Bare As Bone, Bright As Blood è il toccante epitaffio di Phil May, il cantante solista dei Pretty Things morto lo scorso maggio 2020. Un disco anomalo nella intera discografia della band inglese creata dal chitarrista/bassista Dick Taylor nel 1963, una volta abbandonati i nascenti Rolling Stones, per unirsi a Phil May, nato come Philip Wadey nel 1944 a Dartfort nella regione del Kent. I Pretty Things furono tra i pionieri in Inghilterra ad unire rock e rhythm and blues ma il loro stile grezzo e viscerale incontrò anche il beat, il garage e la psichedelia tanto da divenire modello per molti gruppi, anche di ispirazione mod. Il loro S.F Sorrow è considerata la prima opera rock in assoluto, ben prima di Tommy degli Who e Arthur dei Kinks e la loro discografia ufficiale, non estesa, vanta piccoli oggetti culto. Scioltisi diverse volte ma sempre riformatisi, i Pretty Things non hanno mai abbandonato il sottobosco del rock ed i loro concerti ( diverse volte sono stati alle nostre latitudini bazzicando piccoli club e locali undergound) hanno attratto un pubblico affezionato che amava pogare e cantare sui loro ritmi nervosi e adrenalinici e sul fiotto di contagiosa energia che sapevano riversare dal palco. Alla fine del 2018 il gruppo decise di sciogliersi per i problemi di salute di May ma poi l’anno seguente si misero a lavorare ad un nuovo disco.
Phil May era
malato da tempo ma la sua morte è stata causata dalle complicazioni per uno
stupido incidente in bicicletta e non dalle sue condizioni di salute, disgrazia
che ha turbato l’intero mondo del rock. Proprio a causa delle sue precarie
condizioni di salute, lui ed il chitarrista Dick Taylor avevano optato con l’aiuto del produttore e manager
Mark St.John per un disco acustico, un
lavoro diverso da quanto avevano fatto nel passato. Il risultato di tale sforzo
si chiama Bare As Bone, Bright As Blood un disco bellissimo e completamente acustico
dove blues e folk si mischiano in modo spartano emanando una purezza ed una
profondità degna degli ultimi lavori di Johnny Cash con Rick Rubin della serie American.
E’ il lavoro di due musicisti
che fanno i conti con la propria età e i propri acciacchi ma non si sono
arresi, la precarietà oggettiva si trasforma in una performance a due dove
l’esperienza si sposa con il cuore, l’abilità tecnica con il sentimento ed il
risultato è a dir poco sorprendente. Undici titoli pescati nel repertorio del
genere, alcuni conosciuti come Can’t Be
Satisfied, Come On In My Kitchen, Ain’t No Grave, Redemption Day, Love In Vain,
altri più oscuri, interpretati con un trasporto ed una sensibilità fuori
dall’ordinario, palpabile e sentita, da far accapponare la pelle in più di un
momento. La voce di Phil May è sofferta, vulnerabile, segnata dagli anni e
dalla malattia, ma è in grado ugualmente di comunicare una emozione che lascia
senza fiato in più di una occasione, nella interpretazione da brivido di Redemption Day dove sembra di stare a
sentire proprio Johnny Cash e in Ain’t
Grave, altro brano del repertorio di Cash. Ma anche come rilegge alla sua
maniera Love In Vain accompagnato dalla armonica e dalla slide di
Taylor, e sempre l’armonica e la chitarra sottolineano l’intensità Delta blues
delle versioni di Can’t Be Satisfied di Muddy
Waters e Come On In My Kitchen di
Robert Johnson. Ma non è solo il
Mississippi a scorrere in Bare As Bone, Bright As Blood ,
perché il violino rootsy di John Wiggs,, il banjo di Sam Brother e l’ipnotica
chitarra di George Woosey in Bright As
Blood dipingono un paesaggio di
country misterioso ed ancestrale tipico dei Monti Appalachi, che si ripete
nella stupenda versione che May dà di Devils
Had On Hold on Me pescata nel
repertorio di Gillian Welch.
l’album. Ci sono momenti di una tenerezza ed una umanità incredibile, è il caso
di To Build A Wall del cantautore inglese Will Varley, il cui titolo allude
ai muri del disumano quotidiano odierno,
e nel quale May con una voce sofferente riversa tutta la pietà possibile per
testimoniare il sentimento di chi, pur sapendo di non avere un grande domani,
guarda con orrore ad un tale futuro, e la conclusiva Another World che risuona come una preparazione al mistero che
sarà. Momenti di estrema tenerezza che si contrappongono al tono drammatico e
spettrale di Faultline e alle scure
cadenze di Black Girl di Leadbelly per un disco di grande sincerità
e bellezza.
MAURO ZAMBELLINI