Nulla a che vedere con il più tribolato
contenzioso governo/sindacati con imminente sciopero generale, qui stiamo sul
frivolo e parliamo di rock anche se chi ama il genere sa quanta cultura si
nasconda dietro un disco. Un autunno così caldo non capitava da diversi anni,
ottimi o buoni dischi arrivati sul mercato in finale d'estate o al primo freddo,
qualcuno firmato dalle grandi star, altri più anonimi ed indipendenti. Di Gary Clark Jr. e del suo Live ho
già scritto in questo blog, per chi scrive è il disco blues dell'anno pur irrobustito
da una massiccia dose di rock e di Hendrix, che rimane sempre il più grande
bluesman elettrico. Se non siete ancora convinti del ragazzo nero venuto dal
Texas procuratevi il DVD Rock In Rio, testimonianza di un
concerto tenuto in quel festival a Lisbona il 29 maggio di quest'anno. E' una
bomba, non è lungo come il doppio live CD, solo dodici pezzi ma bastano e
avanzano per far capire come canta e suona il nostro, coadiuvato da una band
(basso, batteria e altra chitarra) formidabile ed incendiaria. E' un bootleg ma
video e audio sono eccellenti, trovatelo, costa poco e vale molto.
A questo punto è il disco dell'anno e
non lo dico solo io, difficile fare meglio di Down Where The Spirit Meets The
Bone di Lucinda Williams, un
doppio album che riporta il rock in cima alle vette della grande musica con una
sequenza di canzoni che racchiudono l'intero percorso della cantautrice e
rockeuse della Louisiana e dimostrano cosa sia l'ispirazione quando questa si unisce
a cuore, mente, esperienza, sentimento e tecnica. Messasi in proprio con la
casa discografica Thirty Tigers, coadiuvata
da vecchi amici e grandi musicisti (tra cui l'immarcescibile Greg Leisz,
lo swampin' Tony Joe White e l'eclettico Bill Frisell) Lucinda Williams ha infilato
una carriera intera in 20 canzoni che hanno il potere di trascinare
l'ascoltatore in un mondo popolato di tristezze e risalite, malinconie e
rabbia, sogni e delusioni, creando un doppio album che ha la valenza di
capolavori come Exile degli Stones, Blonde on Blonde di Dylan, London
Calling dei Clash, The River di Bruce. Ispirazione,
maturità, senso del rock n'roll, emozioni, anima scura e occhio vivo, Down
Where The Spirits Meets The Bone è un doppio album amaro perché il
mondo, della Williams ed il nostro, non è gioioso ma anche liberatorio,
abbandonato allo swing di un rock n'roll di strada, con ballate che ti strappano
lacrime e chitarre elettriche che ti
incitano a resistere verso la vita e la speranza, visioni che evocano quel Sud
appiccicoso, celato, segreto e nascosto così come appare nudo e crudo nelle
immagini della serie True Detective e
cantilene vocali basati sulla ossessiva reiterazione di versi e parole così da
trasformare la canzone in una specie di mantra ipnotico, assuefante, sensuale.
Brani come Foolishness o Something Wicked This Way Comes sono esempio di nuova metrica elettrica, non
si scrivono e cantano tutti i giorni, bisogna avere percorso una intera storia
musicale, dal folk al blues, dal country al rock con dischi uno più bello e diverso dall'altro,
oltre a possedere la magia di raccontare e dare corpo a quell'incessante
serbatoio di umori, misteri e fascino che è la Louisiana. Down Where The Spirit Meets The
Bone è proprio come suggerisce il titolo, spirituale e carnale,
assolutamente colossale nella sua qualità artistica.
