lunedì 2 novembre 2009

Big Star


La recente pubblicazione da parte della Rhino di un box di 4 CD intitolato Keep An Eye On The Sky ridà visibilità ad un dei gruppi più lungimiranti e misconosciuti degli anni 70, i Big Star.
Citati a più riprese dai gruppi del rock alternativo americano i Big Star di Alex Chilton ancora oggi godono di un culto e di un attenzione tra colleghi e addetti al lavoro che contrasta nettamente con le loro vendite . I Big Star costituiscono l’ennesimo esempio di incomprensione da parte del pubblico, impreparato all’inizio degli anni 70, quando le classifiche erano sbancate da pezzi chilometrici e dal progressive rock, a cogliere l’essenza intrinsecamente pop di brani della durata di tre minuti nei cui solchi si respirava la freschezza dei 45 giri dei Beatles, dei Beach Boys ,dei Kinks, degli Small Faces, dei Byrds e dei gruppi minori del brit-pop dei sixties.
Considerati dalla stampa specializzata e dalla critica ma ignorati dal grosso pubblico, i Big Star furono considerati dallo show biz la cosa più anacronistica di quegli anni, salvo poi accorgersi, con il punk ed il post-punk della loro genialità e della loro lungimiranza.

Bande come i REM, i Db’s, i Jayhawks, Steve Wynn, i Replacements, i Gin Blossoms, Wilco, i Golden Smog, i Black Crowes tanto per citarne alcuni, debbono proprio a loro parte della propria ispirazione ,tanto che non è azzardato considerare i Big Star come dei minori Velvet Underground non tanto per il tipo di musica quanto per il peso avuto in termini di immaginario rock, gruppi culto con scarsissimo peso commerciale ma che hanno indotto più di una generazione a prendere in mano gli strumenti e a formare rock n’roll bands.
La similitudine con il gruppo di Lou Reed non riguarda lo stile musicale (anche se nel terzo album dei Big Star c’è una ripresa di Femme Fatale e Chilton non ha mai nascosto la sua stima per il poeta newyorchese) perché più che allo sperimentalismo ed al feedback, i Big Star nei loro primi due album si rivolsero verso quel modo tutto british di miscelare armonia e tensione rinverdendo il pop secondo lo stile rock n’roll e R&B di Memphis.
I Big Star sono una creazione strettamente memphisiana dell’’enfant prodige locale, Alex Chilton che dopo aver abbandonato i Box Tops dei multiseller The Letter e Cry Like A Baby si inventa una carriera solista dalle parti del Greenwich Village a New York.
Non è però il folk-rock la sua vocazione ma il vecchio formato sixties del rock, canzoni stringate trainate da una melodia accattivante e spruzzate di arrangiamenti vagamente soul e rhythm and blues. Una sorta di Phil Spector dalle parti di Graceland.
Tracce di questa transizione stilistica sono reperibili in 1970 , l’album di Chilton pubblicato solo nel 1996 che raccoglie del materiale registrato agli studi Ardent di Memphis in quell’anno. Proprio da lì nascono i Big Star. Il passo decisivo è però l’incontro tra Chilton e l’altro cantante/chitarrista Chris Bell, memphisiano di famiglia agiata e madre inglese e una grossa passione per i gruppi della british-invasion. Il suo gruppo si chiama Jinx , stretta assonanza coi Kinks, e le sue idee corrono parallele a quelle di Chilton. Il sodalizio diventa realtà agli Ardent Studios dove lavorano John Fry e Terry Manning, entrambi amici di Chilton dai tempi dei Box Tops. All’inizio il nuovo ensemble si fa chiamare Rock City ma presto divengono Big Star con l’inserimento del bassista Andy Hummell e del batterista Jody Stephens (Golden Smog) a fianco di Chilton e Bell.

