venerdì 6 dicembre 2019

CLUB 27 di Chris Salewicz Shake Edizioni


Nonostante il sottotitolo strilli La maledizione del rock e la morte degli Dei questo di Chris Salewicz non è un testo che si bea della morbosa curiosità che fa capo al famoso adagio sesso, droga&rock n'roll ma è un trattato serio, ben fatto e circostanziato su alcune vite disastrate della nostra musica definite maledette solo perché i protagonisti di cui si parla non sono stati capaci di lenire i propri dolori esistenziali ed il senso di inadeguatezza vissuto se non con la droga, l'alcol ed in qualche caso il sesso. Chris Salewicz, giornalista musicale inglese tra i più accreditati, autore tra gli altri di Bob Marley, la sua storia mai raccontata (2017) e Redemption Song, la ballata di Joe Strummer (2016) elenca una serie  di nomi riuniti nel Club 27 morti a ventisette anni per via di overdose, suicidi, incidenti, collassi, autodistruzione, follia, più di tutto una vita spinta al limite dell'incoscienza, e ne scrive senza cercare di stupire o fomentare uno scandalo ma, al contrario, assumendo un tono discreto, quasi accorato, come se volesse essere lì a rendere credibili alcune esistenze maudit solo più che altro per l'imperizia con cui sono state vissute. Le coincidenze lasciano un po' il tempo che trovano, anche se a ben guardare qualcosa ci deve pur essere se poco tempo prima della loro scomparsa Janis Joplin, Jimi Hendrix e Jim Morrison sentissero quasi contemporaneamente aleggiare su sé stessi un alone sinistro, ma non è quello il punto, piuttosto i nomi riuniti nel Club 27 di Chris Salewicz incutono ancora apprensione, vuoi per la singolarità dell'associazione, vuoi per il ripetersi di alcuni schemi ricorrenti come se la parabola di ascesa e caduta dei protagonisti fosse decisa da un destino già scritto. E' come se fossero rimasti giovani per sempre o assurti ad una sorta di immortalità dove la morte non è la fine ma la consacrazione in un pantheon di Dei bramosi di un vivere eccessivo, più che trasgressivo. Come Amy Winehouse arrivata al successo, enorme, con un paio di dischi e dozzine di milioni di copie vendute, che si portava dietro una storia famigliare complessa, curata con un uso smodato di alcol e pasticci assortiti. Morirà sola, come Janis Joplin, altro esempio, al pari di Jimi Hendrix, in cui le insicurezze annidate nell'infanzia grazie a famiglie burrascose o del tutto inesistenti si sommano alle pressioni innate dell'istinto artistico e nell'ambito di un circo mediatico e di un mercato dove le idee e i valori reggono a giorni alterni, almeno quanto i rapporti umani. Pubblico e privato entrano in corto circuito ed è lì che il pericolo diventa una concreta realtà. Oppure come Jim Morrison, uno che non riusciva mai a tirarsi indietro ma alle spalle aveva un padre autoritario, George Stephen Morrison che non era soltanto un ammiraglio della marina militare americana ma era anche il comandante nel Golfo del Tonchino dove maturò il falso incidente che diventerà il casus belli della guerra del Vietnam. Chris Salewicz racconta l'odissea artistica di sette artisti con prosa asciutta e precisione di dati, concerti, tour, dischi ed avvenimenti, senza soffermarsi troppo sulle singole debolezze anche se queste immancabilmente accompagnano una fine prevedibile, magari non del tutto nel caso di Jimi Hendrix e Robert Johnson, l'unico tra quelli qui presentii ad appartenere ad un mondo diverso da quello del rock e di cui l'autore smonta amabilmente la leggenda secondo cui avesse venduto l'anima al diavolo in un crocicchio. Caso mai in quel crocicchio ci passò Tommy Johnson, e non Robert, bluesman noto per le canzoni Canned Heat Blues e Maggie Campbell Blues, in uno di quei riti che sono parte integrante di tanto animismo africano, reliquia dell'epoca dello schiavismo.

Se la fine della Joplin, di Morrison, Brian Jones ed Hendrix possono apparire degli incidenti di percorso, tesi difficile da accettare alla luce della loro dieta tossica, si era negli anni sessanta e molti degli effetti "secondari" non erano del tutto noti perché quello che contava era oltrepassare le porte della percezione, come insegnavano i "cattivi" maestri Burroughs, Huxley e Castaneda, più dolorosa appare l'insofferenza di Kurt Cobain sfociata in una tossicodipendenza da moderno junkie disperato. Il tutto riportato nel perimetro di un caos grunge di gente che dormiva per terra, nutrendosi in qualche modo, viaggiando su furgoni scassati in cerca di qualcosa che aveva a che fare con la musica ma che è rimasto indefinito, seguendo percorsi sotterranei molto fragili e poco salubri. Un itinerario apparentemente agli antipodi della sfavillante vita in una rock n' roll band che ha il nome di Rolling Stones. Il talentuoso Brian Jones, che già andava in cerca di altre direzioni, era ormai fuori posto, la sua morte a ridosso dell'uscita dalla band scopre una delle condanne degli gli accoliti del Club 27, il peso della solitudine. Protagonisti destinati al successo (ad eccezione di Robert Johnson) e questo al posto di risolvere i nodi, le  zone d'ombra, le notti insonni, le elevasse all'ennesima potenza. Creativi, controversi, magici e innovativi, ricchi, assetati di sesso e droga, disperati ma produttori di una musica che come il loro mito rimarrà eterna. Chris Salewicz racconta in modo avvincente ed in maniera inedita le tragiche ed intime storie di Amy Winehouse, Kurt Cobain, Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison e Robert Johnson, ovvero il Club 27 uno dei tanti misteri del rock n'roll.

MAURO ZAMBELLINI  

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