
È la seconda volta che i Muli suonano a Milano, la prima fu nell’aprile del 2005 , quest’anno il concerto è stato migliore, meno duro ma più trascinante, sapientemente dosato con pezzi del passato ed estratti del nuovo disco By A Thread. Blues, ballate, granitici hard-rock in odore di free, intermezzi jazz, psichedelia ed improvvisazioni hanno riempito uno show potente e muscoloso, forte e a tratti impegnativo ma mai ostico, seguito e salutato da un pubblico attento, caldo e preparato che ha tributato ai Muli applausi e ovazioni nonostante la lunghezza, tre ore e la scomodità di essere stipati ed in piedi. I Muli, instancabili, inesauribili e generosi come è nel loro stile, si sono confermati una band straordinaria in quell’ambito di jam rock/blues che nel passato ha visto primeggiare gli Allman e grazie a soluzioni tecniche e strumentali spesso ardite ed inconsuete hanno dimostrato di essersi costruito una terza via tra Allman e Dead, gruppi dei quali fra l’altro Haynes fa parte.
E’ lui il capobanda, il titano della Gibson, un chitarrista colossale, un mostro di bravura e conoscenza che ha nelle dita tutto il corso del Mississippi dal Delta a Chicago (pur non disdegnando divagazioni degne di un Coltrane) un autentico mattatore con la sei e la dodici corde, cantante aspro, sofferente, disperato ma in grado di infondere un calore straordinario. Accanto a lui un batterista altrettanto colossale, Matt Abts, capelli lunghi, barba incolta e canotta nera, un neandertheliano dei nostri tempi che picchia (e come picchia) senza quasi neanche muoversi, ottenendo un drumming che chiamare possente è un eufemismo ma ugualmente dinamico e pulsante. Completano la band un bassista, Jorgen Carlsson, che col suo funky riesce in parte a far dimenticare il compianto Allen Woody ed un tastierista, Danny Louis che con l’Hammond ed il Rhodes piano riempie gli spazi che gli altri tre indiavolati gli lasciano a disposizione creando comunque un magma di suoni che ha il merito di aver traghettato i Muli dall’heavy blues tipico dei power trio ad un sound più totale.
Lo show inizia con una slidata di Gibson, poi entra Abts a martello ed è subito Brighter Days, l’inferno si accende, i diavoli cominciano a ballare. Atmosfera sulfurea, suoni tellurici, sono i Muli duri e rocciosi di High & Mighty che presagiscono un concerto siderurgico. Invece Like Flies smussa gli spigoli ed introduce le classiche Grameface e Mule dove si rivedono i Muli jammare ed improvvisare, divagando e dilatando i tempi per poi ritornare sul tema base, evocando le fughe pirotecniche dei Dead. Si sentirà anche un accenno allungato di The Other One dei Grateful Dead.
Una prima cover arriva con When The Leeve Breaks presa dal quarto album dei Led Zeppelin visto la stima che il nostro nutre per quella band. Il brano, di cui ricordo una micidiale versione del compianto John Campbell, offre ad Haynes la possibilità di scivolare di slide come un provetto campione di slalom speciale.
Uno degli highlights del primo set è Blind Man In The Dark, teso, vorticoso e denso di atmosfera misteriosa, poi è la volta dei brani di By A Thread, salutato dalla platea non appena riconosce le note iniziali di Steppin Lightly. Nonostante la recente pubblicazione è già nelle orecchie di molti, così quando parte Broke Down In The Brazos ci si aspetta che dalle quinte esca Billy Gibson.
Dopo il break il concerto riparte con una memorabile Railroad Boy, il bellissimo traditional contenuto in By A Thread cantato in modo eroico da Haynes. Rispetto alla versione in studio ha un afflato meno “celtico” ma la dodici corde del leader risuona imperiale. Dallo stesso disco arriva la cupa Monday Morning Meltdown mentre Have Mercy On The Criminal è di Elton John anche se non sembra. Wandering Child col suo groove sincopato e le sue unghiate slide riporta i Muli sulla strada di Life Before Insanity il disco del 2000 che ha fornito tanti brani ai loro live set. Da quell’album esce pure la intensa e accorata Fallen Down prima che un estenuante monologo di batteria di Abts allenti la tensione dello show. Quando l’intera band rientra in scena il concerto si impenna e va verso l’apoteosi finale con i nervosi scatti chitarristici di Painted Silver Light e la solare Soulshine, venata da un ritmo vagamente reggae. L’encore è a sorpresa, Out of The Rain è una emozionante ballata di Tony Joe White interpretata da Etta James e Talk To My Baby un torrido rock/blues di Elmore James infiammata dai brucianti assoli di Haynes.
Concerto tosto e Muli meglio dei cavalli.
Mauro Zambellini Novembre 2009