Finalmente posso iniziare diversamente questo MY BEST OF THE YEAR, contrariamente agli
ultimi anni il 2014 ha regalato (si fa per dire) ottimi dischi e splendidi
concerti per quanto riguarda il rock n'roll più o meno classic. Ad essere
precisi di buoni concerti ne avevo visti anche l'anno precedente, uno su tutti
Neil Young & Crazy Horse a Locarno, ma pure nell'anno appena trascorso gli
eventi da ricordare sono stati diversi. Neil Young è ritornato ma il suo
concerto di Barolo è stato troppo inficiato dalla disorganizzazione di chi lo
ha allestito per rimanere nella mia memoria, cosa invece che è successo per tre
concerti "maggiori", di cui ho già scritto su questo blog.
Innanzitutto lo show dei Drive By
Truckers a maggio al Shepherd's Bush
Empire di Londra.
Indubbiamente il luogo conta, eccome, essere a Londra in uno
dei teatri che ha visto passare parte della storia del rock, aiuta all'enfasi e
alla percezione, oltre a predisporre ad un vero sentire, ma al di là del
fattore ambientale, ciò a cui ho assistito ha surclassato ogni mia più rosea
aspettativa. I DBT di English Oceans sono una band completamente trasformata,
rispetto alla furia punk del loro show milanese di qualche anno prima alla
Salumeria della Musica (periodo Go-Go Boots) e rispetto agli
orizzonti alternative country di
dischi come Live from Austin, Tx . Il fatto che le parti vocali siano
equamente divise tra Mike Cooley, chitarra
solista, con la sua voce monocorde e lamentosa, e Patterson Hood col suo tono
disperato e sofferente, amplia il range espressivo della band, aggiunge
completezza e varietà al set, rifinito con grande maestria dallo squisito
lavoro di Jay Gonzalez, eclettico
polistrumentista che spazia tra Hammond, piano elettrico e chitarra Gibson SG,
da Brad Morgan, il batterista con
barba lunga da mormone che picchia senza sbavare e senza platealità, e dal
nuovo bassista Matt Patton (faceva
parte dei Dexateens), alto, secco, jeans e stivaletti, con capelli a caschetto
da beat dei sixties e volto sempre sorridente, il quale e ha portato una
ventata di freschezza nella band. Adesso nello show dei DBT non c'è solo
urgenza punk e malinconia country ma ballate spezzacuori alla Tom Petty,
polverose cavalcate elettriche, l'esempio mirabile è Grand Canyon, dove dentro
c'è tutta l'America delle strade secondarie del rock, l'eco western e le
rasoiate rabbiose di chi si sta giocando la vita con la musica, il mito della
strada filtrato da un bizzarro fatalismo sudista, oltre ai ganci cattivi degli
Stones e ad un certo romanticismo springsteeniano. Una band coi fiocchi, eccitante
ed epica, a cui il nuovo disco English Oceans ha ridato fiducia ossigenato muscoli,
nervi e cuore. Del secondo concerto ho già detto oltre il dovuto, i Rolling Stones di Zurigo sono stati brillanti come da tempo non li sentivo e non li vedevo,
nulla a che vedere con le ultime due loro calate a San Siro. Passi anche la
scaletta karaoke da greatest hits ma chi si può premettere di avere ancora così
tanta energia da riproporle 50 anni dopo con tale entusiasmo, infilando una Satisfaction così devastante da lasciare
senza parole per tanta rabbia, eccitazione e febbre elettrica. E non è stato il
solo pezzo memorabile, si aggiunga poi lo spettacolo, il palco, il pubblico,
l'ironia ed un Mick Jagger così assatanato e avrete il rock n'roll show che
tutto l'Universo ci invidia. Il terzo concerto che mi ha impressionato è quello dei Counting Crows all'Alcatraz di Milano il 23 novembre scorso.
Ci
sono momenti in cui il rock è ancora capace di regalare la felicità, cosa
piuttosto rara di questi tempi, quella sensazione che solitamente si prova
quando si è innamorati, beh Adam Duritz e compagni quella sera ci sono riusciti
e la sensazione era tangibile, era sullo sguardo dei tanti che hanno assistito
a quel concerto. Magia del rock n'roll e realtà di una band che maneggia la
materia con grazia e cattiveria e di un cantante magnetico, carismatico,
istrionico, che si fa rapire e coinvolgere dalle sue canzoni come lo stesso
pubblico che lo ascolta, travolto dalle note e dai versi in un viaggio dove lui
recita una bohéme che immancabilmente finisce col trafiggere il suo e il nostro
cuore. I Counting Crows sono una band da difendere con tutte le forze, non è
facile essere classici e moderni nello stesso tempo, e tantomeno unire dolcezza
e asprezza con la stessa credibilità, fremiti pop da successo radiofonico e
spigolature rock da road band, echi folk e furia grunge, bisogna possedere una
chimica da grande band, cosa che i Counting Crows hanno, ultimi discendenti in
ordine di tempo di quella dinastia di "orchestre" americane nata con
The Band. Poco importa che il loro ultimo Somewhere Under Wonderland non è tutto all'altezza delle loro cose
migliori, ma il concerto è stato intenso, emozionante, recitato, quasi un
flusso di coscienza. Ritorneranno il prossimo estate, chi non li ha visti a
Milano si affretti a comprare il biglietto.
