Generalmente i Mott
The Hoople vengono annoverati nel glam rock per via del loro stravagante look e
di quella magnifica All The Young Dudes regalata loro dal David Bowie dell'era Ziggy
Stardust. Agli inizi degli anni settanta David Bowie fu realmente un
benefattore artistico, o quanto meno un salvatore di anime in depressione
creativa, avendo quasi contemporaneamente rilanciato le carriere di Lou Reed e
per l'appunto dei Mott The Hoople. I quali avevano già una storia alle spalle
essendosi formati diversi anni prima ma agli albori del 1972 si trovavano
sull'orlo di una crisi di nervi dopo le fallimentari vendite dei loro primi album
ed un abortito tour in Inghilterra. Lo scioglimento era prossimo ma David Bowie
tese loro una mano e li incoraggiò a continuare. Per primo gli offrì Suffragette City che non era ancora
uscita sull'album Ziggy Stardust e poi scrisse appositamente per loro All The Young Dudes che divenne un
successone e diede inizio alla seconda fase della carriera dei Mott. Ma la
storia che racconta l'ottimo box di 6 CD Mental Train-The Island Years ricco
di inediti, out-takes, tracce live, booklet e poster annessi, è quella pionieristica
degli anni tra il 1969 ed il 1971 quando accasati con la Island la loro fervida
creatività musicale, una originale fusione di elementi british in un crudo e
chitarristico rock n'roll americano più una malinconica vena ballad cucita
attorno al piano e alla voce di Ian Hunter, profondo ammiratore di Dylan tanto
da evocarne lo stile, trovò l'entusiasmo dei critici ma una debole
risposta di vendite e i Mott The Hoople
rischiarono realmente di lasciare la scena prima del tempo.
La
loro storia inizia in Italia quando il chitarrista Mick Ralphs, il cantante Stan Tippins e il bassista Pete Overend Watts, tutti nativi
dell'Herefordshire, dopo alcune esperienze locali (prima gli Anchors e poi i
Soulents) nel 1966 formarono il Doc
Thomas Group e nella nostra penisola trovarono un ingaggio stabile alla Bat
Caverna di Riccione. Proprio in Italia pubblicarono un disco per la Interrecord
e quando a loro si unì Terry Allen,
uno dei primi in Inghilterra a suonare l' organo Hammond, cambiarono il nome
prima in Shakedown Street e poi in Silence e andarono a registrare dei demo
negli studi gallesi di Dave Edmunds, i Rockfield Studios a Monmouth. Demo che
non interessarono né la Emi, né la Polydor, né tantomeno le più
"libere" Immediate e Apple. Chi invece si interessò di loro fu Guy Stevens, un dj dello Scene, uno dei
primi club underground londinesi, il quale possedeva una delle più notevoli
collezioni di dischi del paese ed era diventato una delle figure più
chiacchierate della nascente cultura mod. Personaggio eccentrico, eclettico e
visionario, Stevens, nato nel 1943 a East Dulwich nella parte meridionale di
Londra, fu il primo a procurarsi i dischi della Chess, della Stax e della
Motown fornendo materiale a Stones, Animals, Yardbirds e Who quando ancora
questi si chiamavano High Numbers. Agì da talent scout nella rivoluzionaria
Island di Chris Blackwell e il primo gruppo che
mise sotto contratto furono gli Art. Seguirono gli Spooky Tooth e produsse l'opera LSD Hapshash
and Coloured Coat featuring The Human Host and The Heavy Metal Kids. Ghiotto
consumatore di anfetamine e alcol, mise in contatto il paroliere Keith Reid col
tastierista Gary Brooker e così nacquero i Procol Harum, produsse Free, Heavy
Jelly e Mighty Baby e fu il fautore della trasformazione della Island con la messa in scuderia di
Traffic, Fairport Convention, Jethro Tull e King Crimson. Era solito dire "ci sono solo due Phil Spector nel mondo ed uno dei due sono
io". Arrestato per possesso di
droga, in prigione ebbe la "visione", quella di concepire una band
che fosse la stridente collisione tra il Bob Dylan elettrico e gli Stones. Trovò
anche il nome, Mott The Hoople,
titolo di una novella di un tale Willard Manus che aveva letto in cella. Sapendo
di essere inadatto come cantante, Guy Stevens cercò un gruppo di musicisti in
grado di soddisfare la sua intuizione e quando ricevette i demo da Pete Overend
Watts capì di averlo trovato. Si trattava di strumentali perché momentaneamente
il cantante del gruppo, tale Minus Tippins era fuori gioco per questioni di
gola ma quello che lo convinse fu il suono dell'Hammond di Terry Allen, poi
ribattezzatosi Verden Allen, che nel
frattempo si era aggiunto a quelli che da Doc Thomas Group erano diventati Silence.
