La storia è presto detta, in Svezia si è venuta
a creare una scena musicale rock che recentemente ha portato alla ribalta
dischi e autori decisamente interessanti, paragonabili a quelli che offre il
mercato americano. La Svezia è un paese molto avanzato in termini di
sostentamento alla cultura, le difficoltà che incontrano i nostri musicisti e i
gestori dei locali là non esistono, ci
sono finanziamenti e aiuti ed è naturale che fare il musicista da quelle parti
non sia roba da carbonari come da noi. In più si è messa una etichetta, la
Rootsy Nu., a lavorare alacremente nel settore, producendo sia artisti
americani in esilio come Bob Woodruff
(in questo blog a suo tempo venne segnalato l'ottimoThe Year We Tried To Kill The
Pain), sia importando dischi dagli Stati Uniti come l'ultimo di Mary
Gauthier, Willie Nile, Steve Earle, Drew Holcombe, sia dando fiato alla ricca
scena locale diffusa su tutto il territorio nazionale, da Stoccolma a Malmoe e
Goteborg. In particolare sono i songwriters a fare la parte del leone, e
l'ottima padronanza dell'inglese, a tutti gli effetti seconda lingua in Svezia,
è un notevole aiuto per chi voglia addentrarsi in un rock d'autore di
derivazione americana, sebbene non manchi una florida tradizione di band vere e
proprie, spesso sconfinanti nell'heavy metal. L'idea di una etichetta
indipendente come la Rootsy Nu. è venuta
ad Akhan Olsson, ex manager di una major, che ha deciso di lavorare in
un'area più di nicchia ma qualitativamente più oculata. I risultati gli hanno
dato ragione, oggi la Rootsy Nu. è una delle etichette indipendenti più
intraprendenti d'Europa. Il caso di Richard
Lindgren è noto agli appassionati del settore, visto che è ormai di casa in
Italia, ma i nomi che segnalo qui sono quelli di Doug Seegers, Basko Believes e
Seasick Steve, quest'ultimo aggiunto perché residente in Scandinavia, non in
Svezia ma in Norvegia e avente diverse analogia con gli altri due.
Il caso di Doug
Seegers è la dimostrazione che nella musica i miracoli esistono ancora.
Nato a New York nel 1952 e padre di due figli, ad un certo punto emigra a
Nashville dove diventa un musicista di strada, regolare presenza al That Little
Pantry That Could, un centro assistenziale che si occupa di sfamare e dare
aiuto ai poveri di West Nashville. Doug Seegers è un homeless che racimola i
pochi dollari della propria esistenza nelle strade della città. Capita che Jill
Johnson presentatrice dello show televisivo svedese Jills Veranda con un team di artisti ed operatori incontrino in un
parco di Nashville proprio Doug Seegers durante la realizzazione di un
documentario sulla musica della città.
Johnson e Carlson lo sentono cantare Going
Down The River e ne rimangono fulminati, ritornano qualche tempo poco e con l'interessamento di
Akhan Olsson gli propongono di registrare la canzone nel vecchio studio di
Johnny Cash a Nashville. L'episodio passa nello show TV di Jill Johnson, il
facebook di Doug Seegers viene preso d'assalto e Going Down The River diventa numero uno nelle classifiche svedesi
di iTunes per dodici giorni consecutivi. Come conseguenza l'americana Lionheart
Records offre un contratto discografico al musicista e gli pubblica l'album Going
Down The River prodotto da Will
Kimbrough con la presenza in un brano di Emmylou
Harris e in un altro, di un vecchio amico di Seegers nei giorni di Austin, Buddy Miller. L'album pubblicato la
fine di maggio del 2014 sale le classifiche di vendita svedesi e l'autore viene
ingaggiato per un tour estivo di 70 date. Se il miracolo c'è stato e la fortuna
ci ha messo lo zampino, bisogna però dare atto a Doug Seegers di avere un
talento innato, come cantante, chitarrista e songwriter, qualcosa che è parte
Hank Williams, parte Hank Snow e parte Gram Parsons ma con una voce ammaliante
e soul che proprio nei brani più bluastri e swing emana un sentimento ed un
calore incredibile. Già se ne era accorto Buddy Miller negli anni settanta ad
Austin quando la sua band incrociò questo homeless uscito da uno scuro rifugio
di ubriaconi, che raccattava soldi per la bottiglia in cambio di canzoni
country cantati con una voce che era un riflesso dell'anima, facendosi chiamare