Passiamo ai dischi, quella che segue è la lista dei dieci
titoli inviati un mese fa al Buscadero per l'usuale poll annuale. Di molti titoli ne
ho già parlato su questo blog per cui vado al sodo, l'ordine non è del tutto
casuale : 1) Lucinda Williams Down Where
The Spirit Meets The Bone 2) Gary Clark Jr. Live 3) Drive By
Truckers English Oceans 4) John Hiatt
Terms of My Surrender
5) John Mellencamp
Plain Spoken 6)
Wilko Johnson/Roger Daltrey Going
Back Home 7) Tom Petty Hypnotic Eye 8) Hurray For The
Riff Raff Small
Town Heroes 9) Chris Cacavas/ Edward Abbiati 10) Me and The
Devil, Looking Into You- A Tribute to Jackson Browne.
Ce ne
sono altri che avrei inserito se non mi fossi limitato a 10, il Jackson Browne di Standing In The Breach ad esempio, ma ho scelto il tributo
al suo songwriting per via di alcune
versioni assolutamente fantastiche, mi vengono in mente Fountain of Sorrow delle Indigo Girls, The Pretender di Lucinda Williams, sicuramente il personaggio rock
dell'anno, Before The Deluge di Eliza Gylkison ( eccellente il suo
disco solista The Nocturne Diaries), a
dimostrazione della rigogliosità positiva del 2014. Tra gli emergenti o presunti
tali, mi va di ricordare il newyorchese Anthony
D'Amato con The Shipwreck From The Shore, i
frizzanti e cool Lake Street Dive di
Bad
Self Portraits, i rarefatti
oregoniani Delines con il notturno Colfax, il cantautore inglese Ben Howard che con I Forget Where We Were ha
realizzato quello che il suo collega americano Ray Lamontagne aveva fatto con Till
The Sun Turns Black ovvero
immergersi nelle ombre dell'animo umano con canzoni affatto lineari e
consolatorie, portando in superficie un songwriting notturno, scapigliato ed
introverso. In ambito più rock mi piace ricordare il disco di Rich Robinson, il fratello meno famoso
dei Black Crowes, che al suo terzo disco solista, The
Ceaseless Light, ha allargato gli orizzonti e allungato i tempi
creando una musica in cui svolazzi chitarristici in libera uscita, leggiadre
armonie col profumo dell'oceano, ballate che iniziano pigre e assonnate e poi
salgono nel cosmo col suono liquido delle chitarre e delle tastiere,
ricompongono quello stile anni settanta in cui si riflettono la psycho-California
dell'epoca, il rock dei Rolling Stones seventies, il southern rock della golden
era e le visioni fumate e rilassate di quanti ancora viaggiano con la musica. Ha
fatto decisamente meglio del fratello Chris, che con Phosphorescent Harvest ha calcato un po' la mano verso un
sound alla Greateful Dead era-Terrapine
Station perdendo freschezza e
spontaneità e facendo suonare le chitarre con un timbro scintillante, troppo prog per i miei gusti. Il desiderio è di
rivedere insieme di nuovo i due fratelli perché i Black Crowes erano un'altra
cosa, e mi mancano.
Chiudo
qui, altre cose non mi vengono in mente o non le ho ascoltate, se dovessi dare
una votazione da uno a cinque al 2014, musicalmente e solo musicalmente
parlando, affibbio un quattro. Confrontato col 1984 o il 1974, il voto potrebbe diventare tre se non
addirittura due, ma i tempi sono cambiati e bisogna adattarsi. Per curiosità
elenco invece il BEST delle ultime due decadi, il 1994 quando scrivevo per Il
Mucchio e il 2004.
