Non pensavo di emozionarmi ancora così tanto ad un
concerto rock visto l’età e la mole di eventi simili alle mie spalle, ma è
successo e quando le luci sul palco si sono spente a mezzanotte di un
caldissimo 25 agosto torinese, da una parte ero amareggiato perché avrei voluto
partecipare a quella festa dello spirito e dei sensi per un’altra ora, e da una
parte viaggiavo alto su una nuvola di benessere per aver assistito ad uno show
che mi ha riconciliato coi valori più veri del rock n’roll. Attorniato da un pubblico
finalmente molto più giovane di me, salvo una buona dose di eccezioni, che
cantava a memoria e ballava di felicità sulle note della più straordinaria rock
band degli ultimi venticinque anni, sebbene il sottoscritto ami anche con
ardore i Drive By Truckers pur con le dovute differenze. Bello il pubblico,
bella l’atmosfera ruvida e non celebrativa del Todays Festival, salvo le
consuete interminabili file per un panino (ci ha salvato un chiosco di kebab
proprio prima di imboccare l’autostrada al ritorno, frequentato da un
campionario umano che se ci fosse stato lì Tom Waits avrebbe fatto minimo un
doppio album), niente pit e tokens e finalmente di livello internazionale il
sistema audio, suono pulito e volumi giusti anche quando le frizioni rock
imponevano watt a valanga. L’ultima volta che avevo visto Wilco era il
settembre del 2019 al Fabrique di Milano e pur essendo stato un buon concerto
avevo pensato che il meglio di loro, sia su disco che su palco, fosse passato, avvertii
una flessione nell’ entusiasmo, un ripetersi senza troppa energia, rispetto a quanto
vidi negli anni precedenti. Quello era il mio quinto concerto e con dispiacere
mi sorse il dubbio che la strada verso una dignitosa standardizzazione fosse stata
imboccata. Sbagliavo e proprio in quello sta la forza di una band capace di
scatenare le emozioni, quella di smentirti, di sorprenderti, di spiazzarti,
inebriandoti ancora con la propria musica, che nel caso di Wilco non è
cambiata, caso mai si è arricchita di altre sfaccettature. La pausa per la
pandemia, i lavori solisti del leader Jeff Tweedy ed un disco ispirato come il
recente Cruel Country hanno ridato fiato e impeto alla band tradotte in
una performance, quella del Todays Festival (ma non è stata da meno quello
della sera precedente a San Mauro Pascoli) che ha raggiunto le vette di quella
magistrale esibizione del luglio 2007
nello stesso luogo, quando ad un certo punto dell’esecuzione di Spiders (Kidsmoke) la corrente saltò e
Jeff Tweedy trascinò il pubblico a seguirlo nel cantare all’unisono il refrain
della canzone per quasi dieci minuti. Una dimostrazione di sinergia tra artista
e pubblico rara da trovare nelle arene del rock, ebbene Tweedy ricordandosi di
quel magico momento ha iniziato lo show torinese con la stessa canzone stoppando
la band ad un certo punto e riprendendo di nuovo a cantare assieme al pubblico
il ritornello, come se la storia si fosse fermata a quindici anni fa e noi e
loro fossimo ancora lì a gustarci quella magia. E di fatto eravamo ancora lì,
magari aumentati di numero a rispettare una band ed una musica come non ce ne
sono altre, capace di infonderti una felicità che almeno nel mio caso avevo
dimenticato in un concerto. Tweedy ha dimostrato di avere con Torino un
rapporto particolarmente intimo, per tutto il concerto ha sorriso, così come i
suoi compagni di ventura, divertiti di trovarsi davanti ad una platea che non
ha lesinato applausi e gesti di riconoscenza e amore. Non poteva iniziare
meglio lo show che si è poi rivelato di una forza, potenza e lucidità straordinarie
con oasi bucoliche di ballate dal profumo californiano e momenti di assoluta
controllata baraonda rumorista, dove Nels Cline faceva urlare le sue chitarre
in territori limitrofi al free jazz indirizzandosi su ardite scale elicoidali, e
Pat Sansone, abbandonate per un attimo le tastiere, gli rispondeva con una
veemenza chitarristica che lasciava di stucco per come fondeva Television e
Johnny Thunders, sferzante rock anni 70 e punk, Crazy Horse e artiglieria
tedesca. In mezzo, ingrassato, paffuto e stranamente solare Jeff Tweedy teneva
