Qualche mese fa, quando venne annunciato il nuovo
tour, scrissi sulla mia pagina di facebook che questo sarebbe stato il mio
ultimo concerto di Springsteen. Ho cominciato a vederlo nel 1981, a Zurigo, nel
tour di The River e dopo 35 anni col The River Tour Revisited mi sembrava l'occasione giusta per
chiudere un cerchio, anche perché gli ultimi show a cui avevo assistito, in
particolare quello di Udine del 2009 e Milano 2013, quando presentò l'intero Born
In The Usa, mi avevano lasciato un po' l'amaro in bocca. Quaranta concerti
visti del Boss nel corso degli anni, con la E Street Band, solo e con quella
stramba band del 1992/93 potevano bastare, i sogni non durano all'infinito, ma
dopo il concerto visto ieri sera a San Siro, 3 luglio, non sono così sicuro di
mantenere fede alla mia affermazione. E' stato emozionante, tanto emozionante,
ancora una volta, ancora adesso che ho più del doppio degli anni che avevo nel
1981, ho vissuto una serata in cui un
cantante, un rocker e la sua band hanno investito una folla di sessantamila
persone di una gioia collettiva indescrivibile, ignota a coloro che non hanno
mai visto un concerto di Bruce, ragione per la quale la stragrande maggioranza
di chi la prova ritorna a suoi concerti, ragione per cui il sottoscritto mette
in discussione l'affermazione fatta. Si è vissuto un'altra volta una comunione
generale di felicità, allegria, coinvolgimento, una magia che viene trasmessa
dagli artisti e recepita dal pubblico in maniera biunivoca, trasformando un
semplice evento musicale in qualcosa di trascendentale pur con le connotazioni
squisitamente terrene del rock n'roll, come se la spiritualità si fondesse con
un piacere fisico e sensuale. Non si va più, almeno per chi lo conosce da
tanto, ad un suo concerto per cercare una reason
to believe ma per gioire, far festa, liberare corpo e mente in un sabba
collettivo di suoni elettrici e ballate da far accapponare la pelle.
Devo ammettere che prima del concerto avevo qualche perplessità, alimentate da qualche ascolto su youtube delle esibizioni
precedenti e un po' condizionato dal turbinio di cose lette sui social, qualcuna
sensata, molte ingiustificate, altre fastidiosamente devozionali da rasentare
una sottomessa fede religiosa, altre pretestuose come quelle che, giustificate
dal caro-biglietto (non esclusivo comunque di un concerto del Boss) si inoltravano
in analisi marxiste-leniniste della sua vita borghese arrivando a bollare
l'artista un venduto al capitalismo della società dello spettacolo, un
prezzolato. Altre ancora che, rimanendo nell'alveo di com'era verde la mia valle lo accusavano , con la messa inscena degli spettacolini
dei recenti tour con bambini sul palco e il karaoke dei cartelli, un clown, una
sorta di scoppiato come Elvis Presley a Las Vegas. E' pur vero che in Italia la prassi di chi fluttua da
una barricata all'altra con identica foga è ben diffusa in molte manifestazioni
sociali, ma l'astio nei confronti dell'artista e del suo concerto mi sono parsi
esagerati e anche ridicoli, specie per un ambito musicale. In più si erano messi i
tanti che si sentivano traditi dal fatto che il nuovo The River Tour 2016 avesse perso per strada molte canzoni
di quel disco e così gridavano alla truffa. Tutto ciò a Milano il 3 luglio non
è avvenuto perché di quel disco sono state eseguite ben 14 canzoni (su 20). Qualche perplessità la nutrivo anch'io e l'ho tuttora, perché se è vero che il
concerto nel suo insieme mi ha emozionato oltre ogni previsione, e alla fine
coinvolto, è pur vero che la resa vocale di
Springsteen specie nei brani più strillati e focosi di The River, e mi riferisco
a Jackson Cage, Two Hearts, Crush On You,
Out In The Street, I'm Rocker, è piuttosto sofferente e mostra i limiti degli anni,
che alcuni classici come The River, The
Promised Land e Born To Run non
siano stati all'altezza delle esibizioni migliori, che la stecca all'inizio di Drive All Night è parsa imbarazzante e
che Spirit In The Night, canzone che
amo alla follia, sia stata trattata quasi con una sufficienza da crooner
privandola di quell'enfasi notturna e soul-blues che possiede. Ma con tre ore e
quarantacinque minuti di show ed una scaletta record di 36 titoli, perché di
show si tratta anche se non ci sono luci e trucchi da avanspettacolo, queste
sono cose non solo perdonabili ma secondarie, specie per un'artista che ha sulle
spalle 67 anni e da una band, che a parte Jakob Clemons, è abbondantemente over
sixty.