Dello stesso girone infernale impossibile far finta di
nulla davanti alla maestosità di Dark Side Of The Mule dei granitici Gov't Mule capaci di virare al blues e al rock americano un'opera
così inglese e cult come quella dei Pink Floyd. Due dischi su tre del loro
triplo CD+DVD sono all'insegna delle
canzoni della band britannica, versioni che misurano la bravura tecnica e la
versatilità dei Muli (capaci di passare dai Grateful Dead ai Rolling Stones,
dai Doors a Neil Young, come io passo dal primo al secondo piatto) con una
rivisitazione di Wish You Were Here semplicemente pazzesca, voce sospesa, liquid
sky ed una chitarra che estrae dal blues gli arpeggi per dire la sacrosanta
verità, che i Pink Floyd sono storia ma c'è chi suona meglio di loro. Colossali. Tra i dischi inclusi nella lista
del poll Buscadero ce ne sono due di cui ho parlato sono marginalmente in fbook
: Hypnotic
Eye di Tom Petty e Terms of My Surrender di John Hiatt. Il primo quando all'epoca della sua uscita, la scorsa
estate ha diviso gli ascoltatori, chi lo apprezzava e chi lo liquidava come un
disco secondario. Mi sono arruolato tra i primi, l'ho ascoltato una valanga di
volte, forse è stato il disco che più ho sentito nell'estate affatto calda del
2014, a casa, in macchina, con amici, ovunque, mi piaceva quel suono semplice.
rocknrollistico, tra beat e blues, arpeggi California style e canzoni talmente
disimpegnate nel sound da fornire la soundtrack ad una decapottabile o ad una
spider vecchi tempi, correndo su strade verso il mare. Niente di ché, solo il
piacere semplice del rock n'roll come veniva pensato negli anni cinquanta e
prima del '67. Nei mesi non ho cambiato idea, Hypnotic Eye non è certo da annoverare tra gli
imprescindibili di Tom Petty (Mojo era più intrigante)e magari lo si dimenticherà
presto, ma quanto mi ha fatto compagnia questa estate con la sua aria
sbarazzina. Di tutt'altro spessore il disco di John Hiatt che in pochi hanno
messo in risalto. John Hiatt è un tipo che fa dischi con regolarità da svizzero
e ogni volta non delude, ma ci sono impennate e uno standard nobile. Per stare
ai "tempi moderni", Mystic Pinball del 2012 è standard nobile, Dirty
Jeans and Muslide Hymns (2011) e The Open Road ( 2010) sono impennate. Questo Terms
of My Surrender , passato quasi inosservato, è sulla falsariga di quei
due, se non ancora meglio, è un disco
che fa i conti con l'età dell'artista ed il tempo che sfugge, con le
amarezze e le poche illusioni rimaste, è un disco di ballate che arrivano al
cuore passando prima dalla mente, una sensibilità da vero storyteller, un disco
in bianco e nero con qualche slide ed un po' di armoniche, il sound di una band
da strade blu, la voce di un narratore amareggiato ma ancora in grado di raccontare
storie in si ritrova quel grande romanzo americano che tutti vorrebbero
scrivere. Un disco meno solare dei due precedenti citati, bluesato senza essere
blues. Ottimo.
Sembra far
parte di un altro anno tanto è distante ma è uscito all'alba del 2014, il disco delusione dell'anno per il
sottoscritto è stato High Hopes di Bruce Springsteen. L'ho ascoltato a valanga appena uscito per
cercare di capirlo, poi di botto basta, è rimasto lì con la polvere che gli si
adagiava sopra, l'ho risentito recentemente, mi pare ancora più brutto che
all'inizio, quando lo recensii con tre stelle. Adesso gliene darei due perché
non è possibile che l'autore di The River
rilasci un disco simile. Mi conforta vedere che gli estimatori
della prima ora, non parlo degli integralisti di cui è pieno il mondo e nel
rock sono una vera falange, lo hanno dimenticato, ma di amici con cui parlo, mi
confronto, scambio idee e battute. Un esempio, l'amico Blue Bottazzi, che lo
paragonò a Combat Rock dei Clash
(peraltro non uno dei loro migliori lavori), non l'ha nemmeno citato nel suo
Best di fine anno sul suo blog. Adesso ho letto che Springsteen ha il mal di
schiena e si fermerà per un po' senza fare concerti, spero francamente che
abbia il tempo per tornare a sfornare dischi con una cadenza più dilatata come
un tempo, ci eviterebbe il mal di pancia di lavori così affrettati e
raffazzonati come High Hopes. E adesso che Little Steven è in Norvegia a
Lilyhammer, gli auguro di cercare un chitarrista che non sia Morello.
