Pochi autori in tempi recenti hanno lasciato un segno
così profondo nella descrizione dei personaggi e nella creazione di atmosfere filmiche
come Willy Vlautin. Autore di novelle e romanzi che, su entrambe le sponde
dell’Atlantico, hanno trovato consensi in pubblico e critica, plaudenti la freschezza della sua scrittura, l’osservazione
dettagliata dei caratteri ed il lirismo profuso dalla sua prosa, Vlautin ha
intrapreso un viaggio in quella America della decadenza dove la vita delle
persone sono tasselli di un’opera in cui la sua compassionevole narrazione si
scontra col desolato paesaggio in cui esse
si muovono. Dal debutto di Motel Life fino a Io Sarò Qualcuno e La Notte Arriva Sempre, passando per
The
Free e La Ballata di Charley Thompson, tutti
regolarmente editi in Italia dai tipi di Jimenez, quel sottobosco di perdenti,
assassini, balordi, sadici e falliti sono l’ esempio della banalità del male e
della difficoltà di sopravvivenza in un paese in rovina, un coraggioso affresco
sulla gente comune come solo Raymond Carver è riuscito a dipingere in tempi più
o meno vicini. Affascinato dallo squallore ma umanamente complice dei suoi
personaggi tanto da vestirli di uno sguardo compassionevole e comprensivo, Vlautin
sa scrivere una ballata sui perdenti tanto da farseli sentire fratelli, e
ancora prima dei frequentatori della letteratura americana questa sua virtù ha colpito
il pubblico del rock che lo ha incontrato grazie ai dischi dei Richmond Fontaine, la band di Portland,
Oregon di cui Vlautin è stato leader. Cantore delle macerie esistenziali che
popolano gli anonimi motel e gli squallidi casino nelle città di frontiera del
Nevada come Reno e Winnemucca ( appunto The Fitzgerald e Winnemucca sono due album dei RF sull’argomento),
Vlautin ha usato la sua lucida capacità visionaria per creare canzoni che sono
la colonna sonora e la sceneggiatura di un film su un’America di provincia
dimenticata e battuta. Basta un titolo come We Used To Think The Freeway Sounded
Like a River disco del 2009 per
comprendere l’immaginario on the road di Vlautin, prologo di quel Don’t
Skip Out On Me del 2017 con cui assieme ai Richmond Fontaine musicò una
soundtrack strumentale per accompagnare
la lettura del suo Io Sarò Qualcuno. Tra folk desertico, border music, twangin’ e
suoni messicani, portò l’ascoltatore nell’odissea del boxeur in cerca di gloria
Horace Hopper/Hector Hidalgo. E’ stato
l’ultimo sforzo discografico dei Richmond Fontaine e poteva essere l’addio di
Vlautin dalle scene del rock per dedicarsi completamente al “mestiere” del
romanziere, ma invece la storia ha preso la via di un nuovo inizio grazie all’incontro
con la cantante Amy Boone. Si è portato appresso il percussionista Sean
Oldham ed il bassista Freddy Trujillo, entrambi transfughi dai RF, e ha trovato
nelle corde vocali della Boome quel tratto dolce e romantico che mancava alle
sue visioni di lacerato neo-realismo blue highway, inventandosi così i Delines. La vulnerabile ed evocativa
voce di Amy Boone che anni prima era stata in tour coi RF cantando alcune parti
di Post To Wire (2003) che in studio erano state appannaggio
dalla sorella Deborah Kelly (entrambe avevano trascorsi col gruppo texano dei
Damnations TX) è stata la molla che ha dato il via alla nuova esperienza. La Boone,
i tre ex RF, il tastierista Jerry Conlee dei Decemberists ed il suonatore dei
pedal steel Tucker Jackson proveniente dai Minus 5, si sono riuniti a Portland col
produttore John Morgan Askew che già
aveva partecipato a Don’t Skip Out On Me per
mettere a punto, nel 2014, Colfax, lavoro dalle atmosfere sospese e notturne
trainato dal cantato della Boone e da un folk-rock venato di soul dilatato
dalla lap steel di Jackson. Una coreografia sonora adatta ai temi prediletti di
Vlautin, lotte quotidiane di chi vive
alla periferia del sogno americano, precarietà dei rapporti, ineluttabilità di destini.
Suggestioni
replicate dall’altrettanto magnifico The Imperial cinque anni dopo. In mezzo un secondo album, Scenic Sessions, pubblicato in edizione limitata da
vendere durante il tour europeo del 2015, contenente la cover di Sunshine degli
Sparklehorse, ed un
rovinoso incidente automobilistico che nel 2016 ha messo fuori gioco Amy Boome.