le foto sono di Lorenza Inquisizia Maggi
Il circo rock? il karaoke?, beh se circo si tratta, ci faccio l' abbonamento
stagionale perché un circo cosi divertente e travolgente non ce ne sono in
giro, il rock n'roll continua a girare a manetta, le chitarre urlano e la band,
"ridotta" ad otto senza il caravanserraglio degli
ultimi anni, si è rimessa in riga ed è tornata ad essere una rock n'roll band. Little
Steven è più credibile, sia nei duetti che con la chitarra, Nils Lofgren fa le
sue giravolte e dovrebbe, comunque, essere usato di più visto le sue qualità
tecniche, le due tastiere si passano la palla tra organo, piano ed elettronica
varia, Max è rimasto il solito picchiatore, Soozie Tyrrell il tocco femminile
che ci vuole ed il bassista Garry Tallent un bassista che meriterebbe molti più
elogi di quanti ne ha visto la precisione, l'essenzialità, il taglio rocker del
suo stile. Jakob ce la mette tutta, è
fin tenero nel suo sforzo di imitare lo zio, quando l'assolo di sax è secco, conciso,
shouter è brillante, quando, nella Jungleland
da brividi con cui si è aperta la parte finale della prima esibizione
milanese, deve enfatizzare l'epica sinfonia di un film in bianco e nero, è
bravo, volenteroso ma gli manca quel romanticismo e quel lirismo che il sax
dello zio sapeva infondere al brano. E poi c'è Springsteen che ha allentato il
suo lavoro chitarristico forse per via di un gonfiore alla mano, come si poteva
vedere dallo schermo, ma si prodiga come uno showman totale, cantando,
presentando, agitandosi, buttandosi tra il pubblico, passeggiando sulle pedane
laterali, urlando a squarciagola, ballando e abbracciando le ragazze raccolte dal
pit in Dancing In The Dark, uno dei
pezzi leggeri del suo repertorio che il sottoscritto immancabilmente si ritrova
a ballare spensierato come fosse la Miss
You della E Street Band. E poi si immerge nel pathos di ballate che, per
chi scrive, sono state la parte più struggente e significativa del concerto. Indipendence Day e Point Blank un tuffo al cuore e mi hanno ributtato indietro negli anni, allo Springsteen dell'81 a
Zurigo e a quello imparato a memoria nei bootleg del '78, quest'ultima
rallentata a narrazione per aumentarne il taglio drammatico, e così Drive All Night lenta, malinconica, cupa
fino alle lacrime, impreziosita dalla citazione di Dream Baby Dream, e Jungleland
la sinfonia newyorchese che ogni vecchio fan di Springsteen vorrebbe
sentire. E ha sentito, ha applaudito, ha chiuso gli occhi e vissuto fino
all'ultima nota, assieme all'incredulità del numeroso pubblico giovane
presente, un ricambio generazionale così ampio che nessun altro grande nome del
rock vanta in questi anni . Certo questo pubblico del pit,
"nato" con e dopo The Rising, brano accolto con un ovazione pari a quella di The River e Born In The Usa, è anche quello un po' invadente della
cartellonistica e del karaoke perché mi faceva specie vedere Bruce catapultarsi
tra il pubblico tra cartelli piazzati a pochi centimetri dal viso, ma fa parte
del circo ed il 3 luglio le richieste hanno permesso Lucky Town e ad una strepitosa versione nuggets fifties di Lucille di
Little Richard, uno dei tanti momenti rock n'roll dello show. Indimenticabile,
allo stesso modo dello scatenato rockbilly-blues di Working On The Highway, di Ramrod,
di You Never Can Look (But You Better
Not Touch) e di My Love Will Not Let
You Down dove si è sentito un crescendo nella parte strumentale da togliere il fiato .
