sabato 16 gennaio 2010

Gypsy Soul #3


(continua)

Smokin’ R&B and late night jazz

Di tutt’ altro tipo le radici nere di Bob Seger, cresciuto nella banlieu di Detroit a stretto contatto tra rischi di devianza e l’alto tasso di negritudine della sua città. Già agli esordi nel 1967 con il singolo Heavy Music il suo rock macina un tribalismo bianco di chitarre fumanti e giungla urbana che sa di underground garagista ma anche di ritmi negroidi, visto che la Tamla-Motown è di casa in città e non si può del tutto ignorarla.
L’amore per la musica afroamericana e per i suoi idoli radiofonici, che rispondono ai nomi di Wilson Pickett, Chuck Berry, Muddy Waters, James Brown, Bo Diddley, viene a galla nel 1972 quando Bob Seger sfodera Smokin’ O.P’S un disco interamente incentrato sul rhythm and blues.
Con quella copertina giocata sui colori e la grafica del pacchetto delle Lucky Strike, il disco era un invito esplicito a perdersi nei bar della suburbia attorno a gonne facili e fiumi di birra. Torrido R&B e sporco rock n’roll tutto da ballare, un po’ come facevano i Creedence, più che l’anima è il corpo a pulsare animalesco in questo disco che precede di poco la consacrazione del Bob Seger mainstream.
Relegate le soffici soul-ballads della Motown in centro città, la periferia rock di Seger si alimenta del groove selvaggio della Stax, del jungle beat di Bo Diddley e di un organo Hammond che deborda dappertutto, spargendo un suono vintage da manuale. La ruvida versione gospel di Love The One You’re With di Steve Stills non ha equivalenti nel sistema solare mentre lo spirito blue collar del personaggio è orgogliosamente sbandierato da una intensa versione di If I Were A Carpenter di Tim Hardin.
Hummingbird di Leon Russell è soul-rock come lo suonavano Delaney and Bonnie con amici in quei giorni ovvero pregno di umori sudisti e la seconda facciata è uno scatenato party R&B con Let It Rock e Heavy Music (molte le analogie con Gimme Some Lovin’) , col traditional Jesse James infradiciato di boogie e con Turn On Your Lovelight che da blues di Bobby Bland diventa danza tribale alla corte del maestro di cerimonia James Brown.
Un disco che va riscoperto assolutamente anche perchè è stato recentemente ristampato dalla Capitol.

Come va riscoperto The Heart of Saturday Night (Asylum, 1974), Tom Waits prima maniera alla sua seconda uscita discografica con voce ancora indenne e romanticismo da vendere. Un album che ci fa apparire sublime una Los Angeles notturna e sudicia, popolata di prostitute e perdenti grazie a un blues alcolico che deve più a Bukowski che a Muddy Waters.
Tom Waits è il regista di un film dai toni bluastri in cui il cuore del sabato notte è sezionato in tutto il suo poetico realismo. Tra luci al neon, asfalti bagnati, drop-outs, vagabondi e fantasmi ambulanti, sublimando amarezze e miserie in ballate cariche di romanticismo, Tom Waits ci fa sembrare la strada più calda e confortevole di una famiglia.
E’ duro immaginarsela una città così ma Tom Waits con quel disco la seppe inventare e ce la fece a sognare. Tengono banco il pianoforte, qualche arrangiamento jazz e la voce malinconica da crooner degli sbandati. Tom Waits è un Philip Marlowe del blues, va a braccetto con il Sinatra di In The Wee Small Hours e si ubriaca felice sotto la luna.
Prima che il be-bop della beat generation entri prepotentemente in scena e radicalizzi un rauco suono all’whiskey che porterà prima a Foreign Affairs e poi a Blue Valentine lasciatevi sedurre dalla trilogia The Heart of Saturday Night/Nighthawks at the Diner/Small Change che sono l’equivalente di falchi della notte del pittore Edward Hopper.

(3 - continua)

2 commenti:

Paolo Bassotti ha detto...

Andando a cercare i vecchi video su Youtube, si ha l'impressione che il primo Tom Waits fosse visto da alcuni come una sorta di cabarettista, che molti non fossero capaci di vedere (o reggere) l'insolita poesia del mondo che creava nelle sue canzoni:
http://www.youtube.com/watch?v=12qBoy2rhVw

Blue Bottazzi ha detto...

Naturalmente ai tempi del primo Tom Waits non solo non c'era YouTube, ma neppure esisteva il Web.
Il primissimo Waits fu conosciuto per una canzone degli Eagles, da li in avanti fu amato da chiunque avesse la fortuna di ascoltarlo...