Duke the Drifter. Adesso Miller canta con Seegers in There'll Be No Teardrops Tonight una composizione di Hank Williams
che Duke the Drifter rende molto fedele all'originale ovvero umori da Grand Ole
Opry, violini e una massiccia dose di lap e pedal steel. E' una delle canzoni
più orientate verso il country che compongono Going Down The River, assieme
a Pour Me, un po' di Johnny Cash ma col naso al posto
dell'ugola, alla malinconica e semi autobiografica Lonely Drifter's Cry, al country-rock scavezzacollo di Hard Working Man sintonizzato sullo
stile del primo brillante Todd Snider e al brioso western swing di Gotta Catch That Train. Doug Seegers
canta con la facilità del veterano country singer, le sue canzoni sono frutto
di una penna intinta nelle miserie e nelle illusioni della vita di strada,
uniche cover sono il brano di Hank Williams e She di Gram Parsons dove
il nostro, con la collaborazione di Emmylou Harris, ne dà una interpretazione
da brivido, intensa e romantica. Ma dove Doug Seegers mostra classe innata, e
se tutto l'album fosse stato così sarebbe stato un capolavoro, è nei pezzi più bluastri,
notturni e soul. Qui si erge un cantante che muove le corde dell'emozione con
una scioltezza ed uno swing davvero incredibili, in Burning A Hole In My Pocket veste i panni di un crooner che shakera jazz,
country e blues con l'abilità di un barman professionista, in Baby Lost Her Way Home Again complice il
sax, il pianoforte ed un backing vocale al femminile, si cala nei club dell'ora
tardi regalando malizia e savoir faire, e nelle due tracce con cui si apre il
disco ovvero Angie's Song e Going
Down The River sfoggia un country-soul magistrale con
venature gospel ed una chitarra alla Ry Cooder
che potrebbe essere uscito dalle migliori incisioni della Fame e della
Kent. Un homeless strappato alla strada ed un artista ritrovato, grazie agli svedesi.
Diverso il caso di Johan Orjansson cantautore che ha debuttato nel 2012 con
l'interessantissimo Melancholic Melodies for Broken Times un titolo che suggerisce delle rarefazioni che
attraversano un cantato malinconico e nordico, espressivo e visionario. Ora
Orjansson ha cambiato nome, ha scelto di chiamarsi Basko Believes e se ne è andato in Texas a registrare il nuovo
disco, precisamente a Denton dove con l'aiuto dei Midlake e in minor misura di Israel Nash Gripka ha realizzato
l'ottimo Idiot's Hill uno dei
migliori dischi in ambito singer/songwriters che mi sia capitato di ascoltare
recentemente. Aperto da un tintinnio strumentale e dei vocalizzi che paiono
giungere dalle sconfinate foreste scandinave, In A Glade, il disco si sviluppa attraverso dieci tracce che
svelano di un mondo poetico dove la potente e vibrante voce di Basko si fa
carico di emozioni e visioni che sfuggono alle ovvietà del genere e trasportano
in un mondo incantato dove i dettagli sonori sono importanti quanto
l'espressività con cui l'autore racconta le sue storie. Personalità da vendere,
splendida voce che in più di un episodio fa venire in mente il Ryan Adams più
melodico, Basko Believes lambisce i territori esplorati da Damien Rice ma è
meno triste e cerebrale e grazie ad un pugno di musicisti che sanno il fatto
loro, costruisce una canzone d'autore dove l'eco del grande Nord si mischia a
graffi elettrici, orchestrazioni, archi, chitarre acustiche e quel paesaggio
melodrammatico tra folk e prog di cui sono capaci i Midlake. Crescendo di
grande bellezza come Wolves si
alternano a momenti solenni come Lift Me
Up, calde canzoni sottolineate dal violino e da un tenue controcanto
femminile come in Going Home si accompagnano a tracce come Entertainers dove veramente sembra di essere davanti al Ryan Adams più ispirato con una corale
finale di spettrale bellezza. E poi il cantato lamentoso di The Waiting che si intreccia col soul di
Rain Song, nella quale la voce
chiaroscura di Basko metterebbe ko anche i cuori più gelidi, e quell'ardito
attorcigliarsi in un folk da camera di Archipelago
Winds trovare risposta nella magnifica Leap
of Faith dove Joe McClellan fa
capire quanta misura e luminosità c'è nella sua chitarra, chiusura o quasi (c'è
posto per la strumentale Out Of A Glade)
di un disco che consegna uno degli
autori e cantanti più promettenti nel campo di un folk/rock che ormai non ha
confini.
