Questo è il post che ho scritto su fbook la mattina del 23
ottobre dopo il primo ascolto a caldo di Letter
To You, oggi martedi 27 torno sul luogo del delitto con alcune
considerazioni, più per stimolare la discussione tra i lettori del blog, che me
lo hanno chiesto, che altro. Certo, tra il 23 ed oggi ci sono stati altri
ascolti, per cui ho una idea più chiara
del disco, ma sottoscrivo la prima impressione a caldo. Letter To You non è un capolavoro, è solo un buon disco, onesto e
sincero come già scritto, e frutto di una volontà, quella dell’autore, di
andare avanti guardandosi indietro, raccogliendo i ricordi, i suoni e gli
uomini, quelli ancora rimasti, che sono stati con lui nella sua avventura
artistica. E’ un disco molto diverso da Western
Stars e non solo per il suono, ma per lo spirito collettivista che lo ha
creato, un lavoro d’insieme tra Bruce e
la sua band, che qui dà tutta sé stessa non inventando nulla rispetto al
passato ma ribadendo con professionalità e vigore il mainstream rock che da Born In The Usa contraddistingue la
loro musica, non sottostando in maniera passiva, come è capitato nel recente
passato ai dettami di Ron Aniello, un produttore che se non ci fosse sarebbe
meglio. Sarà per la carica di nostalgia che il nuovo disco trasmette, e per
quel po’ di retorica che affiora in testi rivolti al tempo che passa, agli
amici che non ci sono più, all’ombra della morte (plausibili per l’amor di Dio
ma in qualche momento aggiuntivi di una enfasi che si riflette anche nella voce
di Bruce, il caso più eclatante è House
of 1000 Guitars con quel finale
supplichevole) ma Letter To You risulta un disco crepuscolare e
malinconico pur col suo sound potente e rockato, nelle sue chitarre urlanti,
nel dispiegamento al meglio di una E Street Band che in qualche frangente sembra
correre avanti a Bruce, come quelle
passeggiate in montagna in cui ci si ferma ad aspettare quello che è rimasto un
po’ indietro perché affaticato. Ma l’essere uscito definitivamente dalla bolla
autoreferenziale della biografia+On
Broadway, è la misura che Bruce, pur con qualche stanchezza addosso, non ha
abdicato al suo essere rocker popolare e non populista, un rocker per tutti,
con i pregi e i difetti che questo comporta, ancora in grado di scaldare gli
animi ed in qualche momento di emozionare come un tempo. Nonostante le
colossali vendite lo abbiano reso un fenomeno da classifica, Western Stars è forse un lavoro più
raffinato nel songwriting e nelle melodie, in molti casi superiori a quelle
attuali (Last Man Standing è talmente trita e ritrita che non si capisce
di quale album faccia parte e Ghosts per
il sottoscritto è troppo calcolata (avevo scritto paracula ma sembrava troppo pesante) per acchiappare la folla osannante dello stadio con quel carico completo di botta e risposta
cantato/chitarre, refrain, rullata, coro, sax, piano e organo) ma quelle canzoni si perdevano
(a mio modo di veder) in una cascata di arrangiamenti tutti uguali tale da renderlo monocorde e privarlo di
brillantezza, a parte l’ultima canzone,
( non sono a priori contro archi e violini, ma usati con dettaglio,
sfumature, parsimonia, eleganza, ascoltatevi Moonlight Mile e Winter degli Stones per vedere come si possono efficacemente
adattare ad un contesto di ballata rock), mentre Letter To You con tutti i limiti di scontatezza è un disco pulsante, che non ti accomoda in poltrona ma ti
trasmette ancora dell’energia, in qualche caso anche della commozione. E’ un
disco di rock mainstream ed è anche la costatazione di come la gioventù sia
irripetibile anche nell’arte, nonostante l’età avanzata porti saggezza ed
esperienza. Il Bruce di oggi non è quello di ieri, ma è encomiabile lo sforzo,
non escluso il salutare aiuto della ESB, di non tirarsi indietro, di non arrendersi
e di non svendere quello che è sempre stato il suo rock. C’è un divario evidente
tra i 3 pezzi del passato ed il materiale di oggi, comunque fusi in un armonico
equilibrio, senza che ci sia contrasto, grazie alla compattezza del sound della
ESB. E’ forse nella costruzione della canzone e della melodia la differenza,
una chance che Bruce sfrutta dando il meglio di sé sfogando la sua intensità
emotiva e facendo venire i brividi a chi ascolta. Song To Orphans era una scheletrica canzone in chiave folkie molto
verbosa, quella di Letter To You è
il miglior Springsteen con band che si possa desiderare, corale, romantico,
trascinante. Hanno scriito che sembra Dylan in questa canzone, è vero solo in
parte, nonostante la struttura sia quella della ballata dylaniana, qui è BRUCE
SPRINGSTEEN al 100% e al suo top, come
abbiamo imparato ad amarlo. Gigantesca. E If I
Was A Priest non è da meno, anzi. Fa parte di quella dinastia di canzoni nata
con Lost In The Flood, un flusso di
parole e versi che cresce inarrestabile fino
a diventare una preghiera epica, che l’armonica, quella armonica e quel
pianoforte e quel talking prima del finale la stringono, la avvinghiano a The River , per significato, per pathos,
per narrazione rock, prima che l’assolo di chitarra la accompagni in quella
dannazione elettrica che tanto desideriamo dalla ESB. Due canzoni che ti tolgono il fiato, pur con l’amara
consapevolezza che sono state scritte in un’ altra era, quando Bruce aveva
un'altra tensione. Poi c’è Jeanny Needs A
Shooter che io avrei (ma chi sono
io?) desiderato più magra e sottotono, forse perché innamorato della cruda versione
che ne diede il grandissimo Warren Zevon, ed invece con quell’inizio alla Independence Day e quel finale drammatico diventa un’opera lirica.
Nello stile dello Springsteen più teatrale ed enfatico, e va bene così. E poi
ci sono i pezzi nuovi, pur col sospetto
che qualcosa sia stato recuperato e riadattato. The Power of Prayer pare
per la melodia rimasta fuori da Western Stars ma rivestita rock col
mood di Letter To You, Rainmaker dopo l’intro, assume le cadenze e
l’arrangiamento che erano di casa in The Rising, Burnin’ Train recupera l’urgenza dei vecchi pezzi rock, dal ritmo
di Roulette alle corde tese di Jackson Cage, chitarre a palla con molto
riverbero e vento nei capelli, questo si un pezzo da stadio senza karaoke ma
con muscoli da vendere, Letter To You è
invece il classico brano radiofonico molto Bryan Adams di cui personalmente non
ne sento il bisogno. Rimane da dire dell’inizio e della fine, in punta di piedi
One Minute You’re Here , mi fa venire
in mente l’atmosfera di Tom Joad ma il testo non è
altrettanto nobile, lo xylofono di Charlie Giordano fa molto Natale e ci sta bene
con la copertina, intimo e struggente, chiude I’ll
See My Dreams una splendida e corale ballata del genere The Land of Hope and Dreams dedicata ad
un amico che se ne è andato troppo presto. Sontuoso l’arrangiamento
piano/organo, Bruce non piange anche se ne avrebbe il motivo ma ha la forza di
darci appuntamento ad un dove e quando che è solo nei nostri sogni.
MAURO
ZAMBELLINI