Suonare pochi giorni dopo che si sono esibiti Bruce
Springsteen e Neil Young è partecipare ad un altro campionato, Come se subito
dopo Real Madrid-Barcellona andasse in scena Sassuolo-Empoli, due squadre che
giocano bene ma stanno su un altro pianeta rispetto alle prime due. Lucinda
Williams ha avuto la sfortuna di suonare il giorno dopo Neil Young a Milano e
tre giorni dopo Bruce Springsteen a Roma ma non ha sfigurato, ha solo giocato
una partita diversa, di umiltà, di coraggio, di onestà, andando per la propria
strada accompagnata da una sequenza di canzoni che sono tra le più belle
scritte nella letteratura americana del rock da vent'anni a questa parte.
Lei è
soprattutto una songwriter e forse le dimensioni del teatro o di un club le
sono più propizie anche se nella splendida ambientazione di Pusiano in un parco
immerso nel verde con vista sul lago e luna piena che illuminava un cielo
chiarissimo ( a proposito un grazie al sindaco tifoso di rock e ad Andrea
Parodi che nonostante le difficoltà e perfino un lutto hanno reso possibile
vedere per la prima volta in Italia l'artista di Lake Charles) la Williams ha
dato vita ad un concerto sofferto e sincero, a tratti commovente per come si è
immersa con quella voce dolente, malinconica, triste nelle sue storie di
solitudine e mancanze, a tratti barcollante quando doveva vestire i panni della
rockeuse che il migliaio di presenti desideravano vedere ed invece avvertivano
una certa fragilità, avvalorata dalle sue presentazioni a bassa voce, misurate,
parche ma coerenti col suo universo di perdenti e di fantasmi. Piuttosto
timida, fasciata da jeans neri e camicia a quadri
slacciata su un reggiseno nero, con cappello da cowboy in testa, crocifisso al collo e abbondanza di bracciali, la signora
Williams non maschera gli anni ed un phisique in cui la bottiglia ha lasciato
il segno ma proprio per questo è amabile, nelle sue imperfezioni, nelle sue incertezze,
nel suo non essere quello che l'immaginario del rock richiede. E' vera da morire, capace di creare momenti di grande intensità e
pathos e magari dopo apparire svogliata e stanca, come volesse sbrigare la pratica della
canzone nel più breve tempo possibile. Ma dentro quelle sue ballate che non sai
se sono più dolorose che rassegnate e quelle cantilene che sono una specie di country-rap
che paiono dilungarsi senza fine e ti immergono in quei luoghi che sembrano uscire
dalla prima serie di True Detective
o in qualche B-movie del profondo sud, volitiva quando incita la band, dolce quando parla di sé stessa, c'è
quello che ancora oggi amiamo dell'America, libertà, paura, mistero.
Va detto che c'è una notevole differenza tra i suoi album in studio, a cominciare dal sublime rarefatto The Ghosts Of Highway 20 di cui si è potuto ascoltare Dust , Bitter Memory e la canzone che dà il titolo all'album, ma pure il magnifico Down Where The Spirit Meets The Bone di cui ha presentato Burning Bridges, la toccante West Of Memphis uno degli apici del concerto e quella Foolishness , che assieme a Righteously,, ha il potere di catapultarti in un' ipnosi, dove la cantante ripetendo a cantilena ed in sequenza quasi ossessiva le parole alimenta un ritmo che sale e progressivamente ti coinvolge in una folle elicoide in cui ci si bea di questo trance quasi parlato, dove i musicisti si chiamano Bill Frisell, Greg Leisz, Ian Mc Lagan, Val McCallum, Doug Pettibone, e la trasposizione dei suoi album con l'attuale band dal vivo, i Buick Six, onesti e poco più, dove la sezione ritmica del bassista David Sutton e dell'arzillo batteria Butch Norton, fa il proprio sporco dovere ma il chitarrista Stuart Mathis pare perfino scolastico nei suoi assoli come nemmeno in Italia si usa più.
