Secondo anno in compagnia del Covid, concerti e festival saltati,
il settore della cultura e dello spettacolo annichilito, tanti scomparsi,
musicisti e non. Il tempo non aspetta nessuno, se ci si mette anche il virus è
una strage. Che dire? Un anno di merda e l’orizzonte non è affatto luminoso.
Cerchiamo di consolarci, un po’ se ci riusciamo, con i dischi e i libri e
magari qualche film rubato a sporadiche e mascherate escursioni al cinema. Ho
guardicchiato le classifiche di riviste musicali internazionali, pluripremiato
è Ignorance di The Weather Station
che altro non è che la cantautrice Tamara Lindeman. Nulla da obiettare, i gusti
non si discutono ma se un disco così pallido vince la playlist di tanti
magazine, c’è da riflettere sulla musica dei giorni nostri, o meglio sui giorni
nostri, veramente miseri. Non voglio infilarmi nell’annoso dibattito se fosse
meglio la musica del passato ma un disco come Ignorance, (ignoro i testi), nei decenni del secolo scorso sarebbe
passato inosservato, al più sarebbe stato un outsider. Considerato l’identico ambiente
di musica intimista, rarefatta, a metà via tra pop, rock, jazz e canzone
d’autore provate a confrontarlo con un album come Shine di Joni Mitchell del 2007, quindi nemmeno troppo distante nel
tempo, quest’ultimo lo sotterra. Come mandare il Venezia, di cui sono tifoso(
dopo l’Inter si intende) a giocare contro il Manchester City.
Per
fortuna non tutti esprimono le stesse classifiche e playlist, la mia è sempre
stata definita tradizionalista ma l’età è quella che è, e non posso perdere
troppo tempo dietro a dischi che nel giro di due/tre anni nessuno ricorda più. Si
chiamano classici e ci sarà una ragione se anche con ristampe e concerti
ritrovati fanno ancora sobbalzare dalle emozioni. Prendete ad esempio The
Legendary 1979 No Nukes Concerts, chi ha suonato dal vivo come Bruce
Springsteen e la E-Street Band tra il 1978 ed il 1981? Nessuno, forse solo Tom
Petty e i suoi Heartbreakers in qualche tour e Neil Young coi Crazy Horse, per rimanere
in quel contesto di rocker/songwriter and his band. Guardatevi il video del
Madison Square Garden con uno Springsteen trentenne al massimo del suo vigore
rocknrollistico, d’accordo che l’iniziativa era a favore delle energie
alternative e contro il nucleare ma quello show con la E-Street Band è una
devastante esplosione atomica.
Raffiche
di vento, tempesta elettrica, mitragliate di chitarra ed una galoppata
selvaggia come solo il bisonte Neil Young sa fare. Way Down in The Rust Bucket è
lo spettacolare show del 13 novembre 1990 al Catlayst di Santa Cruz in
California con i Crazy Horse durante il tour seguito alla pubblicazione di Ragged
Glory. Rock n’ roll
potente, visionario, furioso, crudo e psichedelico, altra deflagrazione atomica
come quella di Bruce. Del canadese è uscito nell’anno appena trascorso, e
ancora coi Crazy Horse, l’album in
studio Barn, ma sarebbe meglio dire in fattoria visto che è stato
registrato in un casolare di legno sulle Montagne Rocciose, ed è
un buon disco, non un capolavoro ma valevole d’acquisto, per chi scrive il suo
miglior lavoro dai tempi di Psychedelic Pills. Ballate dolenti dal sapore rurale, un po’ di
nostalgia nelle melodie e taglienti accelerazioni elettriche. Una ballata, Welcome Back, che si candida tra i
migliori brani dell’anno. A chiudere il triangolo non ci poteva essere che Bob