Seasick Steve,
all'anagrafe Steven Gene Wold, vanta anche lui come Doug Seegers una vita
burrascosa ora incanalata in un'esistenza tranquilla grazie ad un dolce esilio
scandinavo. E' nato a Oakland nel 1941 e ha trascorso una infanzia segnata
dagli abbandoni. I genitori si separarono quando Steve aveva quattro anni ma il
bambino già a otto aveva in mano la chitarra grazie agli insegnamenti di K.C
Douglas, l'autore di Mercury Blues che
lavorava nel garage di suo nonno. A tredici anni Steven se ne va di casa,
stanco dei maltrattamenti del patrigno, e bighellona tra Tennessee e Mississippi fino al 1973,
saltando sui treni e lavorando come contadino stagionale e cowboy. Così
descrive quel periodo della sua vita: "gli
hobo sono persone che viaggiano per cercare lavoro, i vagabondi sono persone
che viaggiano ma non cercano lavoro, i perditempo sono persone che non
viaggiano e non lavorano. Io sono tutte e tre insieme". A Como, in Mississippi compra in un Goodwill
store per 75 dollari una scalcagnata chitarra giapponese con tre corde che sarà
la fortuna della sua vita. Durante gli anni sessanta comincia a esibirsi con
musicisti di blues suoi amici e diventa sessionman, si impratichisce inoltre
nelle tecniche di registrazione. Quando si sposta a vivere a Olympia, vicino
Seattle, lavora con diversi musicisti di area indie e finalmente nel 1996
incide il suo primo album, ironicamente intitolato, This Is A Long Drive for Someone
with Nothing To Think About. Emigra
a Parigi dove fa il busker nel metrò, poi passa in Norvegia (ha cambiato 59
volte il posto dove vivere) e nel 2004 pubblica Cheap, il titolo fa riferimento alle sue chitarre. Due anni dopo la Bronzerat Records gli
pubblica Dog House Music, che gli
permette di accedere allo show della BBC Hootenanny condotto da Jools Holland.
Nel 2007 vince il Mojo Award per il Best Breakthrough Act e partecipa a
festival importanti quali Reading, Leeds e Glastonbury. Gira il mondo, compare
in Giappone, Danimarca, Australia, firma con la Warner, riempie la Royal Albert
Hall, l'Hammesmith e la Grand Opera House di Belfast e viene invitato al David
Letterman Show. Quello che era un hobo prima e un busker dopo è diventato una
specie di star, tanto che la BBC realizza un video su di lui, Seasick Steve Bringing It All Back Home ambientato
nel sud degli Stati Uniti. Wold a questo punto ammette di avere abbastanza
soldi per comprarsi un trattore John Deere modello anni 60, coronamento di un
sogno. Oggi Seasick Steve vive tra
la Norvegia e l'Inghilterra con la sua seconda moglie, il suo nuovo disco Sonic
Soul Surfer segue di due anni Hubcap
Music frutto della
collaborazione con Luther Dickinson,
John Paul Jones e Jack White. Il leader dei North Mississippi Allstars è ancora
presente con la slide in due brani di Sonic Soul Surfer mentre Ben Miller
aggiunge l'armonica in Summertime Boy, brano
che celebra le delizie del vivere al sole della California. Il fedele Dan
Magnusson si occupa di batteria e percussioni e Georgina Leach del violino.
Dodici brani nella versione in CD e sedici nel LP, Sonic Soul Surfer è un
disco dal suono scarno e minimale che sintetizza l'avventura musicale (ed
esistenziale) di Seasick Steve, un settantenne che suona il blues con l'energia
e la spregiudicatezza di un venticinquenne. Costruisce un suono basato sullo
"stridio" delle sue chitarre da
supermercato, tre o quattro corde pizzicate con vibrante veemenza in modo
da ottenere un sound asciutto e ritmico, che ha maestri nel gesto di
Mississippi Fred Mc Dowell e R.L
Burnside, passa con indifferenza da una tre corde alla Danelectro, ad un
metallico cigar box a 4 corde costruito appositamente per lui da Super Chickan
Johnson, usa una primitiva drum machine per creare il ritmo ed un vecchio basso
Fender. E' un one man band che trae
dalla musica il suo sentimento più puro, primitivo ed incontaminato, dispiega
un southern sound che la modernità
non ha scalfito, anzi, il suo gesto e il suo sound sono tremendamente moderni
perché c'è un attitudine da band garagista di oggi, nonché il feeeling dei
sopravvissuti del down-home blues come è Seasick Steve. Un blues tagliato nei
boschi, un misto di suoni elettrici e acustici con una economia
strumentale da dosaggio farmaceutico, dove è possibile riconoscere l'eco dei North
Mississippi Allstars, dei 16 Horsepower, dell' hillbilly stomp della Ben Miller
Band e dei primi vagiti degli ZZ Top
in versione rurale. Un disco di un
surfista dell'anima che a più di settanta anni riesce ancora a sorprendere.
MAURO ZAMBELLINI
FEBBRAIO 2015