Il
secondo capitolo della avventura nel rock dei Dream Syndicate si è aperto lo
scorso anno con These Times anche se cronologicamente
si è portati a credere che l'inizio sia avvenuto con How Did I Find Myself Here ? il
disco che ha sancito nel 2017 la loro reunion. Per via di un titolo così esplicito
e della musica che conteneva, quest'ultimo tracciava una linea di continuità
col passato ovvero la band ricominciava dal punto in cui era rimasta elargendo
un rock selvaggio ed underground costruito sullo sferragliare delle chitarre,
su una sezione ritmica bollente e sulla voce di Steve Wynn che con le sue
malsane ballate ricreava quel rock noir per cui il Sindacato del Sogno è
giustamente amato e stimato. These Times ha invece imposto uno scarto nei confronti del
loro all guitars rock introducendo variabili che pur non contrastando con il loro riconosciuto stile,
aprivano verso sonorità nuove dove l'elettronica, comunque ben dosata, giocava
un ruolo di primo piano nel disegnare un immaginario di psichedelia in
progress. Se These Times riusciva
però a mantenere un equilibrio tra il crudo hard-boiled rock del passato (Bullett Holes, Speedway, Still Here Now
ad esempio suonano ancora col cuore in mano) e le innovazioni avanguardistiche, The
Universe Inside è molto più radicale e drastico e dentro un concept di
alterata psichedelia riflette un desiderio di sperimentazione ben più marcato
che si traduce in ottanta minuti di paesaggi sonori dalle sembianze di una
soundtrack da film. Un universo sonoro nel quale gli scampoli del sopravvissuto
rock elettrico si fondono con oscillatori, elettronica, ritmiche concentriche,
free jazz, kraut e space rock, frizioni elettriche. Il risultato non è affatto male, per niente,
basta che ognuno sia consapevole di salire a bordo di una musica più vicina ai
War On Drugs o altre espressioni post-rock
piuttosto che al Medicine Show. Una volta accettato
il fatto, il gioco diventa divertente, e come nei venti minuti di The Regulator ( assolutamente da ascoltare guardando il video di David Daglish) ci si sente proiettati
in un viaggio panoramico (toilette comprese) nella città di New York, un trip
sonnambulo, filmico e politico. Venti minuti di delirio sonico e visivo in cui
Wynn lascia cavalcare tutta la sua immaginazione cinematografica e la sua
galoppante curiosità musicale per dilatare i confini spazio-temporali della
musica dei Dream Syndicate.
La
voglia di cambiamento di Wynn era palpabile già in These Times e la band ne è rimasta coinvolta visto che le
note che accompagnano l'uscita di The Universe Inside dicono della approfondita conoscenza
della musica avantgarde europea del batterista Dennis Duck, della passione per il prog anni settanta del
chitarrista Jason Victor, Soft
Machine compresi, dell'esperienza del bassista Mark Walton per i collettivi di musica Southern-fried (mah), della
fame di Chris Cacavas per la
manipolazione dei suoni e l'amore dell' Wynn per l'electric-jazz vintage, per
Miles Davis e John Coltrane. Personalmente aggiungerei anche Brian Eno e i
Talking Heads di Remain In Light. Il disco si sarebbe potuto chiamare The Art of
the Improvisers, in una sola session difatti la band ha registrato ottanta
minuti di musica senza pause ed interruzioni, improvvisando come in una lunga
ed interminabile jam." Tutto quello
che abbiamo aggiunto era aria -afferma Wynn- oltre a voce, corni ed un tocco di percussioni. Ogni strumento è stato
registrato in presa diretta".
Cinque
titoli della lunghezza media di nove minuti, solo The Longing dura poco più di sette minuti, una overdose sonica dove
il cantato di Wynn implode nel magma sonoro, solo a tratti si percepisce il
formato canzone, capita in The Longing e
nella strepitosa parte finale di The
Slowest Rendition. Qui la sua voce si eleva sopra il mare di echi, oscillazioni, feedback,
suggestioni free jazz, ipnosi ritmiche, riverberi e quant'altro. Una gigantesca
ed in alcuni momenti solenne colonna sonora che spazia da momenti di caotico
stridore metropolitano a pause estatiche e lisergiche. Ai venti minuti di The Regulator seguono in
ordine The Longing, qui la canzone
viaggia nel cosmo coi rumori siderali di un' altra galassia, Apropos of Nothing ovvero come
sentire War On Drugs rivisitare i Can
sulla Luna, Dusting Off The Rust mixato
col precedente in una sorta di ipnotico space-rock con le trombe e i sassofoni
che rispondono alla metronomica sezione ritmica, e The Slowest Rendition, avveniristica nel suo rumorismo
post-psichedelico, umanizzata dal talking ascetico di Wynn che si accompagna ad
un superbo sassofono be-bop. Una chiusura maestosa in una atmosfera da Blade
Runner dove comunque filtrano bagliori di estatico ottimismo.
Più che un disco di canzoni ,The Universe Inside è un viaggio che stordisce e
meraviglia in territori in cui occorre liberare l'immaginazione e le sensibilità sensoriali, un'opera
originale di ricerca musicale e libertà esecutiva dichiarata con coraggio e
senza mezzi termini dai Dream Syndicate. Nessuna band tra quelle uscite agli
albori degli anni ottanta ha saputo evolversi senza snaturarsi come loro. Personalmente
mi ritrovo più negli equilibri tra rock e avanguardia di These Times ma dimenticate il passato e salite a bordo
dell'astronave, l' Universo Dentro oggi è questo. A meno di non guardare fuori
dalla finestra ed accorgersi di essere capitati in un cupo e terribile film di
fantascienza.
MAURO
ZAMBELLINI MARZO 2020
p.s questa recensione
la trovate sul numero di aprile del mensile Buscadero, una rivista che come
tutti soffre questo momento di crisi
generale e perciò invita lettori e amanti del rock a contribuire o!lla
sua tenuta, cercandola e acquistandola in edicola, dove possibile.
Il Buscadero di aprile uscirà regolarmente nelle edicole ma chi non può acquistarlo lì, può comprarlo on line al prezzo di 6 euro.
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