Lo shock e le diverse fratture alle gambe hanno avuto come conseguenza
depressione e paura di non essere più all’altezza ma la realizzazione, anche se
faticosa, di The Imperial è servita
ad esorcizzare un periodo critico che sembrava compromettere definitivamente la
vita artistica della Boome e di conseguenza dei Delines. La musica come terapia
ha giovato ad un album dalle sonorità avvolgenti e languide, sfumato ed
emozionante, dove controverse storie di amanti fanno da sfondo
all’ambientazione dimessa e solitaria dei luoghi. Gli amanti dell’appartamento
n.315 nella canzone che dà il titolo all’album (The Imperial è una sorta di hotel a buon mercato con stanza date in
affitto a chi non può permettersi una casa) sanno che il loro futuro è vuoto
come la desolazione di quello stabile ed il
passato è pieno di sbagli ma il modo in cui Boone canta tale scenario è
talmente candido ed innocente che si avverte ancora un briciolo di speranza. Allo
stesso modo l’amore disperato di Eddie
and Polly, il singolo tratto dall’album, è un film commovente sulle
cicatrici di un mondo che non riserva lieti fini ai romantici, e la conclusiva Waiting On The Blue col suo tono
rarefatto sussurra una salvezza che la notte non è riuscita ad oscurare. C’è molta
tristezza nell’opera di Willy Vlautin ma la rappresentazione che i Delines
danno di questo blue mood è sublime ,come se la fragilità di una America
abbandonata possa nutrirsi di melodie che arrivano al cuore in modo così
sincero e partecipativo, intorpidendo
con la luce fioca dei ricordi una musica incantata ma non soporifera. Merito
dell’autore, della espressività vocale della Boone, del lamentoso suono della
lap steel di Tucker Jackson, di una
sezione ritmica in punta di piedi, di chitarre tanto educate quanto perfette
(Vlautin ed il produttore Askew) e degli eleganti arrangiamenti con tastiere e
tromba di Cory Gray. Quest’ultimo è
diventato una pedina importante nell’economia sonora dei Delines, i suoi schizzi
con la tromba hanno contribuito all’ originalità di una musica che rimane
evocativa e visionaria pur concedendosi scarabocchi di jazz , come poteva
esserci nei primi lavori degli Spain. Ma l’idea per l’attuale The
Sea Drift è venuta quando la Boome e Vlautin si sono confidati il
mutuo amore per Tony Joe White e
l’una ha chiesto all’altro, quasi per scherzo, di scriverle una nuova Rainy Night In Georgia. Amy Boone ha confessato
che due delle sue canzoni favorite di gioventù furono la versione di Brook
Benton del brano di Tony Joe White e Ode
To Billie Joe di Bobbie Gentry. Prima di ventanni però non aveva mai
sentito Tony Joe White ed un amico musicista di Austin, sorpreso, la invogliò a
supplire alla mancanza. Il giorno dopo la Boone corse a comprare un album di
Tony Joe White cercando le più ampie informazioni su di lui. Si imbatté in una intervista
data dall’artista che asseriva che fu Ode
To Billie Joe a spingerlo a scrivere
Rainy Night In Georgia. Due piccioni
con una fava, quando Willy Vlautin le disse che voleva usare la canzone di Tony
Joe White come ispirazione per The Sea Drift, la Boone ne fu entusiasta, abbracciò
subito l’idea come fosse la chiusura di un cerchio. Immediatamente i due iniziarono
a pensare ad un ideale set per le canzoni e fu naturale scegliere il Texas
orientale, dove la Boome aveva vissuto per anni, in particolare la Costa del Golfo che
entrambi amavano. Vlautin cominciò a buttare giù le canzoni proprio in quel
luogo e la band fu coinvolta nel creare un intero album sulla costa texana, a record drifting up and down the Gulf Coast
così lo definirono. A qualcuno potrebbe
venire in mente a proposito di tale ambientazione l’album del 1981 di Guy Clark
The
South Coast of Texas oppure il noir
Galveston,
bel romanzo di Nic Pizzolatto,
lo sceneggiatore della serie True Detective, poi messo in pellicola da Melanie
Laurent, ma la vena paesaggistica dello scrivere di Vlautin non si è limitata
ad una crime story piuttosto a
vicende di amanti disperati, donne sole, uomini in bilico. Talmente rapito dal
paesaggio umano e geografico , ad un certo punto Amy Boone si è chiesta se
Vlautin stava scrivendo le canzoni per un disco o una vera e propria
sceneggiatura. Con l’aiuto del produttore John Morgan Askew, la band si è
infilata nel nuovo studio Bocce estraendo l’ ennesima gemma dell’ immaginario “ provinciale” dei Delines, il cui
tema è esemplificato dalla essenziale copertina pseudo marina dove spicca un luna
park poggiato sul pontile che si allunga nel mare.