Dylan che dopo aver sbancato le classifiche lo scorso anno con Rough
and Rowdy Ways quest’anno partecipa ai giochi col Vol.16 delle Bootleg
Series. Non sono un tossicodipendente di bootleg series, ovvero non tutte me le
faccio anche se nutro una stima infinita per il Sig. Zimmerman ma Springtime
in New York 1980-1985 è grandioso, con “scarti” che abbracciano tutto
quello che c’è da sapere su Dylan ed il rock n’roll di quel periodo. I
dylanologi rigorosi non l’hanno incensato come sono soliti fare e questo è un
buon segno, ci sono tanti Dylan e ognuno ama il suo. Questo del Vol.16 a me fa
impazzire, ruota attorno alla nascita nel 1983 a New York presso il Power
Station Studio di Infidels, un disco rockato, metropolitano, oserei dire
springsteeniano, ma ci sono anche out-takes del discutibile Shot
of Love e del bistrattato Empire Burlesque. Il box di 5CD è
una fotografia della fredda primavera newyorchese dei primi ottanta con brani
come Don't Fall Apart Me Tonight, Blind
and Willie McTell, Jokerman, New Danville Girl, Neighborhood Bully, Sweetheart
Like You, Union Sundown, Too Late in
grado di mettere in ginocchio chiunque. Musicisti come la sezione ritmica
reggae Ainsley Dunbar-Robbie Shakespeare, tastieristi come Alan Clark,
chitarristi come Mark Knopfler e Mick Taylor, qui la arruffata poesia di strada
di Dylan si veste di caotico, elettrico folk-rock urbano e diverse out-takes
sono lì a dimostrare che un album come Empire Burlesque sarebbe stato altra
cosa se gli scarti fossero stati preferiti ai tagli ufficiali. Rimanendo nel
girone Leoni & Ristampe ricordo che Summer of Sorcery Live! di Little Steven coi Disciples Soul è un
triplo Cd live per ballare e cantare, divertente e sgarruppato, coloratissimo e
garage, registrato al Beacon Theatre di New York nel novembre del 2019, e
sempre da New York ma dal Madison Square Garden
arriva la sontuosa celebrazione di uno dei gruppi americani più amati di
sempre, la Allman Brothers Band. I pochi rimasti e i tanti che hanno suonato
con loro, da Derek Trucks a Warren Haynes, da Jaimoe a Chuck Leavell, da Otel
Burbridge a Reese Wynans, sotto il nome di The
Brothers due giorni prima che il mondo venisse messo in lockdown, hanno
dato vita ad un evento unico, omaggiando la musica e le canzoni degli Allman
con una performance da lasciare senza parole e senza fiato, parte del cui ricavato
è andato a The Big House la fondazione creata nella casa di Vineville Ave. a
Macon dove tra il 1970 ed il 1973 vissero gli Allman. Musica galattica tra
rock, blues, soul, jazz e psichedelia, tutto in formato jam, raccolta in
quattro CD. Ancora un disco live poco chiacchierato ma piacevolissimo, da
suonare ad alto volume in macchina, è Breaking Ground cronaca di un
concerto della Steve Miller Band nel Maryland il 3 agosto del 1977 subito dopo
l’uscita del disco Book of Dreams. Insieme al superlativo Steve Miller c’è
l’armonicista Norton Buffalo, lo show è brillante, blues e cosmic-rock con
tutti i cavalli di battaglia della SMB e qualcosa di più, catturato in un
momento topico della loro carriera.
Il più bell’album di
scarti della storia del rock rimane Tattoo You originariamente
pubblicato nel 1981 e quest’anno riedito con l’aggiunta di un Cd intitolato Lost and Found:Rarities ovvero altri
nove scarti di album precedenti, alcuni davvero notevoli nel focalizzare quei
Rolling Stones tra anni settanta e ottanta ancora sporchi, febbricitanti,
sensuali.