Stevens cambiò immediatamente il cantante, Tippins sarebbe divenuto road
manager così che davanti necessitava una figura di ben altro carisma. Lo trovò
dopo un inserzione sul Melody Maker in Ian
Hunter Patterson, nato nel 1939 a Shrewsbury, cantante e pianista
innamorato di Jerry Lee Lewis, il quale con quell'aria enigmatica e quegli
occhiali scuri aderiva proprio all'immagine che Stevens aveva in mente. La band
che per il momento si faceva chiamare Savage Rose & Fixable iniziò a
provare al Pied Bull nel quartiere londinese di Islington e nelle prime
registrazioni si trovano le cover di Laugh
At Me di Sonny Bono e At The Crossroads del Sir Douglas Quintet di Doug Sahm. Mutato il nome in Mott The Hoople la band
inizia ad esibirsi nei club e a destare curiosità proprio per l' unicità di
riversare il ruvido gesto degli Stones nelle liriche ballate di Dylan, un
compromesso che fu possibile grazie all'inconfondibile apporto ritmico di
Overend Watts, all'uso delle due tastiere, alla cruda ed efficace tecnica
chitarristica di Mick Ralphs e soprattutto alle lunari e meditabonde ballate
scritte a cantate da Hunter. Per il
primo album si pensò addirittura ad un titolo come Talking Bear Mountain Picnic Massacre Disaster Dylan Blues se on
fosse che Guy Stevens capì lo scarso appeal di un nome così derivativo ed incitò
la band ad aggiungere qualcosa di più rock alle ballate. Cosa che
immediatamente avvenne con la scrittura e l'esecuzione di Roack and Roll Queen, un anthem che puzzava di Stones e glam fino
al midollo. Diviso tra graffi elettrici e ballate l'album omonimo pubblicato
nel 1969 e primo CD di questo box testimonia di una band fuori dai clichè
dell'epoca, da una parte la riproposizione del rock n'roll in forma schietta e
decisa, ovvero come portare i Kinks
a Memphis, dall'altra la sensibilità del songwriting di Hunter resa evidente
nella meravigliosa versione di At The
Crossroads, in Laugh At Me e in Backsliding Fearlessly, un omaggio
talmente evidente a Dylan da
sembrare uscito da un suo disco. Ma l'album si apre con una versione
strumentale di You Really Got Me dei
Kinks, riproposto nelle bonus tracks con una convulsa e arrembante full take di
undici minuti ed un altro mix con la voce dello stesso Guy Stevens. Scrivono
sostanzialmente in due, Mick Ralphs e Ian Hunter, tra le tracce del primo
spicca oltre a Rock and Roll Queen l'epica
(oltre dieci minuti) Half Moon Bay, monumentale
dimostrazione della schizofrenia musicale della band, autentica anomalia nel
già contradditorio paesaggio rock del 1969, contraddistinto da una molteplicità
di segni, dal disastro di Altamont alla transizione di Hendrix nella Band Of
Gypsies, dall'uscita di Led Zeppelin alla nascita del prog
con King Crimson e Van Der Graaf Generator, dai semi punk sparsi da MC5 e
Stooges al mondiale successo commerciale dei Creedence Clearwater Revival. Tra
le otto bonus tracks aggiunte alle otto tracce dell'originario album Mott
The Hoople vale la pena di citare due versioni di Road To Birmingham di Ian Hunter, canzone antirazzista che traccia
un parallelo tra la Birmingham inglese e quella americana per gli identici
problemi di accettazione ed integrazione della popolazione di colore.
