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martedì 8 maggio 2012
Warren Haynes Band Live At The Moody Theater Stax
Negli ultimi tempi è cresciuta la fronda di chi imputa a Warren Haynes di essere troppo prolifico e troppo esposto, quindi di stancare. In rete si è formata una schiera critica che accusa di ripetitività il nostro, di fare dischi fotocopia, di aver smarrito l'ispirazione che aveva coi Gov't Mule. Liberi di pensarla come si vuole ma non si può imputare ad un artista di limitare la propria creatività, è come dire ad un centroavanti di razza di impegnarsi di meno e fare meno gol. Haynes è un musicista a 360 gradi, vive per la musica, si nutre di musica, non si accontenta di quello che ha fatto ieri, oggi è di nuovo alla ricerca di stimoli, esperienze nuove, suona coi Muli e con gli Allman, coi residui dei Dead, da solo e con la sua nuova band oltre a jammare con chiunque, scava nel passato e lo adegua al presente, reinterpreta album storici del rock rispettandone lo spirito originario, sperimenta e innovare pur nel campo classico del blues inventa nuovi ibridi col rock, il soul, il jazz, il R&B, il reggae, il songwriting cercando di dare sempre il massimo. Mostra un fervore espressivo in continuo movimento. A Man In Motion per l'appunto, come dice il titolo del suo disco solista a firma Warren Haynes. Naturale quindi aspettarsi un live con la sua nuova band, la stessa che qualcuno ha visto all'opera lo scorso luglio a Genova. Ad un anno da A Man In Motion esce il potente Live at the Moody Theater di Austin un album dal vivo come si usava negli anni settanta: doppio disco, copertina che si apre a libro, belle foto, parecchie cover e immancabile assolo di batteria. Sarà perché sulla copertina troneggia il marchio Stax ma tutto qui profuma di glorioso, antico, prezioso. La tecnologia ha poi permesso di riportare, contrariamente agli anni settanta, tutto il concerto, cosa che coi vinili non era possibile e lo stesso show, per intero e con qualche canzone in più rispetto ai due CD è documentato da un DVD. Insomma Warren Haynes Band Live at the Moody Theater è un live degno di entrare nell'antologia delle cose imperdibili di Haynes, centosessanta minuti di musica in CD più altre tre ore in DVD, un pranzo pantagruelico.
C'è molta differenza rispetto a quando Haynes è con i Muli, non è il cruento power-blues venato di psichedelia dei Gov't Mule a salire in cattedra ma un più avvolgente soul-blues jazzato che lascia spazio alle virtù strumentali del leader e della band, al formidabile tastierista Nigel Hall e al vulcanico tenor sassofonista Ron Holloway, due colossi in mezzo ad un titano. Warren Haynes da par suo è una forza della natura, una quercia resistente in mezzo alla tempesta, tutto attorno è un turbinio di suoni, ritmi e improvvisazione e lui, implacabile, serio, concentrato è lì fermo, immobile, panciuto e tranquillo, che dirige e canta con quella sua voce commovente un soul parente del blues nato a Memphis cinquanta anni fa e adesso restaurato da una mano che accarezza veloce e sicura le corde di una Gibson rinvenuta in qualche magazzino di strumenti usati. Un gigante a capo di una band galattica. La stessa vista a Genova la scorsa estate, Ron Johnson è il bassista, Terence Higgins il batterista, Alecia Chakour fa sporadiche entrate vocali e si limita al suo copione, come cantante di spalla se ne sono viste di migliori ma sta bene in questa all blacks band che fonde eleganza, tecnica, maestria, feeling, fantasia, solidità, una band che conosce a memoria la storia del blues e del soul e quando sconfina nel jazz è una festa per i sensi.
I brani di A Man In Motion fanno da perno alla serata ma sono allungati, jammati, vissuti con l'enfasi dello show. Si parte con la canzone titolo e subito dopo arrivano River's Gonna Rise dove Haynes sciorina l' amore per Albert King con una magistrale prova vocale e chitarristica e Alecia Chakour fa sentire la sua ugola arroventata, Sick Of My Shadow funkeggiata ad arte e impreziosita da un sax da brivido e la bluesata A Friend of You. La matrice è un soul-blues di matrice Stax con il marchio chitarristico dei tre King ma aggiornato e revisionato secondo canoni moderni, con le canzoni che mantengono il refrain e la melodia ma adesso libere di espandersi in un orizzonte strumentale di musica totale, dove gli strumenti si sovrappongono, si rincorrono, giocano a chiamata e risposta, si fondono. È una sorta di evoluzione new century della band di Booker T e Steve Cropper alla luce di tutto quello che è passato ed è stato incorporato dopo Green Onions.
