lunedì 16 novembre 2020

THE PRETTY THINGS Bare As Bone, Bright As Blood


 

Bare As Bone, Bright As Blood  è il toccante epitaffio di Phil May, il cantante solista dei Pretty Things morto lo scorso maggio 2020. Un disco anomalo nella intera discografia della band inglese creata dal chitarrista/bassista Dick Taylor nel 1963, una volta abbandonati i nascenti Rolling Stones, per unirsi a Phil May, nato come Philip Wadey nel 1944 a Dartfort nella regione del Kent. I Pretty Things furono tra i pionieri in Inghilterra ad unire rock e rhythm and blues ma il loro stile grezzo e viscerale incontrò anche il beat, il garage e la psichedelia tanto da divenire modello per molti gruppi, anche di ispirazione mod. Il loro S.F Sorrow  è considerata la prima opera rock in assoluto, ben prima di Tommy  degli Who e Arthur  dei Kinks e la loro discografia ufficiale, non estesa, vanta piccoli oggetti culto. Scioltisi diverse volte ma sempre riformatisi, i Pretty Things non hanno mai abbandonato il sottobosco del rock ed i loro concerti ( diverse volte sono stati alle nostre latitudini bazzicando piccoli club e locali undergound) hanno attratto un pubblico affezionato che amava pogare e cantare sui loro ritmi nervosi e adrenalinici e sul fiotto di contagiosa energia che sapevano riversare dal palco. Alla fine del 2018 il gruppo decise di sciogliersi per i problemi di salute di May ma poi l’anno seguente si misero a lavorare ad un nuovo disco. 



Phil May era malato da tempo ma la sua morte è stata causata dalle complicazioni per uno stupido incidente in bicicletta e non dalle sue condizioni di salute, disgrazia che ha turbato l’intero mondo del rock. Proprio a causa delle sue precarie condizioni di salute, lui ed il chitarrista Dick Taylor avevano optato con l’aiuto del produttore e manager Mark St.John  per un disco acustico, un lavoro diverso da quanto avevano fatto nel passato. Il risultato di tale sforzo si chiama Bare As Bone, Bright As Blood  un disco bellissimo e completamente acustico dove blues e folk si mischiano in modo spartano emanando una purezza ed una profondità degna degli ultimi lavori di Johnny Cash con Rick Rubin della serie American.  E’ il lavoro di due musicisti che fanno i conti con la propria età e i propri acciacchi ma non si sono arresi, la precarietà oggettiva si trasforma in una performance a due dove l’esperienza si sposa con il cuore, l’abilità tecnica con il sentimento ed il risultato è a dir poco sorprendente. Undici titoli pescati nel repertorio del genere, alcuni conosciuti come Can’t Be Satisfied, Come On In My Kitchen, Ain’t No Grave, Redemption Day, Love In Vain, altri più oscuri, interpretati con un trasporto ed una sensibilità fuori dall’ordinario, palpabile e sentita, da far accapponare la pelle in più di un momento. La voce di Phil May è sofferta, vulnerabile, segnata dagli anni e dalla malattia, ma è in grado ugualmente di comunicare una emozione che lascia senza fiato in più di una occasione, nella interpretazione da brivido di Redemption Day dove sembra di stare a sentire proprio Johnny Cash  e in Ain’t Grave, altro brano del repertorio di Cash. Ma anche come rilegge alla sua maniera Love In Vain  accompagnato dalla armonica e dalla slide di Taylor, e sempre l’armonica e la chitarra sottolineano l’intensità Delta blues delle versioni di Can’t Be Satisfied  di Muddy Waters e Come On In My Kitchen di Robert Johnson. Ma non è solo il Mississippi a scorrere in Bare As Bone, Bright As Blood , perché il violino rootsy di John Wiggs,, il banjo di Sam Brother e l’ipnotica chitarra di George Woosey in Bright As Blood  dipingono un paesaggio di country misterioso ed ancestrale tipico dei Monti Appalachi, che si ripete nella stupenda versione che May dà di Devils Had On Hold on Me  pescata nel repertorio di Gillian Welch. l’album. Ci sono momenti di una tenerezza ed una umanità incredibile, è il caso di To Build A Wall  del cantautore inglese Will Varley, il cui titolo allude ai  muri del disumano quotidiano odierno, e nel quale May con una voce sofferente riversa tutta la pietà possibile per testimoniare il sentimento di chi, pur sapendo di non avere un grande domani, guarda con orrore ad un tale futuro, e la conclusiva Another World che risuona come una preparazione al mistero che sarà. Momenti di estrema tenerezza che si contrappongono al tono drammatico e spettrale di Faultline e alle scure cadenze di Black Girl di Leadbelly per un disco di grande sincerità e bellezza.

MAURO ZAMBELLINI