il timone con le sue chitarre acustiche, quelle canzoni che sembrano frutto di
un improvvisato colpo di genio ed invece posseggono una ricchezza che
sintetizza metà della storia della musica rock e quella voce tra il trasognato,
il romantico e il malinconico, a tratti sorniona a volte liberata in urla di
rabbiosa gioia. Di fianco a lui un bassista poco menzionato, ma assistere a
come pompava nell’iniziale Spiders per
rendersi conto che John Stirratt è uno degli elementi cardini del sound della band
e assieme al vulcanico picchiatore Glenn Kotche, uno dei migliori batteristi in
circolazione, costituisce una sezione ritmica capace di fare la differenza, e
come per gli Heartbreakers di Tom Petty, distingue una rock band da una grande
rock n’roll band quali sono oggi Wilco. Potrà sembrare superfluo ma anche
l’uomo nell’ombra, il pianista e tastierista Mikael Jorgensen, è basilare
nell’economia del gruppo, e lo si sente quando accompagna con note basse le ascese
verticali di Cline, che detto tra noi è colui che ad un certo punto ha cambiato
l’impatto live della band dandogli una connotazione meno classica, più sghemba,
improvvisata, aperta a schegge impazzite anche quando la canzone pare iniziare
come una innocua ballad country&western rubata a Gram Parsons. Se qualcuno
si aspettava che Cruel Country potesse limitare l’impatto sonoro del set di
Wilco con una dimensione più dimessa e minimale, è stato smentito perché molte
sono le ballate che la band mette in campo creando suggestioni pastorali e
sognanti orizzonti folkie, e da quell’album sono arrivate la canzone titolo, I Am My Mother e Falling Apart (Right Now), ma le versioni che ne danno è fuori da
qualsiasi copia e incolla ed è bastato ascoltarsi come hanno trattato Bird Without A Tail/Base of My Skull con
Cline e Sansone scatenati con le chitarre per capire la qualità rivoluzionaria
del loro gesto, in molti momenti pronto a tradursi in jam che lasciano
increduli e senza fiato. Ma Wilco sono stati forgiati da un passato di dischi preziosi
e fondamentali, fa ancora piacere vedere un album come Being There che
contrassegnò il distacco definitivo dall’eredità di Uncle Tupelo mandare in
visibilio il pubblico con Misunderstood e I Got
You at The End of The Century, che ogni volta mi dà per un attimo l’impressione
di essere una cover dei Big Star, e Outtasite(Outta
Mind) con cui si è chiuso il concerto. Da A Ghost Is Born sono
state estratte oltre al brano di apertura, Hummingbird,
una sorta di scanzonato cabaret alla Kinks e la magnifica The Late Greats che assieme a Jesus, Etc. racchiude l’irresistibile
sapienza melodica della scrittura di Tweedy. Impossible Germany iniziata in sordina ma poi scarabocchiata con
cruente senso free dall’assolo di Cline ha mandato in visibilio l’intero
festival ed un altro applauso fragoroso ha accompagnato I Am Trying To Break Your Heart dove si consuma il delirio sonico
della loro musica tra margini angelici e celestiali del cantato di Tweedy e lo
sprofondamento nella infernale tempesta elettrica creata dal resto della ciurma,
un sabba che evoca il kraut rock. A Shot
In The Arm, unico estratto da Summerteeth ha il potere, ed è una
delle loro caratteristiche, di creare una eccitante e sospesa aspettativa prima
della deflagrazione finale, con le voci che man mano lasciano il posto al
forsennato accavallamento degli strumenti con Kotche che picchia come un
ossesso e Sansone e Cline che se la sparano a mille in una battle of guitars che non fa prigionieri. Rimangono sul campo altri
titoli tra cui Random Name Generator presa
da Star
Wars e Downed On Me da The
Whole Love ma ormai il Todays Festival è ai loro piedi e Jeff Tweedy e
compagni rispondono con l’assoluta semplicità delle anti-star, nessuna enfasi
celebrativa, solo il grande potere di un rock n’roll che ha assorbito il
passato, le giungle urbane, i colori tranquillizzanti delle campagne lungo le
highways, l’amarezza del presente e uno sguardo amorevole verso il futuro.
Wilco rimangono qui a farci credere che il rock n’roll sia ancora un grande
sogno.
MAURO
ZAMBELLINI AGOSTO 2023
La foto è dell'amico Paolo Baiotti