Tra gli highlights del primo set va detto di On A Real Lonely Night, dodici minuti di estasi in mano ad un quintetto be-bop di straordinaria bravura e feeling, in Power & The Glory sale in cattedra il tastierista (Hammond e piano) Nigel Hall raggiunto in Take A Bullett, nel formidabile blues di Hattiesburg Hustle e in Everyday Will Be Like A Holiday del repertorio di William Bell e Booker T qui arricchita da un memorabile assolo di Haynes in chiave Duane Allman, da Ian Mc Lagantanto per rendere la combriccola ancora più vispa e trascinante.
Lo show è lungo, c'è tempo per offrire A Man In Motion in tutta la sua interezza, poi, dopo il ripescaggio di Frozen Fear da By A Thread dei Muli iniziano le cover: Dreaming The Same Dream scritta da Haynes con Ziggy Marley risplende di calore reggae, Pretzel Logic è un omaggio al soul-pop degli Steely Dan fuso in un bagno di jazz, per Change Is Gonna Come di Sam Cooke si scomoda una ricca sezione fiati a fianco delle voci di Haynes, Alecia Chakour e Nigel Hall, Spanish Castle Magic di Hendrix è in unarrangiamento free-jazz con la voce della Chakour che stride un pò. Una cosa va detta, nelle cover i Muli sono più convincenti e devastanti, la Warren Haynes Band rende di più nei propri pezzi. La conclusione di questo monumentale Live at Moody Theater è affidata a Tear Me Down, alla lenta e sudata Your Wildest Dreams e all'immancabile Soulshine l'encore che tutti aspettano. Potenza e gloria del blues.
MAURO ZAMBELLINI
sabato 24 dicembre 2011
Warren Haynes presents The Benefit Concert vol. 4 (Evil Teen 2CD)
E' abitudine di Warren Haynes organizzare nel periodo natalizio un Benefit Concert i cui proventi vanno ad Habitat for Humanity, una organizzazione no-profit impegnata nella costruzione di abitazioni per i senza casa. I concerti avvengono ad Asheville la città natale di Haynes nel Nord Carolina e vedono ogni anno la partecipazione di nomi noti e meno noti della musica southern e del rock-blues americano in generale. Sono già usciti diversi Cd e Dvd che testimoniano di questo avvenimento, questo The Benefit Concert vol. 4 è la cronaca dell'edizione del 2002 ed è una edizione di lusso perchè le forze in campo sono straordinarie. Innanzitutto Warren Haynes che suona un pò dappertutto, coi Gov't Mule nella drammatica, esaltante, commovente versione di Worried Down With Blues, il più bel blues da dieci anni a questa parte originariamente presentato su The Deep End un anno prima di questo concerto, in una jazzatissima e jammata Sco-Mule altro lascito di quel fantastico disco e altro highlights di questo show e nella lunga resa di Simple Man dei Lynyrd Skynyrd, un pezzo che non ha bisogno di presentazioni, dove i Muli sono raggiunti sul palco da Artymus Pyle degli Skynyds alla batteria, Audley Freed dei Black Crowes alla chitarra, Dave Schools degli Widespread Panic al basso, dal chitarrista Mike Barnes nativo di Asheville con esperienze negli Allman e nei Crowes e dall'organista Rob Barraco, l'unico forse a lasciarsi andare un pò troppo in una band che suona col tocco del divino. Ma Warren è a tutto campo, vero regista della partita.
