Avoy ci sono adesso Rod De Ath alla batteria ed il tastierista e chitarrista Lou Martin, entrambi provenienti dai Killing Floor. Il quartetto rimarrà assieme per cinque anni, l'introduzione di un pianista abbellisce il sound, il power trio  degli inizi si arricchisce di sfumature che non intaccano l'essenza della musica di Gallagher, saldamente legata al blues. Ma Daughter of The Everglades, uno dei vertici melodici del suo vasto repertorio, è un saluto alla swamp music della Louisiana (anche se le Everglades sono ubicate in Florida) che Rory renderà tangibile in Fresh Evidence  con un tributo a Clifton Chenier, il re dello zydeco, e  Seventh Son of a Seventh Son prende spunto dai poteri sopranaturali del guaritore della tradizione folk irlandese Finbar Nolan con una orchestrazione( tastiere) ed uno sviluppo piuttosto anomalo per lo stile del nostro. Blueprint è un'altra delle perle discografiche dell'artista di Cork,  attuale ancora oggi nella sua classicità e nelle sue diverse sfaccettature, da quella più strettamente rock style di Hands Off  a quella più raffinata di Banker's Blues scritta da Big Bill Broonzy e arricchita dallo squisito pianismo barrelhouse di Lou Martin,  dalla scalpitante Race The Breeze, un Delta blues costruito sul ritmo dei vecchi treni merci, al brillante strumentale acustico Unmilitary Two-Step, fino al delicato e pacato soul di If I Had A Reason .

Il momento prolifico ed il mood creatosi con Blueprint invoglia Gallagher a ritornare quasi subito al lavoro, il nuovo album nasce nelle prove effettuate in un club di Cork, e poi trova completezza ai Polydor Studios con la produzione dello stesso artista. Sebbene l'ampia discografia di Gallagher consenta diversi lavori memorabili, ogni fan ha le sue predilezioni, personalmente tra i suoi album di studio Tattoo è uno dei  miei preferiti, occupa un posto privilegiato nel mio cuore ed è difficile dire il perché visto che le differenze coi dischi precedenti non sono così evidenti. Ma almeno quattro/cinque tracce sono ad un livello eccelso, la supplicante Tattoo's Lady con cui si apre il disco e la seguente cruda e autobiografica Cradle Rock dove l'irlandese accende la sua bottleneck in un R&B di rara potenza, accompagnandosi con l'armonica e sostenuto da una sezione ritmica in cui Gerry McAvoy si muove come un indemoniato, pompando un basso micidiale. Non si può rimanere indifferenti alla bellezza di 20:20 Vision, un altro dei raffinati numeri acustici di Rory nello stile di Davy Graham, un folksinger molto amato dal nostro , o non cogliere le sfumature jazzy di They Don't Make Them Like You Anymore dove chitarra e pianoforte suonano all'unisono, e bearsi dell'emozionante incalzare di A Millions Miles Away, uno dei brani in assoluto più amati del nostro. E ancora sentirsi sballottati tra il Delta e Chicago con Who's That Coming  con il dobro e la bottleneck che dettano legge. Ce n'è a sufficienza, compresa la bonus track Tucson Arizona estratta dal repertorio di Link Wray, per decretare Tattoo uno dei più riusciti e apprezzati album di studio di Rory Gallagher, il cui materiale sarà l'ossatura dei concerti del tour irlandese del 1974, incensato nell'originale album doppio di quell'anno e celebrato in maniera completa con l'edizione in 7 CD più il DVD del 2014 dove sono raccolti tutti i concerti di Cork, Dublino e Belfast. Più di due milioni di copie vendute, performance da far accapponare la pelle, il coraggio di un artista che nei momenti bui di una sanguinaria guerra civile non ebbe paura di ritornare nell'amata Irlanda del Nord, dove qualsiasi artista si teneva alla larga, ed incurante dei pericoli del terrorismo, accendere il cuore ed emozionare col suo sanguigno, appassionato e sincero rock/blues centinaia di giovani cattolici e protestanti che riempirono il Belfast Ulster Hall. Un vero working class hero, un uomo ed un artista unico, personaggio simbolo di un rock ancora espressione di sentimenti popolari come l'uguaglianza, la tolleranza, la fratellanza. Adesso viene ristampato l'originale album con dieci brani, ma il mio consiglio è quello di portarsi il box del 2014 con tutti i concerti.