Con
a bordo il tastierista Verden Allen ed il batterista Dale "Buffin" Griffin,
i Mott The Hoople tornarono nell'agosto del 1969 alla Batcave di Riccione prima
di girare nel circuito dei club inglesi costruendosi la fama di eccitante nuovo
set dal vivo, prefigurando per via del loro abbigliamento, dei loro stivali con
le zeppe e della loro poca indulgenza verso gli assoli chilometrici, l'arrivodel
glam. Così definì la situazione il chitarrista Mick Ralphs " non eravamo come le altre band dell'epoca,
tutti quei gruppi che si prendevano troppo sul serio e si lanciavano in quegli
assoli interminabili. Noi eravamo un po' più radicali, diversi ed eccitanti,
anche un po' pericolosi, ma riuscimmo a costruirci una affezionata base di
pubblico che ci veniva a vedere ovunque suonassimo. Dovunque andassimo
provocavamo interesse e disordine".
Le
dieci mila copie vendute del disco indussero i Mott, dopo l'incessante serie di
show, a tornare in sala di registrazione con Guy Stevens di nuovo nelle vesti
di produttore ma l'incalzante follia di quest'ultimo attribuibile ad un sempre
più massiccio uso delle anfetamine ed il drammatico divorzio patito da Ian
Hunter, conferirono a Mad Shadows un aspetto sinistro, un
pazzo esercizio sonoro nel caos e nell'oscurità. I Mott occuparono lo studio 1
degli Olympic Studios con Andy Johns
e Chris Kimsey messi di fianco a
Stevens, mentre nello studio 2 c'erano gli Stones a provare Brown Sugar. In quella situazione Mad
Shadows fu, come affermò lo stesso Stevens, "un incubo creativo". Una delle canzoni che fotografa lo stato
esistente è When My Mind's Gone di
Ian Hunter la cui voce soul torturata su un pianoforte blues diventa una diretta
confessione della precarietà psicologica esistente in quel momento all'interno
del collettivo. Il disco ancora oggi
emana una sua bellezza e profondità amplificando la schizofrenia stilistica del
primo album, da una parte gli sguaiati e crudi rock n'roll del genere di Thunderbuck Ram ( la versione nelle bonus tracks è ancora più tirata e
zeppeliniana),di Threads of Iron, quasi
una anticipazione heavy-metal, e di Walkin'
With a Mountain, oltre alla rabbiosa
You Are One of Us, e dall'altra le
ballate dylanesche di Hunter, la superba No
Wheels To Ride con Ralphs in gran spolvero,una I Can Feel con Hammond alla Procol Harum ed una melodia che si
pappa tutte le presunzioni prog prossime a venire, oltre alla sofferta e
pianistica When My Mind's Gone. Anche in questo caso otto bonus tracks
aggiunte alle sette del disco originario. Ci sono la versione demo di No Wheels To Ride, le inedite Moonbus (Baby's Got A Down) e The Hunchback Fish e la versione studio
di Keep a Knockin' di Little Richard.