Al primo ascolto sono rimasto con un
sorrisetto ebete sulle labbra, come dire, carino, bravo brother Jackson. Poi dopo diversi ascolti ho cominciato a sciogliere
la matassa e a mettere da parte la nostalgia, sono entrato dentro le note e il
significato delle canzoni e alla fine mi sono trovato con un album che non
passa mattina che non lo metta nel lettore come primo disco della giornata. Standing
In The Breach è davvero un bel disco e lo dice uno che non è mai stato
un fan sfegatato di Jackson Browne
anche se Late For Sky e Running
On Empty hanno riempito con le
loro luci al calar della sera una fase della mia vita quando ero ancora
giovane e la west-coast simboleggiava un futuro ribollente di speranze. Ma
Browne era comunque troppo melodico e "poetico" per il mio essere,
preferivo le facce sporche e i teppisti elettrici, anche se come anima inquieta
Browne non si è fatto mancare nulla, amori naufragati, cocaina, depressione,
smarrimento dopo il diluvio. Ma quando nel 1979 mise in piedi No
Nukes c'era un altro in quel concerto che vestiva meglio le mie urgenze
ed il mio diventare adulto e rifletteva le mie origini popolari. D'altra parte
non ho frequentato il liceo ma l' istituto tecnico come perito chimico e questo
forse spiega perché alle poesie preferivo le Fender. Ma con gli anni in-anta ho riscoperto un lato
melodico che Jackson Browne in Standing In The Breach coglie
perfettamente. Non è nulla di nuovo Standing In The Breach ma è il
cliché di Jackson Browne elaborato al meglio, c'è l'eco dei suoi vecchi inni, la
sua voce è rimasta convincente come quella di un fratello che ti avverte dei
pericoli e dei fallimenti ed il passato è filtrato da una consapevolezza del
presente che è specchio di una mente aperta, un intellettuale affatto imbolsito
che scrive di quanto sia capace l'uomo nel far del male all'uomo. In più c'è
una band coi fiocchi, Don Heffington alla batteria e Bob Glaub al basso oltre a
Greg Leisz e Val McCalum assi portanti anche del disco di Lucinda Williams,
insomma Standing In The Breach è uno dei suoi migliori dischi di sempre.
Se quello di Gary Clark Jr. è il disco blues
dell'anno, Plain Spoken di John
Mellencamp è il disco folk dell'anno. Dismessi gli abiti di little bastard dell'heartland rock, Mellencamp insiste sulla strada iniziata con Life
Death Love and Freedom e No Better Than This ma più che
l'ipnosi rurale di quei due dischi, in verità un po' monotoni con canzoni troppo
simili e lentezze asfissianti, qui sceglie un basso profilo elettro-acustico
con una maggiore ricchezza strumentale, arrangiamenti più vari e soluzioni
ricche dal punto di vista melodico. In definitiva Plain Spoken scorre con
più brio senza rinnegare le tinte seppiate di un folk intriso di blues rurale,
country urbano e songwriting dylaniano con l'unica eccezione di un finale, Lawless Times, all'insegna di un rock
arruffato e garagista. Trouble No More del 2003, disco
di cover e lucido excursus in quel patrimonio di musica americana con cui erano
cresciuti lui e i suoi ascoltatori, risulta essere lo spartiacque della
carriera di Mellencamp, dopo quel disco è cambiato e oggi la sua maturità e la
sua coscienza lo portano ad avere una consapevolezza sociale ed una attenzione
speciale verso quell'America che non crede più ai sogni. Una sorta di Woody
Guthrie elettrico.