Già nell'iniziale Carolina In My Mind di James Taylor la sua chitarra accompagna il violino di Don Lewis in quello che è un sentito omaggio acustico allo stato della Carolina del Nord e alla città natale di Haynes. È solo un accenno di quello che farà Haynes nel corso del concerto perché immediatamente dopo la scena è presa dai Sons of Ralph, altra band locale formata dal mandolinista Ralph Lewis e dai figli Don (violino e mandolino) e Marty (chitarra) specializzata in bluegrass music. Due brani a base di appalachian mountain music e country e poi è la volta di Jerry Joseph, leader dei Jackmormons e cantautore che si esibisce solista in una delle sue canzoni più note, The Kind of Place e poi aiutato da Robert Randolph col dobro, Dave Schools col basso e Matt Abts alla batteria si lancia in una bluesata Climb To Safety. La temperatura si innalza quando entra in scena Robert Randolph con la sua Family Band. Torrenziale e forse un po' eccessiva, Looking Out My Window è un soul-funk che frana verso il più chiassoso Sly Stone e dà la misura dell'orgia sonora creata dalla famiglia di Randolph mentre Shake Your Hips gioca per dieci minuti come fa il gatto col topo attorno all'ossessivo riff di La Grange aprendo delle fulminee schermaglie con la pedal steel di Randolph, la chitarra di Haynes e le dilaganti tastiere di John Girty e Denny Louis. Il tutto al servizio della delirante voce di Randolph che predica il suo sabba di black music totale.
Cambio di scenario con i Moe, la groove band debitrice dei Dead. Non misconoscono le loro origini e difatti legano in medley l'acida Dark Star di Garcia con la visionaria e spaziale Mexico, frutto del loro songwriting prima di dilatarsi negli effluvi narcotizzanti di Opium e rievocare i suoni della California psichedelica, aiutati da "maestro" Haynes che qui non sa che pesci pigliare tra Duane Allman e Jerry Garcia. Basta l'arrivo di John Hiatt perchè si ritorni coi piedi per terra. Tre canzoni, una più bella dell'altra, una sequenza da brivido, prima Ride Along, poi Tiki Bar Is Open impreziosita dal sassofono di Jon Smith e trasformata in un flessuoso blues/R&B ed infine una sincopata e jammata Memphis On The Meantime da far accapponare la pelle con Haynes con la slide a dar man forte ai Goners. La voce di Hiatt è un concentrato di negritudine, Landreth è un treno, il ritmo una droga. Ancora Dead dopo John Hiatt nella versione di Bob Weir and Friends una delle tante band in cui suona Haynes. Il cantante e chitarrista dei Grateful Dead si cimenta in alcuni classici del gruppo di Garcia, Shakedown Street mai troppo amata da chi scrive, una lisergica e stroboscopica medley di Truckin' e The Other One preparano il terreno per il finale esplosivo dei Muli che con Worried Down The Blues, Sco-Mule e Simple Man mandano i paradiso quanti ancora non erano saliti a bordo. È un doppio Cd e costa meno di un singolo. Opera di beneficenza a prezzi cheap. Alla portata di tutti, true democracy.
MAURO ZAMBELLINI
Disc 1
1 Carolina In My Mind (Haynes, Warren / Lewis, Don [Guitar])
2 One (Haynes, Warren)
3 One One One (Haynes, Warren / Sons of Ralph)
4 Nine Pound Hammer (Haynes, Warren / Sons of Ralph)
5 The Kind of Place (Joseph, Jerry)
6 Climb To Safety (Joseph, Jerry / Schools, Dave)
7 The Times They Are a Changin' (Kinney, Kevn / Haynes, Warren)
8 Squeeze (Randolph, Robert & the Family Band [1])
9 Looking Out My Window (Randolph, Robert & the Family Band [1])
10 Shake Your Hips (Haynes, Warren / Louis, Danny)
11 Dark Star Jam > Mexico (moe. [1])
12 Opium (Haynes, Warren / moe. [1])
13 The Weight (Weir, Bob / Haynes, Warren)
Disc 2
1 Ride Along (Hiatt, John & the Goners)
2 Drive South (Hiatt, John & the Goners)
3 Tiki Bar is Open (Hiatt, John & the Goners)
4 Memphis In the Meantime (Haynes, Warren / Hiatt, John & the Goners)
5 Shakedown Street (Weir, Bob)
6 Truckin' (Weir, Bob / DJ Logic)
7 The Other One (Weir, Bob / DJ Logic)
8 Worried Down the Blues (Rzab, Greg / Gov't Mule)
9 Sco-Mule (Rzab, Greg / Gov't Mule)
10 Don't Stop On the Grass, Sam (Schools, Dave / Gov't Mule)
11 Simple Man (Pyle, Artimus / Freed, Audley)
mercoledì 13 luglio 2011
Warren Haynes band a Genova, 11 luglio 2011
