Cambio di formazione rispetto all’album precedente Ol’
Glory di cinque anni fa, dei vecchi Mofro sono rimasti il bassista Todd
Smallie e i due trombettisti Marcus Parsley e Dennis Marion, l’unico sassofono
ed il flauto sono ora in mano a Kenny Hamilton, c’è una terza tromba, John
Reid, il chitarrista è Pete Winders, il tastierista Eric Brigmond e la sezione
ritmica è composta dal batterista Craig Barnett e dal percussionista Eric
Mason. Un nutrito cast di voci, il fagotto, il fadolin (uno strumento a sei
corde usato come un violino ma capace di creare anche i suoni di una viola ed
un violoncello) ed un trombone completano la big band, a cui si aggiunge in un
paio di brani l’Orchestra Sinfonica di Budapest.
Come si evince dallo schieramento in campo, l’album
presenta una diversa complessità rispetto ai precedenti lavori e lo si nota
subito con l’iniziale The Sea un’ode
all’amato oceano, lenta e melodica dove l’orchestra ne sottolinea il clima di
tranquillità, accompagnata dal pianoforte e dalla chitarra acustica. Il verso io appartengo al mare/casa dei liberi
svela il profondo coinvolgimento dell’autore in simile contesto. Di tutt’altra
pasta la seguente Top of the world, le
coriste rispondono alla chiamata di JJ Grey mentre la sezione fiati imbandisce
un banchetto di musica New Orleans. Se
sei venuto per cambiare il mondo, lascia che ti mostri la porta-canta JJ
Grey e il brano si trasforma in una musica festosa e contagiosa, prima che la
seguente On a breeze rallenti il
ritmo pur mantenendo intatta la carica
di speranza in oh my love, che tu possa
vedere cieli sereni e tutto ciò che meriti. Con Olustee ritroviamo il JJ Grey del passato in una storia che evoca i
tragici incendi che hanno devastato sette contee della Florida settentrionale
nel giugno 1998 provocati dai fulmini sulle campagne aride. Il brano è forte e
duro, il lungo devastante assolo di chitarra elettrica dà la sensazione del
pericolo e del fuoco che incalza, una esortazione a correre più forte per
scampare la morte. L’incendio costrinse a chiudere 135 miglia della highway 95
che collega Jacksonville e Titusville e sospendere l’annuale competizione del
Daytona International Raceway. L’alternanza di R&B e ballate trova conferma
in Seminole Wind, cover di John Anderson, un grido per la
preservazione delle Everglades : il
progresso è arrivato e ha voluto il suo prezzo, ed in nome del controllo delle
inondazioni hanno fatto piani per prosciugare la terra, ora le radure si stanno
inaridendo. Il soul-rock ecologico di JJ Grey prende la piega di una
ballata con le trombe al centro della canzone ed un crescendo corale che
racchiude tutto il dolore dell’uomo delle paludi nel veder compromessa la
ricchezza del territorio dove lui, la sua famiglia, gli amici e la comunità
sono vissuti in equilibrio con la natura. Il rhythm and blues di casa Stax si
fa strada prorompente in Wonderland, coriste
all’attacco e ritmo che incalza con tutta la sezione fiati alle spalle, mentre
la seguente Starry Night come da
copione allenta la tensione elettrica dando spazio agli arrangiamenti d’archi e
all’abbraccio di un canto d’amore che si conclude con la sezione fiati in
avanscoperta. Free High è energia
allo stato puro, stacchi, urla, schiamazzi gioiosi, Sly and Family Stone sugli
scudi ed un arrembante voglia di far casino con tutto quanto di meglio l’epoca
d’oro del soul e R&B ha lasciato dietro di se. Ancora soul ma lento e
appassionato in Waiting dove l’autore
confida non sono mai stato ciò che potevo
essere, e so che non è mai stata colpa di nessuno se non mia, mentre in Rooster canta la donna è l’anima di un uomo, riesce a tenere tutto insieme quando tu
non puoi, lei è la fonte da cui sgorgo, mi insegna molte cose che non faccio,
ma io sono un gallo e questo è un dato di fatto, quindi sai come mi comporterò.
E non poteva che essere un funky sincopato e nerissimo, dal ritmo dance ad
accompagnare tale affermazione di presunta virilità, per poi abbandonarsi alla
circospetta riflessione di Deeper than
relief, melodia fin troppo accorata e sinfonica con flauto e archi protagonisti,
per i modi schietti di JJ Grey e la sua band. Suona come la chiusura del
cerchio e si ricongiunge con la romantica, iniziale The Sea. Accantonati gli aspetti più strettamente blues della sua
musica, con Olustee JJ Grey &
Mofro
ci offrono una dimostrazione di quanto il rock o presunto tale sia
ancora credibile quando parla di preoccupazioni e sensibilità, un anima
inquieta in canzoni ricche di sentimento per la vita e l’ambiente con un sound
che appartiene di diritto alla tradizione southern.
MAURO
ZAMBELLINI MARZO 2024
p.s articolo retrospettivo su JJ Grey& Mofro su Buscadero di aprile