Se
questi sono i grandi dell'autunno 2014 dietro c'è un pullulare di cadetti che regala lavori
più che dignitosi. A cominciare dagli italiani dove una volta di più si fanno
notare i pesaresi Cheap Wine con Beggar
Town, un disco cupo e pessimista nei testi ma con una sintonia tra il
pianoforte di Raffaelli e le svisate acide di Michele Diamantini pressoché perfetta,
a cui si saldano il cantato misurato del fratello Marco e una sempre nervosa
sezione ritmica. Stati d'animo rabbiosi con qualche squarcio di luce, ballate e
fughe psichedeliche, i Cheap Wine arrivano con Beggar Town al punto
climax della loro avventura, con un disco lucido ed una produzione da manuale,
un suono secco e pulito pur nel sublime caos della loro tempesta elettrica. Mai
uguali a prima ma coerenti con la loro storia e la loro progressiva evoluzione
i Cheap Wine sono da un pezzo un punto di riferimento in Italia per quanti
coniugano romanticismo ed urbano underground. Legati invece ad un contesto
roots i Lowlands hanno pubblicato un
album, Love Etc...., che riflette gli stati d'animo del loro frontman
Edward Abbiaticon canzoni recuperate dal passato, canzoni che lo hanno aiutato
a superare momenti funestati da perdite, abbandoni, delusioni. Edward Abbiati è
un ottima penna nel panorama del rock made in Italy, il suo disco con Chris Cacavas, Me and The Devil, è una
delle cose migliori dell'annata in corso e allo stesso modo Love
Etc...pur essendo meno eclatante è un lavoro che esalta il suo lato intimista
e riflessivo. Coadiuvato da un'ottima band a cui si è aggiunta una sezione
fiati di derivazione classica e jazz, Abbiati coi Lowlands assembla canzone
d'autore, folk-rock ed il respiro ampio di una sezione fiati, oltre a cori,
violino e violoncello, portando le loro
radici in una bettola di New Orleans. Immutato il mood intimista e sentimentale
delle canzoni ma il risultato è un folk
da marching band con parecchio swing nel sangue, armonie pop, coreografie
dixieland, voci soul in uno dei dischi più anomali del loro itinerario
musicale, un modo intelligente per parlare d'amore senza cedere alla retorica e
ai piagnistei.
Di tutt'altro tenore è Americana
dei Guano Padano, un disco
strumentale che come suggerisce il titolo si addentra nei paesaggi di quella
musica americana che si nutre di suggestioni letterarie come le fotografiche
sulla Grande Depressione di Dorothea Lange, gli scritti di John Steinbeck,
Sherwood Anderson, Edgar Lee Masters, Richard Wright, Hemingway e John Fante. I Guano Padano ovvero le
corde di Alessandro Stefana, il contrabbasso di Danilo Gallo, le percussioni di
Zeno De Rossi più una serie di strumentisti vari compresi trombe, trombone e
sassofoni, cuciono la fascinazione verso
americana con la stima nei
confronti di quegli intellettuali italiani che negli anni neri del fascismo
sfidarono il regime introducendo nella nostra cultura, attraverso letture e
traduzioni, la letteratura americana contemporanea. Alcune tracce del disco
sono influenzate da La Luna e i Falò e
i Mari del Sud di Cesare Pavese ed il titolo disco si
riferisce ad una controversa antologia realizzata negli anni 40 del novecento
su progetto di Elio Vittorini, una
collezione di testi di 33 narratori americani alla cui realizzazione
collaborarono per le traduzione Cesare Pavese, Eugenio Montale e Alberto
Moravia. Purtroppo Vittorini non riuscì a pubblicare Americana nel modo in cui
lo pensò perché il regime fascista in quel periodo poco tollerava
un'esterofilia che non parlasse tedesco. Eppure la curiosità verso la
letteratura americana aveva suscitato fin dagli anni trenta un sotterraneo
interesse tra gli intellettuali, così hanno fatto tanti anni dopo i Guano
Padano approcciandosi quegli autori americani, subendone la stessa fascinazione
e restituendo un'America primitiva, antica e vergine, uno score che traspone sterminate pianure, terre desolate e sobborghi
poveri di città industrializzate, una musica che odora sudore, polvere e
libertà. Ascoltare Americana è come immergersi in una soundtrack di un film in
bianco e nero, il riferimento più vicino è lo splendido Nebraska di Alexander
Payne con Bruce Dern e la musica di Mark
Horton, il quale è difatti presente nel disco dei Guano Padano con dobro e
banjo, assieme a Joey Burns dei
Calexico. Visionario a tratti, affascinante sempre nelle sue evocazioni da
road-movie, Americana è un quadro di
neorealismo elettroacustico con sprazzi ritmici e rarefazioni melodiche,
visioni desolate ed improvvise esplosioni di energia, alchimie strumentali
degne di Bill Frisell e scampoli dell'intreccio tra roots, jazz e musica etnica
di Charlie Haden, svisate surf e accelerazioni twang anni '50, recitazioni orali,
silenzi e squarci rumoristi alla King Crimson. Da sentire assolutamente.