Gli Ardent sono la loro casa e da lì esce, nel 1972, il loro primo album, lapidariamente intitolato #1 Record . Armonie leggere e pop robusto, melodie alla Byrds ed una voce perfetta per la programmazione radiofonica AM. Purtroppo sono le radio FM le nuove padrone dell’etere americano ed il disco naviga in aperta contrapposizione con l’imperante progressive rock e con gli assoli chilometrici dei Led Zeppelin. I sixties sono ormai un ricordo di un’era innocente e quindi il disco non vende un cazzo nonostante la critica specializzata si spertichi in lodi. In più ci si mette anche la sfortuna. La Ardent Records è in contratto con la più famosa Stax la quale viene assorbita dalla Columbia che nel gran calderone della distribuzione perde letteralmente il master del disco.
Le conseguenze per il gruppo sono drammatiche perché i quattro, frustrati e delusi, cominciano a bere e ad impasticcarsi tanto che Bell sarà costretto a rivolgersi allo psicanalista. Quando lascia il gruppo soffre di depressione e paranoia (morirà per un incidente stradale nel 1978) ma i Big Star non mollano e pubblicano Radio City, un album segnato dal songwriting di Chilton in cui brillano le classiche September Gurls e Back Of A Car.
Chilton è al top della sua creatività e coniuga il suo passato coi Box Tops con l’energia della Plastic Ono Band e la purezza delle registrazioni della Sun Records . Radio City la cui bella foto di copertina è opera di William Eggleston si rivela un album seminale ma troppo out of time e non può competere contro Golden Earring, Mahavishnu Orchestra e Bachman Turner Overdrive, ovvero i bestseller “da tendenza” di quei giorni.
Indomito, Alex Chilton ritorna in studio di registrazione e con l’aiuto del produttore Jim Dickinson ( scomparso nell’agosto di quest’anno) realizza il terzo album intitolato a seconda delle edizioni 3rd o Sister Lovers. Il disco risulta un vero enigma e viene pubblicato solo nel 1978, quattro anni più tardi.

Album misterioso e di confine, 3rd/Sister Lovers è molto diverso dai precedenti lavori, soprattutto per le liriche esistenziali angoscianti e depresse e per gli arrangiamenti assolutamente arditi, frutto degli esperimenti dell’ingegnere John Fry. Album anti-commerciale per eccellenza (nessuno se la sentì di pubblicarlo) che comunica un senso di inquietudine e di conflitti interiori oltre che una palese dipendenza da alcol e droghe, il terzo Big Star è un lavoro impressionistico caratterizzato da contrasti, strumenti poco riconoscibili, parole oscure e, in virtù anche dell’inclusione di Femme Fatale , da un decor fosco e quasi velvettiano.
Pubblicato più volte (dalla Aura, dalla PVC, dalla Line e dalla Rykodisc) con sequenza di canzoni ogni volta differente, 3rd/Sister Lovers è un disco che come ha affermato Jim Dickinson dimostra come il music business non sia sempre pronto e disposto ad accettare la parte oscura dell’esistenza.
Tutta l’opera dei Big Star compresa una cospicua dose di inediti ed outakes (sessanta) ed un rara esibizione live del 1973 a Memphis è il ricco menù proposto dal recente box di 4CD Keep An Eye On The Sky ma contemporaneamente la Universal ha ristampato rimasterizzati i due seminali primi album del gruppo, #1 Record e Radio City.

MAURO ZAMBELLINI 2009

1 commento:

Giovanni Gazzaniga ha detto...

Ciao Mauro,
bello scritto sui grandi Big Star ... sono stato a NY a marzo e ho avuto la fortuna di andare ad un concerto in onore dei Big Star e in particolare del loro terzo album che è stato suonato tutto dall'inizio alla fine ... da chi? Tienti forte: Ira Kaplan degli Yo La Tengo, i Db's al completo, Jody Stephens, Norman Blake (Teenage Fanclub), Michael Stipe e Mike Mills (REM), Mitch Easter e altri ancora per un concerto FAVOLOSO, chiuso con Till the End of The Night dei Kinks e the Letter dei Box Tops ... Su youtube trovi parecchi estratti da quella sera.

Ciao

Giovanni Gazzaniga