Capitolo ristampe o meglio Box Super Deluxe, qui sono
dolori. Le case discografiche, con l'avvallo dei loro artisti, è bene dirlo, ci
marciano e sembrano spillare soldi sempre a quegli stessi che prima comprarono
il vinile, poi la prima ristampa in CD, poi la seconda rimasterizzata, poi
l'Edizione Deluxe e adesso sono presi per la gola con Box eleganti, rifiniti,
con album fotografici da sogno. Sanno che il fan è debole rispetto a certe
proposte, è come Adamo davanti alla mela, lo vivo sulla mia carne ma ho
adottato il metro che un vero appassionato è un collezionista (ovvero vuole
tutto del suo artista preferito) che è bene che stia sotto sedativi. Ovvero non
deve andare in fibrillazione non appena appare un nuovo Box
"imperdibile". Non siamo carne da macello, abbiamo la nostra dignità
e le nostre difficoltà ad arrivare a fine mese. E' ora di alzare gli scudi.
Prendiamo The Basement Tapes Complete di
Bob Dylan and The Band, bell'opera, non si discute ma 100 euro per degli avanzi
di cantina. Non l'avrei mai preso ma me l'hanno regalato a Natale, a caval
donato non si guarda in bocca, il meglio di tutto il materiale presentato sta
nell'originale doppio album The Basement Tapes del 1975, caso mai procuratevi la
versione Raw economica di questa
ristampa, doppio CD e pensateci bene prima di sborsare tanti soldi per il Complete,
a meno che non siate un
collezionista allergico ai sedativi. Stesso discorso per il Box di Springsteen 1973-1984 con i primi otto dischi
rimasterizzati "come si deve per la prima volta". Materiale arcinoto,
senza nessun inedito, taglio scartato, out-takes o quant'altro, solo quelle
canzoni che si sanno a memoria, mitiche, che hanno creato la leggenda del
romanticismo rock urbano e innalzato Bruce a salvatore di un popolo di orfani
che chiedevano gioiosamente una sola cosa, una reason to believe. Beffardo è constatare che quella reason to believe è oggi racchiusa in
una scatola dal costo di 50 euro (i CD) o
135 euro (i vinili) , senza nessuno sforzo di offrire a quegli ex-orfani
(perché poi sono solo loro ad acquistarlo, non i giovani che non c'erano)
qualcosa di nuovo, perduto e ritrovato. Leggo su fbook qualcuno scrivere che i bassi di The River non si erano mai sentiti così, a parte
che per godere delle rifiniture di masterizzazione bisogna possedere un impianto
di una certa levatura esoterica, e poi perché non portare a compimento la tanto
paventata ristampa di The River sull'esempio di ciò che è stato fatto per Darkness
e Born To Run completando la "meravigliosa trilogia".
Invece, The River Deluxe
Edition sarà probabilmente realizzata in un
prossimo futuro ma nel frattempo beccatevi questa minestra riscaldata, oggi con
un tecnologico microonde. Sento già qualcuno dire, ma, Zambo, cazzo, te le vai
a cercare, perché parli così del Boss......il fatto è che parlerei così anche
degli Stones, di Willy DeVille o di chiunque altro se fosse il caso, l'ho già
detto più volte, il mio approccio al rock è laico non fideista. Di Willy DeVille, povero dimenticato dalle
aristocrazie di potere del rock, si è avuto il doppio CD+DVD Live
at Rockpalast che rimette in
circolo il Mink DeVille degli anni a cavallo tra 1978 e 1981, poco trattati e mai
documentati, gli Stones hanno invece
"liberato" parte dei loro archivi rendendo disponibili in CD e DVD
ottimi concerti inediti, testimoniati solo da qualche bootleg, come i brillanti
L.A.Friday
1975 e Hampton Coliseum 1981. E' luogo comune vedere i Rolling Stones come
dei mercenari, tossicodipendenti da vile denaro, e invece Springsteen come un
santo che rispetta i suoi fans. Qualcosa non torna, lo Springsteen dei concerti
non si discute ma lo Springsteen discografico, complice anche la Sony, si, e
non solo da oggi. Sento già gli insulti arrivarmi, prendo e incasso ma non
cambio idea. Altra ristampa sotto
inchiesta, il cofanetto di sei CD riguardante il terzo album dei Velvet
Underground, disco fantastico, seminale e trascurato, sebbene non
avanguardistico come i primi due, ma denso di belle canzoni e di sonorità
scheletriche che vestono di un taglio quasi folk il rock urbano. Ebbene, tre su
sei CD della Super Deluxe edition di The Velvet
Underground sono la
stessa cosa ovvero il disco originario, l'edizione mono (ma chisse ne frega) dello
stesso e la stessa registrazione con il mixaggio però che volle fare Lou Reed (closet
mix) non in sintonia con il mix di Val Valentine, dove le differenze sono
quasi impercettibili. Il problema è che queste ripetizioni non le regalano
perché il cofanetto costa 55 euro, per fortuna c'è la Deluxe Edition in
edizione economica, solo due CD, il mixaggio di Val Valentine ed il live al
Matrix di San Francisco del novembre 1969, che salvano la situazione.