La
pubblicazione di Mad Shadows ebbe delle complicazioni, la foto dei musicisti con
maschere d'argento e tuniche da monaco fu sostituita con una copertina dal vago sapore satanico. Il primo
tour americano dei Mott The Hoople iniziò il 29 maggio del 1970 a Detroit e
raggiunse l'apoteosi al Pop Festival di
Atlanta quando il gruppo si esibì davanti a 400 mila persone. Dopo meno di un
anno la loro reputazione era cresciuta a dismisura, erano una selvaggia live
band che faceva della musica americana con attitudine inglese. Il nuovo disco
aveva però sancito le distanze con Guy Stevens, non più il sesto Mott ma un
uomo in preda ad un delirio autodistruttivo. I Mott The Hoople cessarono di essere
la band di Stevens nel momento in cui Ian Hunter scrisse When My
Mind's Gone, questi era ormai la figura centrale e carismatica della band
sebbene sia Ralphs che Watts sembravano indispensabili nella loro economia
sonora, e così scelsero di autoprodursi andando a registrare il terzo album Wildlife
tra novembre e dicembre del 1970 agli Island Studios di Londra. La scelta dell'overdubbing piuttosto che una registrazione live accontentava le
suggestioni country-rock di Mick Ralphs che con Whiskey Women dedicata alle groupie del Whisky A Go-Go di Los
Angeles, con Wrong Side of The River, con
l'ariosa It Must Be Love e con la
cover di Melanie Lay Down sbarca in
California. I titoli di Ralphs provenivano dalle session
di Mad
Shadows ma rimessi a nuovo per Wildlife finirono per non
accontentare sia lui che Hunter, incerti su una produzione reputata troppo
diluita, troppo "per bene". Personalmente reputo Wildlife un ottimo album
proprio per quell'umore pastorale e autunnale che già la foto di copertina
trasmette, in linea con le copertine dei dischi del periodo di Traffic, Jethro
Tull, Spooky Tooth guarda caso tutte produzioni Island. Le ballate suonano
sontuose, la voce di Hunter è sofferta e melodrammatica in Waterlow, la malinconia diventa struggente in Angel of Eight Avenue, una delle più grandi New York song mai
scritte, e l'autobiografica Original
Mixed Up Kid arriva ad evocare il country-pub-rock dei primi Brinsley
Schwartz. Dal vivo è la lunga e rovente Keep
A Rockin' di Little Richard dove Hunter sciorina tutto il suo amore per Jerry Lee Lewis. Nelle bonus tracks
sono riportati titoli usciti a 45 giri (The
Debt, Midnight Lady, Downtown) più altro materiale tra cui gli inediti The Ballad of Billy Joe di Hunter, Growing Man Blues, Long Red e la cover di Neil Young Downtown. Con Wildlife
i Mott riescono a conservare la nostalgia di Dylan in una salsa chutney
di sapore inglese e a dispetto della loro sauvagerie
dal vivo, in studio riescono a declinare le immagini tipiche del rock in
liriche sottilmente personali con canzoni d'amore su passati fallimenti e quotidiani turbamenti,
senza perdere il sottile umorismo british.
A
causa della tiepida accoglienza ricevuta da Wildlife, i Mott tentano
la carta del singolo da classifica, si fanno aiutare dal produttore dei Vanilla
Fudge George "shadow" Morton
e a metà del 1971 pubblicano Midnight
Lady ( bonus nel terzo CD) guadagnandosi un passaggio a Top of the Pops. Il
retro del singolo è occupata da un'altra bonus qui riportata, ed è l'ennesima
ballata firmata da Hunter, The Debt. Ma
il punto climax dei loro anni con la Island, almeno per quanto riguarda le
esibizioni, è il concerto alla Royal Albert Hall di Londra nel secondo
anniversario della loro esistenza. Un concerto pazzesco iniziato in
sordina con cinque brani lenti tra cui
la versione di Like a Rolling Stone e
poi impennato a tal punto da generare una risposta di pubblico ed un caos pari
alla Beatlemania. Sedie rotte, danni al locale, l'entusiasmo dei presenti debordò
fino a mettere a dura prova lo storico teatro londinese a testimonianza di
quanto fossero trascinanti i Mott in concerto e quanto fosse travolgente ed
eccitante il loro show. "Facevamo
ogni cosa contro le convenzioni-ha detto lo scomparso Mick Ralphs-era l'attitudine punk in un'era pre-punk,
portavamo la gente al delirio e la loro reazione poteva essere incontrollata
tale da causare danni all'edificio. Ma non facevamo nulla affinché le persone
si mettessero le une contro le altre, solo eccitazione ed entusiasmo con la musica".