La parziale delusione di Somewhere
Under Wonderland dei Counting
Crows, uno degli album meno ispirati della loro collezione, è stata lenita
da un paio di dischetti cosidetti minori ma interessanti. Cory Branan è un simpatico giovinastro del Mississippi con un
pronunciato senso dell'ironia visto che il quarto suo disco lo intitola The
No-Hit Wonder, dedica a chi come lui frequenta le retrovie della musica
senza mai godere dei riflettori del successo. D'altra parte la sua non è musica
di moda visto che il mestiere del cantautore country-rock è da parecchio in
disuso ma il suo disco suona fresco e arzillo, come fosse l'esordio di Todd
Snider. In effetti in The No-Hit Wonder un po' di nomi
illustri ci sono, l'ex Drive By Truckers Jason Isbell, l'ex Black Crowes Audley
Freed, l'ex Whiskeytown Caitlin Cary, gli Hold Steady Craig Finn e Steve
Selvidge, amici che dicono dei bar frequentati dal nostro ovvero tanto entusiasmo,
birra a fiumi e quell'honky tonk che a volte è scapigliato rockabilly,
altre ballate per addolcire un'esistenza
di sfighe e magre ricompense. Insomma Cory Branan è l'ultimo cowboy arrivato in
città, jeans lisi, stivali impolverati, faccia da schiaffi, come si fa a non
volergli bene.
Dal milieu cantautorale
della East-Coast americana esce invece Anthony D'Amato laureatosi a Princeton con il poeta e premio Pulitzer Paul
Muldoon e oggi songwriter facente parte di quel giro d'artisti
"colti" che comprende Pete Yorn, Rhett Miller, Josh Ritter. Adottato
dalla scena newyorchese, D'Amato è autore di tre album, l'ultimo dei quali, The
Shipwreck From The Shore è prodotto da Sam Kassirer ( Longhorne Slim,
Lake Street Dive, Josh Ritter). Gli studi effettuati hanno segnato in modo
netto il suo modo di comporre e cantare, se da una parte di fatti le sue
canzoni mostrano evidenti sfumature poetiche con testi interessanti e complessi
sull'amore ed il vivere, dall'altra parte il suo cantato sceglie un tono
recitativo diverso dai conosciuti talkin' del folk-rock d'autore. Questo modo di esprimersi regala a
D'Amato una "voce" ed uno stile particolare pur muovendosi in un
ambito di folk urbano e di indie-rock e soprattutto una coralità con cui,
assieme ad un nutrito team di musicisti, costruisce canzoni che evocano band
recenti come i Mumford and Sons e gli Of Monsters and Men. Non succede dappertutto in The
Shipwreck From The Shore ma quando il pezzo si allarga in una
complessità strumentale dove si sentono trombe, violini,tastiere, armoniche,
clarinetti, oboe, oltre al consueto bagaglio di basso, chitarra,batteria, il
senso epico di quelle band risalta in tutta la sua coralità. In altri momenti
sono invece le ballate dai colori nordici e le solitudini dei grandi spazi a
prevalere, gli arpeggi di chitarra e la vena folkie stralunata e poetica, cosa
che piacerà a chi ha apprezzato i dischi di Jon Allen, Ben Howard, Josh Ritter,
Willy Mason. Anime inquiete dai toni gentili. Vorrei parlarvi anche del nuovo
disco di Ben Howard, I Forget Where We Were e del
curuioso Heigh Ho di Blake Mills ma ad oggi non me li sono ancora
procurati. Sarà per la prossima volta. Sweet november.
