Nel 2008 Willy DeVille a ridosso dell’ultimo tour prima della sua prematura scomparsa avvenuta l’anno seguente, ripristina la sigla Mink DeVille Band. Una scelta dettata da alcuni cambiamenti nella sua vita artistica. Dopo aver trascorso parecchi anni nel Sud-Est degli Stati Uniti tra New Orleans, il Mississippi e New Mexico, il gitano torna a vivere nella amata New York dove si stabilisce con la terza moglie Nina Lagerwall. E’ un uomo profondamente cambiato, trent’anni di eccessi autodistruttivi hanno lasciato il posto a modi più pacati e dolci ma i suoi interessi continuano a riflettere passioni mai sopite: il blues, le origini del rock n’roll, i vecchi musicisti come il pianista di Chuck Berry Johnny Johnson, i cantanti francesi. La musica è ancora il cuore pulsante del suo vivere ed in onore di New Orleans sceglie il giorno del Mardi Gras per pubblicare il suo sedicesimo album, Pistola, un disco che introduce con The Mountains of Manhattan e Stars That Speak qualche dettaglio sonoro nuovo rispetto al suo usuale backround. Se la prima è un recitato solenne, una sorta di reading poetico accompagnato da flauto e tamburo indiano che racconta di quando i nativi americani (altra passione nei suoi ultimi anni di vita) popolavano la penisola di New York, la seconda è un baritonale canto alla Leonard Cohen dove si citano New York, Berlino e Barcellona. Ma memore del passato le cose che spiccano nell’album sono l’ipnotico voodoo blues I’m Gonna DO Something The Devil Never Did, lo shuffle New Orleans The Band Played On, la messicaneggiante Remember The First Time e la rockata So So Real con cui aprirà i concerti che di lì a poco effettuerà in Europa. Anche due magnifiche ballate: la crepuscolare When I Get Home e Louise di Paul Siebel, canzone su una prostituta già interpretata da Leo Kottke, Eric Andersen, Bonnie Raitt, Tom Waits, Linda Ronstadt e Ian Matthews.
Il
nuovo disco gli offre la chance di ritornare on the road nell’amato Vecchio Continente con una band che è a
proprio agio col suo pachuco di soul latino, tex-mex e cajun ma
contemporaneamente è in grado di ripristinare quel rock urbano degli anni
newyorchesi. Naturale quindi optare per la sigla Willy DeVille & The Mink
DeVille Band con cui presentarsi sui palchi europei. Di fianco alle collaudate
e colorate voci delle sorelle Wise,
Yadonna e Dorene, presenti dai tempi di Loup Garou, vengono ripescati dagli anni ottanta e novanta
il percussionista e fisarmonicista Boris
Kinberg ed il batterista Shawn
Murray, ed entrano in scena forze giovani come il tastierista Darin Brown,
il bassista Bob Curiano ed il
chitarrista Mark Newman. Willy in
scena è carismatico come sempre pur apparendo pallido e stentoreo, per via dei
problemi all’anca e della malattia incipiente ma la voce è una radiografia
dell’anima, roca, profonda e dai marcati sentori blues. Con la band passa in Italia il 14 marzo a
Trezzo d’Adda ma sono due le registrazioni sul mercato che testimoniano quel tour del 2008, entrambe obbligatorie per tutti
gli amanti della buona musica. La prima, pubblicata nel 2014 dalla Repertoire
nella serie Rockpalast, è costituita da un CD e DVD assemblati col DVD di un
altro concerto, sempre a Bonn in Germania ma del 1995, la seconda si intitola Venus
of The Docks ed è di recente pubblicazione . Edita dalla MIG tedesca è la cronaca di uno show avvenuto
a Brema il 27 febbraio del 2008. Entrambe le performance sono di grande valore
storico per la carriera del nostro e magnifiche dal punto di vista musicale,
entrambe davanti ad un festoso pubblico tedesco che ancora oggi ricorda Willy
con estremo affetto.
