Basterebbe l'ascolto di questo
potente ed infiammato doppio Live per zittire quanti reputano il
blues un genere cristallizzato ed incapace di evolversi, sono proprio i
chitarristi a dargli vita e imporre quello scarto di novità per cui ad un certo
punto arriva un manico da novanta e i lampi cominciano ad illuminare il cielo.
Negli ultimi anni se ne sono visti di tipi simili, anche se non tutti
ascrivibili ad uno stile puramente blues, senza andare molto indietro basti
ricordare i nomi di Warren Haynes, Derek Trucks, Kenny Wayne Shepherd, John
Mayer, Joe Bonamassa, per rimanere in un ambito elettrico e spettacolare, ma
Gary Clark Jr. ha qualcosa che altri non hanno, è selvaggio, incontrollabile,
primitivo come poteva esserlo Hendrix quando sbarcò in Inghilterra. Gary Clark Jr. non è Hendrix,
beninteso, di Jimi ne esiste(va) solo uno ma con Hendrix ha più di un elemento
in comune, primo l'essere un nero che suona blues elettrico per un pubblico di
bianchi, cosa inusuale in un'era dove tutti (o quasi) i bluesman che cavalcano
i palchi del rock sono bianchi e i neri strimpellano le loro resofoniche nei juke joint del Mississippi o in qualche
club di Memphis e New Orleans. Lasciamo perdere i vari Eric Bibb, Keb Mo e
acustici vari, qui si sta parlando di robusto, sulfureo, dissonante blues
elettrico contaminato col rock, roba tosta insomma, materia incendiaria che
scandalizza i puristi e sconvolge la scena come quando arrivò Steve Ray Vaughan,
texano come Clark.
Gary
Clark Jr. non è figlio del nulla, è nato il 15 febbraio del 1980, cresciuto ad
Austin in quella grande scuola di blues che è l'Antone's sotto l'egida del
promoter Clifford Antone e sotto la protezione di Jimmy Vaughan, il quale lo
aiutò ad inserirsi nella comunità musicale della città facilitando la sua
ascesa in quel ring di fuoriclasse che è il Texas Blues. Il fatto di
partecipare nel 2010 al Crossroads
Guitar Festival di Eric Clapton non ha fatto altro che aggiungere ottani ad
una carriera già avviata sulla corsia di sorpasso con apprezzamenti,
riconoscimenti, attenzioni, premi, partecipazioni. Fa da supporter ai Rolling
Stones in alcune date del tour del cinquantesimo, lo si vede prima di Neil
Young al concerto di Locarno del 2013, nello stesso anno il suo set incendia il
festival di Glastonbury, esce il suo primo album, Blak and Blue per una grande label ma gli habituè del rock/blues storcono il naso
per le concessioni al funky e all'hip-hop. Dal vivo è un'altra cosa e lo
dimostra questo atomico Live,
in cattedra sale il blues e Gary ClarkJr. regala una performance (
le registrazioni arrivano da tappe diverse del tour 2013/14) che è un fiume in
piena, una macchina senza controllo, un tornado nel deserto, una forza della
natura. Passionale, viscerale, violento e romantico, Gary Clark Jr. maneggia il blues con
l'entusiasmo del ragazzino di fronte ad un nuovo giocattolo ma possiede l'abilità del professionista e la disinvoltura
di chi è nel blues senza barriere e preconcetti. Suona pesante e raffinato,
tecnico e cruento, canta con disperazione e dolcezza, incanta con una ballata, Things Are Changin', che farebbe morire
d'invidia Lenny Kravitz e stende un intero stadio con una When My Train Pulls In che è un treno in corsa lanciato a folle
velocità, dichiara guerra al passato legando la distorta Third Stone From The Sun di Hendrix con il ritmo sensuale di If You Love Me Like You Say e sgocciola zucchero e nostalgia in Please Come Home, una ballad che parte
come una languida love song e poi si trasforma in un magnifico assolo di blues
urbano. Distorce la sua Gibson facendola urlare nel vento come solo Neil Young
riesce a fare in Numb e omaggia la
classicità, Catfish Blues di Muddy Waters, e il Texas blues, If Trouble Was Money di Albert Collins, come uno scolaro che è andato troppo avanti e spiazza i propri
insegnanti sia con la tecnica che con l'inventiva Prendete ad esempio Bright Lights, evidente la parentela se
non la derivazione dal classico di Jimmy
Reed, il quale rimarrebbe di stucco davanti ad una interpretazione tanto
ipnotica e strascicata quanto stordente e apocalittica nel suo feedback
hendrixiano, un piece de resistence che
da sola fotografa un Live di una potenza devastante. Ma il menù è ben
più ricco e se da una parte il pensiero va a Steve Ray con If Trouble Was Money e Travis County dall'altra parte c'è
l'attesa spasmodica di Blak and Blu prima
del diluvio, il tono notturno e jazzato di Three
O'Clock Blues e le corde acustiche, la voce infine luminosa
e l'armonica di When The Sun Goes
Down. Due dischi, quindici brani,
una band, King Zapata è l'altro chitarrista, Johnny Bradley il bassista, Johnny
Radelat il batterista, che è una Experience degli anni duemila, una copertina
in bianco e nero con Gary Clark piegato sulla Gibson davanti ad una folla
rapita in qualche metropoli del mondo, Live è uno di quei doppi album live che fecero la
stagione d'oro del rock/blues, non occorre passare da Spotify prima di
acquistarlo, è il disco blues del 2014.
MAURO ZAMBELLINI OTTOBRE
2014