MAURO ZAMBELLINI
14 commenti:
Amo questi articoli che , periodicamente , fanno il punto della situazione dei tuoi ascolti.
Essendo tu la mia penna rock preferita,spero che questa diventi una consuetudine.
aggiungo miei consigli...
Christopher denny
sean rowe
Chuck prophet
Illuminante come sempre a prescindere che tu scriva su questo Blog o sulle pagine del Busca!!!! Browne l'ho acquistato giorni fa e concordo pienamente con il tuo giudizio(pare che il sole sia tornato a brillare sulla West Coast...vedi anche "Croz" del buon David o i lavori di gente come Chris Robinson,J. Wilson o l'ultimo di Beck debitori di certe atmosfere).La Williams mi stuzzica parecchio e purtroppo visto le finanze che non brillano come qualche anno addietro, dovrò scegliere con cautela, ma certamente seguirò i tuoi consigli come da una vita faccio o facevo quando ancora i capelli erano di più e d'un altro colore sulle pagine del Mucchio!!!I Guano Padano mi intrigano parecchio e il loro secondo lavoro gira spesso sul mio lettore o in auto!!!Se fosse possibile darei indietro il Bruce di"High Hopes" e lo Young di "A Letter Home" e li baretterei con un altro di questi titoli...ma credo possa succedere solo nei sogni!!!! Con simpatia Armando Chiechi(Ba)
Luigi, terrò presente i tuoi consigli specie per Chuck Prophet che un tempo apprezzavo molto, come chitarrista e come songwriter, poi lo perso un po' di vista ma ho letto bene di quest'ultimo disco.
Armand, sai quanti dischi darei indietro, High Hopes dopo l'uscita e la recensione non l'ho più ascoltato, un tempo i dischi del Boss li usuravo fino a non esserci più i solchi. Letter Home mi sono guardato bene dallo spemdere i soldi. Il disco della Williams te lo consiglio in modo viscerale. Purtroppo i dischi che si vogliono vendere subiscono le regole dei commercianti, quando l'acquisti devi sborsare 20 euro, se lo vendi anche nuovo al max ci ricavi 4 euro, per poi vederli venduti a 10/12 euro. Meglio regalarli o istituire un mercatino dello scambio, il baratto è un economia anarchica.
Con "High Hopes"a guidarmi è stata la curiosità e l'antica passione e per Young invece quando ho letto le recensioni il disco lo avevo già preso e quindi mi son trovato un po' in anticipo sui tempi.A guidarmi in questo caso è stata la copertina che inconsciamente mi ha portato dalle parti di certi suoi lavori acustici e countryrock oriented!!!L'ultimo di Ryan Adams invece pur avendo un orribile copertina e non essendo un capolavoro scorre comunque bene anche se a dir il vero l'ultimo di Petty centra meglio il bersaglio!!! La Williams e Mellencamp sono le mie prossime "mosse"...e anche se non riuscirò ad inserirli nella lista di fine anno, sicuramente a Gennaio li ritirerò dal mio "pusher"!!!!Armando
confermo e sottoscrivo lo spessore dei dischi di jackson brown, mellencamp e lucinda williams. davvero notevoli.
petty e ryan adams sono godibili ma, visto il talento potenziale, mi aspettavo qualcosa di più.
trovo invece molto riuscito l'ultimo dei counting crows (palasides park è una di quelle canzoni che springsteen non scrive più da 25 anni)e ribadisco l'elevata urgenza rock&roll dell'esordio degli scozzesi the temperance movement, di cui è già uscita una expanded edition dell'omonimo disco
ah dimenticavo.
nessuno ha notato il disco degli hard working americans (todd snider, neal casal,dave schools, duane truks)uscito ormai un annetto fa????
