Questa è semplicemente la mia playlist personale, una
delle tante apparse in questo mese sui social. Nella lista che segue ci sono
solo dischi comprati o avuti rimasterizzati per donazione, qualche regalo,
molti dischi del 2019 non li ho ascoltati oppure li ho ascoltati su Spotify che reputo comunque un modo per avere
solo una idea generale del disco, senza quell'approfondimento che consente il
supporto fisico. Mi duole non aver ascoltato Free di Iggy Pop e i
Purple Mountains (su segnalazione dell'amico Lino Brunetti), spero di farlo al
più presto. Buon Anno.
disco
dell'anno
The
Delines The Imperial (El Cortez
Records)
Ci sono voluti cinque anni per dare seguito al già
ottimo Colfax causa un brutto incidente occorso alla cantante Amy
Boone ma il gruppo che fa capo al cantante/chitarrista/romanziere Willy Vlautin ha colpito nel segno. Ballate
malinconiche espressione di un'America provinciale dove le storie si consumano
nelle stanze di qualche desolato motel. Tristezza e candore, armonie
languide che trafiggono il cuore con la loro semplicità, atmosfere rarefatte
tra il folk, il rock ed il soul, più qualche spruzzata di country. The Delines riescono
a trasformare la desolazione esistenziale in una gioia tranquilla e riflessiva.
Grigio ma bellissimo.
classix nouveau
The Dream Syndicate
These Times (Anti)
Cambiare
per rimanere se stessi. Pur non entrando in rotta di collisione con il
riconosciuto stile dei Syndicate, These Times occhieggia ad un suono
più futuristico e spaziale dove l'elettronica, comunque ben dosata e
controllata, crea un immaginario proiettato oltre il crudo realismo rock urbano
della loro storia. Ci sono echi e suoni
riverberati, distorti e atmosferici, ci sono le ballate elettriche che ti
tolgono il fiato e c'è un flusso
inarrestabile di immagini e flash, versi e parole su tutto ciò di cui si parla
e si pensa oggi, un'opera moderna su un mondo che sta rapidamente precipitando,
cambiando in modo così celere e brusco. Un
sound meno chitarristico che in passato ma un sound che dice della
volontà di Stevie Wynn e soci di essere nel presente, una poetica visionaria a
contatto con lo stridore e la confusione di un mondo che ha davanti a se più
nebbia che speranze. Magistrale.
Chitarrista dalle doti straordinarie, anni di studio e
sperimentazione, collaborazioni con Michael Chapman, Kurt Vile e Mike Copper,
Steve Gunn è una splendida realtà del rock di oggi e come con il precedente Eyes
On The Line realizza un album straordinario e affascinante dove ballate
dall'andamento circolare e vagamente ipnotico trovano i sincronismi perfetti e
le fantasie strumentali di un band che espande il folk-rock verso un suono
cosmico e bucolico. Visioni da sogno, liriche profonde, mantrici raga e
riverberi chitarristici, melodie vagabonde, country-blues lisergico ed una
estrosità rara, The Unseen In Between è contemporaneamente fresco, cristallino
e acido. Unico.
Presentati inizialmente come una blues band, i torinesi
Gosple Book Revisited hanno saltato il fosso portandosi comunque appresso il
proprio bagaglio originario. Con Morning Songs Midnight Lullabies hanno
arricchito le dodici battute con una moltitudine di schizzi sonori,
arrangiamenti e aperture strumentali, deviazioni di percorso tanto da togliere
gli espliciti riferimenti alle sacre scritture in nome di un sound sfaccettato,
composito, a volte caustico, a volte dolce e tranquillizzante. Nelle canzoni
del mattino ci sono i graffi elettrici di Umberto Poli, l'urgenza espressiva,
la schiuma di un down-home agro che strizza l'occhio ai North Mississippi
Allstars, qualche distorsione di rock, nelle ninne nanne della mezzanotte c'è
il candore della cantante Camilla Maina, le carezze di suoni acustici, qualche
tocco etnico ed un pianoforte classico.