Una cover “costiera”
aderente al tipo di musica non proprio solare, asciutta nel suo significato ma
suggestiva, come già era successo per The Imperial. Il set di The Sea Drift è l’ennesima dimostrazione del taglio cinematografico del rock dei Delines e la
conferma dello stato di salute della band, ormai in possesso di uno stile
proprio e riconoscibile. Amy Boone ha ritrovato confidenza con gli studi di
registrazione, il bassista di stampo soul Freddy
Trujillo ed un batterista cool-jazz come Sean Oldham sono esperti nel costruire un groove tanto sensuale quanto
elegante, mentre Cory Gray, rincara il senso drammatico di alcune parti con
arrangiamenti d’archi e la sua tromba assume un tono evocativo nei due episodi
strumentali del disco. La prima canzone scritta per il disco è stata All Along The Ride e di conseguenza ha creato l’universo di The
Sea Drift . Emana una calda tristezza nel raccontare una relazione tra
due amanti che si sta dissolvendo , sono in macchina di ritorno da Corpus Christi
e la voce della Boone attanaglia il cuore come se fossimo lì vicino a loro,
respirando il loro dolore. Ma la canzone che più di altre ha contribuito al
suono e alle sensazioni dell’intero disco è Little
Earl il cui groove si ispira proprio
al country-soul di Tony Joe White e gli arrangiamenti di Cory Gray sottolineano
il carattere cinematico del pezzo, due fratelli coinvolti in un furto andato
storto in un mini-mart alla periferia di Port Arthur in Texas. Bizzarro il tema di Kid Codeine tradotto in una
musica briosa e quasi scanzonata. Vlautin dice di aver scritto il brano dopo
che una barista di mezza età incontrata nel centro di Los Angeles portò i
Richmond Fontaine in uno strip bar. Si accompagnava con un ragazzo ventenne che
non disse una parola, la ballerina di turno danzò erotica per loro prima di
schiantarsi contro il tavolo, nel contempo la barista con l’amico a fianco insisteva
su come scommettere alle corse di cavalli in California. Sebbene Vlautin volesse
dare al brano un eco da pop song
francese anni sessanta, lo stralunato
tema della canzone ricorda invece i surreali Little Feat della prima ora. Diverse sono le canzoni che hanno
come protagonisti i personaggi femminili. Nell’avvolgente lirismo di Drowing In Plaint Sigh una donna si
sente intrappolata in una situazione famigliare che invece di offrirle conforto
e sicurezza le trasmette solo pressione e solitudine. Vuole ricordare cosa si
prova ad essere amati, fugge, corre a casaccio ma non ha nessun posto dove
andare. In Hold Me Slow, una ballata
impreziosita da arrangiamenti quanto mai raffinati e da una grande intensità
vocale, la stessa donna, stanca, cerca il suo colpo di fortuna. L’unisono
strumentale è perfetto, la melodia si fonde con le tastiere, tromba e
chitarra accompagnano l’incedere lento e dondolante, niente è fuori
posto. Surfers in Twilight è priva
di qualsiasi supporto ritmico, si racconta di una donna in una città costiera
che uscita dal lavoro vede il marito sbattuto contro un muro e ammanettato
dalla polizia. Non sa cosa abbia fatto ma in cuor suo sente che ha fatto qualcosa.
This Ain’t No Getaway ha colorazioni bluastre e caduche, un’altra
donna torna a casa dal suo ex compagno
per prendersi le ultime sue cose. E’ l’alba, prima del lavoro e lo trova sveglio,
ubriaco e con una pistola accanto. Lei non scappa, prende le sue cose e se ne
va determinata a non essere vittima di altra violenza. In Saved from The Sea l’atmosfera è
malconcia e romantica, il narratore si
chiede se il mondo non sia così crudele, e la vita di lei non sia così tutta da
buttare. Potrà questa donna disperata essere salvata dal mare della solitudine?,
è la domanda che la voce accorata della Boone pone all’ascoltatore. Nei versi di Past The Shadows affiora il
sogno autodistruttivo di vivere nell’oscurità, come un vampiro ai margini della
società normale, il suono è intrigante, seduttivo, la tromba di Grey è ancora
lì a dare enfasi. Sostanziale al suono di The Sea Drift, Cory Grey è presente un po’ in tutti i brani ma diventa
protagonista nei due strumentali, in
Lynett’s Lament il cui titolo fa riferimento al personaggio
principale di La Notte Arriva Sempre riflette
luci notturne con un suono alla Chet Baker , e lo stesso tema viene ripreso nella
conclusiva The Gulf Drift Lament, omaggio
ai luoghi in cui l’album è stato concepito.
The
Sea Drift è un
disco visuale le cui canzoni sono piccole vignette di un film che i Delines
raccontano con una musica sognante, malinconica ed evocativa, assolutamente
ammaliante.
MAURO ZAMBELLINI febbraio 2022