martedì 27 agosto 2024

RAY LAMONTAGNE Long Way Home


 

E’ un ritorno alla semplicità dei primi album, in particolare a Trouble, quello che esce dalle nove tracce di Long Way Home, ultimo lavoro del cantautore nato nel 1973 a Nashua nel New Hampshire. Dopo aver girovagato nel cosmo con dischi come Supernova e Ouroboros più vicini ai Pink Floyd che al folk-rock degli inizi, il ritorno a casa era stato annunciato nel 2020 da Monovision ma è diventato esplicito in Long Way Home. Con quella voce sabbiosa da crooner perso nel diluvio che contraddistingue il suo cantato e canzoni che distillano emozioni e storie di vita intima e sulla strada, Ray LaMontagne riannoda le fila della sua esperienza artistica e lo fa nei migliore dei modi, recuperando schiettezza, liricismo, atmosfera per regalare nove canzoni che arrivano al cuore per via diretta. L’amore per il folk-rock dei songwriter degli anni settanta è palese, i suoi veri vicini di casa sono Van Morrison, John Martyn, Neil Young, Jackson Browne, Nick Drake e quella schiera di trovatori dall’animo turbato che caratterizzarono quell’epoca. Senza dimenticare che la sua voce si presta molto bene al soul e qui se ne ha dimostrazione in My Lady Fair dove sembra di entrare in una registrazione della Stax dei sixties, il punteggiare di un organo memphisiano, il calibrato gioco tra ritmica e fiati, la voce “velata” alla Otis Redding, le carezze e la sensualità di Ben E.King, tutto porta in quella direzione. Non è la sola canzone a parlare quella lingua, l’iniziale Step into Your Power fa battere i piedi attorno al corale backing vocale delle Secret Sisters in uno di quei caldi quadretti di nostalgia soul anni sessanta, mentre I Wouldn’t Change a Thing apre un altro capitolo, quello del folk-rock con aromi di country music per via di una lap-steel che fa molto americana. Non molto diversa The Way Things Are potrebbe essere materia di David Crosby con quel arpeggio delicato, la voce sospesa ed il sound minimale, e Yearning un riferimento neanche troppo inconsapevole al Van Morrison delle settimane astrali, compresi quegli spigolosi accordi di chitarra sullo sfondo di contrasto a quella melodica in primo piano. Un ricordo di un’epoca meravigliosa che la seguente And They Called Her California già nel titolo lo sottolinea, se non fosse che il dolente andamento ritmico, voce compresa e quell’armonica inconfondibile trasportano di getto in On The Beach di Neil Young. Sembra proprio una outtake di quell’album del 1974. Prodotto in tandem con Seth Kauffman ( Lana Del Ray, Angel Olson, Floating Action), il nono album di LaMontagne, a detta dell’autore, parte dal ricordo di quando a 21 anni vide in club di Minneapolis suonare Townes VanZandt, un pensiero che lo ha accompagnato tutti questi anni ispirandolo nella scrittura di Long Way Home, la lenta  ballata con cui si chiude l’album omonimo, introdotta da So, Damned, Blue, un inizio atmosferico alla Fletwood Mac di Albatross per poi diventare una intimissima confessione di arrendevolezza capace di tramutarsi in un palpitante momento erotico. Finale di album strepitoso che rimette Ray LaMontagne nella cerchia dei migliori songwriter dei nostri anni.

 

MAURO ZAMBELLINI 2024

10 commenti:

Armando Chiechi ha detto...

È da un po' che non lo ascolto ma questa tua recensione tenta molto. Sicuramente sarà uno dei miei prossimi acquisti.

Unknown2 ha detto...

Livio. Oltre ai riferimenti opportunamente citati in recensione, a me ricorda anche, x la voce e quel delizioso sapore soul, i Teskey Bros, che amo molto.
Disco piacevolissimo, qs Long Way Home. Ispirato, sommesso, senza la voglia di stupire a tutti i costi, ti conquista piano piano, con dolcezza

Armando Chiechi ha detto...

Ho ascoltato su Spotify, indotto dalla curiosità di sentirne qualche brano e mi ha subito conquistato. Questo credo sia il bello ed il pregio di certi lavori. A dire il vero questo 2024 non mi ha visto fare tanti acquisti o perlomeno, non molti riguardo le sue novità musicali ( più libri e meno CD /dischi quest' anno) ma sono sicuro che questo di Ray La Montagne possa rientrare in quella ideale cinquina di fine anno.