Due facce molto diverse ma legate da un desiderio innovativo che rende
giustizia ad un blues made in Italy che non si accontenta dei classici.
Lankum The
Livelong Day (Rough Trade)
Come far suonare le gighe e i reel irlandesi da John
Cale e i Velvet Underground. Arrivano da Dublino coi loro strumenti
tradizionali ma i quattro sono più avventurosi di un esploratore
dell'ottocento. Prendono il materiale tradizionale della loro terra, tra cui la
popolarissima The Wild Rover, e nelle
loro mani diventa un'ipnotica ed intensissima lamentazione corale di dieci
minuti con un montante intrecciarsi di chitarra, viola ed harmonium che si
trasforma in un bordone lancinante. I Lankum riescono a stare alla larga dai
luoghi comuni allineando composizioni proprie, cover, tradizionali e ballate
affogandole nella drone music con un atteggiamento eretico che unisce John Cale,
i mantra ed il krautrock. Heavy-folk visionario, potente, dark, conturbante ed
attraente.
Francesco Piu
Crossing (Appaloosa)
Dissacrante e luminosa reinterpretazione di Robert
Johnson, Francesco Piu porta il Delta blues in Sardegna e riveste il repertorio
dell'uomo dei crossroads in modo del
tutto anticonvenzionale con musicisti e
suoni della sua terra e con strumenti della più ampia tradizione mediterranea e
africana. Il risultato è un disco magico e misterioso, pieno di fantasia,
eppure moderno, dove il profondo amore per il blues dell'autore si salda con
l'amore per la sua terra e per l'umanità nelle sue diversità. Echi ancestrali e
trasfigurato country-blues, feedback elettrici e launeddas, sampler elettronici
e fisarmoniche, il mondo agro-pastorale a contatto di alchimie tribali, zufoli,
bouzouki e Gibson, Crossing emana energia contagiosa, è coraggioso e audacemente
innovativo. Un'altra testimonianza che non sempre siamo la periferia dell'
Impero.
Little Steven and the Disciples Of Soul Summer of Sorcery (Universal)
Little Steven, è lui oggi a tenere desto il ricordo di
quell'Asbury Sound che tanto ha contribuito alle nostre gioie rock. Miami Steve
Van Zandt oltre che musicista e produttore è un grande conoscitore di musica,
in primis quella legata agli albori del rock come il garage, il soul
psichedelico, il beat, la musica degli anni sessanta e tutte quei nuggets che hanno contribuito a porre le
fondamenta di ciò che è venuto dopo. Se il precedente Soulfire esplorava il lato più propriamente R&B con
tanto di annessi e connessi in quello stile che lo stesso artista definiva soul horns meets rock n'roll guitars, per
Summer
of Sorcery Little Steven va
ancora più a ritroso spingendosi ai suoi anni di gioventù quando le canzoni
facevano da colonna sonora dell'estate, quell' eccitante stagione in cui
ventenne ti innamoravi per la prima volta della vita, quell' emozione unica che
ti faceva sentire vivo. Al suono del rock n'roll che si mischia col garage, del
R&B che incontra la musica latina in quella dimensione che era propria di
certi sobborghi newyorchesi dove le contaminazioni e il melting razziale erano
già diffusi negli anni sessanta. E poi le chitarre e le festose voci femminili,
le percussioni portoricane e i fiati che grondano soul, gli arrangiamenti del
Wall of Sound e i coretti del doo-wop. Un collage sonoro festoso e contagioso, brillante e romantico, con una
delle ballate elettriche (Summer of
Sorcery) più emozionanti dell'anno, assolo di sax alla Clemons compreso.