Ci voleva un grande concerto per smaltire la mia delusione per lo show di Mellencamp, e Warren Haynes ha oltrepassato qualsiasi aspettativa. Nella deliziosa cornice dell’Arena del Mare nel porto vecchio di Genova a poca distanza dall’Acquario con la lanterna sullo sfondo e gli enormi traghetti della Moby Line che sembravano infilarsi sul palco tanto erano vicini (ma le navi a contrario degli aerei non disturbano) Warren Haynes ha stupefatto le centinaio di presenti (una cifra ridicola per un colosso del genere, molto meno delle “esigue” ottocento prevendite per le quali il bulletto dell’Indiana ha annullato il concerto di Udine) con un set dove la musica è scivolata elegante, intensa, convincente rendendo indimenticabile una serata di mezz’estate. Uno show in cui Warren Haynes ha dato il meglio di sé come cantante e chitarrista e dove la band rigorosamente all blacks ha dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, che quando bisogna mischiare groove, tecnica e anima i neri non sono secondi a nessuno. In scena è andato l’ultimo album di Warren Haynes, quel Man In Motion che ha spostato il baricentro della sua musica dal duro e arcigno free rock/blues dei Gov’t Mule ad un più rotondo e morbido soul/blues tinto di jazz governato dalla sua Gibson vintage color oro. Il suo è un nuovo Memphis Stax sound che nasce da Albert King e Steve Cropper e incamera rock, blues e jazz mentre la voce si erge superba per intensità, limpidezza, espressività. Da sempre Haynes è lodato come chitarrista ma è come cantante che oggi è diventato un colosso, entra nel cuore, strappa emozioni e arriva dove il suo maestro Gregg Allman gli ha insegnato.
Haynes è un mostro di bravura e talento, è un extraterrestre con la chitarra ed un cantante dall’ugola straziante che proprio nella sua nuova veste di Man In Motion trova massima espressione come soulman e come bluesman tanto da preferirlo in questa veste ai Gov’t Mule, senza naturalmente togliere nulla a quest’ultimi.
Haynes è un musicista in pace con sé stesso, gode a stare sul palco e suonare, ha l’atteggiamento del fan impegnato a deliziare sé stesso ed il suo pubblico, è instancabile, non molla un attimo, passa dall’elettrico all’acustico senza una pausa, accorda la chitarra mentre canta, si asciuga il sudore della fronte e poi riparte con un nuovo blues, non fa in tempo a concludere un pezzo che già inizia il seguente, è un uomo in movimento. Fermo sul palco come una statua è un monumento alla sacralità del rock, coinvolto in una missione dove la musica è la ragione della sua vita. In questo tour non ha portato i musicisti che lo hanno accompagnato nella registrazione di Man In Motion ad eccezione del sassofonista Ron Holloway, bravissimo nel soffiare un mix di be bop newyorchese e di shout alla Arnett Cobb e King Curtis sopra un groove memphisiano assolutamente irresistibile creato dalla coppia Terence Higgins, un batterista elegante e vivace, mai sopra le righe e Ron Johnson, il piccolo bassista con barba e cappello che sembra uno che organizza combattimenti di galli in qualche localaccio di New Orleans ed invece è un maestro di efficacia, tempismo, precisione, essenzialità. Un mago delle quattro corde. Completano la band il Booker T. Jones della situazione ovvero il tastierista Nigel Hall ed una cantante (Ruthie Foster) che fa poco ma basta e avanza. Due ore e mezzo di show senza break e cadute di tensioni, una grande dimostrazione di professionalità, feeling, amore e conoscenza. Passano uno dopo l’altro i brani del nuovo disco : lo splendido up-tempo di River’s Gonna Rise, appassionata, romantica, il funky grasso di Sick of My Shadow, l’eco Otis Redding di Your Wildest Dreams, spettacolare soul da brividi alla schiena, la sincopata On A Real Lonely Night, il Delta rivisitato alla Haynes di Hattiesburg Hustle , la jazzata A Friend To You dove il sassofonista mostra tutta la sua sapienza in termini di contaminazioni. Poi il palco si spoglia, rimane solo Warren con la chitarra acustica. La sua voce fende la notte, l’aria frizzante del mare si carica di magia, anche la lanterna si commuove, prima con una versione da pelle d’oca di One degli U2, poi con Spanish Castle Magic di Hendrix ed infine con Gallow’s Pole dei Led Zeppelin. Quando riparte la band il pubblico si scioglie, Beautifully Broken dei Muli è una ballad da mille e una notte e Man In Motion la chiusura del cerchio prima dell’ acclamato encore di Soulshine con cui Warren ringrazia la wonderful crowd.