Se questi sono i pesi
lordi che non possono mancare, altri titoli, forse anche minori, tengono in
piedi quella grande fabbrica di sogni che è il rock n’roll, ogni anno messa a
dura prova da cambiamenti estetici e socioculturali. Per chi continua ad
accontentarsi del benessere indotto da un cantante che si destreggia attorno a chitarre,
basso, batteria e qualche tastiera, il 2021 non è stato avaro. John Paul Keith
è un autentico sconosciuto che vive a Memphis e con The Rhythm of the City ha
rinfrescato un sound che negli anni settanta era di casa in quella città grazie
alle registrazioni della Hi Records e della Sun, ovvero un mix di soul,
rockabilly e blues con un pizzico di pub-rock al servizio di una voce calda e confidenziale. Molto più conosciuto è Dan
Auerbach, leader dei Black Keys, che oltre ad essere artefice attraverso la sua
etichetta personale Easy Eye Sound di una riscoperta del soul di stampo
vintage, assieme all’amico Patrick Carney, al bassista Eric Deaton e al
chitarrista Kenny Brown, ha realizzato un sentito tributo al Hills Country
Blues, quel ramo di Delta blues tipico delle colline settentrionali del
Mississippi, sbocciato tra Oxford e Holly Springs, i cui padri hanno i nomi di
Fred Mc Dowell, Junior Kimbrough e R.L Burnside. Delta Kream dei Black
Keys è spigoloso e forte, come un sorso di bourbon distillato clandestinamente,
trasmette quel ruspante sapore della cucina down-home, è volutamente
provinciale e dimostra quanto rispetto nutra verso le radici blues uno dei gruppi di pop e rock più popolari degli
Stati Uniti. Chapeau. Rimanendo nel circondario, proprio dalla
citata scuderia di Auerbach, arriva il secondo disco di Robert Finley per la
Easy Eye Sound ovvero Shorecrppper’s Son, nuovo attestato
delle capacità del cantante di Bernice, Louisiana, dopo una vita avventurosa e
sfortunata, di usare il suo falsetto per un southern soul che anche qui attinge
al Hills Country Blues, alle spezie down-home e allo stile delle
registrazioni Muscle Shoals. Georgiano
di Atlanta il venticinquenne Eddie
9V al secolo Brooks Mason Kelly, con Little Black Flies si
rivela un astro nascente della musica del Sud di derivazione blues, anche se il
suo spumeggiante cocktail prevede massicci innesti di soul Stax, di rockabilly e funky n’roll.
Un disco energico, brioso e zeppo di feeling per un cantante e chitarrista, ma
Eddie 9V suona un sacco di strumenti, che, arrivato di giovanissimo sulla scena,
sa come maneggiare gli insegnamenti dei grandi vecchi mettendoci dentro istinto,
passione, cuore e quel pizzico di sporcizia che ci vuole. Siamo agli antipodi
di Joe Bonamassa.
Che il Sud-Est degli Stati Uniti continui a sventolare la
bandiera di una musica autentica e di cuore lo dimostra la dedica che Jason
Isbell, pur essendo nativo dell’Alabama, con i suoi 400 Unit ha rivolto allo
stato della Georgia dopo che questo ha voltato le spalle a Trump ed è passato
sotto l’egida democratica. Il suo è un disco di canzoni “georgiane” i cui
proventi sono andati in beneficenza, Georgia Blue questo il titolo del
disco presenta composizioni dei R.E.M, Black Crowes, Drivin’ N’ Cryin’, Otis
Redding, James Brown, Cat Power, Vic Chesnutt, interpretati da Isbell con la
sua band e con alcuni invitati. Particolare menzione per la resa di Midnight Train To Georgia con Britney
Spencer e John Paul White ed una sfavillante in Memory of Elizabeth Reed con Peter Levin. Molto applaudito dalle
riviste nostrane, e mi unisco al coro, il texano James McMurtry con The
Horses and The Hounds è ritornato ai suoi momenti migliori dopo alcuni
dischi piuttosto routinari, e mi va di segnalare anche Open Door Policy degli
Hold Steady per chi ama le atmosfere dell’heartland rock di spirito blue collar.
