mercoledì 23 gennaio 2013

DANIELE TENCA


     WAKE UP NATION    Route 61
Non si tratta di parlare bene di certi artisti solo per il fatto che sono italiani, il nazionalismo è la cosa più distante da me, ancora adesso faccio fatica ad accettare il tricolore, ma è ormai incontrovertibile che il rock made in Italy,  quello più contaminato con il blues, non soffra confronti né  coi francesi, né con gli olandesi, con gli inglesi e nemmeno con gli stessi americani. In un recente viaggio a New Orleans,  Spencer Bohren, bluesman di razza purissima con alle spalle tanti dischi e diversi festival italiani, mi ha detto che il blues dalle nostre parti è di prima qualità, compreso i tanti appuntamenti estivi e non ha nulla da invidiare a quello loro, americano. Ne è conferma Daniele Tenca, che bluesman lo è solo a metà perché per l'altra metà è un blue-collar rocker di solida formazione stradaiola con una spiccata vocazione a cantare le esistenze proletarie, operaie e marginali, uno che ha avuto il coraggio di debuttare con un disco sulla condizione operaia in fabbrica in tempi come quelli attuali in cui l'operaio è un fastidio da nascondere o al massimo da sbandierare per fini elettorali. Naturalmente non si è fermato lì, ha portato il suo blue-collar rock dal vivo con il potente Live for the Working Class,  ha poi collaborato con Francesco Piu in Ma-moo Tones  uno dei migliori dischi della Little Italy dello scorso anno e adesso presenta la sua nuova fatica, Wake Up Nation  il cui unico difetto è un titolo troppo somigliante ad un recente disco di Paul Weller. Ma è proprio l'unico difetto perché secondo chi scrive è già uno dei migliori album del 2013 anche se siamo solo a gennaio. Daniele Tenca è cresciuto tantissimo, nella scrittura delle canzoni e nella musica, insieme alla sua band ovvero i chitarristi Leo Ghiringhelli e Heggy Vezzano, il batterista Pablo Leoni ed il bassista Luca Tonani ha messo a punto un lavoro che sta a metà strada tra blues e rock, dove si riversano i tanti rivoli di una formazione musicale squisitamente americana. Se considerate che Tenca oltre a cantare suona anche la chitarra si deduce che la band è ad alto tasso elettrico e le chitarre la fanno da padrone in nome di un sound aspro, intenso, potente,  disposto anche a farsi  ballata acustica crepuscolare, è il caso di Society, o romantica come Silver Dress, a immergersi in un folk-rock sporco di fuliggine, la strepitosa versione di It's All Good di Bob Dylan, o trasformarsi in un distorto boogie tanto vicino a John Lee Hooker quanto ai Suicide, nella fattispecie Default Boogie, o in una cupa chain-gang song del Mississippi come Dead and Gone tutta giocata con voce, slide e percussioni.

Non ha momenti di cedimento o di stanca Wake Up Nation  pur dentro le coordinate di  un blue-collar rock intelligente e non scopiazzato (azzeccata la trovata di mettere i testi tradotti), non soffre di ripetitività perché Tenca è bravo e fantasioso nella composizione delle canzoni e gli altri, compresi gli invitati (tra cui Paolo Bonfanti, Andy J.Forest, Riccardo Maccabruni, Antonio Cupertino, Maurizio Gnola) sostengono un impianto strumentale che concede sia al pane che alle rose. Se difatti What Ain't Got sembra un blues fin troppo lineare nella sua ossatura basta ascoltare l'intreccio tra la lap steel di Matteo Toni, il banjo di Alex Aliprandi e il Farfisa di Cupertino per capire come The Wounds Stay With You sia molto più di un blues ma uno strambo e acido sposalizio tra rumori industriali e folk. Così Last Po' Man occhieggia al granitico power rock-blues delle formazioni a tre, ZZ Top in testa, What Did You Did?  è classico Chicago blues, Big Dady un  roots-rock che sarà per il titolo mi fa venire in mente John Mellencamp e Wake Up Nation  un esplicito incitamento a togliersi la paglia dal culo prima che sia troppo tardi con un giro di chitarra bruto e ossessivo, specchio del bombardamento mediatico cui siamo sottoposti ogni giorno.

E' un disco di resistenza Wake Up Nation , di quelli che fanno gridare al miracolo per come una nuova generazione di rocker continui a credere nelle chitarre e nelle canzoni come ad un'arma  per scacciare e vincere  le tante amarezze che ci circondano. Encomiabile, e da sentire assolutamente.

MAURO ZAMBELLINI    

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