Un pubblico unico quello di Milano, the best public in the world come ha
sottolineato Bruce, una festa
collettiva che ha avuto l'apoteosi quando tutto lo stadio illuminato a giorno
si è alzato in piedi e ha ballato sul tema funky-soul di Tenth Avenue Freeze Out, e sullo schermo sono comparse le immagini
della E-Street Band e dei suoi defunti, e su una lunghissima e caracollante Shout nella quale Bruce con un brano
degli Isley Brothers ha portato 60 mila persone "a vedere la luce" dal
reverendo James Brown e dato fondo alla sua ultima goccia di sudore dopo una titanica
performance di 225 minuti (certo come capitalista lavora più di Stakanov),
prima di zittire San Siro in una commovente versione in solitario di Thunder Road, ultima magia di un
concerto non perfetto ma emozionante, corale e con una scaletta da favola. Questo è Bruce, una volta ancora.
MAURO
ZAMBELLINI 4 luglio 2016
8 commenti:
Il tempo si porta via tante cose, altre ci restano attaccate sulla pelle del cuore, come quelle ballate di cui parli . Certo non è più' la stessa cosa (e mai potrebbe esserlo) di quel mitico 1981, dove un pugno di ragazzi si sono fatti di sogni come fossero tossici. Oggi Bruce resta un grande rocker, con una grande band, e un grande show. Ma tu come al solito, sei troppo onesto per non far trapelare che certe emozioni sono belle e andate. Come la nostra giovinezza.
p.s. resti sempre il più' bravo a raccontare di Bruce.
Io c'ero. Sono nata nel 1981, cresciuta con i suoi dischi ed ero per la terza volta a San siro, con il mio pancione di 8 mesi, per far sentire il boss a mia figlia. Si, anche il boss sta (splendidamente) invecchiando, ma l'emozione, l'energia, la sua voglia di dare amore in forma di musica, quelle ci sono sempre. E' sempre una festa, con la gente che balla sugli spalti e si accalca sotto il palco piena di gioia. Famiglie, ragazzi, vecchie glorie e lui che si fa toccare, baciare, che cola sudore e continua a cantare fino allo stremo. Questo e' rock and roll.
Scaletta eccellente, performance portentosa anche quando non ineccepibile, intensità al solito disumana. Era la mia 17esima volta e anch'io dico sempre che sarà l'ultima ma alla fine ci caschiamo e stiamo ad aspettare l'annuncio del prossimo tour. E' una liturgia, non c'è niente da fare. Qualcuno lo vorrebbe da solo, qualcuno acustico, qualcuno in versione seeger session; c'è chi lo critica per gli ultimi (discutibili) dischi e chi per il "caro" biglietti. Ma alla fine San Siro si riempie 2 volte per vedere il miglior performer mai esistito su un palcoscenico e grazie all'alchimia con un pubblico speciale archiviamo sempre delle esibizioni da brividi (è l'unico che riesce a creare atmosfera e calore da club con davanti un immenso catino di 65.000 persone). Coerenza, generosità, energia pura e senso di appartenenza: lo seguiamo e lo ringraziamo sopratutto per questo. Altrimenti non mi sarebbe venuto l'ennesimo magone sul finale di Drive all night .
Grazie anche a te Mauro, il miglior scriba delle fiabe springsteeniane.