Sapendo
che il contratto con la Island era ormai in scadenza, i Mott tentarono col
nuovo album di recuperare la primitiva energia degli esordi. Guy Stevens in uno
dei suoi momenti di lucidità obbligò la band a riregistrare live e a rinominare
alcuni brani che avevano gi inciso. Così How
Long divenne Death May Be Your Santa
Claus, compare One of The Boys che
sarà pubblicato come singolo solo nel 1972,
e Mental Train fu reinventato
come The Moon Upstairs. Nel lotto
entrarono una canzone di Dion sulle
dipendenze, Your Own Backyard ed un
personale rifacimento di Darkness,
Darkness degli Youngbloods.
Anche Verden Allen si mette a scrivere, nella sua Second Love si sentono perfino delle trombe dal vago sapore mariachi
ed in Mental Train il suo moog apre a
sonorità progressive. Ma pur spostando di poco il loro baricentro verso il
montante hard-rock, i Mott non snaturano la loro indole e la devastante ballata
The Journey stabilisce le coordinate
della loro musica e l'abilità di Ian Hunter nello scrivere e cantare canzoni
che lacerano il cuore. Quello che avrebbe dovuto intitolarsi prima come Brain
Damage e poi Bizarre
Capers esce come Brian Capers, ultimo album di una
storia ancora lunga ma completamente diversa, il cui secondo capitolo sarebbe iniziato
di lì a poco con All The Young Dudes.
Brian
Capers uscì nell'agosto del 1971 e Guy
Stevens lo volle dedicare a James Dean nel significato di ribelli con una causa da perseguire che furono i Mott The Hoople
tra il 1969 ed il 1971. Il mese seguente la band si esibì in un trascinante
concerto al Fairfield Hall di Croydon dove misero in campo i furiosi nove
minuti di You Really Got Me, una
medley tra la loro No Wheels To Ride e
Hey Jude dei Beatles, una versione punk-rock di Keep a Knockin' di Little Richard, i loro due cavalli di battaglia Rock and Roll Queen e Thunderback Ram e pure Ohio di Crosby,Stills, Nash & Young. Tutto ciò viene documentato nel
sesto CD del box Mentail Train, compresa la registrazione live effettuata per
Radio 1 della BBC nel dicembre di quell'anno con The Moon Upstairs/Whiskey Women/Your Own Backyard/ Darkness,Darkness/The Journey e The Death May Be Your Santa Claus. Ma è
il possibile canto del cigno, all'inizio del 1972 la band è percorsa da
tensioni interne e non basta la registrazione di Black Scorpio e Ride on the
Sun per un nuovo album per rimettere
in sesto la situazione. Ci penserà David Bowie, ma in quei due anni a cavallo
di due decadi i Mott The Hoople furono davvero un'esplosione di caos
controllato, lucida pazzia e ballate disperate in grado di lasciare un impronta
futura nel rock, sia si tratti di glam o di punk e di quello che poi sarà
definito americana. Tanti i loro
sostenitori, a cominciare da Jeff Tweedy e Joe Strummer, come disse Mick Jones
" se non fosse stato per loro non ci
sarebbero stati nemmeno i Clash".
Il quinto CD di Mental Train, assemblato
per l'occasione riassume dodici ballate dei Mott con un frammento di Like A Rolling Stone e diversi inediti, ulteriore
celebrazione di una band che con la sua musica aveva costruito un ponte tra le
due sponde dell'Atlantico.
MAURO ZAMBELLINI OTTOBRE 2018