 

Il settimo album di Rory Gallagher Against The Grain, il cui titolo allude ai contrasti tra l'artista e l'industria discografica la quale sempre gli richiese singoli di successo ed una maggiore commercialità, esce in un momento in cui la popolarità dell'irlandese negli Stati Uniti è lievitata fin a tal punto che la stampa lo accosta ad Eric Clapton ed Alvin Lee. L'album segna il passaggio alla Chrysalis e ad un sound più duro, cosa  che piace molto al pubblico americano. Diversi brani, a cominciare dalla furente  Souped-Up Ford e dal riff mainstream di Let Me In  battono questa strada ma ciò non priva  l'album di spunti interessanti, e sono la maggioranza, come la rivisitazione straight-rock n'roll di un brano di Sam & Dave (I Take What I Want), come la introspettiva Lost At Sea dove Gallagher descrive gli effetti della solitudine, come All Around Man dei Mississippi Sheiks trasformato in uno sporco blues, come la ballata in puro stile americano At The Bottom, come il country rockabilly di My Baby, Sure, come la strepitosa rivisitazione di Out On Western Plain di Leadbelly. In definitiva un album molto più americano dei precedenti ma ugualmente nobile. 





L'ultimo album con la formazione a quattro con Mc Avoy, Martin e Rod de Ath esce nel 1976 e per la prima volta Rory Gallagher si fa aiutare da un produttore esterno, il bassista dei Deep Purple Roger Clover perché l'intenzione è quella di continuare sulla strada inaugurata da Against The Grain, indurire il sound in senso hard-rock-blues. Per fare ciò va a registrare Calling Card al Musicland di Amburgo sottolineando quel feeling con la Germania che le numerose apparizioni al Rockpalast hanno instaurato. La sinergia che la band ha sviluppato dopo anni di concerti è garanzia di feeling ed  è ancora  in grado di regalare  pezzi da novanta. Dall'adrenalinico boogie woogie di Country Mile al riff hard-rock di Moonchild tenuto in coordinate dall'intricato fraseggio chitarristico e dalla bella melodia, dalle tinteggiature jazzistiche di Calling Card con un interplay tra la chitarra di Roy ed il pianoforte di Martin davvero straordinario, a quella Edged In Blue che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere un singolo per sbancare le classifiche Usa, idea poi declinata. Un primo piano lo meritano  anche Jack -knife Beat il cui ritmo funky era un omaggio ai Little Feat, band molto ammirata da Rory, la dolce ballata Where Was I Going To? aggiunta come bonsu track, l'acustica Barley & Grape Rag,  e Secret Agent un rock frutto della passione di Rory per la letteratura noir.  L'amore che Gallagher nutriva verso il noir ed il poliziesco pareva un riflesso della sua vita solitaria e appartata ( gli ultimi anni li passò vivendo in un hotel sopra l'attracco di Chelsea), quasi una identificazione con i personaggi dei romanzi di Lawrence Block e Raymond Chandler. Amava quel tipo di detective solitario e con la scimmia sulla schiena dell' alcol, in una città scura e pericolosa, e se nella versione americana prediligeva le storie hard-boiled, in quelle europee lo affascinavano spie, agenti segreti, intrighi. Diverse le canzoni scritte con questo umore,  oltre a Secret Agent  vale la pena ricordare Sinnerboy, Big Guns, The Devil Made Me Do It, il poderoso jam-blues B Girl cantato con uno sprezzo da bassifondi, roba da far impallidire le migliori band americane, Kickback City,  Continental Op, Off The Handle.

 

Ma c'è un altro aspetto decisamente affascinante e talvolta sottovalutato nella musica di Rory Gallagher, la sua bravura con la chitarra acustica ed il mandolino, il suo amore per le forme tradizionali della musica popolare. Forse è solo col passare degli anni che la portata e l'immensa ricchezza dell' opera di Gallagher può essere valutata in tutta la sua reale bellezza, quello che Gallagher ha lasciato alle spalle è una eredità di registrazioni che dentro una scabra purezza di forme celano un oceano di sentimento, un approccio spontaneo ad espressioni come il folk, il country, il jazz, usate per nutrire e personalizzare il suo blues trasformandolo in quello che lui definiva a good, vintage ethnic sound, un linguaggio del corpo e dell'anima che riversava sul suo pubblico con una media di 300 gig all'anno, fradicio di sudore e passione e con una devozione al  110% . Un eroe  sempre pronto a dare qualcosa in più. Arrivava il periodo natalizio e mentre gli altri musicisti non vedevano l'ora di staccare la spina per riposarsi e stare in famiglia, lui si imbarcava come un umile ed antico bardo in improvvisati tour nell'Irlanda rurale. Rory Gallagher era un operaio della musica che andava dove la musica lo chiedeva.  Sono le sue radici musicali a testimoniare quanto ampia fosse la sua fame di musica e la sua umanità.