sarà pure una collezione di cover ma a me sembra che suoni proprio bene(al pari del disco di cover di un paio di anni fa dei counting crowes.
per contro l'ultimo black keys mi sembra una cagata pazzesca. va bene le contaminazioni e l'attenzione alla modernità ma il prossimo disco lo mettono in discoteca.
dov'è il duo rock garage blues delle origini??
direi ampiamente rimpiazzati dai rival sons, che anche se non impeccabili, mantengono un tiro da rocker originale
Ottime segnalazione Zambo, Lucinda disco dell'anno, Gary Clark meglio dal vivo che in studio, Mellencamp valido anche se antipatico, Cheap Wine e Lowlands a livello della migliore produzione internazionale. Delusione autunnale il disco di Bob Seger che tanto ho amato e che mi delude profondamente con un album moscio e poco ispirato. Se dopo anni di riposo è in grado di pubblicare queste poche e modeste canzoni è meglio che si ritiri...
Paolob, completamente d'accordo su Bob Seeger, un disco scontato e retorico come pochi. Il fatto è che Bob ha chiuso già da parecchio. Con quel suo viso da vecchio zio del blue collar rock mi sta simpatico ma forse per non rovinare il suo grande passato è meglio che molli.
Confesso che son rimasto basito nel vedere bob seger sulla copertina del Busca e disco del mese.
A mio parere disco che non va oltre le due stelle di valutazione e con una copertina imbarazzante.
L'ultimo di Bob Seger non l'ho preso e prima di spendere qualche euro(si fa per dire)preferisco sentire altre voci(come sopra),visto la cocente delusione con "A letter Home" di Neil Young, che sul Busca ha preso *** e mezzo da Carù!!!!????? E' vero che i gusti non si discutono ma non accetto il discorso della"provocazione del Canadese" quando oltre al Lo-Fi(suonano meglio i nastri di R. Johnson del 1935)vi è pure una chitarra scordata e si sente!!!!?????Mi fiderò sempre di Zambo come ho sempre fatto!!!!!Armando(Bari)
Belle scelte Zambo, d'accordo su tutta la linea ;-)
Mi fa piacere vedere Cory Branan e anche io ti consiglio, come ha fatto un altro lettore, il disco di Christopher Denny un vero gioiellino. Devo ancora ascoltare invece questo Anthony D'Amato, mi incuriosisce.
Mi rincuora anche leggere le tue opinioni (e di altri lettori) sull'ultimo Bob Seger...pensavo di avere preso un abbaglio quando l'ho recensito.
il problema, grosso, e' che qualcuno "spinge" a dovere dischi improponibili. E sappiamo tutti chi' e'/sono. Bob Seger l'ho ascoltato e, sinceramente, mi sono cadute le palle. Disco del mese! Ma va' la', va'......Compro il Buscadero da quando .....era ancora l'Ultimo Buscadero. Mi verrebbe voglia di smettere di buttare eurini. Poi, mi dico, ci scrive Zambellini, Marco Denti e Gianni del Savio e allora......Dei nuovi mi piace molto Richard Lindgren, ascoltato la scorsa settimana al Trapani di Pavia con i Mandolini di Voghera. Gran bel concerto (purtroppo visto a meta'). Il nuovo dischetto di Edward Abbiati e' bellissimo.
....dimenticavo, anche per me Lucinda Williams disco dell'anno. Enorme!
Caro Zambo, ci sarebbe molto da scrivere. Anche per me l'ultimo di Lucinda Williams e' un album fantastico. Ho un po' più di dubbi su jackson browne ma comunque in generale condivido i tuoi giudizi in pieno. Comprerò sulla fiducia i cheap wine e i lowlands mentre sui guano padano non so....i dischi strumentali mi mettono un po' d'ansia.... Mi permetto di segnalare anche io i fantastici hard working americana (album stupendo), owen campbell e soprattutto john the conqueror. Il loro ultimo album e' di febbraio se non mi sbaglio , quindi ci può star dentro.
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