Esiste la serata perfetta nel rock ? Si quando in città, nella fattispecie Milano, arrivano i Gov’t Mule e suonano in un teatro comodo, dall’acustica ottimale, davanti ad un pubblico caldo e competente che ricambia la bellezza che arriva dal palco con applausi e partecipazione sentita, così da instaurare quella sinergia tra artisti e pubblico che gli Allman chiamavano hittin’ the note. Avrò visto 8/9 concerti dei Muli ma questo del 20 novembre a Milano rimarrà impresso indelebile nella mia memoria, una band mostruosa costituita da quattro eccezionali solisti che si fondono nella chimica di un insieme che non ha eguali oggi, per tecnica, amalgama e inventiva, regalando musica sublime anche quando, come nella prima parte dello show, può apparire dura, contorta, difficile ma sempre legata ad una idea di sperimentazione che si traduce al momento, mentre suonano col sorriso sulle labbra, in assoli, rallentamenti, stacchi e ripartenze, parti cantate e torrenziali flussi sonori che portano l’ascoltatore in un paradiso del vero sentire dove si pensava fosse ormai già esaurito il numero dei concerti memorabili.
Il dimagrito Warren Haynes, sempre modesto e affabile, è il condottiero di questa pattuglia che definire rock è limitativo perché nel loro concerto c’è di tutto ma solo esclusivamente musica, a parte il suggestivo gioco di luci di vago sapore psichedelico che illumina il palco. Solo musica perciò, che sa essere rock, blues, jazz, free, psichedelia, reggae, hard, fusi in composizioni che lasciano comunque trasparire il senso della canzone, anche quando questa si traduce in una jam che si vorrebbe non finisse mai. Haynes suona le chitarre con delicatezza come se le stesse accarezzando ma ne trae un fiume in piena, le conosce come se fossero suoi figli, non hanno segreti per lui, e canta con quella voce fatta apposta per strappare commozione nelle ballate blues, salvo urlare ogni tanto quando il tema diventa duro e rabbioso. Ma non è mai una rabbia iconoclasta, piuttosto una reazione a qualcosa di irragionevole ed ingiusto come nelle tematiche del blues, è statico in scena ma è la musica creata che vola, si innalza, attorciglia le emozioni, ti porta dove sogneresti essere. Di fianco a lui Danny Louis
è la ragnatela sonora che collega il solismo di Haynes con lo stantuffo ritmico, avvolgendo il tutto. I suoi tocchi sono nobili ed estasianti, è solenne e drammatico, è lieve e fluido, sia quando è frontale verso la platea col suo Hammond o voltato di fianco sul piano elettrico. Berretto di lana, occhiali, sobrio nel look ma straripante con le dita è l’alchimista dei Muli, il lato melodico dell’ensemble, il contraltare del sempre più contratto (nelle pose) e magro Matt Abts il treno su cui viaggia la musica dei Gov’t Mule.
La quintessenza del batterista, picchia quando è il momento e poi diventa così soffice e delicato da sembrare che non abbia in mano nemmeno le bacchette quando Haynes smorza il pezzo, lo addormenta dolcemente in un affascinantissimo mood jazzy, dove sono solo i sussurri e i celestiali tocchi a tenere ancora in vita la canzone. Per poi riesplodere in un magma sonoro dove la Les Paul del leader ricorda, a seconda dell’istante, B.B King o Santana, Duane o Elmore James (quando va di slide).
Kevin Scott è il nuovo bassista, vecchia scuola non possiede il funambolismo del dimissionario Jorgen Carlsson ma non sbaglia un tempo, è tosto ed il timing con cui risponde ad Abts è dimostrazione di dinamiche assolute. Alto, robusto, barbuto pare uno dei Metallica ma si è inserito perfettamente nel gruppo e quando fa il suo assolo gli altri lo assecondano come si deve, in un pulsante ed ipnotico drive.
Energici, potenti e duttili i Muli affrontano la prima parte
dello show con più durezza ma offrendo lampi di assoluto trance come Thorazine Shuffle e diversi ripescaggi dal lontano passato. Riemergono
Temporary Saint, Bad Little Doggie con
cui si è aperto il concerto, l’omaggio a Monk di Thelonius Beck, la splendida sincopata Broke Down The Brazos e poi due titoli che giustificano il fatto
che il tour è all’insegna della recente pubblicazione. Da Peace…..Like a River arrivano difatti Peace I Need, una chicca con
quel carico di blues da pelle d’oca, e After
The Storm, nella seconda parte ci sarà tempo anche per Shake Our Way Out. Chiude il set I Asked Her For Water e potrebbe essere già sufficiente se non
fosse che dopo venti minuti di break, ciò che si ascolterà nell’altra ora e
trentacinque minuti di concerto (durata totale 2 ore e quaranta) sfiora il
soprannaturale. Haynes menziona Heavy
Load Blues e il blues sale in cattedra. Dopo la mirabolante Endless Parade e la reggatissima Unring The Bell, chiama sul palco l’armonicista Fabio Treves e con lui eseguono Good Morning Little Schoolgirl frazionata in un ritmo molto diverso
dall’originale classica, quasi singhiozzante. Poi i Muli si scatenano nella
lunga Sco-Mule che tra rallenty, ripartenze, impennate e
scorribande strumentali con un il drive bestiale di Matt Abts (sia Santo
subito), Carlos Santana dell’età dell’oro sembra lì sul palco. Il momento più
romantico dello show è affidato al colpo al cuore di Beautifully Broken e allora il Teatro Dal Verme ha ormai cambiato
galassia e per chi è in sala non resta che abbandonarsi al piacere sensoriale
di una musica totale. Potrebbero fare tre concerti in un giorno con scalette
tutte diverse tanto è immenso il loro repertorio e la loro versatilità,
scelgono Shake Our Way un funky nero
come la pece e la lunga Feel Like B.U.S.H,
un blues urbano ad alto numero di
ottani per chiudere lo show. L’encore non si fa attendere, Haynes canta solo a-cappella e commuove con Grinnin’ in Your Face di Son House, poi richiama Treves in Long Distance Call di Muddy Waters, l’amore di entrambi, e trascina Muli e pubblico adorante in Soulshine, finale previsto di un
concerto straordinario. Eleganza e sensibilità, Soulshine
non è solo la canzone più nota dei
Gov’t Mule ma è anche il filo che riconduce agli Allman (uscì nell’album Where It All Begins ), la band che
ha dato i natali a tutta questa fantastica storia musicale che dura tutt’ora.
MAURO
ZAMBELLINI
Le foto
sono dell’amico Zanza