Luigi ha detto...

Una aria di vintage soul che aleggia su tutto il disco, un pizzico di Van Morrison dei tempi belli, l'attacco di And they called her California che è Neil Young mid seventies.
Unito al fatto che la qualità di scrittura è molto alta ditemi come fa a non piacere un album così ?

corrado ha detto...

Non è che il disco non mi piaccia o che sia brutto, anzi, è ben realizzato, ottimamente suonato, ci sono tutti i rimandi alla nostra musica di riferimento.
Ascolto "La de dim La de la" e ritrovo "Astral Weeks"di Van Morrison, ascolto "And they called her California " e ci ritrovo "Out on the weekend" di Neil Young (il riferimento, molto smaccato peraltro, è ad "Harvest", più che a "On the Beach", ascolto "Step into tour Power e ci ritrovo certe cose dei Mavericks.
Insomma, tutto bene?
Si e no, perché alla fine dell'ascolto (ripetuto) a me rimane poco di stimolante, se non un gradevole sottofondo, naturalmente sopra la media di ciò che si ascolta in giro
Un buon intimista, ma per me nettamente al di sotto di musicisti come Bill Callaghan (Smog), del quale non avvicina né profondità né intensità

corrado ha detto...

Bill Callahan, non Callaghan.
Ne consiglio la riscoperta, è bravo

Unknown2 ha detto...

Livio. Sostanzialmente d'accordo con Corrado.
Non è certo un capolavoro, ma un'opera frutto di tanto amore x l'aureo, irripetibile passato della ns musica migliore, quello sì.
Disco molto breve, ed è un pregio, sia chiaro. Dici quel che hai da dire, punto, senza riempitivi che annacquino il buon vino.
Smaccato ma piacevole l'omaggio a D.Crosby(the way..), trovo però anch'io, sul lato younghiano, più on the beach che harvest, più complessità e oscurità che felicità comunicativa.
Ma sono dettagli, dài. Sensazioni del tutto personali: il bello è poterne parlare tra noi

Armando Chiechi ha detto...

Credo che trovare il nuovo e l' originale in assoluto sia sempre impresa ardua ed ancora più difficile, perlomeno in questi ultimi anni. La musica è fatta anche di citazioni e rimandi voluti o meno. Ricordo ancora con piacere " Fanfare" di Jonathan Wilson con tutte quelle citazioni alla West Coast ( Young su tutti) ed in un brano anche i Pink Floyd di " Animals",così come il Ryan Adams di "Cold Roses" con quelle chitarre che facevano Grateful Dead, almeno questi i primi che mi vengono in mente ma tanti sarebbero gli esempi. Anche io credo che questo Ray La Montagne non sia un capolavoro ma un gran bel disco si e di questi tempi non è certo poca cosa !!

PS : In rete Mauro segnala il live di Jason Isbell che pare un gran bel disco !

bobrock ha detto...

Oggettivamente un buon album ben suonato e con alcuni brani notevoli . Come indicato da Zambellini le fonti a cui attinge sono quelle di alcuni dei nosti eroi.
Per contro non è il mio genere , io cerco sempre sonorità piu elettriche . Inoltre da 18 mesi essendo abbonato a Spotify mi chiedo ogni volta che ascolto un disco se vale pena di comprarlo o meno e salvo rari casi procedo con gli acquisti . Con questo strumento ho cambiato radicalmente modalità di giudizio. Ascolto parecchi più album ma…quelli che mi convincono sono veramente pochi .
E allora mi butto sulle ristampe di Zappa e vado a botta sicura 🎫

Unknown2 ha detto...

Livio. Un amico mi segnala il nuovo imperdibile "Live at Orangefield" di Van Morrison, sintesi e Best Of di tre serate dell'agosto 2014 alla sua "Alma Mater", dove, 65anni fa, tenne perdipiù il primo concerto. Su youtube trovate i video, ma qs dischetto, di qualità audio nettamente superiore, consente di gustare appieno ogni finezza di una strepitosa big band in stato di grazia, e soprattutto la sua Voce, strumento irripetibile e peculiare, impermeabile al tempo e padroneggiato con perizia a tutt'oggi in evoluzione. La scaletta pesca, quasi a caso, 16 perle da un songbook impareggiabile.
Ottimo candidato x il mio Disco dell'Anno.
Buon weekend, e grazie agli Azzurri che dopo 70anni sbancano il Parco dei Principi.