Va detto che c'è una notevole differenza tra i suoi album in studio, a cominciare dal sublime rarefatto The Ghosts Of Highway 20 di cui si è potuto ascoltare Dust , Bitter Memory e la canzone che dà il titolo all'album, ma pure il magnifico Down Where The Spirit Meets The Bone di cui ha presentato Burning Bridges, la toccante West Of Memphis uno degli apici del concerto e quella Foolishness , che assieme a Righteously,, ha il potere di catapultarti in un' ipnosi, dove la cantante ripetendo a cantilena ed in sequenza quasi ossessiva le parole alimenta un ritmo che sale e progressivamente ti coinvolge in una folle elicoide in cui ci si bea di questo trance quasi parlato, dove i musicisti si chiamano Bill Frisell, Greg Leisz, Ian Mc Lagan, Val McCallum, Doug Pettibone, e la trasposizione dei suoi album con l'attuale band dal vivo, i Buick Six, onesti e poco più, dove la sezione ritmica del bassista David Sutton e dell'arzillo batteria Butch Norton, fa il proprio sporco dovere ma il chitarrista Stuart Mathis pare perfino scolastico nei suoi assoli come nemmeno in Italia si usa più.
Qualche mese fa, visti nello spazio chiuso dell'Ancienne
Belgique di Bruxelles, i tre avevano sciorinato una grinta rock-blues ben
maggiore, a Pusiano si sono limitati ad un compito ben fatto pur con le
fantasiose escandescenze di Norton ed il diligente lavoro di Sutton. E così la
performance di Pusiano conferma le caratteristiche della Williams, una sopraffina
autrice di canzoni meravigliose ed una performer con le fragilità di chi sente
quasi a disagio davanti ad un pubblico numeroso, non è insomma una performer da
stadio piuttosto una rocker da club, intima se si considera che a
brillare tra i brani migliori del concerto sono stati l'acustica ed in
solitario Ghosts Of Hwy 20 ed una struggente Lake Charles esibita col
solo Mathis, che è arrivata dritta al
cuore dei presenti (un pubblico
preparato e rispettoso) con quei riferimenti autobiografici e
confessionali.
Uno dei momenti topici ma non il solo di una scaletta perfetta, perché se è vero che la
Williams è regina delle ballate che corrono tra la Louisiana e il Texas ed il
meglio di sé lo dà nei toni caduchi, bluesati e malinconici, e al riguardo
hanno strappato applausi sia Dust, sulla
scomparsa del padre, sia la sofferta Unsuffer
Me sia la lontana (discograficamente
parlando) Essence e sia Drunken
Angel , è vero anche che il rock n'roll scorre caldo nel suo sangue e
allora quando imbraccia la chitarra elettrica e diventa una della band è un
piacere sentirla incazzata in Changed The
Lock, aprire con Protection, mandare a farsi fottere
Donald Trump in Foolishness, chiudere
con una selvaggia Joy.
Che vada per la sua strada e non sia un
animale da palcoscenico che cerca l'applauso facile ma che il suo low profile sia una cosa assolutamente da
preservare nel rock dei giorni nostri, lo testimonia il bis con cui Lucinda
Williams chiude il bel concerto di
Pusiano del Buscadero Day, non sceglie una sua canzone, come in tanti
vorrebbero invece che sia, ma si appella allo sferragliare Clash di Should I Stay or
Should I Go prima di infilarsi in
una Rockin' In The Free World di imbarazzante confronto con quello che si
era sentito la sera prima da Neil Young + Promise of The Real a Milano. Ma Lucinda Williams la sia ama per questo, donna dignitosa, senza trucchi,
furbizie e rifacimenti, coerente
all'inverosimile nel vivere in un rock più grande di lei con la
sincerità di chi scrive, canta e suona col cuore. E l'intelligenza.
MAURO
ZAMBELLINI 20 luglio 2016