JJ Cale Stay Around (Because)
Assemblato postumo con
materiale proveniente da diverse fonti ed età, Stay Around suona rilassato e caldo come uno dei più riusciti
album dell'Okie. Country-blues dolente e coccolante, accordi al minimo e ritmi
sinuosamente ipnotici, ballate arse dal sole e sussurri notturni, c'è tutto il
rinomato vangelo laid back in Stay Around senza una nota stonata, un accenno di
stanchezza ed una sensazione di vecchiume. Solo musica per sognatori schivi e
pigri. Più classico di JJ Cale non c'è
nessuno, il suo tocco chitarristico è inconfondibile, la sua voce ombrosa è una
carezza per l'anima, il suo blues è la dimostrazione che le cucine migliori
sono quelle che vanno di sottrazione, less
is better , e non di abbondanza. Uno stile, un maestro, ha vissuto con sua
moglie e i suoi animali isolato e tranquillo nella sua casa ai confini del
deserto senza mai mischiarsi al chiasso del circo mediatico, finanziandosi coi diritti
d'autore di canzoni (Cocaine, Call Me The
Breeze, After Midnight) che hanno fatto la storia del rock. Un gigante.
Jimmy "Duck" Holmes è colui che ha trasmesso
ai giorni nostri il Bentonia sound, un particolare sottogenere di Delta blues
reso celebre da Skip James. Bentonia è una località sperduta in mezzo al
Mississippi fatta di poche case e di un juke-joint, il Blue Front Cafè, che i
fine settimana si anima di blues e di gente locale che va a bere e ballare. Un vecchio pezzo
d'America resistito al tempo e alla modernità, dove la musica è l'unico
passatempo di vite spesso dimenticate. Holmes ha 72 e non ha mai smesso di
suonare il suo ruvido e spartano Bentonia blues ma in Cypress Grove raggiunge
vette eccelse grazie all' aiuto e all'attenta e misurata produzione di Dan
Auerbach dei Black Keys, il quale si è innamorato della sua musica e del suo
stile asciutto, arcaico, umano. Qualche pezzo solitario in acustico, molti
elettrici con l'aiuto di basso, batteria ed una ulteriore chitarra (Auerbach),
Jimmy "Duck" Holmes oltre ad avere un tocco caratteristico, possiede
una bella voce in grado di dare nuova lucentezza a classici come Cypress Grove, Catfish Blues, Rock Me Baby,
Little Red Rooster, Trian Train, Devil Got My Woman. Antiquariato povero ma
di classe.
Di Live dei Muli ne sono usciti parecchi ma se si
eccettua lo straordinario e monumentale quadruplo Live....from a little help from
our friends, questo per chi scrive è il migliore. Registrato al Capitol
Theatre di Port Chester, stato di New York, nel 25esimo anniversario della loro
nascita, è un tour de force incredibile di quanto possano dare i Muli dal vivo
in una delle venue da loro preferite. Rock, blues, soul, jazz, psichedelia,
reggae, i quattro ovvero il chitarrista e cantante Warren Haynes, il batterista
Matt Abts, il tastierista Danny Louis ed il bassista Jorgen Carlsson offrono il
meglio di se con una potenza ed un feeling
che solo poche band possono vantare oggi dal vivo, anche nell'ambito jam in cui
loro sguazzano. Meno duri e hard-rock che in altre occasioni, i Muli di Bring
On The Music raggiungono livelli stellari sia nelle loro composizioni che
nelle poche cover qui presenti. Sentitevi la medley Funny Little Tragedy/Message in A Bottle e ve ne renderete conto,
riescono pure ad essere la miglior punk band del pianeta. Esistono due versioni
di questo live, un doppio Cd con doppio Dvd e un doppio CD, peraltro molto diversi
tra loro nelle scalette, io ho acquistato il formato più semplice ma basta e
avanza.