Nel 1984 Gallagher suonò in una serie di show in compagnia di talenti del folk quali Juan Martin, Richard Thompson, David Lindley ed uno dei brani suonati, Flight To Paradise, una sorta di duello chitarristico tra Rory e Martin è finito nell'album postumo Wheels Within Wheels, assieme alla collaborazione tra Rory e Bert Jansch in She  Moved Thro' the Fair/An Crann Ull e a Bratacha Dubha dove Gallagher è in compagnia di Martin Carthy, Chris Newman e Mairie Ni Cathasaigh. Un  disco postumo pubblicato nel 2003 e adesso ristampato, dove viene esaltato il lato folkie di Gallagher, la sua bravura con la chitarra classica, la National, il mandolino e la mandola elettrica,  un disco di arte povera, il suo riconoscimento verso quel mondo folk e tradizionale che amava tanto. Wheels Within Wheels  è un disco meraviglioso anche se poco conosciuto e raccoglie registrazioni effettuate in località diverse tra il 1974 e il 1994 con Martin Carthy, Bert Jansch, Lonnie Donegan, Juan Martin, i Dubliners, un aspetto meno spettacolare ma altrettanto suggestivo di Gallagher con affondi nel folk tradizionale irlandese, nel flamenco, nel blues prebellico, nello swamp-blues e nello skiffle. Consigliatissimo.

 



Tra le pubblicazioni postume ora ristampate un posto di rilievo lo occupano il doppio CD BBC Sessions (1999) e Notes from San Francisco. La radio ha costituito per Gallagher una delle sue fonti di apprendimento e conoscenza musicale, l'artista ha sempre nutrito verso la BBC una sorta di rispetto per l'ispirazione che ha ricevuto nell'ascoltare le sue trasmissioni quando il blues ed il jazz erano merce da carbonari. Le registrazioni radiofoniche per la BBC furono un modo per Gallagher per farsi conoscere da un pubblico diverso da quello dei suoi show, era così legato alla BBC che capitava che nel mezzo di un tour Rory raggiungesse Londra per registrare, tanta era la considerazione che attribuiva a quelle apparizioni. Il doppio CD, uno in studio ed uno in concerto, sintetizza le tante ore registrate per l'emittente inglese. Il disco in studio è un'autentica festa del primo Gallagher (la maggior parte del materiale si riferisce agli anni 1971-1974), il disco in concert riporta incisioni di proprietà della BBC avvenute tra il 1977 ed il 1979 in locali quali l'Hippodrome, l'Hammersmith Odeon, il Paris Theatre di Londra, il Venue e una hall di Leicester. Diversa invece l'origine di  Notes from San Francisco  una registrazione del novembre del 1977  uscita postuma solo nel 2011. Una vicenda rimasta per anni negli archivi.  Dopo aver completato un tour mondiale di oltre sei mesi, Gallagher  era volato a San Francisco con la sua band  (Lou Martin, Gerry McAvoy, Rod de'Ath) per lavorare col produttore Elliott Mazer, noto per i suoi lavori con Dylan, Janis Joplin, The Band. Rory attendeva questa occasione da tempo ma il risultato non fu pari alle aspettative, non tutto girò giusto, ci furono incomprensioni con Mazer, e Gallagher non rimase soddisfatto di quelle registrazioni, sciolse la band che stava con lui da cinque anni e il disco non fu pubblicato. Prima di morire ritornò sui suoi passi, intenzionato a rimixarlo e a farlo uscire ma non ne ebbe il tempo. Per fortuna il lungimirante fratello Donal ha fatto sì che nel 2011 quelle session venissero rese pubbliche col titolo esplicito di Notes from San Francisco. E lì si ritrovano alcune delle tracce che sarebbero state l'ossatura di Photo-Finish ( Mississippi Sheiks, Overnight Bag, Cruise On Out, Fule To The Fire, Brute Force &Ignorance) disco del 1978  che  sancisce il ritorno al power-trio dei Taste con il fido McAvoy affiancato da Ted McKenna alla batteria. Immediatamente dopo aver scartato il lavoro con Mazer, Gallagher si fratturò un dito della mano, stette qualche tempo inattivo ma lasciata  San Francisco raggiunse la Germania, una piccola località vicino Colonia e con l'aiuto dell'ingegnere Alan O' Duffy, un irlandese che aveva lavorato con i Kinks, con Paul McCartney, Clapton e gli Stones  portò a termine il lavoro iniziato in California, che intitolò Photo-Finish per averlo consegnato all'ultimo momento alla casa discografica.
 