Cominciamo con la prima
esibizione al Museumsplatz di Bonn datata 19 luglio, dove alle tastiere e con
la fisarmonica si rivede il vecchio amico Kenny
Margolis, un pilastro di Mink DeVille fin dai tempi di Coup de Grace. Las sua
presenza si sente, come quella del muscoloso Mark Newman che con la slide
imprime un deciso approccio bluesy. La sola Yadonna Wise si occupa delle voci
di contorno, gli altri sono quelli menzionati sopra. Willy come si vede nel DVD
di Live
at Rockpalast 1995&2008 è un incrocio tra Dracula e un nativo
americano, pallido, capelli lunghi
dritti nerissimi, baffetti spioventi, pendenti turchesi, collana e occhiali con
lenti rossastre. Sembra uscito da Intervista col Vampiro, l'aspetto
non è rassicurante e a causa dell'incidente automobilistico di qualche anno
prima, si sorregge su uno sgabello e solo a tratti si mette in piedi con la
chitarra. Le sigarette completano la scenografia ma è la voce a sedurre, un
profondo latrato blues al cui confronto Howlin ' Wolf pare un cantante di
musica leggera. Dà il via allo show con la litania oscura e mannara di Loup Garou raccontando di neri serpenti,
paludi infestate da spiriti e lune gialle, un inizio magnetico che porta l'artista in quel torbido
ma affascinante universo che gli anni in Louisiana gli hanno cucito addosso. Grazie
al lavoro di Mark Newman intinge in un blues scarno e viscerale ma non mancano
gli altri ingredienti del suo pachuco come l'uptempo tra rock e r&b di So So Real estratto da Pistola,
la cajun music di Even While I Sleep, le dolcezze
romantiche di Heart and Soul, la
danza malandrina di Spanish Stroll e
il rock/soul della Losiada newyorchese intrecciato tra Mixed Up Shook Up Girl e Venus
of Avenue D. C’è posto per i suoi hits Hey
Joe, Demasiado Corazon e per Cadillac
Walk e la torrida Savoir Faire. Ma sono altri i titoli a
rendere questa performance significativa dell'ultimo corso dell'artista: due
vecchi brani come Steady Drivin' Man e
Just Your Friends entrambi di Return
To Magenta sono rimessi
secondo l’umore del momento, il primo
accentuando il drive rollingstoniano con una iniezione di blues alla John Lee Hooker, il secondo sottolineando l'implicita natura
folk-rock del brano con la fisarmonica
di Margolis che aggiunge un’ aria western da ultima notte di Billy The Kid. Il lercio rockabilly-punk sudista White Trash Girl, storia di degrado in
un microcosmo di sottoproletariato bianco, il delirio Delta di Muddy Waters Rose Out Of The Mississippi Mud
e lo swampin' You Got The World In Your Hands, la prima tratta da Loup
Garou, la seconda da Crow Jane Alley e la terza da Pistola
spostano decisamente a Sud il baricentro del concerto. Se
poi si aggiunge il grasso Bacon Fat di
Horse
of A Different Color il quadro
mostra tinte blues vicine a Fred Mc Dowell e John Lee Hooker come mai si erano
viste, e la Mink DeVille Band è talmente versatile da shakerare con una
maestria incredibile rock, soul, R&B, cajun, creando un groove
eccitantissimo.
Il medesimo feeling su cui si poggia lo show del 27 febbraio al Pier 2 di Brema documentato da Venus of the Docks. Sebbene la data sia posta all’inizio del tour ed al posto di Margolis ci sia Darin Brown con Yadonna qui affiancata da Dorene, la band è già rodata. Tante le similitudini con la performance di Bonn ma anche qualche diversità. Ripristinata l’apertura strumentale classica degli albori da Mink DeVille, qui Harlem Nocturne ha lasciato il posto ad un jazz cubano che sfoggia percussioni alla Tito Puente ed un pianoforte molto charmant, è So So Real ad aprire le danze con quell’aria malandrina e peccaminosa che la voce disposta a tutto di Willy non nasconde. Dallo stesso Pistola è tratta la sincopata Been There Done That, confessione sui suoi passati junkie ritmata quanto basta per trasformare un trascorso amaro in una danza sensuale, e sempre sulle dipendenze l’ipnotica e sinuosa cantilena Chieva col pianoforte a fare la melodia fa da ponte tra la viziosa ode a Rosita di Spanish Stroll e la sporca Bacon Fat nella quale l’armonica, la rovente slide ed una voce nera come la pece trasformano Brema in Clarksdale. Willy è in forma, il suo cantato si è fatto nel tempo più cavernoso e blues, qualcuno al proposito aveva tirato in ballo Tom Waits ma senza peli sulla lingua Willy aveva liquidato la questione con le seguenti parole “ Tom è un mio amico ma non l'ho mai ascoltato davvero, suona sempre come se stesse scherzando, sembra l'ubriacone divertente in fondo al bancone del bar”. Prendere o lasciare questo è William Paul Borsey Jr. altrimenti conosciuto come Willy DeVille, il più grande soulman dopo la scomparsa di Otis Redding.
Heart and Soul concede
un po’ di santità al set ma è un’inezia perché con il rockabilly-punk White Trash Girl e il bluesaccio Muddy Waters Rose Out Mississippi Mud siamo
di nuovo all’inferno, o meglio nel fango del Grande Fiume, in quel Sud
raccontato da tanta letteratura “marginale” e da film come Killer Joe di William Friedkin e The Paperboy di Lee Daniels.
Demasiado Corazon ed Hey Joe servono a far ballare le signore mentre i
rough boys si scatenano nella sequenza Savoir
Faire/Cadillac Walk. Venus of Avenue D invece continua a lasciarmi estasiato a più di 40 anni dalla sua comparsa
per quell’insieme di attesa, malizia, abbandono e tensione che si porta dentro,
come fosse l’ adattamento del Wall of Sound di Phil Spector in un melodramma
del Lower East Side, comunque annerita dal sibilo di una slide che è un serpente e dal tocco gospel
delle sorelle Wise. Capolavoro.
Se
Italian Shoes gioca col funky, le versioni
di Trouble In Mind e Heartbreak Hotel dicono dell’abilità di
fare sue canzoni altrui. La prima, uno dei cavalli di battaglia della
parentesi acustica del Trio In Berlin non possiede lo
stesso intimismo di quella occasione, il brano ante-bellum di Richard Jones trova
qui un Willy assatanato con la voce, accompagnato da pianoforte, slide e dalla sezione ritmica, la seconda è
invece rallentata ad arte dentro un intrigante swamp-blues. Il brano reso celebre da Elvis
Presley muta in un sordido e misterioso gris gris con alligatori come
compagni, roba degna di Dr.John, Coco Robicheaux, Tony Joe White e di quelle
anime perse della Louisiana voodoo.
Il finale del concerto è struggente, Let It Be Me il brano di Gilbert Becaud popolare in tutto il mondo è un commovente commiato di sola voce e pianoforte, un addio applaudito con reciproca commozione dal pubblico di Brema.
MAURO ZAMBELLINI APRILE 2022