Intendiamoci, questo non è ne un capolavoro ne un disco
minimamente paragonabile ai loro classici, anche se Townshend lo considera il
loro migliore dai tempi di Quadrophenia, ma è il dignitoso
lavoro di una delle band di British rock più longeve esistenti, che nella
routine di chi ormai ha i propri glory days persi nelle nebbie del passato sa
ancora infilare alcuni grandi assist. Così Who possiede canzoni che potete benissimo farne a
meno perché tirate un po' troppo per i capelli, succede con Street Song ad esempio, ed altre invece
capaci di trasmetter quel mix di solennità, potenza sonica ed epicità per cui
sono diventati famosi gli Who. All This Music Must Fade e Hero Ground Zero evocano il passato glorioso e non sfigurano, Ball and Chain cita Guantanamo e le
vergogne umane (le canzoni fanno riferimento allo stato esplosivo delle cose di
oggi), in altri momenti sono i tempi medi della ballata, qualcuna come I'll Be Back pure arrangiata con
l'orchestra, a completare un quadro per nulla misero e scontato. Ho preso il
disco dopo aver letto recensioni sconfortanti ma dopo un paio di ascolti mi
sono reso conto che la classe non è andata dispersa e c'erano ragioni per
guardare con simpatia a questi due vecchietti del rock, Townshend e Daltrey
(con loro ci sono il batterista Zak Starkey, il bassista Pino Palladino ed un
po' di invitati) che quando ingranano la marcia giusta regalano ancora grande
rock.
Sembra ridiventato di moda il soul tra le band di ultima
o penultima generazione. Non sto parlando di nu-soul o robe del genere ma del
vecchio caro soul di casa Memphis, Motown e Muscle Shoals. Diversi i dischi
usciti nel segno della musica afroamericana del passato pur con le sfumature e
le idee del presente, qualcuno di prossima pubblicazione come El
Dorado di Marcus King che, abbandonate per un attimo le jam
chitarristiche di rock-blues, si cimenta nel genere. Il più acclamato del 2019
è senza dubbio Michael Kiwanuka col suo Kiwanuka, artista che ha fatto il
pienone a Milano raccogliendo ovazioni ovunque. Personalmente lo trovo
piuttosto patinato per i miei gusti seppure decisamente interessante, ma è un
parere assolutamente opinabile, piuttosto preferisco dischi con un tasso di
rozzezza rock in più pur se collocati nelle melodie del genere soul. Mi sono piaciuti, senza strapparmi i pochi
capelli rimasti, gli australiani Teskey
Brothers, un quartetto di base a Melbourne che dopo l'album d'esordio del
2017, Half Mile Harvest, che
pareva una registrazione uscita dai Muscle Shoals, hanno bissato col nuovo
disco Run Home Slow ( Decca) . Ascoltando il loro disco del 2019 si pensa
subito al sound della Stax Records di Memphis, alle ugole arrochite dei soul
singers (splendida la voce di Josh Teskey) degli anni sessanta, a quel connubio
di suoni che attraversano il southern soul americano portandosi appresso una
slide di blues, la certosina chitarra di Eddie Hinton e tanto laid back. E
arrivano a lambire anche americana. Per navigare meglio nelle nuove acque
si sono fatti aiutare dal produttore Paul Butler , lo stesso di Michael
Kiwanuka.
Scoppiettante, euforico, energetico (il suo show al
Magnolia è stato uno dei miei concerti dell'anno) Nick Waterhouse ,
californiano figlio di una commessa e di vigile del fuoco, cresciuto ad Huntington
Beach, chitarrista e cantante ma anche collezionista di vecchi 45 giri di
R&B e alchimista di studio, ha sorpreso nuovamente con un disco che
focalizza tutte le qualità e le passioni di un artigiano fai da te,
contemporaneamente musicista, arrangiatore, produttore, songwriter e cantante,
in grado di riversare il fascino del vintage sound degli anni cinquanta in
melodie fresche e ritmi scavezzacollo atti a trasporre una musica senza tempo.