L’affettuoso ricordo per la prematura scomparsa del figlio, Steve Earle lo ha scritto in J.T bell’omaggio
alle canzoni dello scomparso con calde sfumature country e folk ed una Harlem River Blues da antologia, mentre
su altri lidi l’errabondo songwriter Israel Nash ha raggiunto il suo personale
highlight con il rarefatto rock cosmico di Topaz, immergendosi in quei paesaggi lisergici che furono del Jonathan Wilson di Gentle Spirit. All’insegna di un rock-blues alla cartavetrata
e di un sana attitudine blue-collar è Get Humble degli Handsome Jack, trio dell’area
newyorchese che non nasconde l’amore per i Creedence Clearwater Revival e per quelle
band proletarie sorte su imitazione dei Faces. Ma un disco che ho ascoltato
parecchio e mi ha sedotto per gentilezza melodica, per
il clima estatico di certe armonie, per la serenità e la tranquillità che
infonde è Other You di Steve Gunn, un autore ed un chitarrista originale seppur legato ai paesaggi di un folk-rock pastorale basato su un artigianale lavoro strumentale. Meno d’impatto rispetto ai precedenti Eyes On The Lines e The
Unseen in Between, il nuovo disco conserva la circolarità di ballate
che disegnano un loop emotivo fatto di suoni
cristallini e visioni bucoliche. Other You è il mio disco (nuovo) del
2021.
Passando al panorama italiano, vivace e fertile, cito quattro
lavori diametralmente diversi l’uno dall’altro. Me and The Devil della
J.F Band che è riduttivo dire italiana visto la presenza del percussionista
Jaimoe degli Allman, dei chitarristi David Grissom (Joe Ely e John
Mellencamp),Scott Sharrard (Gregg Allman Band) e del bassista Joe Fonda, è un
potente, jammato ed improvvisato melting di jazz-rock e blues dove spiccano spiritate e stravolte versioni di Robert Johnson ed una Spanish Moon trattata jazz in grado di
resuscitare anche Lowell George. Al polo opposto Warriors Grow Up and Die di
Luca Milani è un disco riflessivo,
intimista, di colori autunnali e note
languide che segna uno scarto in senso cantautorale nella sua discografia, stesso
passo intentato anche da Maurizio Glielmo detto Gnola ma in quell’area in cui
il songwriting si fonde col rock e col blues. Aiutato dai soliti pards, Gnola con
Beggars
and Liars avvia un percorso ai confini del roots-rock di scuola Hiatt e
J.J Cale iniettandolo di melodie southern soul. Uno
strappo ragionato rispetto agli shuffle con cui ha brillantemente costruito la
sua avventura blues tra dischi in studio e concerti dal vivo. I marchigiani
Gang continuano invece imperterriti sulla loro strada col produttore Jono Manson e con
un pugno di canzoni (Ritorno al Fuoco) che tra storie
d’Italia, sentimenti popolari, coerenza, folk e rock allunga la grande tradizione del
canzoniere italiano di natura sociale.
Di documentari musicali mi va di ricordare Summer
of Soul, tenuto nel
dimenticatoio per 50 anni e testimone della Woodstock afroamericana svoltasi a
Morris Mount Park ad Harlem negli stessi giorni della missione lunare Apollo e
nello stesso anno del più celebrato festival rock. Uno spaccato dell’altra
parte d America con la sua gioia, la sua cultura, i suoi colori, i suoi dolori ed
il suo ritmo, mentre per quanto riguarda le letture consiglio Leadbelly
di Edmond G.Addeo e Richard M.Garvin, Muddy Waters di Robert
Gordon, Bees Wing di Richard Thompson, New York Rock di Steven
Blush, Storie Sterrate di Marco Denti e The Allman Brothers Band-I
Ribelli del Southern Rock che ho avuto il privilegio di leggere in
anteprima. E’ tutto, speriamo in un anno migliore, ciao.
MAURO ZAMBELLINI