Non
tutto va secondo questo schema, ad esempio per Allman Brothers Band e Rory
Gallagher si è scelto la via di documentare in modo completo e definitivo
due eventi cardine della loro carriera con materiale ufficialmente inedito, per
i primi Live at Fillmore East, il
più bel disco dal vivo della storia del rock, e per il secondo Irish
Tour '74. Di Live At Fillmore East esistevano diverse edizioni,
personalmente mi tengo stretta, oltre all'ormai usurato doppio vinile
originario, una edizione in due CD del 2003, ma se qualcuno volesse possedere
tutti gli show di quel magico marzo del 1971 a New York è accontentato, così
come saranno soddisfatti i tanti fans del più grande bluesman irlandese che con
i sette CD più un DVD di Irish Tour '74 possono conoscere e ascoltare
l'incendio a suon di blues e rock, che Rory incurante dello stato d'assedio di
quel conflitto sanguinario, appiccò nell'Irlanda di quell'anno, tra Cork,
Dublino e Belfast. Altra storia ancora il bel box di quattro CD dell'artista a
tutto tondo Joni Mitchell che con Love
Has Many Faces ha ricomposto la sua avventura musicale ideando un'opera
in quattro parti interagenti tra di loro con canzoni scelte e rimasterizzate
della sua vasta collezione. Una sorta di documentario sonoro (e visivo)
sull'amore e la mancanza di esso che esaltano un'artista la cui creatività
attraversa senza gerarchie musica, letteratura, pittura, natura, vita vissuta,
psicanalisi. Peccato che nella selezione dei brani abbia dimenticato un album
così bello come l'ultimo Shine e abbia estratto dall'incantevole Heijra
solo una traccia, delegando
altre canzoni di quell'album alle versioni orchestrali contenute in Travelogue.
Al di là di ciò Love
Has Many Faces è un libro a
quattro CD originale e pur non offrendo
nulla di nuovo intriga con la sua eleganza e raffinatezzao, e con una delle
voci più belle che il cantautorato femminile abbia regalato. Molto di nuovo
offre invece Wilco Alpha Mike Foxtrot anche
qui quattro CD che assemblano rare tracks tra il 1994 e 2014. Non
tutto è superlativo anche perché il meglio di Wilco è già stato pubblicato ma
in questo caso il percorso scelto è l'approfondimento con tracce rare, inedite,
uscite qui e là su delle raccolte, dei tributi e degli Ep, qualche out-takes e
diversi live. Un lavoro che amplia il livello di conoscenza su una delle rock
band più importanti degli ultimi ventanni.
1994, la
Top 20 del Mucchio era così costituita : David Byrne (omonimo), Jeff Buckley (Grace),
Johnny Cash (American Recordings), Nick Cave (Let Love In),
Cooder/Tourè (Talking Timbuktù), Grant Lee Buffalo (Mighty Joe Moon), Ben
Harper (Welcome To The Cruel World), Ted Hawkins (The Next Hundred Years),
Tom Petty (Wildflowers), Portishead (Dummy). Primal Scream (Give
Out But Don't Give Up), Robbie Robertson (Music For The Native Americans),
Rolling Stones (Voodoo Lounge), Todd Snider (Songs For The Daily Planet),
Soul Coughin (Ruby Vroom), Soundgarden (Superunknown), Jon Spencer (Orange),
Sugar (File Under Easy Listening), Jimmie Vaughan (Strange
Pleasure), Neil Young (Sleeps With TheAngels).
2004,
i miei dieci per il pool del Buscadero erano: Pearl Jam (Live at Benaroya Hall),
Cheap Wine (Moving), Dr.John (N'Awlinz: Dis Dat or D'Udda), Jesse
Malin (The Heat), Patti Smith (Trampin'), Tarbox Ramblers (A Fix
Back East), JJ Cale (To Tulsa and Back), North
Mississippi Allstar (Hill Country Revue/Live Bonnaroo), Dwight
Yoakam (Used Records), Bobby Charles (Last Train To Memphis). Il poll
dei giornalisti del Buscadero aveva decretato disco dell'anno Trampin'
di Patti Smith davanti a Dr.John e A Ghost Is Born di Wilco.
A voi le valutazioni e Buon Anno
MAURO
ZAMBELLINI 30 DICEMBRE 2014