Caldo, umile, superbo. Semplicemente divino.
Un esempio per tutti.
MAURO ZAMBELLINI LUGLIO 2011
venerdì 15 aprile 2011
Warren Haynes > Man In Motion
Warren Haynes senza i Muli va a sviscerare quel patrimonio di soul e di blues che esisteva prima del rock quando da ragazzo rubava i dischi del fratello e si beava del gesto canoro dei vari Wilson Pickett, Aretha Franklyn, James Brown, Sam and Dave e Temptations. Un disco di R&B? Non propriamente perché di blues in Man In Motion ce ne è a sufficienza ma è mischiato col soul e col jazz nel modo in cui è stato manipolato da chitarristi come Albert King e Freddie King. Ecco, Man In Motion potrebbe essere un disco di Albert King per la Stax o Jammed Together del trio Steve Cropper/Pop Staples/Albert King , le armonie sembrano uscite da quei dischi, gli assoli di chitarra sono tenuti a bada, niente a che vedere con la travolgente cascata di chitarre dei Muli e della Allman Band, ritmi sincopati e groove irresistibile come è tipico della scuola di Memphis, una buona dose di funky senza debordare ed un disinvolto atteggiamento jam. Warren Haynes è un uomo in movimento e nello stesso modo in cui si è tuffato a capofitto nel reggae e nel dub adesso fa con il soul sviscerandolo in tutte le sue declinazioni, cercando di vestire i panni del soul singer ed incrociando il passato col presente, fondendo i temi sull’amore, sul desiderio e sull’abbandono, temi cari alla discografia soul, con una energia contemporanea ed un moderno modo di affrontare il rhythm and blues. A molti potrà non piacere questa svolta di Warren Haynes ma non dimenticatevi che questi non sono i Gov’t Mule e il virtuoso e titanico chitarrista riesce comunque a portare a casa un disco piacevole, fluido all’inverosimile, un melting pot di soul, jazz e blues suonato con classe e traboccante di feeling .
L’unica cosa che non dovete chiedere è la forza sconvolgente della sua Gibson, che qui c’è eccome ma Haynes ha preferito sostituire la classica Les Paul Standard con una serie di Gibson vintage ES 335 e ES 345 con cassa semi hollowbody per risultare ancora più rigoroso e credibile nel ricreare il sound pulito e chiaro dell’epoca pre-rock. Si è poi contornato di tre ganzi della scuola New Orleans ovvero il bassista dei Meters George Porter Jr. (adesso nei 7 Walkers), il tastierista Ivan Neville ed il batterista Raymond Webber, ha recuperato il tastierista dei Faces Ian McLagan ed il tenorsassofonsita Ron Holloway e con i loro si è infilato negli studi di Willie Nelson ad Austin suonando insieme senza sovraincisioni le dieci lunghe tracce di Man In Motion. Il risultato è un disco che trasuda Memphis da ogni angolo anche se le canzoni non sono quelle da tre minuti dei 45 giri della Stax ma hanno tutte una durata media che supera abbondantemente i cinque minuti.
Un morbido rollio jazz-soul-blues scorre senza soluzione di continuità dall’’inizio alla fine di Man In Motion come fosse una ipnosi ritmica che cattura dolcemente i sensi senza forzare e senza sconvolgere, che sia un maestro Warren Haynes lo dimostra in ogni campo anche quando il rock è solo all’orizzonte.
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