Paul
Questa volta l'ho volutamente saltato e leggendo questa bella recensione ad opera di Zambo me ne rammarico pur avendo rispettato le scelte di Springsteen e del suo staff. Semplicemente non riuscivo a dare un senso a questo tour ma lo dice ancora una volta Zambellini, che la prospettiva è cambiata almeno per quel che riguarda Bruce con la sua E. Street. Di questi tempi cosi critici e "oscuri" un happening di questo tipo ha sicuramente un significato forte è la condivisione di tale evento ha sicuramente abbracciato più di una generazione.Intenso e commovente il resoconto di Mauro e belli tutti gli altri interventi...non mi resta che aspettare le prossime mosse del "capo" e magari un riepilogo sull'operato di Bruce(di questi ultimi e strani anni zero) da Mauro in occasione del prossimo album.
Armando Chiechi
Zambo è tornato, con questa recensione sembra quello di 30 anni fa, prima che prendessero il sopravvento i Dylan e i Van Morrison di Caru' (questo lo farà arrabbiare, ma io 30 anni fa già lo leggevo e lo so...) ed è tornato a darmi la giusta chiave di lettura perché anch'io qualche dubbio sugli ultimi lavori l'avevo avuto (e anche sull'ultimo San Siro tutto Born in the USA). Bruce non è più qui a salvarci la vita con il r'n'r come quando avevamo vent'anni, è qui per fare festa con i suoi amici di una vita, e quindi non si può mancare, per nessuna ragione. Certo che quando senti le prime note di Racing in uno stadio in religioso silenzio e i brividi ti prendono come 30 anni fa ti tornano in mente le parole di uno che il Boss lo conosceva bene, Big Man: "quel ragazzo scrive cose meravigliose...". See you in the Promised Land
Luca Rossi
Ciao Luca e grazie per l'apprezzamento, condivido quello che tu dici di Springsteen oggi. Altro nodo è il mio ruolo, onestamente a livello di pensiero mi sembra di essere stato sempre lo stesso anche se non scrivo per il Mucchio ma per il Buscadero e prima per Jam e Feedback. Sono invecchiato come tutti ma a livello di musica non ho mai cambiato i miei gusti, semmai ampliati anche se da quello che scrivo spesso non si vede perché non è che scrivo su tutto, molto lo tengo per me. Nessuno mi ha mai imposto cosa scrivere tanto meno oggi nel Buscadero. Scrivo in quel giornale perché ho scelto io e nessuno me l'ha imposto, di quel giornale ne vedo vizi e difetti, come anche meriti, ma proprio perché ci scrivo in libertà senza che nessuno mi comandi e condizioni, e tantomeno io ne condivida in toto scelte e gusti, posso scrivere a mio piacimento seguendo i miei istinti e i miei gusti. Chi mi segue vede che tra me e Buscadero spesso c'è un abisso ed è vero, ma io tengo alla mia individualità essendo fondamentalmente anarchico e questo mi porta a non avere santi, visto che in tempi recenti ho parlato male di High Hopes di Springsteen e pure il Dylan-Sinatra e magari faccio ironia a certe cose degli Stones, per dirti di artisti popolari che amo. Ci sarà comunque sempre chi mi associerà a Carù ma la storia è talmente trita e ritrita che è venuta a noia anche a chi legge, e poi detto tra noi ho comperato un disco di Van Morrison (It's Too Late Stop Now vol.2,3,4) dopo 25 anni (Hymns To Silence) e nessuno nel Buscadero si è sentito di dirmi qualcosa. A presto e grandi concerti quelli di Milano, mi è dispiaciuto non essere la seconda sera, Somethin In The Night e Racing In The Streets sono tra le e canzoni che più amo.
Mauro, io ho cominciato a leggerti sul Mucchio e grazie ai tuoi racconti ho atteso con ansia il mio primo concerto di Bruce (Verona 1993). Ora sono in treno ed ascolto Bruce e penso che - se un uomo di 67 anni - riesce ancora ad emozionarmi vuol dire che le sue canzoni non hanno eta'
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