Fino al 1981 la band ritornerà ad essere un trio dal sound crudo e spettacolare  fatto di assoli brucianti, riff assassini, scale contorte e sofferenti slidin'. Personalmente prediligo il Rory Gallagher del passato ma Top Priority e l'ennesimo live Stage Struck mantengono uno standard elevato anche per chi ama soprattutto il Gallagher bluesman, mentre i dischi degli anni ottanta, Jinx (1982) con Brendan O'Neill al posto di McKenna e Defender, ben cinque anni dopo, stessa formazione ma un nugolo di invitati tra cui l'ex Lou Martin, Bob Andrews dei Rumour e l'armonicista Mark Feltham dei Nine Below Zero, contengono lo stesso dei momenti blues ma la produzione è del tipo mainsteam rock. In particolare Defender abbonda di canzoni con quelle tematiche noir tante care all'artista, Kickback City e Continental Hop ispirata agli scritti di Dashiell Hammett, e Loanshark Blues, omaggio alla storica Maxwell Street, I Ain't No Saint nello stile di Albert Collins,  Don't Start Me To Talking di Sonny Boy Williamson con il geniale contributo di Mark Feltham non tradiscono le radici blues dell'artista. Gli anni ottanta furono meno prolifici, palesando un netto calo di ispirazione in parte dovuta ai suoi problemi di salute, alle sue ossessioni e alla maniacalità nelle registrazioni, una vera fobia dei dettagli, che lo rendeva insicuro e mai soddisfatto. La paura di volare compromise alcuni tour in terra americana ma la passione di Rory Gallagher verso il blues non fiaccò mai, così evidente nell'ultimo suo album del 1990, Fresh Evidence, un sincero ritorno alle origini, a quei nomi e quegli stili che lo avevano influenzato. Se The King of Zydeco è il sentito tributo a Clifton Chenier, altri titoli sono strettamente connessi con alcuni dei bluesmen che più contarono nel modo di suonare e cantare di Rory, specie per quanto riguarda l'uso della slide. "Talvolta uso il tubetto del Coricidin quando suono la bottleneck, l'ottone ed il rame hanno un suono più aspro e li uso con la National, il vetro è più dolce e morbido, l'acciaio è un buon compromesso". Ci sono riferimenti a Robert Johnson (Heaven's Gate), a Slim Harpo (Middle Name), a Big Joe Williams, a Tampa Red, a Robert Nighthawk, Empire State Express fa parte del repertorio di Son House, Alexis è dedicata a Korner il padre del British Blues, Slumming Angel è una ballata da lacrime agli occhi dove la voce di Rory è un vero morso al cuore e Ghost Blues è un meraviglioso  Delta blues che scivola sulla slide di Rory con una sezione ritmica ed un'armonica (Mark Feltham) davvero brillanti, qualcosa che avrebbe potuto appartenere al real folk blues di John Lee Hooker. Fresh Evidence è un'altra delle registrazioni imprescindibili  di Rory Gallagher, il disco che chiude una delle più belle avventure del rock/blues lasciandoci una amarezza difficile da lenire. Impossibile dimenticarlo, ancora oggi i suoi dischi non hanno perso una briciola della loro originale bellezza e lui rimane l'esempio di un musicista onesto, sincero, coraggioso, fedele al suo pubblico, alla sua musica e alla sua incendiaria Fender Sunburst. Un mito.

 

MAURO ZAMBELLINI      MARZO  2018

 
























2 commenti:

armando ha detto...

Questo articolo mi è utile per mettere ordine tra quelle poche cose che possiedo di Rory e dei Taste e perchè no...anche per rileggere meglio la carriera di un bluesman e tornarci con quei lavori che distrattamente ho tralasciato per altri acquisti. Grazie Zambo !

bobrock ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.