Co-prodotto con Paul Butler ( sempre lo stesso di Kiwanuka e Black Pumas oltre
che Devendra Benheart) e suonato con un po'di musicisti-amici Nick
Waterhouse (Innovative Leisure Record) elenca
undici composizioni che abbracciano senza soluzione di continuità il soul, il
rock n' roll della Bay Area, il rockabilly, swing e twangin'anni '50, il
R&B, la surf music con una omogeneità stilistica che l'autore tiene insieme
grazie ad un modo di suonare e cantare brioso, divertente, leggero, ricco di
trovate e dettagli dove c'è spazio per sassofoni e cori femminili. Un disco dal
fascino antico ma allegramente moderno. Piacerà a chi una volta apprezzava il
gesto di Ben Vaughn, Rainer Das Combo, Violent Femmes ma non disdegna neppure
Nathaniel Rateliff, Allah-Las, Lee
Fields e Ty Segal.
archives
Ho selezionato volutamente alcune ristampe a prezzo
contenuto perché, salvo eccezioni, trovo indecoroso il costo di edizioni deluxe
(la cui musica è già stata pagata a suo tempo) il cui prezzo esorbitante è (in)giustificato
solo dalla presenza di out-takes, spesso insignificanti, dalla confezione e dal booklet interno. Naturalmente ognuno può
spendere i propri soldi come vuole, ci mancherebbe, ma edizioni che costano 100
e passa euro fanno solo la gioia del collezionista più incallito. Non nascondo
che in passato per acquistare un box contenente tutti i vinili Decca
rimasterizzati degli Stones abbia pagato più di 200 euro ma non so se oggi lo
rifarei.
Rory
Gallagher Blues (Chess)
Tutto il blues dell'irlandese: acustico, elettrico e dal
vivo. Sangue, sudore, polvere da sparo. Diverso materiale già edito, altro no, un
triplo CD che è una chicca ed una goduria per cuore ed orecchie, per di più ad
un prezzo stracciatissimo.
The Rolling Stones
Bridges To Buenos Aires (Eagle)
La fede musicale come quella calcistica non si tradisce
ma se Bridges To Bremen era la
testimonianza di un concerto abbastanza di routine, questo show tratto dallo
stesso Bridges To Babylon Tour del
1997/98 è una bomba da qualsiasi parte lo si osservi, per la performance, per
il pubblico, per la scaletta, per lo spettacolo. Buenos Aires è sempre stata
una piazza calda per gli Stones, qui la temperatura è bollente. Doppio CD con
DVD, 140 minuti di esilarante, animalesco,puro rock n'roll.
Gregg Allman
Laid Back (Mercury)
Subito dopo la scomparsa di Duane, gli Allman si misero
al lavoro per riprendersi dallo shock incidendo l'album della svolta, Brothers
and Sisters, ma negli stessi giorni il fratello Gregg decise di tentare
la via solista con alcuni musicisti ed amici del giro di Macon. Laid
Back è un disco molto diverso dal Gregg della band, e per molti versi
assomiglia al suo canto del cigno Southern Blood. Malinconico,
crepuscolare, ricco di ballate e di soul tra cui l'immortale Midnight Rider, a tratti commovente, con
alcune cover compreso l'immancabile Jackson Browne. La riedizione vede
l'originale del 1973 affiancato da un
secondo CD pieno di inediti ed out-takes, questa volta significative. Prezzo
abbordabilissmo.
quella
sporca mezza dozzina
Tedeschi-Trucks
Band Milano 17/04/19
Little Steven & The Disciples of Soul Parigi 23/06/19
The Dream Syndicate Milano 19/06/19
Nick Waterhouse
Milano 5/11/19
Larkin Poe Milano 29/03/19
Ronnie Wood
Birmingham 25/11/19
MAURO ZAMBELLINI 30 dicembre 2019
MAURO ZAMBELLINI 30 dicembre 2019